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V\
DELLE
«< tói
RAZZE UMANE
SAGGIO ETNOLOGICO
del dottor
' GIUSTINIANO NICOLUGCI
Ex uno omne genus hominum
ACT. APOST. X VII. 26.
NAPOLI
STAMPERIA E CARTIERE DEL F1BRENO
Strada Trinità Maggioro n° 26
1857
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A’ SUOI CARISSIMI AMICI
LUMEEDECORODELLESCIENZECHEPROFESSANO
MICHELE-TENORE
PROF. EDIRETTOREDELR. ORTO BOTANICO NAPOLITANO
STEFANO OELLE CHIAIE
PROF. • E • DIRETTORE ■ DEL- MUSEO ANATOMICO-PATOLOGICO
NELLA R. UNIVERSITÀ DEGU STUDI DI NAPOLl
FRANCESCO'PUCCINOTTI
GIÀ' PROF. •DI'CLINICAMED.ORA'DISTORIADELLA - MEDICINA
NELLA I . E R UNIVERSITÀ DI PISA
L’AUTORE
DISCEPOLO-RIVERENTE
QUESTOSAGGIOETNOLOGICO
OFFRE DEDICÀ CONSACRA
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PREFAZIONE
E’ mi pare fuori di ogni dubbio, che la Etnologia debba essere ora-
mai collocala in quel posto che meritamente le si addice fra le scien-
ze naturali , come quella che ha per obbietto di descrivere le Varietà
delWomo , il quale sla a capo di tutta la creazione. E veramente io
non so intendere come tanti libri si fossero scritti da Aristotile fino a
noi sulla serie intera degli esseri viventi , e si pochi sulle Razze Uma-
ne, le quali forse non erano credute meritevoli di Gssare sopra di sè
f attenzione di chi compiacevasi a descrivere le squamme di un ser-
pente, il guscio di una lumaca , o le variopinte ali di una farfalla.
Innocenti e dilettevoli studi , che pur sublimano la mente osservatri-
ce all’idea di quell’Essere che provvede con incessante cura, e mi-
nistra egualmente i tesori della sua beneflcenza all’ insetto che calpe-
stiamo invisibile , ed all’elefante , gigante del regno animale. Ma ben
altre considerazioni ci presenta lo studio dell’Uomo, o viva ignudo
sotto la sferza del sole tropicale, o rintanato, coperto di pelli , sotto
i ghiacci de’ cerchi polari ; o si paia abbellito del più vago incarnato,
o apparisca tinto del color del rame, di uli vigno, o del nero del car-
bone. In tutlocciò noi osserviamo l’influsso della natura esterna sullo
svolgimento fisico e morale dell’umanità, e traggbiamo dalle tante
pruove che d’ogni intorno ci si affollano il corollario, che l’umana
creatura , caduta per sua colpa io uno stato di barbarie , tende inces-
santemente a rialzarsi verso la sua primitiva perfezione.
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VI
prefazioni:
Meno coltivali clic altrove sodo gli studi etnologici nella Penisola
nostra, cbe pur non manca, nè ha mai mancato di naturalisti di gran
merito: poco lo sono egualmente in Alemagna ( la patria del padre
dell’ Etnologia, Blumenbach), in Scandinavia e in Russia. La Francia
possiede, è vero, le opere dell’Edwards, Desmoulins, Virey, Broc,
Bory de Sainl-Vincent, Hollard, ma niuna di esse risponde allo stato
odierno delle nostre conoscenze , e quasi tutte sembrano dettate con
idee e sistemi preconcetti. Ma la Francia nondimanco ha grandemente
contribuito all'avanzamento dell'Etnologia con le splendide pubbli-
cazioni di tanti viaggi intrapresi a spese, e sotto il generoso patrocinio
di quel Governo.
L’IoghiKerra però , come centro del commercio del mondo, e ma-
drepatria di tante colonie seminate, a somiglianza delle fenicie e delle
greche , sopra quasi tutti i punti del globo , avendo più facile modo
di raccogliere notizie intorno a' vari popoli della terra, ha fornito ve-
ramente le opere più complete di che oggi si vanti la Storia Naturale
dell’ Uomo, fra le quali brillano di maggior luce le Ricerche sulla sto-
ria fisica di questo , del Prichard , che può chiamarsi il vero fondatore
della scienza etnologica : uomo raro per vastità d’ingegno, e pro-
fondità di dottrina. Le sue opere sono state d’incitamento, nel Regno
Unito , a’Iavori del Latham, Hamilton Smith, ali Archeologia ed agli
Annali antestorici della Scozia del Dr. Wilson , ed ai Cranio Britan-
nica de’Dottori Davis e Thurnam tuttora in corso di pubblicazione.
Ultimi nell'aringo discesero gli Americani degli Stali Uniti del Nord,
ma con polso e lena di atleti, e Morton con la sua classica opera
« Cranio Americana », e con l’altra non men notevole « Cranio sEgyp-
lica », e il Pickering con le sue Razze dell’Uomo, e Noti e Gliddou
co’loro Tipi Umani hanno certamente aggrandito il patrimonio delle
conoscenze etnologiche. Nè io trasanderò qui di nominare l’Archeolo-
gia americana del Gallatin, e la preziosa Collezione di ritratti, secondo
natura, de’ Capi delle principali tribù selvagge della parte settentrionale
del Nuovo Continente pubblicata dal Kenney ed Hall : opera la quale
non ha riscontro , benché debolmente, che ne' Tipi delle Indie Orien-
tali Neerlandesi che vico ora dando in luce il van Pers in S’Gravenhage.
Dissi l'Alemagna aver poco contribuito a’ progressi dell' Etnologia
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PREFAZIONE
VII
guardando il lato, direi quasi, fisico della scienza ; ma per quanto
risguarda i sussidi di che la forniscono la filologia , la storia , l’ar-
cheologia, non v’ba nazione che si potentemente abbia contribuito
aH'augumcnto di essa quanto l’alemanna , alla quale niun’ altra va
innanzi per istudi filologici ed archeologici, se si eccettui, per alcun
lato, l’Inghilterra, la quale, per mezzo della Società Asiatica di Cal-
cutta, ha rivelalo all’Europa le ricchezze inesauribili, letterarie e sto-
riche, del più remoto Oriente.
E non ostante gli sforzi di tanti uomini eminenti, mi è paruto che
qualche cosa poteva farsi ancora in servigio dell’Etnologia, ciò è riu-
nire in un sol corpo le sparse membra di questa scienza, coordinarle
sotto un punto di vista generale, e presentarle iu forma semplice ,
chiara , ordinata , di guisa che fosse facile ad ognuno di scorgere le
attinenze che i vari popoli hanno fra di loro, e le relazioni che gli
odierni congiungono con quelli della più remota antichità.
Tanto mi sono sforzato di tentar io in quest’opera che ora affido
trepidante al giudizio del pubblico. Mi sono studiato di adattarne la
forma alla intelligenza di tutti , schivando ciò che potesse parer dot-
trinale, e limitandomi a descrivere le singole popolazioni della terra,
accennando altresì di ognuna di esse il grado in cui sono, o in cui fu-
rono di civiltà, e le principali vicende che hanno accompagnato il corso
delia loro esistenza infino ad oggi. Ognun comprende di leggieri
quante difficoltà si attraversavano a’ miei disegni, e come non sempre
io sia potuto riuscire a presentare di tutte le nazioni quel quadro
compiuto che io aveva in animo di delineare. Ho evitato costantemente
la pompa della erudizione , e non ho fatto ricorso a citazioni di autori
e di opere, se non quando facea mestieri indicare le sorgenti di al-
cune notizie men conosciute, o quando, in punti dubbiosi , dovea
pur mostrare le ragioni e le autorità che confortavano le mie opi-
nioni.
Per iscrivere un'opera, come la presente, poggiata interamente
sulla osservazione, si richiede che l’autore abbia raccolto quante più
notizie ha potuto , e con esperienza propria , e da’ libri che sono ve-
nuti in luce fino a quel giorno ch’egli pubblica il suo. Per acquistar
l'una, e far tesoro degli altri io ho viaggiato per la Penisola nostra ,
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Vili
PREFAZIONE
studiando i crani di diverse genti conservati ne’ musei anatomici ,
consultando quante opere posseggono le migliori biblioteche relative
all’ argomento ch'era l’obbietto degli studi miei.
Moltissimi disegni io mi proponeva dapprincipio accompagnare al
testo dell’ opera , e già , dopo lunga e non interrotta diligen-
za, erami venuto fatto di riunire i tipi di quasi tutte le famiglie e
gruppi e tribù dell’ umana generazione; ma poiché questa maniera di
pubblicazione avrebbe di molto cresciuto il prezzo della edizione ,
cosi io mi sono limitato a riprodurre i soli tipi delle principali famiglie
di popoli , il che mi ha permesso di ridurre di due terze parti almeno
il numero de’ disegni ch’io dapprima aveva in animo di pubblicare.
Che io sia riuscito nel mio intendimento , non ardisco di crederlo
punto ; ma a me basta soltanto il conforto di avere il primo presenta-
to la mia patria di un lavoro, che tende a riempire una lacuna defor-
me nella letteratura scientifica italiana.
Giugno, 1857.
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LIBRO PRIMO
lei quale si (limosini clic le varie razze untane non sono specie
diverse di un genere, ma varietà permancnli di una specie
unica.
CAPITOLO i.
DEFINIZIONE ED OBBIEITO DELL’ETNOLOGIA — DELLE SPECIE, DELLE
VARIETÀ, E CAGIONI ONDE QUEST' ULTIME DERIVANO.
Li Storia delle Varietà, o Razze Umane, la quale appellasi con vo-
cabolo proprio Etnologia (1), è lo studio de* caratteri fisici e morali
onde una razza, od anche un popolo dall’ altro si differenzia. Indaga
eziandio le ragioni perchè le varietà si producono, e si accompagna
con gli avvenimenti più memorabili de’popoli, le religioni, le scien-
ze, le arti, le industrie loro. Sotto un tale rispetto l’Etnologia non è
già una sterile descrizione di genti e di costumi diversi, ma è un te-
ma ampio c nobile che merita la considerazione del naturalista, del
filosofo, del letterato, deU’nrtista. È una scienza complessa di cui
l’orizzonte è vasto, perchè abbraccia la umanità intera dai primi al-
bóri della storia fino all’epoca nella quale noi viviamo. Chiede alle
altre scienze tributi de’quali fa suo prò, e ne domanda massimamen-
te all’anatomia, alla filologia , alla storia ed all'archeologia, e niun
risultato ella considera legittimo, se non sia abbastanza sostenuto da
quel quadruplice sussidio.
Però l’Etnologia, come di leggieri si comprende, non può risalire
a'cominciamenti della umanità, nè accompagnare le prime migrazio-
ni dell’uomo sulla faccia della terra, nè scuoprire direttamente le
origini delle odierne più cospicue varietà, o razze umane, le quali già
esistevano fin da quando a noi cominciarono ad essere trasmesse le
più antiche memorie che possediamo intorno alla nostra specie; onde
molti hanno dubitatole veramente i tipi umani non fossero originari ,
e se invece di essere discendenza di un sol Proto-parente fossero piul-
(l)Oa E’-ivoi popolo, stirpe, e Xtlyos discorso, cioè discorso sui popoli , o
sulle stirpi.
Nkolucci, Razze umane — Voi. I- 1
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LIBRO PRIMO
tosto.opera di diverse e successive creazioni. Il mio inlimo convinci-
mento m'impone il dovere di riputare assolulamente erronea una tale
semenza , e di considerare tutti gli uomini come membri di una sola
famiglia, o, per parlare il linguaggio di naturalista, come varietà di
un’unica specie.
Ma che cosa è questa specie , che cosa sono queste varietà ?
Specie chiamasi quella forma di vita rappresentata da individui si-
mili che si riproducono e si moltiplicano con certi caratteri costanti
ed immutabili; epperció tutti quegli individui che si rassomigliano fra
loro , e che , potendo divenire fecondi , procreano altri individui a sé
interamente somiglianti, appartengono ad una medesima specie , e
possono tutti , per analogia , supporsi usciti originariamente da uno
stesso individuo primitivo.
La varietà è una modificazione surta accidentalmente nella specie,
e quando ella è si tenace e profonda, che si conserva stabilmente nel-
le successive generazioni , la varietà dicesi permanente , e negli ani-
mali prende il nome di razza. La varietà differisce dalla specie, per-
chè i caratteri propri di questa sono contemporanei alla primitiva esi-
stenza di essa, laddove quelli che distinguono le varietà si sono ma-
nifestati posteriormente alla esistenza de’ primi genitori , costituendo
una deviazione dal carattere originario, o primitivo.
Avviene talora, che per effetto di fecondazione operata da una spe-
cie differente, comechè sempre affine, si produca una certa modifi-
cazione nella specie, la quale modificazione trovasi distinta co'nomi di
ibridi , muli o bastardi , ed il fatto ne è detto ibridismo. Differisce dalla
varietà l’ibridismo in questo, che neli’una i caratteri che ne costi-
tuiscono In modificazione si manifestano in individui generati da al-
tri appartenenti alla specie medesima, e nell’altro s’incontrano sopra
individui provenienti da specie diversa, e solo appartenenti allo stes-
so genere; nella prima sono i prodotti capaci di unione feconda , e
trasmettono alle loro discendenze i caratteri novellamente acquisiti ;
nel secondo non sono fecondi , nè possono perpetuarsi in una razza
intermedia alle due specie onde sono provenuti , e se pure faldata lo
possono, la loro fecondità è molto limitata (1).
(1) Tutti conoscono il mulo ed il bardotto, generazioni l’una del ciuco e
della cavalla, e l’altra del corallo e dell’asina, ed ognuno sa, che essi sonoasso-
lutamentc incapaci a fecondarsi l'uno con l’altro, e rarissimamente fecondi,
anche quando abbiano commercio con alcuna delle due specie onde sono pro-
dotti. Altrettanto è dell’ ibrido del bue di Europa e del bissante, o buffalo ame-
ricano. Si citano, è vero, esempi di bastardi di becchi e pecore atti a fecon-
darsi fra loro (Buffon, Quadrupedi.^, XXII p. 400; XXX p. 230), eikibridi
prolifici di cerve (cervus capriolus) e di montoni (ovis aries ) ( Hellenius ,
nelle Meni. dell’Accad. delle scienze di Stoccolma — Chevreul, Journal des
Savans, Juin, 1846 p. 3S7 ), di cammello ('camelus bactrianus ) e di drome-
dario ( camelus dromedario ) ( Bitter, Erdkunde, Asien , Vili p. 633 —
639 — Erazer, Mesopotamia and Assyria, p. 566 — 367 — Bliss, in Nott
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SPECIE K VARIETÀ'.
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Ninna delle razze umane ha limile nelle sue fecondazioni , e oltre
ad essere proliGci gli individui appartenenti a tutte le varietà, al me-
desimo grado lo sono egualmente i meticci procreati dal connubio
di razze diverse, le quali non possono perciò essere giudicate specie
diverse di un genere (chè allora sarebbero infeconde), ma debbono
ritenersi come varietà permanenti di una specie unica, le quali sono
surle successivamente, secondo che favorevoli circostanze hanno po-
tuto ad esse dare nascimento.
Doppio è l’ordine delle cagioni che concorrono a promuovere va-
rietà sì nell' uomo, che nella serie intera degli esseri viventi. Talune
sono interne e dipendenti dalla stessa organizzazione ; le altre sono
esteriori , e relative tanto al clima, quanto ad un’altra serie di cause
cosmiche non ancora conosciute.
Ciascuna specie di animali e di piante possiede in sé medesima fa
facoltà di dare origine a un determinato circolo di variazioni , inde-
pendentemente dalle influenze esterne ed anche dalla volontà, ed ogni
individuo di ciascuna specie è dotato della possibilità di produrre tale,
o tale altra parte di quel circulo, senza che egli sia costretto a gene-
rar enti che abbiano con lui una perfetta rassomiglianza. « Peraltro
l’unione di tali varietà non le perpetua, nè le converte in tipi per-
manenti, ma si comprende di leggieri di quali condizioni faccia me-
stieri per giungere a siffatte risultanze independeuteinente dai clima,
dal nutrimento e dalla località. Piu le unioni si ripetono fra individui
simili senza mescuglio esterno, più lungo tempo ancora conservasi il
tipo al quale appartengono i genitori. Può in tal guisa, all’infuori di
ogni esterna influenza, originarsi una razza permanente, la quale rien-
tri nel circolo di quelle variazioni possibili della specie che possono
avere origine da cagioni interiori. Se suppongasi un matrimonio fra
individui che si rassomigliano il più che possono fra loro, e se am-
mettasi che i tigli che iodi nasceranno si congiungano sempre fra di
sé, nè contraggano mai nozze con estranei della loro famiglia, si avrà
una razza i membri della quale, non ostante tutte le differenze indi-
viduali possibili . saranno dominati durevolmente dal tipo di quelli
che ne sono stati il ceppo primigenio. Talvolta ancora, quando il tipo
e giunto a fissarsi in una famiglia per una lunga serie di generazioni,
non basta neanco a cancellarlo la mescolanza con uu tipo straniero,
poiché il nuovo elemento si trova allora assorbito dagli antichi. Ecco
perchè senza dubbio talune case principesche conservano sì distinta-
and Gliddon, Types of Mankind, Phitadelpliia, ISSi p. ÒSO), ma siffatta
fecondità, oltre all’essere limitata e non comparabile con quella delle specie
tipi, non si continua mai per molte generazioni , sicché presto o tardi il
prodotto bastardo è colpito di sterilità. Quanto al cane, «I fecondo nelle sue
immense varietà , è tuttora indecisa la quistione della sua origine , ed io
non sono punto inclinato ad ammetterne la differenza tipica primitiva , la
quale non i convalidata da alcuna pruova degna di essere presa in conside-
razione.
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LIBRO PRIMO
mente un tipo di famiglia, malgrado le alleanze che contraggono con
altre (1). l'na famiglia isolata, i membri della quale si unissero sem-
pre fra di loro, produrrebbe, a luogo andare, una nazione, o una tribù
dotata di caratteri particolari. Or l'istoria ci insegna, che il tipo delle
nazioni può conservarsi per migliaia di anni in mezzo alla infinita
diversità delle variazioni individuali. I Giudei ne forniscono un
esempio molto conosciuto, perciocché il tipo che li distingue non si
altera punto sotto la influenza de' climi più diversi, de’quali ognuno
tultavolla determina modificazioni particolari di forma e di comples-
sione (2) ».
Più numerose sono le varietà che possono dipendere da cagioni
esterne fra le quali singolarmente predomina l' influenza del clima,
considerato nella sua più ampia significazione.
Egli e noto ( io citerò qui solamente alcuni esempi tratti da ani-
mali domestici) quanta parte abbia la temperatura sul pelame e sulla
statura degli animali. Delle due specie di peli de’quali il maggior nu-
mero di essi è fornito , gli uni sono corti e lanosi , gli altri lunghi e
setolosi, e secondo che gli animali vivono in fredde, o calde regio-
ni , ora i peli setolosi predominano sopra i lanosi , ed ora questi su
quelli ; onde più le pecore s’inoltrano verso il settentrione, e più la
proporzione fra le due specie di peli si avvicina all’eguaglianza : per
contrario più si volgono verso il mezzogiorno, più la lana aumenta a
scapilo de’peli setolosi, come ne forniscono esempi i merini dc'monti
delia Spagna. Le bestie cornute delle zone temperate di Europa, tra-
sportate nelle Indie Orientali, si fanno piccole in capo a molle gene-
razioni (3), siccome in capo a poche perdono tutta quella gran massa
adiposa accumulata nella lor coda i montoni dalla grossa coda dei
Kirghizi recati iu Siberia. Il cavallo acquista le sue più gran dimen-
sioni in Tartaria e nell' Europa settentrionale ; si fa svelto e leggero
in Arabia e iu Barberia , e non si riesce ad averne delle belle razze
(1) Questi fenomeni di atavismo sono stati descritti poeticamente da Lu-
crezio nc' seguenti versi del suo poema :
Fit quoque ut interdum similes esistere avorum
Possint, et referant proavorum sa'pe figuras ;
Proptcrea quia multa modis primordia multis
Mista suo celant in corpore saepe pareli tes,
Qu® patribus patres tradunt a stirpe profccta.
Inde Venus varia produci! sorte figuras ,
Majorumquc refert vultus, vocesque, comasque.
De natura rerum, Lib. IV. v. 1211 e seg.
(2) J. Mailer, Physiologie, trad. frane. Paris 1845. Il p. 760-761 .
(3) Sturm, Ucber Racen,Kreuzung und Verànderung der laiidwirthschaft-
liehen Hausthiere. Eberfeld, 1825, p. 51.
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SPECIE E VARIETÀ’
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nell’Europa centrale, se non incrociando quelle che di tempo in tem-
po presentano accidentalmente alcune qualità particolari. Il porcelli-
no d'Iudia, che è grigio nel suo paese nativo, si converte in Europa
io una varietà picchiettata di rosso, di nero, e di bianco, e le stesse
pelli del bestiame che si è introdotto di Europa in America, han sog-
giaciuto a poco a poco a siffatti cangiamenti , che i cuoi del Brasile
son tenuti oggidì per i migliori che si conoscano.
La elevazione sul livello del mare anch'essa esercita sulle forme
degli animali una influenza independente dal grado di latitudine, on-
de il porco, per esempio, nelle basse contrade acquista le sue piti
gran dimensioni , e più il luogo di sua dimora si eleva , più il suo
corpo s’impicciolisce e si fa muscoloso, la testa meno lunga, il collo
più breve , e la parte di dietro meno tondeggiante,
Ma ali’ infuori della temperatura e della elevazione del luogo ,
un altro uumero di circostanze esteriori non ben definite concor-
re eziandio a ingenerare varietà permanenti in molte razze dei no-
stri animali; cosi il porco in Guinea ha lunghe le orecchie c po-
sate sul dorso; in Cina il ventre grosso e pendente e le gambe corte,
e altrove zanne grandi e ricurve come le corna del bue ; in domesti-
cità orecchie a metà pendenti, il corpo grosso , e la parte posteriore
tondeggiante. Molto maggiori sono le varietà che offre il monto-
ne nelle diverse regioni della terra. Ne abbiamo in Europa con lana
comune, o (ina, di statura grande, o piccola, con corna grandi, pic-
cole, mancanti nelle femmine, o ne’ due sessi. Le varietà più cospi-
cue sono quella di Spagna con la lana fina e crespa , e grandi corna
spirali nel maschio , la quale varietà incomincia a propagarsi per
tutta Europa , e quella d’Inghilterra con la lana fina e lunga. La va-
rietà più comune nella Russia meridionale ha la coda molto lunga :
quelle delle Indie e della Ghinea, che hanno anche lunga coda, si di-
stinguono tanto per le loro lunghe gambe, l’osso frontale molto con-
vesso e le orecchie pendenti, quanto perchè non hanno corna, e sono
coperte di un pelo raso. La razza di Persia , di Tartaria e della Cina
ha la coda interamente trasformata in un doppio globo di adipe ;
quella di Siria e di Barbcria l’ha invero lunga, ma carica ancora di
una gran massa adiposa, in entrambe, ie orecchie sono pendeuti , le
corna grosse ne’ montoni , mediocri ne’ castrati, e la lana mista di
peli (1).
Tra i buoi avvene di quelli con lunghe corna , altri con corna
brevi, ed altri con corna mezzane; lunghissime poi sono le cor-
na de’ buoi d’Abissinia; e insieme con le corna vi ha pure gran di-
versità nella forma della testa c nella proporzione de' membri nelle
varie razze.
Chi non conosce le tante varietà di cani, de’ quali tuttavolta non
sembra essere stato se non unico il tipo originario? « Pensano aleu-
ti) Cuvier, Le Règue animai, <3* ediz. Bruxelles .1856, I. 172.
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LIBRO PRIMO
ni naturalisti ( io qui riferisco (e parole del celebre Cuvier) che il ca-
ne sia un lupo, altri che sia uno sciacal addomesticato, ma i cani ri-
tornati selvaggi nelle isole deserte non rassomigliano nè all’uno , né
all’altro. I cani selvaggi , e que’ de’ popoli poco inciviliti, come sono
gii abitanti la NuovaOlanda, hanno le orecchie diritte, il che ha fatto
credere che le razze europee più vicine al primo tipo sieno il nostro
cane de'pecorcù , il nostro cane lupigno: ma la comparazione de’ crani
vi avvicina dippiù il maslino ed il danese, dopo i quali vengono il ca-
ne corrente, il bracco ed il bassotto, i quali non differiscono fra loro,
che nella statura e nella proporzione delle membra. Il levriere è più
svelto, ha seni frontali più piccoli e un odorato più debole. Il cane
de' pecorai e il cane lupigno riprendono le orecchie diritte de’cani sel-
vaggi , ma con maggiore sviluppamelo nel cervello, che va crescen-
do ancora, insieme con l'intelligenza, nel barbone e nello spagnuolo ■ l>a
un altro cauto l'alano si fa notare pel raccorciaracnto e la forza delle
mascelle. I cagnolini di stanza, piccoli alani, spagnuoli, eie. sono i pro-
dotti più degeneri, ei testimoni più irrefragabili della potenza che
l’ uomo esercita sopra la natura » (1).
Grandi varietà fra gli animali domestici presentano ancora i Galli-
nacei , di cui certe razze son grandissime, altre piccole , altre affatto
nane. Avvene di quelle con piccole creste , altre con creste grandi e
grosse, ed altre che, invece di cresta, hanno un ciuffo di piume sulla
testa. Le gambe in alcune son nude e gialle, in altre guernite di pen-
ne in tutta la loro lunghezza, e, ciò che è più rilevante ancora , av-
vi una razza senza groppone, ed un’altra che ha cinque dita in cia-
scun piede. La gallina padovana, della quale il I’allas ha dato la de-
scrizione (2), offre nelle forme e capacità del cranio un carattere sin-
golare , che costituisce una deviazione dalla struttura ordinaria più
grande forse di alcun altra di quelle che possono incontrarsi nelle al-
tre specie di animali.
Dipendenti dalle medesime cagioni che negli animali, ma non mcn
notevoli e degne di studio più speciale , sono le varietà fra le di-
verse razze dell'uomo, le quali varietà quando sieno state veramente
origiuate è una quistione che non potrà essere giammai risoluta dalle
breve nostra esperienza. Non pare del rimanente improbabile, che le
più notevoli di esse risalissero alle epoche prime della creazione,
quando la supcrGcie del globo era soggetta a perturbamenti che or
più non si osservano, i quali potevano facilmente indurre nelle forme
tisiche dell' uomo quelle modificazioni che molli e molli secoli sareb-
bero ora insufiìcieuti a produrre. Forse ancora in quell’aurora dei
(1) Op. c tom. cit. p. 92.
(2) Spicilegia zoologica, Serotini , 1796, fase. 4. La porzione superiore
del cranio è dilatata in una specie di conca di forma emisferica pertugiata
di piccoli forellini. Tutta la cavità dell'osso dilatato è ripiena di sostanza
cerebrale
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SPECIE E VARIETÀ’
7
(empi , essendo incerta tuttora l’ umana forma , le modificazioni che
vi si aggiunsero , benché lievi , determinarono quelle variazioni che
man mano vieppiù si manifestarono, e furono tipi delle razze pre-
senti , tutte diverse dalla forma originaria, che dovea io sé compren-
dere il germe delle singole varietà ond’ora è distinto il genere
umano.
So che molli nomi autorevoli propendono oggi alla opinione della
pluralità originaria della specie nostra, e respingono come contraria
a’ progressi dell’Etnologia la dottrina dell’unità dell'umana generazio-
ne. Chiamano ancora in appoggio de’ loro asserti l'autorità delle Di-
vine Scritture contentate da esegeti ebraici (t), e credono uhm’ altra
opinione poter essere scientificamente accettevole all’infuori di quella
da essi propugnata. I loro principali argomenti si riducono a’due se-
guenti.
1. ° Che i tipi umani sono al presente tali quali ne'lcmpi più vetu-
sti erano , e non hanno sofferta la benché minima variazione , come
ne forniscono pruove i monumenti egizi , gli assiri , i persiani, i ci-
nesi , gli indiani , gii americani , gli etrusci, e fino i crani dissepolti
dalle più antiche tombe d’Asia, d’America e di Europa (2).
2. ° Che ciascuna zona della terra è stata assegnata ad una propria
specie umana accomodata a quelle influenze esteriori, le quali gover-
nano eziandio una Flora ed una Fauna particolare, talché uomo, ani-
mali e piante sono stati creati espressamente per quelle regioui della
terra nelle quali vivono. Quindi, essendo la diversità fra le piante, gli
animali e la loro distribuzione geografica dipendenti da un piano ge-
nerale, che unisce tutti gli esseri in un grande organico concepimen-
(o , è necessaria conseguenza , che le umane razze , e fin le loro di-
visioni in nazioni sieno distinte forme primordiali del tipo dell' uo-
mo (3).
Al primo argomento la risposta si presenta da sé medesima, cd é,
che se i monumenti più vetusti a noi pervenuti risalgono ad una an-
tichità di parecchie migliaia di anni , quanti se ne vogliono allrìbui-
(1) Bory de S. 1 Vincent, L’Homme, Essai zoologique sur le genre hu-
main, Pari e 1856, t. 1. p. 66 — Pye Smith, Relation betwen thè Holy
Scriptures and Ueologv, 3 ediz. p. 595.
(2) Morton, Ineditéd Manuscripts, in Noti and Gliddon , Typcs of Man-
kind, p. 307 — Pye Smith, loc. cit. 598-400. — Jacquinot, Considòratfons
générales sur l’anthropologie, Voyage au Pòle Sud, Zoologie, 1846, p. 175 —
Burke , Ethnologic-al Journal , London, 1848, N. 1. — William Herbert,
Amyrillidacea, p. 388. — Noti, Two Lectures on thè biblica! and physical
históry of Man, Netc-Jork, 1849. — Nott and Gliddon, Types of Maukiud,
passim.
(3) Agassiz, Sketch of thè naturai provinces of thè animai World, and
their relation io thè diflerent types of Man, in Noti and Gliddon, LXXVfl.
Li, Diversity of origin of human races; Christian Examiuer, Boston, Juti,
1850.
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8
LIBRO PRIMO
re ai più antichi egiziani (1), è ben naturale di supporre che motti al-
tri secoli fossero trascorsi dall’ epoca della creazione dell' uomo fi-
no alla costruzione di que’ monumenti. E chi oserebbe contrastare ,
che in quel lungo periodo non si fossero potute originare quelle va-
rietà , che poi divennero tipi di razze, i quali una volta stabiliti non
si cancellarono più mai, Gncbè rimasero sotto le medesime condizio-
ni dalle quali ebbero nascimento?
Quanto al secondo argomento , io credo che , lungi dal distrug-
gere, esso afforzi e folcisca la dottrina dell’ unità della specie nostra ;
imperciocché s’egli è vero, come lo è in effetti, che a ciascuna zona
terrestre corrisponda un pcculiar gruppo di piante e di animali , e
insieme con quelli una propria forma umana , si può dedurne con
buona ragione , che appunto quelle forme sieno sottoposte alla in-
fluenza di quel clima, e clic dalle varietà di questi sieno dipendenti
cosi le diversità de’gruppi delle piante e degli animali, come le diffe-
renze tipiche dell' uomo. Le quali versano singolarmente sulla con-
formazione del sistema osseo c del sistema dermoideo (cute e peli), c
perciò egli è necessario che noi ci inlratlenghiamo particolarmente
nella disanima di esse.
CAPITOLO II.
DELLE VARIETÀ NELLA FORMA DEL CRANIO E NELLE ALTRE PARTI
DELLO SCHELETRO UMANO.
S. — Delle varie forme del cranio.
Presso gli antichi scrittori si trova fatta raramente menzione di
qualche varietà osservala ne’crant appartenenti a razze e popoli di-
versi. Favella Erodoto della durezza del teschio degli Egiziani in com-
parazione di quello de’Persiani, accagionando la fralezza di questo al-
l’uso eh’ era in Persia di tener coperto il capo costantemente con una
(1)7 pili antichi monumenti umani che si conoscano sono gli egizi, e que-
sti posteriori di alcuni secoli a Menes , dal quale incomincia la cronologia
egiziana, che oscilla fra i 5,645 e i 5,867 anni av. G. C., secondo le varie
opinioni ch’io nolo qui sotto.
1839, Parigi.... Lenormant: Ccrcucil de Myceriuus .... 4915
1840, Parigi.... Champollion-Figeac: L’Égypte ancienne . . 5807
1845, Berlino.. Jloeckh: Mandilo und die Hundssternperiode . 5702
1845, Torino... Jiarucchi: Discorsi critici sopra la crono), egizia. 4890
1845, Amburgo llunsen: vKgypten Stelle in der Weltgeschichte. 3043
1840, Parigi.... Henry. L’Égypte Pharaoniquc 5303
1848, Parigi.... Lesueur: Chronologie des Itois d’Égyptc . . . 5773
1849, Berlino.. I.cpsius: ('.limnologie der Aigyptcr 3893
1851, Dublino. Hincks: Turin Papyrus 3895
1851, Londra.. Kenrick: Egypt under thè Pharaolis .... 3892
1854, Filadelfia. PicAeriny: (jcograp. Distribuì. ofAlliwalsa. Piali ts. 4100
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'Mio crii
*
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* • ‘«ir epoca della evalione dell' uomo li-
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non si fossero potute originare quelle v»-
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nuche rimasero sotto le medesime condi/io-
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CAPITOLO n. . .
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FORME DEL CRANIO
9
specie di tiara (1); ed Ippocrate ci fa la descrizione del cranio com-
presso dc’Colchi e del modo onde oltenevasi quella deformazione clic
per lunga consuetudine erasi quindi convertita in natura (2). L’esame
de’ crani sembra da poco tempo abbia fissato le menti degli osserva-
tori ; imperciocché è vero che Iosfeld notò : a essere ovale la forma
del teschio de'Belgi, quasi sferica quella de’Tedeschi e rotonda quel-
la de'Turchi, triangolare negli Etiopi e quadrata ne’Calmucchi (3)»,
echeVesalio (4), Albino (5),Paw (ò),Middleton (7). Laurenberg (8),
Vinslow (9), Arthaud (10), Forster (11), Sandifort (12) ed altri anco-
ra descrissero teschi appartenenti a popoli di varie razze , tuttavolta
Blumenbach fu quegli che il primo fece sui crani umani uno studio
profondo, da farlo servire di fondamento ad una classificazione ra -
giocata dei siogoli popoli della terra (13).
Conobbe il grande uomo, che per determinare convenientemento
le differenze che si osservano nella struttura fisica del corpo umano,
non bastavano le descrizioni de’ viaggiatori ora fallaci, ora esagerate,
ora dubbie , ma che dovea ricercarsene la conferma nella stessa na-
tura ; onde scelse il cranio a base della sua classificazione, perciocché,
oltre all’essere questo il substrato dell’intera fisonomia , la stabilità
sua congiunta alla medesima varietà della sua conformazione e della
proporzion delle sue parti , fornisce i caratteri più certi per distin-
guere le singole nazioni (14).
(1) Talia. Cap, l.
(2) De aere, aquis et locis, lib. Vili. Cornario interprete — « Quum
recens infans n atus est, caput ejut adirne tenerum ac molte existens, guani
celerrime costringunt manibus, coaptantesque cogunt in longitudinem ali-
geri, quia et rinculi » connectunt , ac aptis instrumenti! colligant, quo ro-
tunditas capilis proliibeutur , ac longitudo augeatur. Ea consuetudo tantum
(’lfecil, ut ejutmodi natura capitum existeret. Tempori s vero progressi * na-
tura quoque tales produxit , ut non esset necesse consuetudine priore co-
gerc ».
(3) De lusibus natura;, Lugd. Baiar. 1772 — « Belgis caput oblonge ro-
tundum, rolundior Germanie, maxime rolunda figura Turcis placet ; trian-
gularem appelunt Aìthiopes, quadratoni Latinuccio*
(4) Lib. I. cap. V.
(3) Index legati llaviaui et Suppellex anatomica.
(ti; Succenturiatus anatomicus, Lugd. Balac. 1610.
(7) Misccllancous Works, t. IV.
(8, l’asicompse nova.
(9) Mémoires de l’Acad. des Sciences de Paris, 1772.
(10) Journal de pbysique p. Rozier, Acril, 1789.
ili) ltemerkungen , eie.
(12) Musamm anatom. Acad. Lugd. Batav, 1789 e seg. v. 1.
(13) De generis humani varietale nativa , Goettingie , 1798, — Decade»
collectionis su* rraniorum diversarum gentium, Goettingx , 1790 — 1828,
cum lab. aen. LXV.
(14) « Cruniorum quibus adgenlililius varietale» distingue ndas et de finte n-
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10
unno primo
Egli osservò, che tutti i crani umani, guardali dalla parte superio-
re , trovandosi l’ occhio indietro ed alquanto discosto dal vertice,
occupano un’arca che presenta tre distinte varietà rappresentate dal-
le forme tipiche craniali di un Giorgiano, di un Tonguso e di un Ne-
gro della Ghinea. La prima forma, chiamata dal Blumenbach cauca-
siana e propria della razza bianca , ha la figura ovale e leggermente
rigonfia quasi nel suo mezzo ; la seconda , appartenente alla razza
gialla, o mongolica, è più raccorciata nel suo diametro antero-poslerio-
re, ed è quasi sferica; la terza, detta etiopica, ha l’aspetto di un’ellissi
allungata. Oltracciò , ne’ crani caucasiano c mongolico, guardati se-
condo il metodo Blumenbacchiano, gli archi zigomatici sono appena
sporgenti fuori i contorni laterali delle ossa frontali , e le sole ossa
nasali si mostrano uscenti dall’orlo anteriore. Nel teschio poi degli
Etiopi le arcate zigomatiche sono più visibili al di là de’contorni late-
rali degli ossi frontali , e insiem con le ossa nasali si protendono in-
nanzi , sull'orlo anteriore dell’ ellissi , anche le ossa mascellari.
Oggidì le denominazioni predette non saprebbero essere più ap-
propriate scientificamente , poiché non avvi ragione sufficiente per
considerare le tribù del Caucaso come il germe originario della razza
bianca, o per credere che i loro teschi rappresentino il vero tipo
craniale della razza , il quale mostrasi altrettanto perfetto anche nei
crani de’ Greci, degli Italiani, e d’altre nazioni. La forma mongoli-
ca ha il suo tipo dominante, non già fra i Mongolli da'quali è tratta
la sua denominazione, ma fra le nazioni abitatrici dell’Asia superiore
e dell'America nordica. Per simile motivo è anche impropriamente
adoperato il vocabolo di etiope a denotare la gran massa dei popoli
africani, perciocché non solamente l’Etiopia è una piccola parte
dell’Africa, e i popoli che l’ abitano non hanno il tipo del cranio che
dovrebhono rappresentare , ma questo tipo è più specialmente note-
vole ne’Negri della Costa d’Oro, e nelle razze negre sparse per l’Ocea-
nia c per l’Australia.
Prichard, l’etnologo più insigne dell’epoca nostra, ritiene i tre tipi
indicati dal Blumenbach, perchè sono i soli osservabili nella confor-
mazione craniale, e quelli di cui tutti gli altri non sono che variazio-
ni, o combinazioni, ma non conserva le medesime denominazioni per
le ragioni che di sopra abbiamo detto; laonde chiama ovale od ovoide
la forma del cranio che Blnmenbach nominava caucasiana ; pirami-
dale la mongolica di questo , e prognata l' altra che il professore di
Gottinga appellava etiopica (1).
flax nulla alia humani corporis pars aptior videtur, cum caput osscum ( pra -
terquam quud anima dumicilium et officina, imo vero inlerpret quasi et e.r-
planator ejus sii, nipote universa physiognomia basini et firmamentuni
const ititene ) stabilitati sua maximum eonformationis et partium relativa
proportionis tarietalem junctam habeat, unde characteres nationum certis-
simos desumere licei » — Craniar. divers. gent. Decas I.
(1) Kesearehcs into thè pbysical history of Mankiud, fourth editimi, £mi-
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TAV 11
Forma ovale
Forma piramidale
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FORME DEL GRAMO 1 |
Chiama ovaie, od ovoide (symmetrical, or ovai form ) la forma cau-
casiana del cranio , poiché in effetti ha questa figura in generale, ma
la distingue vieppiù dalle altre forme la simmetria delle sue parti, la
fronte ampia, gli ossi mascellari e i zigomatici cosi disposti da ren-
dere ovale il contorno del volto , ed aver le gote il medesimo piano
della fronte. Le ossa mascellari non proiettate innanzi, nè lateralmen-
te ; le mascellari superiori con processo alveolare rotondo, e curva-
te anteriormente in direzione perpendicolare , onde i denti seguono
questa medesima direzione , alla quale corrisponde anche quella
della mascella inferiore. Il teschio de’Greci offre forse il più perfetto
tipo di questa conformazione che appartiene a tutto quel gruppo di
nazioni che si estendono, in direzione nordico-occidentale, dalle In-
die c dalla Persia attraverso la Siria e l‘ Asia Minore , abbracciando
quella porzione d'Africa la quale rimane a settentrione del Gran De-
serto, e coprendo quasi l’intera superficie dell’Europa.
La torma piramidale del Prichard ( Pyramidal,or Broad-faced stadi),
corrispondente alla mongolica del Ulumenbach , ha per caratteri di-
stintivi la proiezione laterale , o esterna degli archi zigomatici sì
considerevole , che quella porzione del cranio al di sopra della linea
che riunisce gli zigomi, veduta di faccia, ba un’apparenza quasi trian-
golare , o piramidale , servendo quella linea di base. Le orbite sono
larghe e profonde , e le ossa le attorniano di tal maniera, che per lo
più l’ apertura delle palpebre è totalmente obliqua , essendo l'angolo
interno diretto all’ingiù. La parte inferiore del volto è notevolmente
piana e larga , le ossa nasali sì piatte , che lo spazio fra le due ciglia
serba quasi Io stesso piano delle gote, la parte inferiore del volto assai
larga e piatta, e l'intera faccia non già ovale, come quella degli Eu-
ropei, ma di forma quasi romboidale. Questa conformazione , che è
propria di tutte le rimanenti razze asiatiche , di alcune popolazioni
dell'Europa nordica e dell’America boreale , raggiunge il suo più
alto tipo presso gli Eschimesi d’America e d’Asia , e , ciò che è più
degno di osservazione , incontrasi ancora in una remota parte del
globo , ed in una razza di uomini affatto diversa, gli Ottentotti e i
fioscismani dell’Africa meridionale.
La terza forma craniale ( Prognathous , or narrow and elongaled sktdl)
è stata dal Prichard molto appropriatamente chiamata •prognata per
esprimere il carattere più distintivo di essa , il quale è quello della
prominenza antivergente delle ossa mascellari e delle gole. Questo
carattere, che è forse meglio espresso ne’ teschi de’ Negri della Costa
d’Oro, è lungi dall’csser ristretto alle sole nazioni negre dell'Africa,
imperciocché è osservabile quasi altrettanto in alcune tribù selvagge
dell’Oceania e della Nuova Olanda. Il cranio prognato è stretto ed al-
lungalo , ed acquista nel suo diametro antero-posteriore quello svi—
don 1857 — 81, 5 voi. in 8. fig. — Histoire naturellc de l’ fiorame, frarf.
par Roulin, Paris, 1845, 2 voi. in 8 fig.
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12
LIBRO PltDIO
luppo che perde nel suo diametro bi-laterale. Le ossa mascellari pro-
iettate innanzi danno a’ contorni alveolari una simile direzione , e i
denti, invece di esservi piantati verticalmente, lo sono obliquamente,
volgendosi sempre al di fuori, di modo che i superiori si incontrano
con gli inferiori in un angolo ottuso. Cosiffatta proiezione delle ma-
scelle è la causa principale della piccolezza dell’angolo facciale osser-
vata dal Camper, e produce questo effetto anche nel caso, come tal-
volta accade, che la fronte s’innalzi secondo il modello europeo.
Avvi certamente in questo cranio una minore elevazione frontale ,
ma non apparisce che vi sia un corrispondente scemamenlo nella ca-
pacità craniale , essendo la forma retrocedente della fronte in parte
cagionata dal prolungamento in addietro dell’intero cranio.
Noi vedremo di qui a poco con quanto fondamento di vero , dal-
l’anteriore proiezione della mascella, e dalla fronte dietreggiante siasi
giudicato della organica inferiorità delle razze negre , ma ci occorre
prima di dire qualche parola sopra un'altra forma craniale, la forma
schiacciala , che si è trovata presso alcuni selvaggi americani , e nei
crani dissepolti dalle antiche tombe peruviane.
Egli è noto come ancora al giorno d’oggi appo alcune tribù di
Nutka e delle sponde del fiume Colombia si comprìma il capo a’ neo-
nati, e si conformi ad una fazione che rassomiglia quasi affatto al te-
schio schiacciato delle tombe peruviane (1), e molli scrittori accurati
ci narrano un tal costume essere stato esercitato, ne'tempi andati, an-
che in America, presso i Caribi dclleAntille(2),iTapoirani della Guia-
na (3) , gli Omaga del Maranham (4) , e gli Apichiqui del littorale
presso Quito (5). Testimonianze tali sarebbero una pruova convin-
cente per ammettere l'intervento dell’ arte nella speciale conforma-
zione della parte ossea del capo de’ prischi Peruviani. Al d’ Orbigny
parve altresi dimostrato , che quella deformazione si praticasse in-
nanzi la conquista fatta dagli lochi del paese degli Aimari, e che fos-
ti) Per tullociò che riguarda i crani degli indigeni di Nutka e delle ri-
ve del fiume Colombia, non che del metodo usato a deformarli, ved. J. Sclwu-
ler, nel Zoological Journal. 1829 j>. 504.
(2j Roche fori , Histoire des Antilles, 1665, p. 457 — Olddendorp, Geschi-
clite der Mission. Th. 1. p. 25.
(3) llomara, Histoire des Indicns. fot. XLV.
(4) Corografia Jtrazilica, cap. II. p. 526 — La Condamine, Voyage, 1745
p. 72, c Mémoires de l’Acad. des Sciences, 1743, p. 427 — Itodriguez, Ma-
ragnon yAmazonas, 16S4,lib.II.cap.X,p. 124 — Acugna , Kclacion del Ilio
de las Amazonas, II, p. 85 — Ulloa, Kclacion del viagc à la America meri-
dional, t. Il, lib. VI, cap. 5, p. 554.
(5) Garcilaso, Comment. reai de los lncas, Lib. IX, cap. Vili, p. 512 —
« Deformavan (ei dice) lascabczas « los nignos en naciendo.poniendolcs una
tablilla en la frcnle y atra en el colodrillo, y se las aprctavan de dia en dia
basta gue eran tic qualro ò ciuco agnos, paraque la cabeza quedace anclia
del uno ludo al otro, y angosta de la frcnle al colodrillo. »
TAX.UI
Forma prognata
Forma schiacciata
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FORME OKI. CRANIO.
13
se limitata al solo sesso maschile , trovandosi nelle tombe i teschi
delle donne non schiacciati, esimili a quelli de’ moderni indigeni del
luogo (1) ; ma il Pentland inclina a crederli naturali 12), ed un altro
non men culto viaggiatore si adagia in questa opinione , avendo os-
servato , che in molti villaggi da lui visitati , la pressione artificiale
del cranio è totalmente sconosciuta , e pur nondimanco gli adulti , i
fanciulli , e persino i feti offrono lutti la testa appianata (3). Questi
fatti non possono essere negati, ma d’altra parte il costume che esiste
ancora presso molti popoli del Nuovo Continente di comprimere la
testa a’ neonati, costume che nel Perù fu abolito da un concilio spa-
gnuolo e da un sinodo della Diocesi di Lima del 1583 (4); il trovarsi
nelle tombe i crani schiacciati uniti a quelli che no 'I sono, acquista-
no fede al pensamento di coloro che credono assolutamente dipen-
dente da un’artificiale compressione la forma craniale degli antichi
Peruviani. Io punto non mi allontano da tale sentenza , ma credo la
compressione essere stata necessaria soltanto ne’ primi tempi , e che
di poi , continuata senza interruzione per molte generazioni , quella
speciale conformazion di cranio che ne usciva ha finito col rendersi
naturale, e divenir tipo caratteristico craniale , che si è trasmesso e
conservato fin nelle odierne popolazioni, come opinava ancora Ippo-
crate de’Colchi, senza che a perpetuarla vi fosse stato più mestieri di
quel medesimo artifìcio onde prima venne originata.
I caratteri di questo cranio schiacciato sono lucidamente tratteg-
giati nella seguente descrizione datane dal celebre anatomico di Eidel-
berga , signor Federico Tiedemann , nel suo Zeilschrift filr Physio-
logie. « Durante il mio breve soggiorno in Parigi ( così egli ) io vidi
nel Museo di Anatomia comparata nel Giardino del Re parecchi crani
recati dal Perù dal signor Pentland, che li raccolse da antichi sepol-
creti. Questi crani sono singolari per la loro insolita lunghezza , es-
sendo l’asse dalla fronte all’occipite molto più luogo che non soglia
essere in altri crani. La faccia è proiettata davanti eccessivamente , e
la fronte schiacciata per modo, che l’angolo facciale di Camper è più
piccolo che in alcun’ altra razza umana conosciuta. L’osso frontale
è continuato indietro sino al vertice, ed è veramente lungo , stretto
e piatto. Le ossa parietali in parte si volgono anche indietro , e nel
(I) L’Homme Americani. Paris, 1859, 1. p. 318-520.
(2j « / conceive that it may be wilhjustice inferred that their peculiar
sii ape teas not artificially caused by pressure, as it thè case trilli thè Caribs
and some other of thè barbarous tribes of thè New World». Dublin Journal
of medicai and Chemical Sciences, 1854, n. X V.
(3) Il sig. Tschudi, in una lettera comunicata dal Mandi il 27 febbraio
1846 alla Società Etnologica di Parigi.
(4) Jos. Sanz de Aguire, Collodio maxima Conciliorum Disparii* et No-
vi Orbìs — Storia del 3° Concilio della Diocesi di Lima. Decreto del 17 lu-
glio, 1585.
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14
1.1 BRO PRIMO
punto (li unione col temporale formano un arco sensibile , ovvero
una protuberanza. Il forame occipitale è largo , e il suo piano non
volgesi né in giù, né dinanzi, ma alquanto di dietro, e i processi zi-
gomatici uon sono proemi oenti (1) ».
Il signor A. Retzius, distinto professore di anatomia in Stoccolma,
riguardando il cranio umano sotto un altro aspetto, vi distingue due
sole forme generali, cioè :
a. la forma dolicocefala (ovale) col diametro antere- posteriore
lungo ;
b. la forma brachicefalo (tonda, cubica, o cuneiforme) col diametro
antere- posteriore corto.
E secondo che ciascuna di esse forme presenta una linea facciale
retta, o proemiuente, cosi ei la chiama or lagnala, o prognata, i crani
umani quiudi sarebbero :
Dolicocefali
ortognati ,
prognati ;
Brachicefali
) ortognati ,
| prognati.
/ caratteri del tipo dolicocefalo sono:
1. ° Il diametro iongitudiuale
maggiore del trasversale di ^ di
pollice.
2. " Il piano occipitale assai pre-
minente , spesso compresso nei
lati, e formante un piano inclina-
to ed inarcato.
3 ' La protuberanza occipitale
distinta
Que' del tipo brachicefalo sono:
1. ° Il diametro longitudinale
maggiore del trasversale di -
dì pollice.
2. ° Il piano occipitale ordina-
riamente piatto , quasi perpendi-
colare, talvolta rigonfio in forma
globulare.
3. ° La protuberanza occipitale
generalmente mancante , o poco
sviluppala.
(!) Recentemente il Volt. Gratiolet (Comptes rendus de l’Acad. des Scien-
ces, 23 Aoùt, 1856) si è occupato a studiare la varietà che presenta il pro-
gresso della obliterazione delle suture del cranio in alcune razze umane, e
sembra dalle sue investigazioni restar provato, che ne' Bianchi l’ordine del-
l’obliterazione sia : 1“ la sutura sagittale ; 2° la sutura lambdoidea ; 5 a la
sutura coronale, mentre che ne’Negri ( Etiopici ed Alforesi), oltre a che le
suture si ossificano assai più presto , l’ obliterazione detta sutura coronale
precede quella della lambdoidea ; cosicché il cranio del Bianco chiudesi pri-
ma di dietro, e quello del Negro prima dinanzi. Gli stessi fatti, che sono co-
stanti ne’ Negri, si sono notali, per eccezione, su’erani d’idioti appartenenti
alla razza bianca. Curiose sono te osservazioni di BaiUarger e Vrolik sulla
obliterazione precoce delle suture craniali negli idioti macrocefali.
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FORME DEI. GRAMO
15
4. ° Le fovee del cervelletto, for-
mate dall'osso occipitale, quasi
orizzontali.
5. ° Le prominenze parietali
spesso mancanti, o poco sviluppate.
6. ° Il piano fra i punti imma-
ginari delle prominenze parietali
discende obliquamente nel piano
occipitale (b. c.).
7. ® Il cranio ordinariamente
basso.
8. ® La linea del profilo supe-
riore, dalla fronte alla protuberan-
za occipitale, forma la linea curva
di un ovale (a. b. c.).
9. ® La base del cranio è lunga e
poco larga, piuttosto stretta.
4. Le fovee del cervelletto si-
tuate in gran parte verticalmente
nel piano occipitale.
5. ® Le prominenze parietali as-
sai sporgenti, e in alcuni crani di
un’apparenza quasi quadrango-
lare.
6. Il piano fra le prominenze
parietali curvo in due parti, cioè in
una parte superiore appartenente
al piano del vertice, ed in una
parte discendente appartenente al
piano occipitale (b. a. — b. c.).
7. ® L’altezza del cranio è ordi-
nariamente considerevole.
8. ® La linea del profilo della vol-
ta del vertice e dell’ occipite s’in-
curva rapidamente quasi nella re-
gione posta fra le protuberanze
parietali (a. b. c. ).
9. ® La base del cranio è ordi-
namento larga fra i condotti udi-
tivi. (1)
Qualunque sia il metodo onde si vogliano considerate le forme del
cranio, egli è certo, che elle non sono quasi mai costantie uniformi
nè presso un dato popolo , nè presso una data razza ; e quando una
di quelle forme vi si rende predominante (come è sempre ) , havvi
costantemente e fra le nazioni di essa razza, e fra gli individui di esso
popolo tanta varietà , che può quasi accompagnarsi il passaggio gra-
duato della forma fondamentale della razza ad altre forme tipiche
proprie e particolari di altre razze. A siffatta tendenza della modifi-
cazione della parte ossea del capo tiene senza dubbio il tipo nazionale
di ciascun popolo, e la fisonomia di ciascun individuo.
Molti esempi si possono addurre, prendendo ad esame i gruppi
delle varie nazioni sparse sulla superficie del globo. Fra quelle afri-
cane (escluse le popolazioni dell'Africa settentrionale e della valle
del Nilo J, offrono alcune il tipo prognato nel suo più completo
(1) Debbo queste notizie alla gentilezza del sig. Jìetzius che me le ha co-
municate con lettera del 3 gennaio 1853 da Stoccolma.
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16
Muro primo
sviluppo , in altre è decisa la tendenza al tipo simmetrico della razza
europea, ed in altre infine la forma piramidale è quasi evidente co-
me nelle razze dell’Asia boreale. Medesimamente se si abbracci-
no insieme le nazioni tutte dell’Asia con teschio piramidale, ve-
dransi in alcune le specialità di questo cranio talmente allenite da
avvicinarsi alla forma ellittica; talvolta in intiere nazioni, ma più
spesso in alcuni soli individui. Eguale dissimiglianza almeno trovia-
mo nelle razze americane ed oceaniche. Fra le prime s’incontra il
tipo piramidale più perfetto presso gli Eschimesi , il tipo tendente al
prognato appo le nazioni meridionali , mentre in altre il cranio è
quasi di una perfetta forma ovale, senza contare il tipo speciale schiac-
ciato del cranio peruviano. Tra la razze oceaniche predomina il cra-
nio piramidale nelle nazioni di origine malese; io quelle della Po-
linesia, il teschio avvicinasi all’ovale, e talora anzi ne raggiunge
tuttala perfezione, mentre che nelle barbare e selvagge tribù del-
l’Australia e delle Isole che la circondano, se il cranio non è affatto
prognato , come quello de’ Negri d’ Africa , di poco certamente se ne
allontana. Nelle stesse nazioni di Europa , caratterizzate dal cranio
ovale, o caucasco, ora il teschio è molto allungato , or quasi sferico,
or dilatato nella fronte, ora nell’occipite, ora piu alto nel senso verti-
cale, ora meno, come ne abbiamo esempi nella medesima nostra Pe-
nisola , che nella sua popolazione offre lutti gli estremi delle varia-
zioni comprese nella forma caucasiana , ond’c « maravigliosa cosa
( scriveva lo Scarpa) il vedere, che gli abitanti di ciascuna provincia
d’Italia abbiano nella linea facciale un carattere distintivo. » (1).
1 fatti sopra allegati rendono probabile sempreppiù la opinione, che
i tipi craniali possono variare secondo che variano le condizioni ester-
ne ed interne di una razza , e che in conseguenza i tipi odierni non
sono originari, ma provenienti da un sol tipo primitivo (archetipo),
il quale è stato modificato da una lenta e lunga azione di cause fisiche
e morali. Le quali cagioni, ove per avventura cangino ancora, vi sono
argomenti a credere, che anche il cranio possa, benché lentamente,
risentirne l'influenza, e secondo che le cause tendono a migliorare o
a peggiorare le condizioni esterne ed interne dell’ uomo, la tendenza
alla modificazione si volge, o al piu perfetto tipo ellittico , od al tipo
prognato.
Tutti sanno, e la storia lo pruova, che i Turchi di Europa e del-
l’Asia occidentale sono un ramo disceso da’Turchi nomadi dell' Asia
centrale caratterizzati dal cranio piramidale. Ora i Turchi Ottomani
che hanno cangiato le abitudini selvatiche ed errabonde della razza
loro in una vita stanziale e civile, hanno acquistato una conformazio-
ne di cranio che mollo si avvicina a quella della gran massa delle na-
zioni di Europa , di maniera che alcuni scrittori gli hanno ascritti ,
(1) Lettera del 16 giugno 1824 ul commenti. Monticelli dal quale mi fu
gentilmente donata.
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FORME DEL CRANIO.
17
non fra le razze mongolliche, ma fra le razze caucasiane. Si è creda-
lo di potere spiegare questo passaggio da una forma di cranio ad
un’altra pel connubio de’Turchi co’ popoli conquistati , o per la in-
troduzione di schiave giorgiane e circasse ne’ loro serragli, ma la cau-
sa invero sarebbe assai inadeguata all’efletto , perciocché noi sappia-
mo , che nei paesi cristiani soggiogati da' Turchi, vinti e vincitori so-
no del tutto rimasti separati per odio reciproco alimentato dalla dif-
ferenza della religione e de'costumi, e che l’introduzione delle schiave
giorgiane e circasse negli harem si è sempre limitata alla sola classe
nobile che aveva i mezzi di comprarle , e che non poteva dare , se
non pochi individui, alla massa della nazione. Ma in entrambi i casi,
la causa assegnata, quantunque ammessa nel modo più esteso, avreb-
be prodotto una razza mista, non già la intera sostituzione di uu nuo-
vo tipo a quello originario. Il quale cambiamento noi non possiamo
attribuire ad altra influenza , se non aU'incivilimento ed al sociale
progresso, la costante tendenza del quale è di eliminare tutte le altre
forme del cranio , e ridurle man mano alla simmetria del cranio ova-
le , o caucaseo.
Altro esempio della stessa modificazione è fornito dalla stirpe Ma-
giara di cui si compone la maggior parte della popolazione unghe-
ra. Discacciati , egli ha circa mille anni addietro , per una invasione
de’Turchi, dalla Grande Ungheria (paese posto a confine de’Monti
Urali ) respinsero i Magiari a lor volta le popolazioni slave dalle fer-
tili pianure dell’Ungheria attuale, ch’iodi ban sempre occupata , ed
abbandonate le rozze loro abitudini, adottarono uno stabile tenor di
vita, e tennero dietro a’ progressi della civilizzazione europea. Nel
corso di mille anni , la forma del loro cranio si è convertita da pi-
ramidale in ellittica , ed eglino sono divenuti una razza d’ uomini
svelta, di statura elevata , e di fattezze interamente ariane. Non può
alcerto tanto mutamento attribuirsi a mescolanza di razze, poiché i
Magiari sodo rimasti sempre, fino a’ di nostri, distinti dagli altri abi-
tatori dell’Ungheria; nè può credersi prodotto da una mera trasmu-
tazione di luogo senza l'influsso della civiltà, poiché i Lapponi, ap-
partenenti alla razza stessa , benché viventi in Europa, nondimeno,
ritenendo le selvagge abitudini de’ loro antenati , conservano tutta-
volta la forma di cranio mongollica , o piramidale.
Il tipo de’Negri si cita frequentemente come esempio della perma-
nenza de’ caratteri fisici delle razze. Ciò è vero anche quando sieno
cambiate le condizioni esterne della loro esistenza, ma non è egual-
mente vero quando i Negri abbiano fatto alcun progresso nelle vie del-
la civiltà , conciosiacchè le forme più elevate del cranio, fra le nazioni
africane, si trovino in quelle che, in grazia dell’ islamismo, sì diffuso
fra i popoli dell’Africa occidentale e centrale, sono emerse più, o me-
no dalla loro barbarie originale; mentre il vero tipo prognato è do-
minante fra le nazioni più barbare abbandonate a un sozzo feticismo.
Parimenti fra i Negri trasportati in America ( sebbene troppo breve
Nicolucci, /tasse umane — Voi. I. 2
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LIBRO PRIMO
sia il tempo per potersi attendere una variazione considerevole nella
configurazione craniale ) una tendenza al tipo ovale incomincia a
mostrarsi progressivamente nella fisonomia di coloro su’ quali fa sen-
tirsi l'influenza di una civilizzazione superiore, siccome è il caso dei
Negri adoperati come domestici. Il Dottor Hancok, della Guiana, as-
serisce, non essere spesso difficile distinguere, dalle fattezze ed espres-
sioni del volto, un Negro di puro sangue appartenente ad una por-
zione olandese della colonia da un altro appartenente alle possessio-
ni inglesi , e la modificazione non limitarsi soltanto al cambiamento
della forma del cranio, o alla diminuzione della proiezione delle ma-
scelle, ma estendersi ancora alla fisonomia intera, ed al disegno del
naso e della bocca (1). Molti medici risedenti negli stati ove ancor
dura la schiavitù, assicurarono il Lyell , nella sua recente escursione
in America, che nella configurazione della testa e del corpo de'Negri,
che sono in contatto più intimo co’Bianchi, notavasi una graduala ap-
prossimazione al modello europeo, vieppiù sensibile in ogni succes-
siva generazione (2).
Per contrario, a maggiore illustrazione del nostro tema, possiamo
addurre alcuni fatti contemplabili nella stessa Europa, da'quali ri-
sulta, che anche le razze che hauno raggiunta la massima perfezione
delle forme fisiche possono produrre alcuni casi d’inferiorità corpo-
rale in individui e famiglie oppressi da grave e prolungata miseria ,
ed abbrutiti da una crassa ignoranza. Un giornale di Dublino ci narra,
che vi sono in Irlanda certi distretti nelle contee di Leitrim , Siigo e
Mago, abitati massimamente dai discendenti degli indigeni Irlandesi
discacciati , egli è circa due secoli , dagli Inglesi dalla contea di Ar-
magli e dalla parte meridiana della contea di Down. Queste genti , I
cui antenati erano di statura alta, robusti e di bella presenza , or
sono ridotti ad una statura media di 5 piedi e 2 pollici inglesi, bolsi,
curvi di gambe e di fattezze informi , e sono in ispecie osservabili
« per le loro bocche aperte c sporgenti in fuori , con denti proemi-
nenti ed esposte gengive, i rilevanti loro zigomi e depressi nasi po-
nendo il marchio della barbarie sulla stessa faccia , dando così un
esempio di deterioramento indotto da cause conosciute » (3), E qual
paese potrebbe francarsi, io questa colta Europa, dall’ offerire simili
saggi?
( 1 ) Simile osservazione era stata fatta anche da Smith; e Virey aggiun-
ge, che il lor naso ti rileva, la bocca le labbra prendono più piccole dimen-
sioni, gli occhi son vivi e brillanti, e sovente l'insieme della lor figura rie-
sce aggradevole: » loro capelli di generazione in generazione si allungano fi-
no a tre, quattro, talvolta sei ed otto pollici. Yed. Pesce, Sui Neri, Saggio
ideologico e fisiologico. Napoli, 1826, in 8. p. 272.
(2) Second visitto thè United States.
(3) Dublin University Magazinc, N. XLV1II.
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ANGOLO FACCIALE.
19
A. — Angolo facciale del Camper.
Una misura poi per conoscere a primo aspetto le differenze Tra i
vari teschi umani fu suggerita dai Camper, celebre anatomico olan-
dese, il nome del quale è rammentato unitamente al suo angolo fac-
ciale (1). Quest'angolo incluso fra due linee, una delle quali è tirata
dall'orifizio dell’orecchio alla base del naso , mentre l’altra riunisce
le parti più proeminenti della fronte e della mascella superiore , fu
stimato atto a dare una misura delia capacità della parte anteriore del
cranio , e della dimensione de’ corrispondenti lobi del cervello. Cam-
per inforiva da siffatta misura esservi una regolare gradazione fra le
varie razze dell’uomo, la quale mette in relazione il più alto tipo eu-
ropeo con quello delle scimmie , essendoché l’ angolo facciale di un
Europeo risulta di 80 gradi , quello di un Calmucco di 75 , quello
di un Negro di 70, e quello di varie scimmie di 64, 63 e 60. In que-
sta pruova il Negro sarebbe posto quasi a egual distanza fra le scim-
mie ed il Calmucco, e d’altra parte molto più vicino alle scimmie ,
che non all’Europeo.
Gli artisti dell’antichità aveano presentito questi rapporti , e non
solo aveano considerata la maggiore apertura dell’angolo facciale co-
me segno di natura più generosa , e uno de’ caratteri più essenziali
della bellezza, ma lo esageravano sempre quando volevano dare alle
loro statue un’aria più che umana, allorché rappresentavano eroi, o
quando scolpivano le loro divinità.
Ma il Camper commise errore nella misurazione dell'angolo faccia-
le delle scimmie, perchè si servi di scimmie giovani, in cui non era
avvenuta ancora la seconda dentizione , seguita la quale , l’ apparec-
chio dentario si completa , le mascelle si allargano, l’arcata zigoma-
tica si rende più sporgente , le proporzioni delle parti ossee del capo
si cangiano, e tutto il cranio rappresenta unascattola ossea situata die-
tro la faccia, e non più sopra com’è proprio dell’ uomo. Allora l’an-
golo facciale, nel Chimpanzé non oltrepassa i 35 a 40 gradi, e nel
grande Orang-Otang raggiunge appena 30 gradi! Nondimeno, in qual-
siasi circostanza , questo metodo di comparazione è di poco valore,
poiché sull’angolo facciale troppo influisce la proeminenza delle ma-
scelle per poter valutare con sicurezza la elevazione della fronte e la
capacità del cranio.
Delle altre misure proposte , comechè meno conosciute , non fac-
ciamo parola, ma soggiungiamo soltanto, ch’elleno sono imperfette
come quella del celebre anatomico di Olanda. 1-a misura del Dauber-
ton è applicabile soltanto ai bruti, e non conduce che a certi risul-
tati approssimativi e generalissimi ; quella del Mulder , descritta da
Crull , è solamente utile ad indicare la maniera onde insieme sono
(1) Dissertation sur les différences réclles que présentent les traits du
visage chez les hommes des differens pays. Utrecht, 1791.
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20
LIBRO PRIMO
congiunti il cranio e la faccia. I melodi di Walther, diCuvier. diGeof-
froy S.‘ Hilaire, di Morton, di Jacquart sono una pura modificazione
del processo del Camper; l’altro del Doornik, che consiste nel trac-
ciare una linea perpendicolare dalla sommità della testa al forante
uditivo , e nel descriverne nn’altra dai denti incisivi superiori (ino
al punto più distante dell' osso occipitale , misurando la lunghezza
dc'due segmenti in cui la linea orizzontale trovasi partita dalla per-
pendicolare, non fa calcolo del grado del prolungamento anteriore,
o proiezione delle mascelle, c quindi non tiene affatto conto della fi-
sonomia.
Oken ha riunito le due misure del Dauberton c dclCamper, dappoi-
ché la linea orizzontale dell’angolo facciale serve in pari tempo a de-
terminare la inclinazione del piano del forame occipitale. Lo Spix ha
proposto un altro metodo , che esige l’uso di mollissime lince ; una
orizzontale dalla sommità de’ condili dell’occipitale fino al margine
alveolare de’ denti incisivi superiori ; un'altra che da questo puntosi
porti all'inserzione dell’osso frontale con le ossa nasali; la terza che
si rechi di quivi alla sommità de’ condili dell’occipitale ; la quarta
che , passando pel vertice , cammini in direzione parallela alla li-
nea facciale che trovaci in contatto con la parte più sporgente del-
l’osso occipitale. L'angolo formalo dalia linea orizzontale e facciale
diccsi angolo facciale , il quale più si avvicina ad esser retto, meno
il cranio si allontana dalla conformazione propria dell'uomo. L’an-
golo proveniente dai congiungimento della linea sincipitale con la
facciale prolungala in alto si chiama angolo cranico , il quale è sem-
pre ottuso nell'uomo, e tanto più aperto ne’ bruti , quanto maggior-
mente la loro organizzazione si approssima all’umana. Un tal meto-
do riesce per certo il più compiuto, poiché non solo la linea fronte-
occipitale indica la situazione rispettiva del cranio e della faccia , ma
il triangolo compreso fra le linee facciale, orizzontale e fronte-occi-
pitale dà a conoscere la figura generale della faccia , come rivelano
quella del cranio la linea orizzontale prolungata , la facciale , la sin-
cipitale e l’occipitale. Non ostante tali vantaggi , questo metodo per
altro è mollo complicato, esige operazioni non per tutti facili , e va
incontro alle medesime inesattezze dell’angolo del Camper.
B. — Base del cranio (1).
Se però i crani umani si paragonino per la loro base con quelli
delle scimmie , le differenze sono ancor maggiori di quelle offerte
dalle misure dell’angolo facciale, imperciocché la base del cranio
(1) Per la differenza Ira le altre parli del cranio delle scimmie antropo-
morfi e dell'uomo, soprattutto dell' Australiano, vcd. Oicen, Osteological
Contributions to thè Naturai History of thè Chimpanzees ( Troglodytes ,
(ìcolfroy ), including thè description of thè skull of a large species ( Tro-
glodytes Gorilla, Savage) discovered by Th. S. Savage, in thè Gaboon coun-
try, West-Africa; nette Transaclions of thè Zoological Society of London,
t. 111. pag. 404-4U.
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CAPACITÀ DEL CRANIO.
21
delle scimmie è piana , a cagione del difello di sviluppo della par-
te inferiore dell'encefalo , mentre die nell'uomo è convessa per dar
ricetto al maggior volume del suo cervello. Le ossa che formano la
volta palatina delle scimmie sono più larghe e più lunghe, e per con-
seguenza i denti sono molto più grandi e più distanti fra loro , nè
presentano quella continuità che è uno de’ caratteri distintivi dell’uo-
mo, ma fra gli incisivi ed i canini, fra questi e i malari falsi riman-
gono spazi, o intervalli ove si allogano i denti della mascella inferiore.
Se il diametro antero-posteriore della base del cranio si divida in
tre eguali porzioni , l’arcata zigomatica , nell’ uomo , si troverà net
terzo anteriore ; quella delle scimmie ( Cbimpanzé, Gorillo, Orang-
Otang ) precisamente nella parte mediana , ossia nella porzione me-
dia delle tre nelle quali è diviso il diametro antero-posteriore. Divi-
dendo poi questo diametro con una linea trasversale, precisamente
nella sua metà, il forame occipitale si vedrà situato, nell’uomo , im-
mediatamente dietro l'intersecazione de’ due diametri, laddove nel
Chimpanzé adulto e nel Gorillo occupa il terzo posteriore della base.
Egli è vero che nei Negri, come avea notato anche Soeramering, que-
sto forame è posto più indietro del punto ove il diametro trasversale
s'incontra col diametro antero-posteriore, ma la differenza scompa-
risce se si tìen conto dell’arcata dentaria, o piuttosto del margine al-
veolare che nei Negri è si proemincnte. In oltre, se fa cadérsi una li-
nea perpendicolare dal vertice alla base del cranio, si trova, che tan-
to nel Negro, quanto nelle altre razze umane, il forame occipitale è
posto immediatamente dietro il punto in cui la verticale s’incontra
con la linea del diametro antero-posteriore.
La situazione del forame occipitale va sempreppiù rendendosi ec-
centrica e posteriore , a misura che gli animali si allontanano dall'uo-
mo. « Non solo , dice il Cuvier , le mascelle, o piuttosto la faccia
giungono a formare più di tre quarte parti della testa , ma eziaudio
l’apoflsi basilare, allungandosi, respinge gradatamente indietro ed ia
allo il forame e la superficie occipitale, in guisa che questi giungono
ad essere non più al di sotto , ma dietro del cranio , ed i! piano dei
forame, facendo sempre angoli più piccoli col piano comune delle
orbite , si rende parallelo ad esse, e non l'incrocia piu al di sotto, ma
sibbene al di sopra della testa » (1).
C. — Capacità del cranio, e relativo volume e conformazione
dell'encefalo.
Taluni anatomici hanno asserito, che il cervello del Bianco sia di
un volume comparativamente maggiore di quello degli uomini di
color nero; dal clic deducevano la inferiorità fisica e morale di questi
ultimi , c il preteso diritto de’ Bianchi a far mercato di umaua carne,
(1) Lefous d’ Anatomie comparée, l. I. p. 22o,
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Mimo PRIMO
e stringere co’ ceppi della schiavitù una porzione dell'umana famiglia
non men nobile dell'altra che l’opprime, né da Dio creata meno de-
gna di essa per godere la libertà. Ma le osservazioni di quegli ana-
tomici , quando furono sottoposte al vaglio della critica, si chiariro-
no completamente inesatte, e le differenze che si credevano esistere
fra il cervello dell’uomo bianco e del nero scomparvero interamente
innanzi alle classiche ricerche del Tiedemann (1) sul cervello del Ne-
gro, delle quali noi faremo qui sotto conoscere le risultanze con le
medesime parole dell’autore.
« l.° Il cervello del Negro è altrettanto grande che quello dell’Eu-
ropeo e delle altre razze umane. Il peso di esso cervello, le sue di-
mensioni , e la capacità del cavo craniale comprovano questo fatto.
Erroneamente hanno asserito alcuni anatomici, che l’Europeo posse-
desse un cervello più grande del Negro (2).
« 2.° I nervi del Negro , i quali hanno relazione col cervello, non
sono più duri di quelli dell’Europeo, come Soemmering e suoi se-
guaci hanno asserito.
« 3.° La midolla spinale, la midolla allungata , il cervelletto e il
cervello del Negro non offrono all’esterno alcuna importante diffe-
renza da quelli dell’Europeo (3).
(1) On thè brain of thè Negro, compared with that of thè European ami
thè Orang-Ontang; nelle Philosophical Transactions of thè Royal Society
of London for thè Yar 1836. P. 1‘
(2) V. anche S. T. Sobmmering ’g Hirn-und Nervcnlehre, umgoarbeitet
von G. Valentin, trad. frane. p. 128. « Le razze negre non la cedono pun-
to alle bianche quanto alla loro conformazione cerebrale. . . . tuli’ al più
forse le cifre medie si avvicinano più alle minime delle donne, che alle mas-
sime dell’uomo europeo.» — Ed in vero, secondo Tiedemann, il cervello della
donna europea pesa fra le 2 libbre , 8 once, e 5 libbre, 11 once troy-weight.
Quello di un Negro di l i anni pesava (secondo Soemmering ) 2 libbre e 10
once; ed tot altro, appartenente ad un Negro di 20 anni e di bella statura,
2 libbre e 13 once. Un cervello di Negro pesato da sir Astley Cooper si tro-
vò di 3 libbre ed 1 oncia; ed un altro pesato dal Tiedemann (ma tenuto
immerso nell’alcool) con tutto il midollo allungato, diede 2 libbre, 3 once e 2
dramme.
Il peso del cervello di un uomo adulto europeo varia fra le 3 libbre, 2 on-
ce, e 4 libbre e 6 once. Il cervello di un uomo che si è distinto pel suo gran-
de ingegno ha una grandezza ed un peso maggiore. Il cervello del celebre
Cuvier pesava 4 libbre, 1 I once, 4 dramme, 50 granelli ; quello dell' insigne
chirurgo Vupuytren, 4 libbre, 10 once; altrettanto quello del Dr. Abercrombie.
Il cervello di un uomo dotato di deboli facoltà intellettuali , per contrario,
ordinariamente è molto piccolo , soprattutto nell’ idiotismo congenito. Il cer-
vello di un idiota di SO anni pesava, secondo Tiedemann , 1 libbra, 8 once,
4 dramme, e quello di un altro di 40 anni pesava 1 libbra, 1! once e 4
dramme.
(3) Ciò s’intenda dell’ insieme di ciascuna parte più cospicua del cervel-
lo, conciosiacchè la diversa conformazione del cranio modifica senza dubbio
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CAPACITÀ DEI. CRANIO.
23
« 4.° Né meno l’ inlima struttura e disposizione della sostanza cor-
ticale c midollare, nè l’intima organizzazione del cervello del Negro
presentano differenza da quelle dell’Europeo.
« 5.° Il cervello del Negro non somiglia a quello dell’Orang-Olang
più di quanto vi somigli il cervello dell'Europeo, all' infuori della
maggior simmetrica distribuzione delle sue anfraltuosità e circonvolu-
zioni ; ma non è certo che sia sempre cosi. Noi non possiamo perciò
convenire con l'opinione di quc’naturalisti, i quali assicurano, che il
Negro, quanto al cervello ed al sistema nervoso, abbia maggior rasso-
miglianza con le scimmie, che con l’Europeo, sebbene sia anche vero,
che alcune tribù deformi e degeneri de’Negri della costa sembrino ave-
re, nell’aspetto e nella struttura tisica, una qualche similitudine con le
scimmie , per esempio , nel maggiore sviluppo delle ossa della faccia,
nella proiezione degli alveoli e de’denti, nella proeminenza delle gote,
nella depressione del mento, nella forma piatta del naso, nella pro-
iezione, e robustezza della mascella inferiore, nella posizione del fora-
me occipitale , nella relativa maggior lunghezza delle ossa omerali ,
nel piede piatto , e nella lunghezza, grandezza, forma e posizione del
calcagoo (1).
anche la disposizione e il collocamento delle singole porzioni cerebrali, o vi-
ceversa — Una completa e perfetta anatomia comparativa di tutte le parti
del cerebro nelle varie razze umane è tuttora fra i desiderata (MP Etnografia.
Ignoro se di tanto si fosse occupato l’Agassiz (almeno per le razze che egli
ha potuto osservare) , ma pare eh’ ei v’abbia rivolto il pensiero ( e sarebbe
un bello esempio agli anatomici che si trovano in condizioni favorevoli) , se
vogliamo giudicarne dal seguente passo di Noti e Gliddon : « Prof. Agas-
siz asserì, that a peculiar conformation characterizcs thè brain of an aduli
Negro. Its dcvelopment never goes begond that devcloped in thè Caucasian
in boyhnod ; and, besides olher singularities, il bears, in several particulars,
a marked resemblance to thè brain of thè orang-outan. The Professor kin-
dly offered to demonslrate those cerebral characters to me , bui 1 was lam-
bir, during his stay at Mobile, to procure thè brain of a Negro » p. 415.
(1) Più di tutte le altre scimmie si avvicinano al Negro il Chimpanzè ed
il Gorillo, i quali hanno comuni con l’uomo la presenza del processus va-
ginale , la larghezza degli omoplali e degli ilei , la larghezza della mano ,
lo sviluppo più completo del calcaneum e de/t’hallux ( Oiccn, Osteologie du
Troglodytes Gorilla; ne ’Comptes-Ilcndus de l’Academie des Sciences de Pa-
ris, 5 settembre 1S55). Per altro, non ostante tali somiglianze, la capacità
craniale, *1 del Gorillo, che del Chimpanzè' ed Orang-Olang, è ben piccola
in comparazione di quella del Negro; le loro mascelle sono molto più svilup-
pate, i loro denti canini hanno maggior proporzione , la colonna vertebrale,
nelle regioni cervicale, dorsale e lombare , non forma che un sol arco
motto aperto dal lato ventrale, carattere evidente dell’ incedere a quattro
piedi ( Ducer noy, Sur les caractères anatomiques que prcsentent les
squelettes du Troglodytes Tschego, et du Gorilla Gina; Comptcs-Rcndus
cit. 30 mag. 1853 ). E tuttoché la forma de’ piedi anteriori (mani) del Go-
rillo somigli in gran parte a quella delle mani dell'uomo per la sua larghez-
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LIBRO PRIMO
« Tali sodo le somiglianze con le scimmie menzionate da quegli
autori, i quali hanno messa una particolare attenzione nell’anatomia
del Negro, come Camper, Soemmering, Cuvier , White, Lawrence
e Virey. Queste particolarità certamente distinguono alcune tribù
negre dagli Europei; ma le non sono comuni a tutti i Negri dell' in-
terno dell’ Africa, il più gran numero de’quali sodo ben conformati,
e taluni anche di belle fattezze. »
Il seguente specchietto comparativo della grandezza del cervello fra
le varie razze umane conferma viemaggiormente le conclusioni dell’il-
lustre anatomico di Eidelberga, e il lettore vi noterà, che non è già
il cervello del Negro che presenti la maggior piccolezza, ma che tan-
to l’estremo limile della piccolezza cerebrale, quanto la grandezza
media non sono un carattere proprio delle razze negre, le quali non
solamente soprastanno, pe’l volume del cervello, agli indigeni ame-
ricani più inciviliti (Messicani e Peruviani ) , ma vincono , in media
e nell’estremo di grandezza, anche il cervello de’Cinesi.che non so-
no certamente o rozzo, od inculto popolo, ma una delle nazioni piu
anticamente civilizzate della terra.
za, la disposizione delle unghie e l’esistenza di otto ossa carpione, tuttavol -
ta « la conformazione del piede, ri bene in armonia con la statura vertica-
le, e l'inceder bipede, sarà mai sempre il carattere distintivo della nostra
specie » (J. St. Jiilaire, Sur les rapports naturels du Gorilla; Comptes-Ren-
dns cit. J; e<l in effetti da’ recenti ragguagli sui costumi del Gorilla e del
Chimpan zi (Aubry, Sur les mceurs du Gorille et du Chimpanzé ; Ann. d.
Sciences natur. IV. sér. t. 1. p. 104) si conosce, che la prima di queste
scimmie antropomorfi, nort ostante la forma delle sue mani, cammina come
tutti i quadrupedi , e che la seconda cammina quasi sempre diritta, ma se
incontra l’uomo, s’ abbassa e cammina a quattro piedi. E perdi con ragio-
ne V Chcen conchiude la sua bella Memoria sull'Osteologia delChimpanzé e
del Godilo: « Mjx is thè sole spccies of his Genus, thè sole representative of
his Order; he has no nearer physical relations witli thè brute-kind than tin-
se tchich mark thè primary (unguiculate) division of thè placental subclass
of Mammalia, » p . 417 .
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MISURA DEL CRANIO
25
TAVOLA INDICANTE LA GRANDEZZA DEL CERVELLO IN POLLICI CURICI ,
COME UISULlA DALLE MISURE DI 623 GRANÌ DI VARIE RAZZE E FAMI-
GLIE UMANE.
( Mortori , Catalogo dei crani della sua Collezione, 3.* cd. Filadelfia, i 849 )
(Si è conservata la stessa classificazione dell' autore.)
RAZZE E FAMIGLIE.
GRUPPO C A U ('ASIANO MODERNO.
Famiglia Teutonica — Germani
a « Inglesi
a « Anglo-Americani
« Pelasgica Persiani
« « Armeni
« « Circassi
« Celtica Nativi Irlandesi..
« ludo* tanica Bengalesi , etc. . .
« Semitica Arabi
« Nilotica Fellah
GRUPPO CAUCASI ANO ANTICO.
« Nilotica Egiziani (catacombe).
GRUPPO MONGOLICO.
Famiglia Cinese
GRUPPO MALUSE.
Famiglia Malese. . .
a Polinesia.
GRUPPO AMERICANO.
Famiglia Toltecana — Peruviani . .
« « Messicani. . .
Tribù barbare —Irochesi....
« « Lenapé
« « Cherokesi . •
« t Sosoni,elc.
GRUPPO NEGRO.
Famiglie native africane
Negri nati in America
Famiglia Ottentotta
« Alforese — Australiani.
Numero
de' crani.
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26
LIBRO PRIMO
§ 2 ° Bacino.
L’altra varietà più importante, dopo il cranio, osservala nelle parti
ossee dell'uomo, è la forma del bacino sulla quale Ila richiamato I’ at-
tenzione degli anatomici il I)r. Vrolik, olandese, in una classica me-
moria per lui pubblicata nel 1826 (1).
Considerando come il bacino debba avere una influenza più, o me-
no grande sulla testa del feto, egli ha cercato di conoscere in che la
forma di quella parte dello scheletro fosse differente nelle varie na-
zioni, esaminando per questo il bacino di un uomo e di una donna di
razza negra, di una donna ottentotta, o hoscismana, di una donna e
di un uomo giavanesi, e di un quarterone generato da un Bianco c da
una Mulatta.
Era già uoto che il bacino , quanto a forma e proporzione delle
sue parti , conserva nell'uomo adulto gli stessi rapporti che esso avea
nell’infanzia, e che nella donna, slargandosi trasversalmente si nei
distretti superiore ed inferiore , come nella cavità pelvica , si rende
acconcio a compiere la gran funzione del parto alla quale prende in-
teresse; ed era noto parimenti, non solo quanto la forma del bacino
umano si allontanasse da quella degli animali, ma eziandio quanto
ella variasse fra gli stessi uomini di Europa, e fra questi egli uomi-
ni di razza negra.
Camper avea notalo (2), che la pelvi del Negro è più stretta di quella
dell’Europeo, e paragonando il lungo diametro del bacino, da un os-
so iliaco all’altro, col diametro breve, o antcro-posleriore, trovò che:
In un Negro, il diametro lungo al breve era nella
proporzione di
39a
27 ì
In un Europeo
41
27
Arrogi che il Negro era molto più grande dell’Europeo.
In un altro Europeo la proporzione era di. . . .
44
28
In uno scheletro maschile, appartenente ad Albino .
66
43
In uno scheletro di una donna europea
49
28
In due altri
44
28
Nell’ Ercole Farnese
4»
31
Nell’Apollo l’izio
48
36
Nella Venere de’ Medici
46
34
(1) Considérations sur les divcrsités des bassins des diflereutcs races Iiu-
maines. Amsterdam, 1826, conati, in fui.
(-) Betrachtgn. ùt>. einigc Gcgenslande aus der Gcburtshulfe. zlus. d.
Il oliami. Lcipziij , 1777.
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BACINO.
27
Medesimamente il Soemmering (1), misurando alcuni bacini di Ne-
gri c di Europei, trovò:
In uno scheletro di un Negro di 20 anni, il
diametro lungo di linee
In un Negro di 14 anni
In un Europeo di 16 anni
In un vecchio Europeo , più piccolo del
primo Negro
3 il;
il corlo di
3 7,’
3 2
—
2 9
4 3
—
3 9
4 6
—
311
Di manicrachc tanto dalle misure del Camper, quanto da quelle del
Soemmering emergono i medesimi risultati, ciò è a dire, la maggiore
ampiezza nel bacino degli Europei , la minore in quella de’Negri ;
ma il Vrolik Ita Tatto vedere dippiù, che, sebbene grandi sieno le dif-
ferenze fra il bacino dell’uomo e della donna nella razza europea ,
tuttavolta elleno sono più osservabili ancora fra i due sessi della raz-
za negra, « nella quale, egli dice , il bacino dell’uomo , quando pur
fosse tolto da una bestia feroce , non potrebb’ essere di sostanza più
dura , nè potrebbe avere ossa più forti. Il bacino della donna invece
riunisce la delicatezza e la leggerezza alla rotondità, ma poniamo sia
dilicata la sua composizione , è difficile nondimanco di allontanarvi
l’ idea dell’animalità. »
« La direzione verticale degli ilei , la loro elevazione nelle tubero-
sità posteriori e superiori, la gran prossimità delle spine anteriori e
superiori , la minor larghezza del sacro, la minore estensione delle
anche, la piccola distanza fra il margine superiore del pube e la proe-
minenza dell’osso sacro, la brevità de’diamelri trasversali nelle spine
e tuberosità ischiatiche , la forma allungata che indi acquista il baci-
no, tutto ne richiama in mente la forma del bacino delle scimmie.
« La struttura delle stesse parti nella razza Ottentotta e Boscismaua
non è conosciuta fino ad ora, che per lo scheletro della donua mor-
ta iu Parigi nel 1815. La forma del bacino di costei indicava la con-
dizione inferiore della razza, e la sua più grande animalità , parago-
nata eziandio con la razza negra.
« Iti verun uomo esente da difformità si osserva una direzione si
verticale degli ilei , che si distinguono in oltre per la grande altez-
za , in paragone della loro larghezza , che è presso a poco di un
pollice e mezzo minore di quella de’ bacilli delle donne di Europa.
Li loro altezza al contrario è molto maggiore, elevandosi oltre la metà
della quarta vertebra lombare.
« La distanza mutua delle spine anteriori e superiori delle ossa
iliache è di un quarto di pollice minore di quella del più piccolo ba-
cino di Negra che io ho misurato , c di tre quarti di pollice, o di uu
pollice iutero de’ più graudi ».
( 1) Deber die korper. Versekiedenheit des Negers vom Europàer. Frankf.
a. M. 1783.
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rali dell’ isola di G,a J 8 ’ * [' ' . )rcss „ a poco rotonda nel distretto su-
reo le piccolezza , e I ap r « I i ese; caratici che sono in armo-
periore del bacino de a donn de „, abi|ante di G.ava. « I
nia col rimanente della « do un c , ima f i( cui calore sovente
quale (continua Vrobkì . uose a un grado considerevole, ma non
s'innalza, nelle regioni che consuma | a terra, o fa perire a
mai si cangia in fuoco bruci ^ ^ ann0 ringiovanisce , e
vegetazione; •Aitando Sbornie voi mente i frutti della sua ferii -
non mai cessa di prod „• prodotti del paese che la sua indu-
riti 5 nutrendosi innanzi ‘ 0110^ V ^ Esserc Supremo , e
stria coltiva ed in copia ra : r _ . lo de . propr i doveri . gode di
perciò tenuto a ",° patriarcale, mentre che il suo fisico e il suo
tutti i vantaggi de la vita p c he noi avremmo ccr-
morale son portati ■*. un tale sU 10 , 0 .
calo indarno presso i Neg P ese un ’ ammirabile bellezza nel
« V’ ha nella statura del ■ JJ^ tUfa luUi i SU oi movimenti,
suo portamento, una de ...itocciò che lo tocchi, o lo affetti , un
una singolare agilità, c, P gi dichiara soprattutto nella sua
grado elevatissimo d. KMihhtt c j . du; maravig |jare, sequel-
teudenza per la “««“'^manifesti ancora nel sistema osseo, e
la delicatezza caratteristica si al(a forraa e ,i alla sua colli-
se il bacino altresì vi partecip fi . entrambi dotati di
posizione. L' uomo e la Jonna XendenTen e.,te dalla quale, quan-
questa singolare delicatezza , '^i «"" n f lor differenza, non sa-
«ì„ pur la forma caratteristica non nd^sse a ^ 0 per , a
rebhe difficile determinarla, o per la spmn
differenza di apofisi , di eminenze e • ’ ma di bacino in rela-
Vrolik conchiude , che , esscmloqu come )a pc | v -,
zinne con la testa quasi sferica del ! 8 A* to que || a dell’Europeo
del Negro accomodata al suo cranio allungato e que^ geg , ie
alla forma ovale del suo teschio, la confo li onesta nelle diver-
la pelvi non ha in ciascheduna razza una conformazione part.co.are
che ne costituisca un carattere permanente ed invai • m0
le una forma predominante , che è la più comune . mentre possi, no
coesistere con essa tutte le altre conformazioni ci he . , prj ’ mi
che Weber riduce a quattro tipi primari , corrispon • in ,,„„ 0 Hi-
alla forma caucasea, od ovale del cranio, la terza al cr p
co, o piramidale , e la quarta all’etiopico, o prognato (i .
1° La Prima forma del bacino , che Weber chiama ellittica <pu
relhplische, oder nicrenformige Beckenform ), presenta nel distretto su
(*) Di ‘ ! Lelire von den Ur-und Raccn-Formen der Schàdel u. Becken d k s
Mcnschen, mit 33 Abbild. Duaddorf, IXòO, in *- a
libko primo
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BACINO.
29
periore nna figura ovale , essendo stretta innanzi verso la sinfisi
del pube, dilatata in mezzo, quasi in corrispondenza delle arti-
colazioni sacro-iliache , e ristretta verso il promontorio ove ter-
mina in pnnta ottusa. Esempi di questa forma sono indicati dal We-
ber in un bacino di un Europeo e in quello di un Bolocudo. Ndl pri-
mo il diametro retto antero-pusleriore è lungo 3 pollici e 9 linee, il
trasversale 4 pollici e 3 linee; nel secondo il diametro antero-poste-
riore è di 4 pollici, e il trasversale di 4 pollici e 7 linee. Questa forma
molto allargata della pelvi dei Botocudo ripetesi anche nel bacino di
alcune donne di Europa, uno de’ quali, misurato dal Weber, offriva
il diametro antcro-posteriore di 3 pollici e 10 linee, e il trasversale di
5 pollici.
2. ° La seconda forma , o la forma rotonda ( Die rande Beckenform )
ha questa figura nell’apertura superiore del bacino , poiché la parte
della circonferenza che corrisponde alla sinfisi ed alle branche oriz-
zontali del pube , essendo meno stretta che non sia nella forma pre-
cedente, il diametro anlero-posteriore ha quasi la medesima lunghez-
za del diametro trasversale. Esempi di questo baciuo si sono incon-
trali in una donna europea, in una negra, in una ottentotta e in una
giavanese. Il diametro cocci-pubieo era , nell’ Europea , di 4 pollici
c 2 linee, il bis-ischiatico di 4 pollici e 5 linee ; nella Negra il pri-
mo diametro di 4 pollici e 3 linee , il secondo diametro di 4 pollici
e 7 linee.
3. Forma quadrata ( Die viereckige Beckenform ). Ne’ bacini di que-
sta forma i lati , e quello specialmente formato dalle ossa del pube ,
sono quasi rettilinei , per modo che il distretto superiore prende una
figura presso a poco quadrata. Han fornito esempi di tale configu-
razione il bacino di una Europea , di tre Giavanesi ( due uomini ed
una donna ), c di due Meticci; le misure de'diametri erano, nell’Eu-
ropea, per l’antero-posteriore di 3 pollici e 10 linee, pel trasversale di
4 pollici eli linee.
4 ° Forma conica (Die oval-keilfórmige, oder iàngsocale Beckenform).
Questo bacino è compresso latcralmeute per guisa che il diametro
retto è maggiore del trasversale, e il distretto superiore ha uua figura
oblunga e quasi cuneiforme. Le ossa del pube sono allungale in an-
golo acuto, e le branche orizzontali si volgono indietro in linea mcn
curva che non facciano nella forma ovale. Si sono trovati esempi di
pelvi, cuneiformi io una donna europea, in una liotocuda, in un Ca-
fro , in quattro Negre della collezione di Soeinmering, ed in un altro
Negro citato nella memoria delVrolik.il diametro retto era, nell’Euro-
pea, di 4 pollici e 9 linee , e il trasversale di 4 pollici e 6 linee.
1 fatti adunque esposti dal Weber, concernenti la conformazione
della pelvi sono precisamente analoghi a quelli che riguardano la con-
figurazione del crauio; poiché niuna forma è riferibile esclusivamen-
te ad alcuna particolare nazione, o gruppo di nazioni , ma gli esem-
pi di ciascuna forma si trovano in quasi tutte le razze ; se nou che
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30
unno primo
un tipo è più comune ad un» razza che ad un' altra, esc alcuno
ili essi avvicinasi alla configurazione del bacino delle scimmie , non
v’ ha ragione a conchiudere perciò dell’ animalità, o brutalità della
razza. Tulle le parti del corpo, risalendo nella scala zoologica, si per-
fezionano per gradi, c Ira un animale inferiore ed un altro superiore
v’ ha sempre quella analogia che indica il passaggio di una forma più
imperfetta ad un’altra meno imperfetta ; e non ostante tutte le somi-
glianze possibili fra di esse , v’ ha sempre un limite che separa , non
dirò una famiglia di animali da un’altra, ma anche una specie da
un' altra specie. Laonde egli è vero che , sotto alcuni rispetti , il ba-
cino delle scimmie si avvicina alla pelvi cuneiforme dell’ uomo ,
come Vrolik notava , ma la grande sproporzione fra il diametro an-
tero-posleriore c il trasversale nel bacino delChiinpanzè e dell’Orang,
la strettezza notevole del sacro , l’ allungamento delle ossa iliache, la
riunione delle ossa innominate anteriormente , non solo per mezzo
del pube , ina anche per mezzo della branca ascendente dell’ischio ,
la minore distanza fra le due cavità cotiloidee , forniscono tali diffe-
renze, da non potere il bacino di questi animali presentare se non se
una debole e lontana analogia, nel semplice insieme delle forme, col
bacino cuneiforme dell’ uomo.
§ 5.° Altre parli dello Scheletro.
Nel rimanente dello scheletro le varietà sono si poco discernibili
tra le varie razze umane , che quasi non debbono essere conside-
rate , tantoppiù che queste varietà, come avviene de’cranì e delle pel-
vi , non appartengono esclusivamente ad una razza, ma sogliono es-
servi d'ordinario soltanto predominanti, t viaggiatori favellano quali
di popoli con petto ampio e largo , quali con arti gracili e sottili ,
quali con tronco più largo e lungo che non soglia essere negli abi-
tatori di Europa; ma questi caratteri spesso non sono generali, e ta-
lora sono dipendenti dal luogo in cui si vive, dalla nutrizione , etc.
talché possono modificarsi, cambiando quelle circostanze che vi avea-
no dato origine, come ha dimostrato il d'Orbigny per i Quichi del
Perù e della Bolivia (I).
Non però di manco , nei Negri , la spina dorsale è profondamente
depressa , per effetto della maggior curvatura delle coste; le scapole
più corte e più larghe; le gambe inarcate esternamente; i femori più
larghi ed appianali d’ avanti in dietro col collo corto più grosso c
meno obliquo ; la tibia ed il perone piu convessi innanzi che non
soglia negli altri uomini ; ed il calcagno, invece di essere arcuato, si
continua quasi in linea retta Con le altre ossa del piede che è note-
volmente largo. Si è detto ancora , che l’avambraccio del Negro , è
molto più lungo di quello dell’Europeo, e che questo carattere avvi-
ti) Op. cit. 1. 267-270.
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COLORE K STRUTTURA DELLA PELLE. 31
cinavalo alle scimmie ; ma se v’hanno alcune tribù presso le quali
invero, sono le membra superiori alquanto più lunghe di quelle
dell’ Europeo , non può certo stabilirsene la comparazione con le
scimmie più perfette, come il Chimpanzè, il Gorillo, l’Orang-Otang,
nel primo de’ quali le braccia discendono fin sotto il ginocchio , nel
secondo più sotto ancora, e nel terzo giungono fino al malleolo. Que-
ste particolarità del resto non sono comuni a tutti i Negri , e spari-
scono ovunque il cranio si trovi più elevato ; anzi fra i Negri stessi
della Ghinea si vedono di tempo in tempo alcuni individui il corpo
de’ quali potrebbe prendersi a modello di forza e di simmetria, come
il celebre atleta , il getto delle cui membra forma parte cospicua del
R. Museo de’Chirurgi di Londra.
CAPITOLO III."
DELLE VARIETÀ NEL COLORE DELLA PELLE E NELLA STRUTTURA
DE' CAPELLI.
La varietà nel sistema osseo per noi descritte nel capitolo antece-
dente non sono tali che possano essere tutte osservate nell’uomo vi-
vente, e quindi non fa maraviglia che si fosse tenuto invece maggior
conto delle variazioni esterne e più appariscenti , quali sono quelle
della tinta della pelle , e del colore e della forma de’ capelli. Non al-
trimenti se non per questi caratteri sono distinti i vari popoli presso
gli antichi c il maggior numero de’ moderni scrittori ; il perchè noi
crediamo pregio dell’opera di far conoscere in che consistano le par-
ticolarità organiche da cui dipendono le proprietà visibili del sistema
cutaneo , e del sistema peloso che ne è una dipendenza.
S /.° Del colore e della struttura della pelle.
Il colore della pelle nelle varie razze umane presenta tutte le in-
finite gradazioni dal bianco dell’ Europeo del nord al nero dell’ abi-
tatore della Ghinea; dal giallo del Mongolie al color raraeo degli indi-
geni dell’ America settentrionale. E sebbene il predominio di un co-
lore appartenga ad una razza di uomini piuttosto che ad un’altra, v’ha
tuttavolta in una razza medesima tali gradazioni di tinta che annun-
ziano un insensibile passaggio dal coloramento di una razza a quello
di un’altra. Sarebbe facile addurre numerose pruove tendenti a ri-
schiarare queste asserzioni, se ci piacesse di volgere uno sguardo ai
vari popoli diesi dividono la superficie della terra, ma crediamo es-
sere per tutti bastevoli alcuni esempi , fra cui sceglieremo quello che
n' offre la nazione giudaica , la quale , benché abbia conservata la
sua purezza etnica attraverso una lunga serie di generazioni, pur non-
dimanco le grandi varietà delle condizioni esteriori han dominalo si
potentemente il colorito della sua pelle, che, sotto un tale aspetto ,
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32
LIBRO PRIMO
sarebbe difficile il distinguere sempre un ebreo dal popolo in mezzo
al quale e’ conduce la sua esistenza. Essi sono sempre riconoscibili da
certe particolarità di fisonomia , ma , quanto al colore della pelle ,
in Germania ed in Polonia han comunemente carnagione florida ed
occhi cilestri e capelli biondi; in Italia sono bianchi volgenti al fosco
con capelli castagni, e in Portogallo di un colorito mollo più scuro:
quelli stabiliti fin da remoti tempi in Cocincina e nell'interno del
Malabar son cosi neri , che non si distinguono punto dagli indigeni ;
onde i fautori della pluralità delle specie e della immutabilità de' tipi
umani s' inducono volentieri a considerarli non già Semiti discen-
denti da Abramo, ma veri Indiani convertiti al giudaismo (1).
Analoghi fenomeni incontriamo se ci facciamo ad osservare i sin-
, { goli rami della razza caucasiana, perciocché la carnagione di un In-
diano differisce tanto da quella di uno Svedese , quanto quella di un
Moro africano ; e tuttavolta quante gradazioni di tinte fra il bianco-
roseo dello Svedese, e il color fuligginoso degli abitanti delle basse val-
late dell'Indo e del Gange !
Un'altro esempio, forse più notevole, fra uno stesso ramo di popoli,
ci presentano i Berberi , abitanti indigeni dell’ Africa settentrionale
da' confluì del gran Deserto fino alle sponde del mare mediterraneo.
I Cabili , generalmente , sono bruni di pelle con capelli neri , ma
la tribù de* Mozabi è osservabile per la sua bianchezza ; e quella
vivente negli alti piani de’ Monti Auresi è di carnagione si vermiglia
e si fresca , e di si bionda capigliatura, che molli viaggiatori ed etno-
logi ( senza adeguato fondamento ) non dubitano di averli per una
colonia di origine teutonica. D’ altra parte i Tuariki nomadi ad occi-
dente del Sahara , secondo la natura ed il clima del luogo in cui vi-
vono , o sono bianchi, o giallognoli , e talora anche sì foschi da non
invidiare i veri Negri di cui però nou hanno, nè i tratti del volto, nè
la capigliatura lanosa.
Simili transizioni osserviamo non infrequentemente in alcuni in-
dividui che , bianchissimi nella loro fanciullezza , col crescere degli
anni acquistano a poco a poco una tinta bruna e capelli nereggianti;
nè mancano esempi di persone, le quali, avendo luti' i caratteri del-
l’albinismo nella lor prima età, fatti adulti , non più si distinsero dal
comune degli uomini. Ma pria di trarre qualunque deduzione , esa-
miniamo da vicino quale propriamente sia la sede del coloramento
della pelle nell’ uomo.
Malpigli! fu il primo che si studiasse a trovare la sede del color ne-
ro negli Etiopi , e la scopriva al di sotto della cuticola, o epidermide,
in uno strato che chiamava rete mucosa, il quale parcagti che fosse una
membranella reticolala ne’ cui fori s’ insinuassero le papille nervose
(1) A 'oli and Gliddon, Types of Mankind, p. 118-122.
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COLORE E STRETTURA DELLA PELLE. 33
e i canalini sudoriferi (1). La sua opinione , lievemente modificala
dall’Albino (2) , ebbe autorità fino a’ di nostri , quando , sottoposta a
nuovo esame , trovavasi scorretta , conciossiachè, paragonandosi da
un acuto anatomico la pelle del Cabile, dell’Arabo, del Mauro da
un lato , e dall' altro dell' Americano e del Negro , si osservò che la
sua struttura è per tutti essenzialmente e fondamentalmente la stes-
sa (3).
« Io aveva studiato, cosi esprimesi il Flourens, nelle mie prime in-
vestigazioni la pelle bruna dell’uomo bianco, ed aveva creduto vedervi
la seconda epidermide infoscata da’raggi solari; ma uno studio nuovo,
anzi uno studio più lungo tempo continuato , mi ha mostrato tra la
seconda epidermide ed il derma , cioè a dire nel suo sito ordinario ,
uno strato sottilissimo di pigmento.
« L’uomo bianco, l’uomo bianco stesso ha dunque una pelle, che,
io certe circostanze e sopra certi punti , offre tutta la struttura della
pelle delle razze colorate.
« La pelle del Negro, che più tardi si caratterizza per un denso
strato di pigmento , la pelle del Negro comincia coll’ essere senza
pigmento.
« Quando noi paragoniamo bruscamente , e senza termini inter-
medi di comparazione , la pelle dell’ uomo bianco con quella del-
l’ uomo nero, o dell’ uomo rosso , noi siamo inclinati a supporre a
prima vista un’origine distinta per ognuna di quelle razze ; ma se
noi passiamo dall’ uomo bianco all’ uomo nero pe ’l Cabilo, per l’A-
rabo , pe ’1 Mauro , se noi facciamo soprattutto attenzione alle parti
colorate della pelle dell' uomo di razza bianca , non è già più la dif-
ferenza , è l’ analogia che allora ci sorprende.
« Coloro che hanno voluto sostenere la bella tesi dell’unità primi-
tiva dell’ uomo , non hanno proceduto fin qui , che in una maniera
indiretta, poiché, movendo da alcune alterazioni osservate negli ani-
mali, han conchìuso, che simili alterazioni potevano avvenire ezian-
dio nella specie umana.
« L’anatomia comparata della pelle ci porge invece, per la profon-
da analogia da per ogni dove visibile nella struttura di quell’organo,
la pruova diretta della origine comune delle razze umane, e della lo-
ro unità primitiva ».
Le ricerche microscopiche infine distrussero ogni distinzione fra la
parte colorata e non colorata dell' epidermide , e fra la cuticula del-
l’ uomo bianco, e quella degli uomini di colore, e dimostrarono chia-
(1) « Certum enim est ipsis Mthiopibus cutim albani esse, siculi et cu-
ticula, unde tota nigredo a subieclo mucoso et reticulari corpore ortum tra-
dii » De externo tactus organo.
(2) De sede et causa coloris Aithiopum. Iridai , 1758.
(3) Flourens, Nouvelles recherches sur la structure comparse de la
peau dans les diverscs races humaines — Comptes-Rendus dei’Acad. des
Sciences de l’Institut, 1845.
Nicol ucci, Razze umane— \ ol. L 3
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34
Mimo PRIMO
ramentc, die l'epidermide umana, a qualunque razza, o varietà l’uo-
mo appartenga, si compone di piccole cellule con nocciunlo, dispo-
ste le une accanto alle altre c stratificate ; le esterne (strato corneo)
appianate e convertite in sottilissime laminette soprapposte le une
alle altre; le interne (strato mucoso; rete mucosa del Malpigli!)
molli e piene di liquido e di figura più o men poligona , e nel-
le quali si deposita costantemente la materia pigmentaria sotto I’ a~
spetto di finissime granulazioni , le quali , negli uomini bianchi, non
sono riunite che scarsamente intorno al nocciuolo delle cellule , ma
negli uomini di colore , e nel Negro soprattutto , riempiono intera-
mente la totalità delle cellule, e di più in più si addensano a misura
che gli strati cellulari ( che son numerosi ) si approfondiscono , c si
avvicinano alla superficie del derma sottoposto. Si è pure osservato,
che anche le pareti delle cellule dello strato mucoso, non che le la-
minette del corneo sono lievemente colorate negli uomini di colore,
mentre sono perfettamente translucide e ialine nella epidermide dei
bianchi (1).
Questo accumulo di granulazioni pigmentarie nelle cellule dello
strato mucoso non solamente è costante in tutte le epidermidi colo-
rate , ma in alcune parti eziandio della cute de’Bianchi, ne’quali suol
prodursi in gran copia anche sotto l’influenza di luce e di calore, odi
alcune morbose affezioni. Ognun sa che le persone, le quali sieno state
per molto tempo esposte a’ raggi del sole, s' infoscano di colore in
quelle parli che sono rimaste scoperte, restando bianche tutte le altre
che sogliono essere difese , per abitudine, da’ vestimenti. Or la mo-
dificazione di tinta nella pelle di costoro non è dipendente da altra
causa , se non dalla medesima che dà origine al coloramento della
pelle del Negro. L’effetto prodotto dallo esporre le parti del corpo
alle vicissitudini esteriori varia secondo il colore degli individui ,
perciocché le pelli bianche diventano di un color rosso fosco, le brune
di un colore molto più cupo.
Alcune parti del corpo, come l’arcola e il capezzolo della mam-
(1) Per la struttura dell’epidermide, in tutti i suoi particolari, si con-
sulteranno con profitto: Raschkow, Meletemata circa mamma), dentium evo-
lut. Vratislavi» , 4855 — Krause, in Wagner ’s Worterbuch der Physio-
Jogie, li. 125. E. Weber, ibid. t. 111. artic. Senso del tatto, e Sensibilità
generale — Simon, Ueber die Structur der Warzenund iiber Pigment-
bildung in der Haut; Mttller ’s Archiv , 4840 — Wilson, Philosophical
Magazine, ed Institnt, t. XIV — Meissner, Beitràge zur Anatomie und
Physiologie der Haut. Leipzig, 1855 — Bdrensprung, BeitrSge zur Anatomie
und Pathologie des menschlichen Haut. 4848 — Kòlliker, Éléments d’ hi—
stologie humaine, trad. de Be'clard et Sée. Paris, 4855, p. 122-154 — Ved.
ancora la fig. dell’epidermide della coscia di un Negro in Kòlliker, loc.
cit. fig. 57; la pelle del Piegro e l’areola della mammella del Bianco in
Mossali , The Microscopie Anatomy of thè human body. London, 4846-49,
tav. XXII, XXVI e XX VII, einEcker, Icon. physiolog. , tao. XVII.
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COLORE E STRUTTURA DELLA PELLE. 35
niella ( soprattutto nelle pregnanti, e nelle donne state già madri), la
pelle della verga e dello scroto , quella delle piccole labbra, dell’ano
e della cavità ascellare , sono più o men brune di colore , e dal Krau-
se (1), dal Simon (2), dal Bruch (3), dal Barensprung (4) è stato pro-
vato, essere quel coloramento della stessa natura, ed occupare la sede
medesima, che la tinta cutanea delle razze colorate (5). Lo stesso Si-
mon ha formato obbietto delle sue indagini le cosi dette macchie di
nascila , o vitiligini congenite , ed anche quivi ha osservato dipende-
re la colorazione da’numerosi granellini di pigmento depositati per
entro le cellule dello strato mucoso. Tali cutanei coloramenti innor-
mali , che in nulla differiscono dai naturali che ne’ Bianchi ci presen-
tano alcune sole regioni, e nelle razze colorale la totale superficie del
corpo , formano UDa specie di transizione a quell’affezione più o me-
no generale della pelle, nella quale bavvi produzione di granellini
pigmentari , che aumentano , o diminuiscono , secondo il progresso
dello stato morboso (6). Tale è il caso del Somare, citato dal Blumen-
bach, relativo ad una francese, l’addomine della quale facevasi com-
pletamente nero durante la gestazione; tal quello della signora nar-
ratodal Lecat(7), e quello di cui fa menzione il Camper{8), di una don-
na di alto grado, la quale al cominciar delle sue pregnanze anneri-
vasi in guisa da rassomigliare una vera mora ; tale il caso , raccolto
dal Cassini (9), di un uomo di 55 anni , che di bianco era divenuto
nero; tali i casi narrati dal Ruischio(lO), Albino(ll), Stark (12), Joun-
ge (13) , Chomel (14), Goodwin (15) , Rostan (16) Wells (17) , Ra-
(1) Loc. cit.
(2) Mailer ’s Archiv. 1840. p. 467.
(3) Untersachungen zur Kctuiss des Kornigen Pigments. 1844.
(4) Loc. cit.
(3) « Sur la peau jaunùtre d'une téle de Malais, pritc dans la collectian
anatomique de Wiirzbourg, j’ ai trouvé urte coloralion analogue à celle du
scrotum d’un Européen à teint foncé. Aiuti, iépiderme des races colorées
ne se distingue pas essentiellement de celai des parties colorées des blanct ;
bien plus, il ressemble presque complétement à celai de cerlaines régions,
de l'aréole de la mamelle, en parliculier ». Kolliker, op. cit. p. 128.
(6) Yogel, Pathologische Anatomie , trad. frane. 1. 173.
(7) Jlaller, Elem. physiol. V. p. 18.
(8) Demonstrationes auatomico-pathologicae. Amstelodami, 1760-62, fot.
(9) Mémoir. de Paris, A. 1702. p. 29.
(10) Thesaur. I. 3. n.° 1. — li. n.° 34. 84 — V. n.° 5.
(11) Loc. cit.
(12) Observat. de febribus intermittentibns. Ticini, 1781 , in S.
(13) Philosophical Transactions , t. XXVI; 1709.
(14) Bulletin de la facoltà de Màdecine de Paris, 181 i. p. 413.
(15) Sedillot, Recueil pérìodique de la Società medicale de Paris, t.
XI. VI. p. 539.
(16) Bull, de la facultà de méddeine cit. 1817 , p. 524.
( 17) An account of a temale of thè white race of mankind , part of whose
skin ressembles that of a Negro.
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36
LI imo PRIMO
yer (1), Hildebrandt e Weber (21, ed altri ; tale infine il coloramento
cutaneo { bronzed-skin ) sul quale ha richiamato non ba guari l’ atlen-
zion de’ medici il Dr. Addisson (3), credendolo congiunto ad un'affe-
zione delle capsule soprarenali: coloramento il quale Robin ed anche
noi abbiamo osservato esser prodotto da granulazioni pigmentarie in
si gran copia depositate nello strato mucoso, da pareggiar quelle che
sono raccolte nella stessa parte della cute degli uomini di colore(4).
Per contrario , nel voi. XXIll 0 delle Transazioni della società Reale
di Londra , si fa menzione di un Negro, che nell’ età di tre anni co-
minciò ad avere alcune macchie bianche nel collo e nel petto, le quali
estendendosi a poco a poco sulle altre parti del corpo, non lasciaro-
no il color nero, che sul viso, nelle braccia e nelle gambe. Nel volu-
me Ll° della stessa raccolta scientifica si parla di una Negra, e nel vo-
lume LXXVIU 1 * 3 4 5 di un altro Negro, che divennero sìmili , nel colore,
agli Europei. Caldani narra di un Negro che esercitava il mestiere
di calzolaio in Venezia, dove giunto fanciullo era perfettamente nero,
ma andò cosi digradando a mano a mano il suo colore , che pareva
infine un uomo bianco affetto da leggiera itterizia; e Sauvage raccon-
ta di un altro Negro ( della tribù Grebo, nel capo Palma ), nel quale,
dopo otto giorni di febbre intermittente ( nel 1814 ), cadde a squam-
ine la cuticula , e la sua tinta divenne leggermente giallognola. In-
fermatosi ancora dopo un mese, la euticula cadde un’ altra volta, ma
la pelle era affatto bianca; indi a tre mesi cominciarono ad apparire
delle macchie , che a poco a poco infoscandosi e distendendosi , ri-
portarono il colore della cute al suo stato primitivo. Medesimamente
i capelli che si erano imbianchiti con la pelle , tornarono ad esser
neri col ricolorirsi della superficie cutanea (5).
Da questi e dagli altri fatti esposti di sopra si possono trarre le se-
guenti deduzioni :
1. ° Che l’attitudine a generare il pigmento é comune a tutti gli
uomini , come a tutti è comune il tessuto nel quale esso si depo-
sita ;
2. ° Che il colore della pelle non è carattere permanente, e non
può costituire una differenza specifica fra i vari rami del genere
umano ;
3. ° Che non solo fra una razza ed un’altra vi ba gradazione di co-
lore , ma questa gradazione si estende ancora ad individui di una
razza medesima ;
(1) Trattato teorico-pratico delle malattie della pelle §. 1062 e seg.
(•2) Hildebrant ’s Anatomie des Menschen, besorgt. v. E. H. Weber,
t. IL p. 526.
(3) On thè constitutional ad locai effects of Diseases of thè suprarenal
capsules. London, 1855.
(4) Trousieau, nella Gazette medicale del 30 Agosto 1856.
(5) L’Institut, t. XIV. p. 342.
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STRUTTURA DE’ CAPELLI.
37
4.° Che la maggiore, o minor generazione di materia colorante è
subordinata ad influenze cosmiche ed individuali.
Ma onde avviene egli mai che, non ostante la identità del tessuto
cutaneo , un colore predomini in una razza ed uno in altra , e che
individui di razze diverse , vivendo nelle stesse contrade e eoo le
stesse abitudini sociali, conservino tuttavolta il lor colorito origi-
nario? I,’ obbiezione non è di tal natura che possa essere sciolta
nello stato odierno delle nostre conoscenze ; ma da quanto può giu-
dicarsi , l’influenza del clima è probabilmente la causa precipua delle
varietà del colorito delle varie razze, imperciocché la tinta più cupa
della pelle s'incontra solamente sotto la zona torrida, e tutte le na-
zioni che abitano quelle latitudini intertropicali tendono a completa
nigrizia , che però può trovarsi impedita da circostanze particolari.
Le due altre condizioni che sembrano avere la più grande in-
fluenza modificatrice sul colore della pelle sono , il grado di eleva-
zione sul livello del mare, ed il grado di umidità, o di secchezza del-
l'atmosfera. Nella geografia botanica l’elevazione é considerata come
un equivalente dell' avvicinarsi verso le regioni polari , ed essa ha
senza dubbio lo stesso effetto sul colore della pelle , come sulla vita
delle piante , essendoché gli abitanti delle regioni alpestri son quasi
sempre più bianchi di quelli che vivono nelle pianure circonvicine.
L' influenza dell’ umidità e del calor secco dell’atmosfera fa sentirsi
egualmente sulla tinta della pelle dell'uomo, poiché, secondo le accu-
rate osservazioni fatte in America da'signori d’Orbigny eSchòmburgk,
gl’individui che vivono in mezzo all'umidità e sotto l'ombra delle
grandi foreste sono comparativamente più chiari di quelli che, essendo
esposti a’ raggi del sole in luoghi aprici , sono di tinta di carnagione
molto più infoscata.
§ 2." Del colore e della struttura de' capelli.
Quasi altrettante numerose come quelle della pelle sono le grada-
zioni del colore ne’ capelli dell’uomo, e sovente con la tinta ne varia
ancora la forma ; onde qui sono ruvidi e grossi , là fini e morbidi
come la seta ; in questi lunghi e folti, in quegli brevi e radi ; or ric-
ciuti e vagamente inanellati , ora crespi e quasi simili, in apparenza,
alla lana. Ve n'ha poi de’ neri come l’ala di un corvo, de’ rossastri e
di un biondo carnicino, de’castagni e de’ biondi di ogni altra grada-
zione. Tali varietà nella forma e nel colorito sono dipendenti da
alcune particolarità dell’ intima lor tessitura , della quale importa di
dare una sommaria indicazione.
1 capelli ( ed intendiamo di dir anche de’ peli ciò che diciamo di
quelli) si compongono di un corpo, che è tutta la loro porzione che
sporge fuori dell’epidermide , e di un bulbo , o radice , che è quella
piccola parte che rimane nascosta ed impiantata nella cute. Il bulbo
termina nella sua estremità in un corpo sferico, od ovale, il cui gran-
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38
LIBRO PRIMO
d’asse segue l’asse longitudinale del capello. Il diametro del bulbo è
il doppio, od anche il triplo di quello del corpo; la sostanza ne è for-
mala di nuclei cellulari e di qualche cellula completamente svilup-
pala, congiunti insieme da una sostanza limpida e viscosa, e rivestiti
esternamente da una dilicata membranella. Esso è allogato in una
fossicina del derma cinta da altra molle membranuccia che vi forma
una guaina che chiamasi follicolo , il quale aderisce alla cute circo-
stante che gli somministra una reticella vascolare, ed è, insieme col
germe, o polpa del pelo (eminenza papillare che s’innalza dal fondo
del follicolo , e s’ insinua per entro la parte centrale della base del
bulbo), l’organo generatore del pelo stesso, poiché da esso è fornito
lutto l’umore (ciloblastema) che serve di alimento e di nutrizione al
capello.
Il corpo si distingue in due parti , corticale e midollare. La prima
sorge insensibilmente dalle cellule e nuclei periferici del bulbo, sotto
l’aspetto di una membranella cellulare, ma a poco a poco allungan-
dosi i nuclei in cellule fibrose, tutta la sostanza corticale, poco sopra
l’apice superiore del bulbo, vedesi formata di tenui piatte fibril-
line, mantenute a contatto da una materia granulosa interstiziale,
ma che possono separarsi in laminette, o lunghe cellule appiattite, le
quali d’ordinario contengono granulazioni pigmentarie, ovvero sem-
plicemente piccole bollicine di aria. La sostanza midollare si separa
dal bulbo nel punto stesso dove incominciano a mostrarsi le fibre
della sostanza corticale, e cosi continua fino all’estremità del capello.
Il diametro della sostanza midollare è il terzo, o il quarto di quello
dell’intero capello (1). Compongono questa sostanza aggregati di
cellule nuclcate , le quali sono visibili soprattutto ne’ capelli im-
bianchiti dall’età, o in quelli de’neonati biondi. La sostanza midollare
è più, o men colorata da granulazioni pigmentarie secondo il colore
più o men fosco de’ capelli , e dove esse mancano , vi si sostituisce
probabilmente dell’aria (2) : ne' biondi il coloramento delle cellule è
poco sensibile , più forte ne’ capelli castagni , ma nelle chiome nere
degli Europei, e soprattutto ne’ capelli de’Negri , s’infosca a tal grado,
che rassomiglia ad un ammasso melanotico, nel quale non più si di-
stinguono i nuclei e le pareti cellulari. La sostanza midollare non è
distribuita egualmente nel centro del capello , ma è qua e là inter-
rotta : in qualche punto il suo diametro è un quarto, ed anche meno
dell’intero capello, in altri giunge ad essere di un terzo : ora le cel-
(1) Questo diametro è più grande ne’ peli grossi e corti, meno ne’ peli
lanuginosi e nei capelli.
(2) Kiillikcr vuole le cellule midollari costantemente ripiene di aria, o di
liquido: io le credo probabilmente cosi costituite ne' capelli bianchi c negli
scoloriti; ma nei colorati mi persuado dell’osservazione , che vi si raccolga-
no invece granellini di materia pigmentaria, analoga a quella delle fibre
corticali e della sostanza unitiva inter fibrillare.
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STRUTTURA DE’ CAPELLI.
39
lule sono più stipale , ora più rade e più agiatamente collocate. Ne-
gli spazi rimasti vuoti di cellule non si osservano pareti vascolari, nè
si distinguono ne' capelli bianchi, e in quelli de’ neonati biondi, nei
quali si vedono chiaramente le membrane delle cellule e i loro nu-
clei di colore oscuro. Ciò mi fa credere, che non esista intorno alla
sostanza midollare un canale propriamente detto , limitato da una
membranella propria , ma che le cellule midollari riempiano lo spa-
zio centrale lasciato vuoto dalle fibrilline corticali.
Queste , non che la sostanza unitiva interfibrillare , sono , ne’ ca-
pelli bianchi e ne’ biondi chiari, senza colore, o appena leggermente
colorate, ma ne’ capelli bruni e in quelli de’Negri, il color fosco della
sostanza interstiziale delle fibro-cellule corticali è in proporzione di
quello della midollare, sicché, come havvi un deposito di granu-
lazioni pigmentarie nelle cellule della sostanza midollare, cosi ve ne
ha pure nella sostanza interstiziale e nelle fibrilline corticali , ma in
queste sempre in numero e in proporzione minore che in quelle.
I capelli non hanno la stessa forma presso tulli gli uomini. Ne’Ne-
gri uno de’diamelri è più grande della metà, o di un terzo dell’ altro
diametro. E. E. Weber, il quale ha misurato la spessezza di un capello
di un Negro, ha trovalo che, in un punto, il più piccolo diametro era
di 0,019 di linea, e il più grande di 0,038; in un altro punto, di 2,023
nel primo, e di 0,041 nel secondo.
Un altro capello di Negro, misurato sopra quattro punti presentò :
nel più gran diametro:
0,0423
0,0470
0.0423
0,0410
nel più piccolo diametro :
0,0310
0,0340
0,0295
0,0340
onde il maggior diametro superava il minore di circa 0,0060 di linea.
Dalla forma de’ capelli dipende la lor proprietà di essere lisci ed
ondulanti, ovvero ricciuti e crespi: se essi sono perfettamente cilin-
drici non s’ increspano , e rimangon sempre allungati ; ma se I’ un
diametro di essi è maggiore dell’ altro , ed ei non sono perfetta-
mente cilindrici , allora tendono ad arricciarsi , e si fanno tantoppiu
crespi , quanta è maggiore la sproporzione fra i loro due diametri.
Ecco perché nel Negro i capelli, ordinariamente finissimi e corti, si
fanno si crespi, che prendono quell’ aspetto che fa parerli simili alla
lana. Dei rimanente non differiscono punto da’ capelli de' Bianchi e
delle altre razze , come ban posto fuori dubbio le osservazioni di
Weber, Eble (lj, Prichard (2), alle quali sono affatto uuiformi le al-
tre da me istituite sopra i capelli di vari Negri.
(1) Die Lehrc von der Haaren. Wien, 1851. t. IL p. 86-95.
(2) Hisloire naturclie de l’honune, I. 135-141 .
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40
1.1BRO PRIMO
Non però di manco molti hanno creduto , che i capelli del Negro
veramente fossero lanosi, a distruggere la quale falsa opinione, basta
paragonare insieme la struttura della lana con quella de'capelli di cui
sopra abbiamo toccato.
La lana è formata anch’essa di una sostanza corticale e di una mi-
dollare , ma la differenza maggiore che essa presenta , messa a con-
fronto co’ capelli, consiste nella diversa organizzazione della porzione
esterna della sostanza corticale. La quale, ne’capelli, ha strie traver-
sali vagamente osservate dal Fontana (1) , e piu diligentemente dal
Weber (2), Krause (3), Bidder (4) , Henle (5), Kòlliker (6) ed altri ;
strie che non sono disposte con simmetria , ma sembrano intralciate
e confuse a guisa di vasellini retiformi anastomizzati. Le osservazioni
microscopiche hanno dimostrato , che esse son formate di cellule
6quammose simili a quelle della cuticola, e sparse inegualmente so-
pra tutta la superficie del capello (7).
Esaminando i fili di varie qualità di lana si osserva , che le strie
trasversali che sono cosi irregolari e difficilmente visibili ne’ capelli ,
sono apparentissime e tanto simmetriche in quelli , che presentano,
ne’merini, la forma di tubolini invaginati l’uno dentro dell’altro, tal-
ché i lembi di ciascun filo, osservato al microscopio, sembrano simili
ad una sega, e la superficie formata da articoli congiunti secondo la
lunghezza del filo (8). La quale apparenza ha fatto credere all’Eble,
che la sostanza midollare risultasse di grandi cellule disposte l’una
dopo l’altra. Io ho veduto la medesima organizzazione sulla peluria
del coniglio e della lepre, se non che le cellule corticali sono più re-
fi) Traiti sur le venin de la vipère. Florence, 17 81, li. 252. Iav.1. fig.1.
(2) Meckel’s Archiv, 1827. pag. 210. — Hildebrant's Anatomie. 1, 196.;
t artic. Pelle, in Wagner’s Handwort. der Physiolog. 11. p. 124.
(3) Handbuch der Anatomie de» Menschen. Braunschu-eig, 1830.1.80.
(4) Mttller’s Archiv. 1840.
(5) Op. cit. /. 312.
(6 Op. cit. 155-156.
(7) Per più ampie particolarità tuli' intima struttura dei peli, oltre i la-
vori da noi citati di Eble, Krause, Bidder, Weber, tlenle, Kòlliker, ve d. Si-
mon, Zur Entwickelungsgeschichte der Haare , in Mttller’s Archiv , 1841.
p.361 — Kohlrausch, lieber innere Wurtzelscheide und Epithelium des
Haares, ibid, 1846, p. 30 — lasche , De telis epithelialibus in genere, et
de iis vasorum in ispecie. Dorpat, 1847 — Hessling, Vom Haare und seinen
Scheiden, in Froriep’s Nctizcn, 1848, num. 113 — Langer, lieber den
Haarwechsel bei Thieren und beim Menschen, in Denkschrift. der Wien.
Akad.,/S50. 1. 1. — Brotcne, Proceed. Acad. nat. se. Philadelphia, Janu. a.
Fev., 1851 — Beissner, De hominis inanimai, pilis. Dorpat, 1853 — Gudden,
negli Arch. f. phys. Heilk. 1853. p. 247 — Dalzell, in Monthly Journal,
1853. p. 279.
(8J Forma poco diversa da quella della lana de’ merini ha presentato al-
l’Eble la peluria delle capre del Tibet, dalla finezza e morbidezza della qua-
le dipende la bontà, e T inarrivabile perfezione de’ famosi scialli di Casimira.
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CLASSIFICAZIONE.
41
golari, e dirò anche più simmetriche. 1 peli di questi animali hanno
la stessa struttura della loro lanugine , ma perchè e'sono quattro in
cinque volte maggiori di diametro , cosi la loro superficie presenta
quattro, o cinque serie di cellule disposte in fila , e separate netta-
mente le une dalle altre. Verso l’apice del pelo, quelle serie si con-
giungono ad angolo acutissimo , e vanno a terminare gradatamente
in una sola cellula allungata che ne forma l’estremità.
La lana dunque ha una struttura diversa da quella de’ capelli, e la
chioma de’ Negri in conseguenza , non solo non somiglia alla lana
ma ha un’ organizzazione affatto simile a quella de’ capelli degli Eu-
ropei e delle rimanenti razze umane. E s’ ella s'increspa , la cagione
è la stessa che fa arricciare i peli nelle altre razze, vale a dire la spro-
porzione fra i due diametri del corpo del capello.
CAPITOLO IV.
CLASSIFICAZIONE.
Da’ fatti che abbiamo esposti ne’ capitoli antecedenti , e da’ corol-
lari dedottine s’ inferisce, cbe tutti gli uomini appartengono ad una
sola specie suddivisa in altrettante razze, quante sono le più cospicue
varietà, soprattutto nella conformazione del cranio , e nelle fattezze
della fisonomia ; conciossiachè laddove gli umani individui compo-
nessero più specie, i prodotti degli accoppiamenti fra gli indivi-
dui di queste diverse specie sarebbero bastardi , e per legge di na-
tura condannati ad essere sterili, mentre che invece tutti gli uomini,
a qualunque razza appartengano , possono fecondarsi mutuamente, o
i loro discendenti perpetuarsi nelle successive generazioni, senza cho
mai s’incontri alcun ostacolo alla procreazione di queste discendenze.
Abbiamo osservalo eziandio , le stesse variazioni nel cranio e nella
tinta della pelle modificarsi secondo che variano le efficienze interne
ed esteriori , ed elle mai non essere permanenti quando sieno sot-
tratte alle influenze che vi hanno potuto dare origine e svolgimento ;
laonde vediamo il cranio piramidale de'Turchi nomadi e de’ prischi
Ungheresi cangiato nell’ ovale de’ Turchi osmanlini e de’ moderni
Magiari, che dallo stato di orde vaghe ed errabonde hanno occupato
stabili dimore , e seguito i progressi della civilizzazione europea ; e
viceversa, il bel tipo del cranio europeo avvicinarsi alla forma pro-
gnata del teschio de’ Negri in alcuni individui delle infime classi della
nostra società, ne’ quali si è io forse a giudicare qual sia maggiore o
la miseria, o la ignoranza.
Il colore della pelle lo abbiam veduto modificarsi secondo le lati-
tudini, le elevazioni sul livello del mare, e il grado di secchezza e di
umidità dell' atmosfera. Talora si è osservato, per effetto di morbosa
affezione, un Negro diventar bianco, e un Bianco nero, ed abbron-
zarsi costantemente la pelle degli uomini bianchi quando rimangano
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42
1,1 URO PRIMO
esposti per lungo lampo agli infuocati raggi del sole ; c la causa del
colore essere identica tanto in questi, quanto ne’Negri e negli indivi-
dui infoscati per una morbosa influenza : consistere cioè nel deposito
di una materia colorante ( grancllini di pigmento) nelle cellule dello
strato più molle e più profondo di quella parte della cute che si ad-
dimanda cuticola, od epidermide. Da che abbiamo conchiuso, che le
variazioni che si osservano attualmente nell' umana specie sono di-
pendenti probabilmente da quelle stesse influenze onde sono state
originate e si producono tuttodì le varietà nelle specie vegetabili ed
animali.
L’etnologo non può certamente, per mancanza di pruove, risalire
a quell'epoca primitiva dell'umanità, quando l'umana progenie, spar-
gendosi a mano a mano sulla faccia della terra, variava il color delle
sue carni, la forma del suo cranio, ed i tratti della sua flsonomia, nè
determinare qual fosse il primo tipo della specie innanzi che queste
variazioni si originassero (!) , nè quale fosse stata fra le cause la più
efficace a produrre ora Cuna, ora l'altra varietà. Ma essendo obbietto
delle sue speculazioni quello di descrivere i singoli popoli della terra,
fa mestieri innanzi a tutto , ch’ei stabilisca quali e quante sieno que-
ste varietà , o , in altri termini , quante sieno le razze di cui si com-
pone f umana specie , c quali i caratteri che distinguono ciascuna di
esse.
Quasi tutti gli autori di opere etnografiche hanno proposto ognuno
un sistema proprio nella distribuzione del genere umano , ed il nu-
mero delle razze si è veduto restringersi , od allargarsi , secondo il
principio onde movea ciascuna classificazione. Alcuni di essi autori,
non solo hanno accresciuto notabilmente il numero delle varietà (2),
cd hanno creduto eziandio che il genere umano si componesse, non
di una sola , ma di due (Virey (3,;), di tre (Jaquinot (4)), di quiu-
(1 ) È un problema , fame non risolubile mai, quello di sapere qual fosso
il primitivo colore dell'uomo : fu bianco, rosso, giallo, nero? — Ciò s’ignora
e s’ignorerà per sempre, come tulle le origini delle cose. Nondimeno alcuni
dotti esegeti hanno creduto poter dedurre, dall’analisi filologica del nome di
Adamo, che il primo uomo fosse stalo di color rosso, così indicando il nome
del primo padre del genere umano. Il nome di Adamo invero si risolve in
due distinte parole A e Doni (Lanci, La Sacra Scrittura illustrata. Roma
4827, cap. IX, 5. XII. 7 . — Paralipomeni all'illustrazione della Sacra Scrit-
tura. Parigi, 4845); la prima è un articolo mascolino che significa il ( arti-
colo che trovasi molte volte nella Scrittura messo innanzi a’ sostantivi ma-
scolini); la seconda è una voce che vuol dire sangue, o rosso ; cosicché le
due parole A-Dam denoterebbero il rosso, l'uomo rosso, o il rossicante, co-
me chiamalo il Lanci.
(2) Il Burle, fra gli altri, ammette sessantatrè razze, delle quali ventolto
distinguibili per caratteri morali, e trentacinque per caratteri fisici.
(3) Histoirc naturelle dii genre humairi. Paris, 4824, 3 voi. in 8.
(4) Considérations géncrales sur l’anthropologie. Voyage au Pòlc Sud,
Zoologie, 484 ti, I. Il, p. 473.
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CLASSIFICAZIONE.
43
dici (Bory de Sainl-Vinccnt (1)) , di sedici specie ( Desmoulins (2)),
ed anche di sottogeneri ( Broc (3)), o di gruppi di lipi, o specie di-
stinte (Nott e Gliddon (4)) : errori de’ quali ci dispenseranno di fare
la confutazione i ragionamenti esposti nelle pagine antecedenti.
Tra i più insigni partegiani della differenza specifica de’ tipi umani
menzioneremo il signor L. Agassiz (5), il quale crede ciascuna razza
essere stata creata in armonìa di tutti gli esseri animali della con-
trada in cui essa vive, o della quale è originaria, ond ei s' avvisa esi-
stere otto diverse umane specie quanti sono i Regni Zoologici cono-
sciuti, ed ogni specie essere suddivisa in altrettante nazioni, o gruppi
di nazioni, quante sono le Faune di cui può credersi composto cia-
scun regno. Metterà in miglior rilievo la dottrina dell’Agassiz il pro-
spetto che qui aggiungo della sua classificazione , che porta l’im-
pronta delle profonde conoscenze del suo autore , a’ principi etno-
grafici del quale ci duole non poter fare lieta accoglienza in que-
st’opera propugnatrice dell’unità originaria dell'umana generazione.
(1) L’Homme, Essai zoologiquc sur le genre humain. Paris 4856, 2 Voi.
in 48.
(2) Histoire naturclle des races huniaincs du nord-est de l’ Europe , dii
nord et de l’oricnt de l’Asie, et de l’Afrique australe. Bordeaux, 4826, in 8.
(3) Essai sur Ics races humaines. Paris, 4856, in 8.
(4) Types of Mankind — Tipo è sinonimo di specie nell’opera de’ signori
Noti e Gliddon. Quanti tipi, ovvero specie essi ammettano non si racco-
glie dalla loro opera , ma dal complesso della esposizione , la quale è
molto confusa e senza metodo (difetto inevitabile in un lavoro al quale han
preso parte diversi compilatori ), sembra che essi riconoscano molli gruppi di
tipi, come a dire il gruppo caucaseo, l’africano, il negro, l’oceanico, l’ame-
ricano, il mongollo-americano , e probabilmente (quantunque no ’l dicano)
anche il mongollico.
> (5) Sketch of thè naturai provinccs of thè animai World cit. in Nott and
Gliddon, Types of Mankind.
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44
LIBRO PRIMO
Distribuzione del Genere Vmano , secondo la dottrina dell'Agassiz.
I.” Recito artico — abitalo dagli Iran borei ; c contenente. —
a. una Fauoa iperborea .
Il ° Ricmo asiatico — abitalo da' Moli ootxi; c suddiviso in: —
a. una Fauna } nei, a temperata parie della sona.
c. — cinese. nella parte più calda.
d. — centrale-mongollica.
e. — caripia ( occidentale ).
Hl.« Ree no europeo — abitato dagli Uomini biakcui; c diviso in: —
a. una Fauna scandinava.
b. — russa.
c. — europea- centrale .
d. — mnipea-mtr Manate.
e. — africana-scltentrionale.
f. — egizia-
g. — sirta ed iraniana-
IV. ° Regno americano — abitato dagli Indiani di America.
America settentrionaer — diviso in: —
a. una Fauna canadense-
b. — alleganiana, o Fauna degli Stati di Mezzo
c. — luigiana , o Fauna degli Stati Meridionali.
d. — delle alte terre, o Fauna de' Monti di Roccia.
e. — della costa nord-ovest.
f. — californiana.
America centrale — suddiviso in : —
g. una Fauna della terra ferma.
h. — delle Antille.
America meridionale — diviso in : —
I. una Fauna brasiliana.
k. — pampeana.
l. — delle Cordeliere.
ni. — peruviana.
n. — patagonia.
V. " Recbo africano — abitato da’Nnsl, Abissini, Fulacw, Negri, Ottentotti, Bojci-
smari ; e diviso in: —
a. una Fauna del Sahara-
b. — nubia.
c. — abissina ( estesa alt' Arabia ).
d. — senegalliese.
e. — ghineana.
f. — delle otte-terre africane.
g. — del capo di Buona-Speranza.
b. — di Madagascar ( divergente ).
VI. ° Regno indiano orientale ( o Malese ) — abitalo da’XEiiNoA, Malesi , Nigrilli ;
e diviso in : —
a. una Fauna Deccana.
b. — indo-cinese.
c. — delle isole della Sonda ( incinse Romeo e le Filippine ).
VII. 0 Rbceo austealiaso — abitalo da’PAFÙ e dagli Australiani , e diviso in : —
a. una Fauna papuana.
b. — della Nuova Olanda.
Vili. 0 Regno folinesio — abitalo dagli Insulari del mare di.l sud; e contenerne: —
a. una Fauna polinesia.
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classificazioni:.
45
I fondamenti delle varie classificazioni sono siati , o il color della
pelle, o la forma del cranio, n le somiglianze glossologiche. Delle clas-
sificazioni secondo il colore della pelle non faremo alcun conto, av-
vegnaché le gradazioni di finta da un colore all' altro sono cosi in-
sensibili , che non può precisarsi dove termini una razza , e donde
l'altra incominci, senza enumerare le altre difficoltà della variabilità
del colorito secondo la latitudine del luogo in cui si vive, la sua ele-
vazione sul livello del mare , e il suo grado relativo di secchezza, o
di umidità atmosferica. Per siffatte ragioni non possiamo accordare
gran valore alla classificazione del Pickering (1), che riunisce le sue
undici razze umaue sotto quattro principali gruppi , distinguibili pel
loro colorito: a. bianco; b. bianco-bruno; c. nero-bruno ; d. nero; nè a
quella del Carus (2) , il quale trae dai quattro stadi giornalieri del
nostro pianeta la necessaria divisione della specie umana in quattro
razze, che sono: 1 .° 1 Bianchi, o popoli del giorno, simbolo della ci-
viltà e dello stato luminoso dell' intelligenza ; 2," 1 Negri , o popoli
della notte, che dormono nelle tenebre dell'ignoranza ; 3.° I Gialli,
popoli del mattino e del crepuscolo di oriente, che vivono di un’in-
completa esistenza sociale, quasi intermedia fra le tenebre del Negro
e la radiazione luminosa del Bianco ; 4.° I Rossi, popoli della sera ,
o dei crepuscolo di occidente, popoli meno barbari al certo de’Negri,
ma molto più rozzi de’Gialli, e che, simili al sole che tramonti, riflet-
tono appena una pallida luce , vicina ad estinguersi , sull' orizzonte
dell’ umanità.
La classificazione più conosciuta secondo la forma dei cranio è
quella adottata dal Blumenbacb , e da da parecchi altri scrittori se-
guitata, fra’ quali il Cuvier (3), il Lawrence (4), il Lesson (5), l'Hol-
lard (6). Egli stabiliva cinque razze nella specie umana , cioè la cau-
casea, la mongolica, l'etiopica, l’americana e la malese, applicando alle
tre prime un proprio tipo craniale, e considerando le due rimanenti,
non come rappresentanti un tipo definito di cranio, ma soltanto quali
denominazioni collettive di gruppi di nazioni. La razza caucasiana ab-
braccia tutti gli Europei e gli Asiatici occidentali al di qua dell’ Obi
e del Caspio, non che gli abitanti dell'India cisgangetica e dell’Africa
(1) The Races of Man; and their geographical distribution ; neff’United-
States exploring Expedition during thè years 1858-1842, under thè com-
mand of C. Vilk.es, voi. IX, Philadelphia 1848, in 4, e London 1854, in 12.
(2) Ueber ungleiche Bef&higung der veschicdenen MenschheitstSmme
far hòhere geistigc Entwickelung. Leipzig, 1849, in 8.
(3) Le Rógne animai. Cuvier benvero non riconosce che tre sole delle
razze blumenbachiane , e non ammette la malese e l’americana, che come
derivate da quelle.
(4) Lectures on physiology , zoology and thè naturai history of man.
London, 1822.
(5) Manuel de Mammalogie. Paris, 1827, in 12.
(6) De l’homme et des races humaines. Paris, 1855, in 12.
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46
I.IBRO PRIMO
sellentrionale ; la mongollica comprende lutti i restanti abitatori
dell’Asia e della parte più boreale dell’America ; l’ etiopica riunisce i
rimanenti popoli dell'Africa ; l' americana gli indigeni abitatori di
quel continente , all’ infuori da’ più settentrionali ; e la malese tutti i
naturali della Malesia e della Polinesia.
Noi abbiamo già fatto vedere quanto inesatti fossero i nomi di cau-
casiana , di etiopica e di mongollica come generali appellazioni di
razze ; ma fa mestieri di osservare ancora , che il sistema craniale
adottato per le tre prime razze non si applica egualmente a tutte le
nazioni che vi sono comprese, avvegnaché Blumenbach ritiene, p. es.
sotto la forma caucasiana anche i Lapponi, il cui cranio è evidente-
mente mongollico ; ed il tipo etiopico che dovrebb’ essere esteso a
tutti i popoli caratterizzali da quella forma di cranio, non comprende
sotto il suo dominio i Negri Oceanici e gli Australiani, il teschio dei
quali , sotto molti rispetti , è assai somigliante al cranio de' Negri
Africani. E ciò quando anche non vogliasi por mente agli altri ca-
ratteri i quali avvicinano ancor piu que’ Negri alle altre nazioni della
razza etiopica.
Alcuni de’ più recenti autori hanno riconosciuto la imperfezione
del sistema blumenbachiano , ed hanno cercato di metterlo in armo-
nia con lo stato attuale delle conoscenze etnologiche , ritenendo mai
sempre i medesimi principi fondamentali di classificazione , ma va-
riandone le distribuzioni secondarie; onde il Morton, salito in tanta
fama per la sua classica opera sui teschi americani , suddivide ogni
razza del lilumenbach in distinte famiglie di popoli , assegnandone
sette alla razza caucasiana , cinque alla mongollica , due alla malese,
due all’americana, e sei all’etiopica, la quale comprende tanto i Negri
d’ Africa , quanto i Negri dell’Oceania e dell’Australia (1). Cosi il
Miiller (2), cosi il Jolmston nel suo eccellente Atlante fisico (3) , cosi
l’Hamilton Smith (4), il Latham(S), filali (6), e Mad.deSomerville (7);
così parimenti il sig. Giuseppe Meneghini, che ha trattato con eguale
felicità svariati argomenti di Storia Naturale. Il quale, seguitando il
Blumenbach, nella divisione delle varietà della specie nostra , adotta
poi una classificazione propria nella distribuzione de’ gruppi di cui
si compone ciascuna delle cinque razze dell’Etnologo di Gottinga, ad
eccezione dell’Americana ; laonde egli distingue nel tipo caucaseo due
(1) Crania americana , or a comparative view of thè skulls of various
aboriginal nations of north , and south America , to which is preGxed an
cssay on thè varieties of thè human spceies. Philadelphia, 4859, fol.
(2) Manuel de Physiologie, 11, 761-773.
(3) The physical Àtlas. Edimburgh, 1848, grande in fol.
(4) Naturai history of human species. Edimburgh, 1848.
(o) Varieties of Man. London, 1851.
(6) Anatytical Synopsis of thè naturai history of Man, premessa all’edi-
zione londinese del Pickering, The Races of Man. London, 1854.
(7) Geografia fisica, Ir ad. da Vincenzo degli Uberti. Napoli, 1855, in 8.
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CLASSI FICAZIONF.
prandi gruppi , l' Indo-Europeo, che comprende i Giorgi.ini , i Per-
siani , pi’ indi ed altre nazioni dell’Asia centrale ed occidentale , non
che la maggior parte degli abitanti di Europa; éd il Semitico, o Siro-
Arabico, il quale abbraccia i Siri, gli Arabi, gli Egiziani moderni, eie.
Nella razza Mongollica comprende i Turcoraani e le tribù mongolli-
chc e le tartariche, i Cinesi , gl' Indo-Cinesi , i Giapponesi , gli Eschi-
mesi e gli Ungari trapiantali nel cuore di Europa ; nella Malese tulli
gl’indigeni a tinta bianca e giallognola delle isole del Grande Oceano ;
nell’Etiopica gli Africani a mezzodi del Gran Deserto, metà del Mada-
gascar, il continente dell’Australia c le Isole di Mindanao e Gitolo ,
le regioni montuose ed elevate di llorneo , Sumbava e Timor e la
Nuova Irlanda, i Papù, gli Australiani , considerando per ultimo gli
Ottentotti , i Boscimani ed altre tribù dcH'Africa meridionale come
una varietà distinta proveniente dalla uuione delle due razze Negra
e Malese (1).
La filologia è stata chiamata in soccorso , ed efficacemente dal sig.
G. C. Prichard , ma non ha potuto somministrare essa sola clementi
bastevoli per una adeguata distribuzione delle varietà del genere
umano , perciocché il Prichard si è avvaluto , è vero , per alcune
razze, degli elementi che gli han fornito i dati filologici, ma per altre
si è attenuto alla forma del cranio , ed ha seguitato scrupolosameute
il sistema dell’illustre Blumenbach.
Egli stabilisce sette varietà principali nel genere umano ; la prima
che comprende le nazioni , die per la forma dello scheletro ed altri
caratteri fisici rassomigliano agli Europei , inclusevi molte nazioni
dell’Asia, ed alcune dell’Africa; la seconda le razze molto somiglianti,
nella fisoDomia e nella forma del capo, a’Calmucchi, a’Mongolli ed ai
Cinesi : queste due razze chiama Iraniana e Turaniana. La terza razza,
la razza Americana, abbraccia le nazioni indigene americane, esclusi
gli Eschimesi ed alcune altre tribù che rassomigliano più a questi, che
alla maggioranza delle nazioni dei Nuovo Mondo. La quarta razza è
quella degli Ottentotti e de’ Boscimani ; la quinta è quella do’ Negri ; la
sesta d e’Papù, o delle nazioni a capelli lanosi della Polinesia, e la set-
tima degli Jl foresi, o degli Australiani (2).
Nello specchietto seguente si troveranno succintamente indicate le
suddivisioni di ciascuna delle predette razze.
(1) Lezioni orali di Geografia fisica. Pisa, ISSI, in 8. p. 609-642,
(2) Researches cit. I, 246-247.
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Distribuzione dette Razze Umane secondo il sistema del Prichard.
18
unno pittilo
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ci.Assinr.vzioMì.
Nnn si vedono figurare noi quadro molli popoli d'Asia, d'Europa
o dello Isole del Grande Oeenno , ma l' nidore "li ha nssoriali in un
gruppo elio chiama delle Razze Allofiliche, e che prima di lui altri de-
nominavano Scitiche, o Tschudo-l'goriane. Alcune di queste razze al-
lofiliche Prichard le ha riunite per formarne la razza Turaniana, ma
altre rimangono tuttora isolate nella sua classificazione , e sono gli
Ksralduni , o gli antichi lberi , incoli primitivi della Spagna, c di
alcuna parte della Brettagna , delle Gallio c dell’ Italia , le tribù del
Caucaso occidentali, centrali ed orientali, i Cotoni ed Ugoriani dalle
Isole Danesi fino alle rive dell' Obi , comprendendovi i Finni , gli
Tschudi, i Voguli de'Monli Urali, gli Ostiachi della Siberia, ed i Ma-
giari, od Ungheresi, e finalmente gli Aborigeni del Decàn e di Zeilan,
non che tutta la razza malese del Blumenbach , esclusi i Papù e gli
Alforesi.
Tutte le razze allofiliche hanno , secondo il Prichard , un ligame
che insieme le congiunge, il quale, siccome opinano i distinti filologi
Rudigcr, Dobrowsky, Rask, Arndt, consiste nella somiglianza di al-
cuni vocaboli , e in alcune leggi della lor costruzione grammaticale.
Sia pure, il che io non credo sostenuto abbastanza da pruove ; ma
perché dividere dalle razze allofiliche tutte le nazioni della razza tu-
raniana , e lasciar da canto, come solitari, i Lapponi , i Finni e gli
Ugoriani , cui non solamente la lingua e la forma del cranio e del
volto, ma eziandio la storia vi ricongiungono evidenlissimauienle? Si
può bene intendere, come gli Escalduni, i Caucasiani , c i creduti
aborigeni del Decàn e dell' Isola di Zeilan ricusino associarsi sotto
la stessa razza cui appartengono le nazioni della Grau Tarlarla, e i
Cinesi e glTndo-Cinesi, ma non si comprende egualmente perché non
delibano esser riuniti al gran ceppo delle nazioni iraniane cui tanto
li rassomigliano la forma del cranio e l'insieme delle fattezze e della
fisonomia. Quanto a’ Malesi ed a’ Polinesi , s’ ei non formano una
varietà distinta caratterizzata da impronte particolari , perchè nnn
riunire gli uni a’Turaniani , agli Iraniani gli altri , secondo il predo-
minio di alcuni caratteri nella fisica lor costituzione? Ovvero , non
potendo collegarli con gli uui e con gli altri, perchè non classarli iu
una razza a parte, come aveano fatto il Blumenbach e gli altri etno-
grafi che ne seguirono le orme?
Le varietà del Prichard che a noi sembrano perfettamente stabi-
lite, sono: l’Iraniana, la Turaniana, la Negra, l’Americana; ma, rispetto
a 1 Papù ed agli Alforesi , noi crediamo, che la loro separazione dalla
razza negra africana non sia sostenuta da valevoli ragioni ; imper-
ciocché la forma del crauio , la tinta della pelle ed altri caratteri di
minore importanza , anziché formarne razze particolari , sembra che
piuttosto li ravvicinino a’Negri dell’Africa. Altrettanto può dirsi degli
Ottentotti , i quali se la forma piramidale del cranio congiunge iu
qualche modo alle nazioni nomadi dell'Asia Centrale , i capelli e il
color della pelle piu agevolmente li collocano fra i Negri africaui ,
Kicolucci , Razze «mane — Voi. I. 4
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unno primo
50
cui gli avvicina evidenlemcnle la lingua clic favellano dimostrata dal
Bunsen essere una corruzione del cafro, come il boscismano si assi-
cura di essere una corruzione dell’idioma ottentotto.
Noi non recheremo innovazione nella distribuzione generale delle
varietà del genere umano, ma seguiremo il Blumenbacli nella deter-
minazione de’ tipi principali di ciascuna razza , e ci avvalemmo
de’ dati filologici perla ripartizione de’gruppi di ciascuna varietà. So-
lamente crediamo conveniente, per le ragioni che diremo a suo luogo,
di cangiare le appellazioni delle tre razze caucasiana , mongolica ed
etiopica del Blumenbacli, in quelle di Ariana , Tartaro-sinica e Me-
tanica, ritenendo gli altri due nomi delle razze Malese (che nomine-
remo nondimanco Malato -Polinesia) ed Americana ; il purché la nostra
classificazione comprenderà cinque varietà, o razze umane che sono:
l’ariana, la Metanica , la Tartaro-Sinica, la Malaio Polinesia e l'ame-
ricana.
Ba prima razza, ossia la Bazza Ariana, la divideremo in due rami.
l’Indo-Europeo ed il Semitico ; l'uno che riunisce tulli i popoli che
parlano lingue che si assorellano al sanscrito , la sacra lingua del-
l'India ; l’altro che abbraccia le nazioni, i cui linguaggi si rannodano
all’antico ebraico, e gli abitatori della misteriosa valle del Nilo, e di
tutta l'Africa settentrionale dai confini dell’ Egitto fino alle sponde
dell’ atlantico mare. Questa prima razza, che comprende la porzione
più bella c più civilizzata dell’ umanità, è distinta per la forma ovale
del cranio, quella forma che Blumenbacli chiamava caucasea, el’ri-
cliard simmetrica, od ovoide, con pieno sviluppo della sua parte su-
periore , per l’ ossa mascellari piuttosto anguste e non molto spor-
genti, pe’ zìgomi moderatamente incurvati , pe’ forami alveolari ver-
ticalmente situali, c che dan ricetto a denti, i quali seguono la mede-
sima direzione , per un angolo facciale che non si abbassa al disotto
di 75 gradi, ma può salire talvolta fino a 90. La figura del volto è
ovale con i tratti moderatamente prominenti , la fronte alta e spa-
ziosa , il naso sottile e leggermente arcuato , o almeno col rialto al-
quanto convesso , la bocca mediocre con labbra volte un poco al-
l’esterno, specialmente il superiore, ed a contorni graziosamente cur-
vilinei , ed il mento pieno e tondeggiante. Il color della pelle , dal
bianco latteo al nero fuligginoso ; i capelli folti, morbidi, distesi, dal
biondo d’oro fino al nero più intenso, accompagnanlisi al colore
deli’ iride, che dall'azzurro più vago passa parimenti al bruno ed al
nero.
La razza Metanica si divide in due rami, Africano ed Oceanico. Ap-
partengono al primo ramo i nativi d’Africa dal mezzodi del Deserto
lino al Capo di Buona Speranza : al secondo i Negri della Malesia e
della Polinesia , e i naturali dell’Australia e delle isole che ne fan
parte. Questa razza distingue il cranio prognato del Pricbard, e l’etio-
pico del Blumenbacli , cranio più allungato dell’ovoide , ma angusto
e compresso ne’lati , con fronte convessa , fuggente ali' indietro e ri-
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CLASSIFICAZIONE.
51
stretta ; zigomi proomincnti , mascelle proiettale anteriormente in
curva angusta ed ellilica , avendo la superiore i denti obliquamente
piantali e volti innanzi; il naso largo , schiacciato con narici tonde e
dilatate ; la bocca grande con labbra or tumide e volle in fuori , ed
ora sottili ; tutto il volto sporgente innanzi , massimamente nella
parte inferiore, col mento rientrante, e gli occhi suflùsi di tinte bilio-
se ; i capelli or lisci, or ricciuti, ora crespi e disposti a piccoli ciudi
imitanti la lana ; la barba scarsa e quasi sempre confinata alla sola
punta del mento; l’angolo facciale da 65 a 75 gradi ; la pelle mor-
bida e dolce, come se fosse di velluto, la tinta della carnagione sem-
pre fosca , ma di gradazione più , o meno intensa ; gli stinchi delle
gambe leggermente curvati all’ esterno , le caviglie molto elevate, il
piede largo, pesante e piatto.
Due rami compongono la nostra razza Tartaro-Sinica , distinto
ognuno da caratteristiche glossologiche particolari, cioè il ramo Tar-
taro ed il ramo Sinico. Il tipo fisico di questa varietà differisce nota-
bilmente da quelli onde sono distinte le due razze antecedenti ; im-
perciocché il cranio, che Bluraenbach appella mongolico, e Prichard
piramidale, ha una forma che direbbesi tetragona, essendo più ango-
loso che rotondato, con le ossa mascellari leggermente proiettate in-
nanzi, gli zigomi estesi lateralmente, l’arco ciliare appena percettibile.
Piana e larga èia faccia con le guance tonde e prominenti, piccoli gli
occhi ed inclinati obliquamente verso l’angolo interno, il naso corto,
piatto con piccole narici , i capelli neri , flaccidi , grossolani , i peli
scarsi sul mento e quasi nulli nel resto del corpo, il color della cute
dal giallo pallido al giallo brunastro, l’angolo facciale da’ 70 agli 80
gradi.
La razza Malaia-Polinesia , la quale abbraccia collettivamente gli
indigeni della Malesia e della Polinesia, esclusi i Negri che apparten-
gono alla razza Metanica , è caratterizzata da un cranio rotondo ed
elevato net vertice, più che non soglia esserlo nelle altre varietà, da
una fronte larga ma bassa , dalle arcate orbitali prominenti , da un
naso corto , largo con pinne esparse ed apparentemente rotto nella
sua radice, da una faccia larga e piatta, da una bocca anche larga con
la mascella superiore sporta infuori ed armata di denti obliqui , dalla
barba rara e da peli anche scarseggianti nel corpo , da capelli neri,
distesi e grossolani , dal color della pelle da un bruno chiaro al-
l'olivastro scuro.
La razza Americana che comprende i nativi del Nuovo Conti-
nente , nella immensa varietà delle forme secondarie che pur si os-
servano fra le numerose tribù delle quali essa è composta , ha molti
caratteri comuni e costanti , i quali sono : un cranio piccolo fra le
protuberanze parietali , elevato nel vertice e piatto nell’ occipite
occhi neri e profondamente situati , fronte bassa e zigomi proemi
ncnti ; il naso largo c spesso aquilino , la bocca larga con tumidi
labbra, i capelli ruvidi, neri e distesi, la barba scarsa e il color della
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52
LIBRO PRIMO
pelle generalmente rosso-cupreo nei Nordamericani, e rosso-arancio
nei Sudamericani, quasi nerastro ne’Californesi, mentre non son rari,
in qualche tribù della costa occidentale , gli occhi grigi c la carna-
gione biancastra.
Negli articoli consacrati a ciascuna razza in particolare saranno in-
dicate le ragioni delle nostre suddivisioni delle singole varietà, quasi
sempre poggiate sopra dati forniti dalla filologia. Intanto esponiamo
qui sotto il prospetto delle divisioni , secondo le quali saranno de-
scritte in quest’opera le cinque varietà ond’è composto il genere
umano.
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CLASSIFICAZIONE
53
I Razza Ariana
Ramo Indo-Europeo..
Famiglia Indiana.
— Persiana.
— Caucasia.
— Pelasgica.
— Iberica.
— Celiica.
— Germanica.
— Slava.
Ì Famiglia Siro-traba.
— Nilotica.
— Libica.
II. Razza M clanica
Ramo Africano . . .
Nazioni dell* Africa orientale a
settentrione dell' equatore.
Nazioni Stidaniche.
Nazioni della Ghinea.
Famiglia Cafra.
— Ottentotta.
( Gruppo Negrillo.
Ramo Oceauico { — Papuano.
I — Alforcse.
III. Razza Tartaro-Sinica...
1 Famiglia Finno-Ugoriana.
— Turca.
— Mungo Mica.
— Tongusa.
— Iperborea.
Ramo Sinico
/ Famiglia Cinese.
I — Coreana.
\ — Giapponese.
I — Indo-cinese.
IV. Razza Malaio-Polinzsia
{
Famiglia Malese.
— Polinesia.
V. IUzza-Ahericaha.
Gruppo Eschimese.
Tribù indigene dell’ America
settentrionale chiamate co-
munemente Indiani ilamei,
o Pelli Rosse di America.
Tribù della costa occidentale
dell'America settentrionale ,
dalla laja di Cook fino alle
foci del fiume Colombia.
Gruppo Californiano.
Nazioni indigene del Messico ,
dell’ Yucatan c del Guate-
mala.
Nazioni indigene della Repub-
blica (fella Nuova Granata.
Nazioni Ando-Peruviane.
— Pampeane.
— Brasilio-Guaranesi.
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LIBRO SECONDO
RAZZA Alti A X A.
Antiche Indizioni raccordiino, col nome comune di Ariani od Arii
( Anja , Anjyn (li), due popoli dislinli nelle vaste regioni ad oriente
e ad occidente dell’ Indo , gli uni al codice di Maini assoggettali , ed
obbedienti gli altri alle leggi di Zoroastre (2). Noi ignoriamo il mo-
mento in clic essi popoli non erano divisi , ma il nome di Aria •!)
conservatosi lungo tempo alla regione ch'or si chiama dell’Afgaui-
stan , e della quale Kralostenc c Strabene (1) variamente ci additano
i confini, ci induce alla probabile opinione, clic fosse stato quello il
paese che insieme abitarono i prischi Zeudi e gl’indiani, i quali, dopo
il grande scisma religioso clic separolli da’scguaci di Zoroastre, var-
calo l’Indo supcriore e gli affluenti di esso nella l'cntapotumia, si di-
stesero verso borea nella fertile valle di Casimira , e verso oriente
ncllindrapresta , o Deli , d' onde si allargarono a mano a mano per
(1) Burnoiif, Commentane sur le Vacua , l’un des livres religieux des
Parsis. Paris, 1853-1854, t. I, p. 460. — Lassai, Indische Al terthuinskuiide,
IS 13, t. 1, p. 6.
(2) Il nome Arya, nell' ultima letteratura sanar ritto, rimase limitato alle
sole contrade bramaniche, «fi’Arya-àvarta, la terra degli uomini nobili, de-
gli uomini onorevoli; ma fra i Persiani fu sempre una delle appellazioni
del lor paese, onde non solamente Dario, il Gran Re, nelle Iscrizioni cunei-
formi persepolitane dichiarate dal Rawlinson, Rurnouf, Lassen, si nomina
« Persiano figlio di Persiano, ed Ariano discendente di Ariano », ma anche
nelle Iscrizioni de’ Sassanidi illustrate dal de Sacy, il re è chiamato « So-
vrano delle razze ariane e non ariane ».
(3) L’Ariana de’ Geografi Greci, sanscr. Airyama ; zendo, Airjana, d’onde
anche Irak, ed Airyaka ; pelei, Ecriene. — Ved. la Memoria del Mailer sul
pelvi, nel Journal asiatique, avril, 1859, p. 298 e seg . — Zeitscbrift fiir die
Kumle des Morgenlandes , t. Ili, p. 284. — Kunik , Móianges asiatiques,
pubb. dalCAccad. delle scienze di Pietroburgo, ISSI, p, 619 e seg.
(4) Geografia, Lib. II, p. 7S. Ed. Casaub.
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MURO SECONDO
lo rimanenti province indnslanichc , occupato innanzi il loro arrivo
ila orde nomadi, probabilmente della stessa razza , ma più barbare ,
se Ivaggc c feroci. Gli Zendi d* altra parte si estesero, da un canto , a
seconda del corso dell’Osso , e dall’altro lino al Golfo Persico ed alla
Media (conciosiacbè anche i Medi si chiamarono Ecri, od Arii, 'Apio') ;
e da’ frammenti che ci rimangono dell’Avesla sappiamo, che prima,
guidati da un Gemscid, si volsero a popolare la ^uglrdha, o Sngdiana,
quindi la Verene, o la Persia, d’onde si sparsero per l’Armenia e per
le valli del Caucaso , dando quivi origine al maggior numero delle
popolazioni stanziate in quella estesa catena di montagne.
L’identità nazionale fra i Zoroastridi, vale a dire fra i Battriani, i
Medi ed i Persiani, è confermata eziandio dall’autorità di Nearco, il
quale udì parlare fra quelle genti dialetti di una medesima lingua (1),
probabilmente della vetusta zendica , nella quale sono dettati i più
antichi frammenti de’ libri magici, e che serba col sanscrito le mede-
sime corrispondenze che il Ialino ha col greco , e il uicso-gotico col
norso (2).
Un grande gruppo di popoli, staccatosi dal primitivo ceppo ariano,
certamente assai tempo innanzi la separazione de’ Zoroastridi dagli
Indiani, mosse il passo per le foreste vergini dell’Europa, e in diverse
migrazioni occupò la Grecia, l’Italia, l’Ibcria, le Gallie, la Brettagna,
la Germania , e i paesi oggi tenuti dalla estesissima famiglia degli
Slavi. Le ricerche filologiche hanno messo in chiara luce l’ intime re-
lazioni fra la lingua zendica, la samscradanica e le diverse favelle di
Europa (3) ; dal che si è tratta la importante deduzione della prove-
nienza asiatica degli Europei, e della origine loro comune co’Zoroa-
(1) Altrettanto afferma Strabane, a pag. 274 dell’edis. eit, : Kt’si Itapsai,
Miytni, BaxtjJiot tfpoaa^xroi xai -uy^tjtvoi «rvs òfxoyX'errot «l'atra [intfov.
(2) Uapp, Vergleichcnde Grammatik des Sanskrit, Zend u. s. w. Berlin,
1845. Vorred. Prima degli altri il P. Paolino da S. Bartolomeo area no-
tato, « che tutte le parole mendiche hanno una radice samscradanica, e ben-
ché esse siena state corrotte per uno spazio di mille anni in Persia , nondi-
meno conservano ancora l’essenza samscradanica». Viaggio alle Indie Orien-
tali. Roma, 1796, p. 268.
(3) Burnouf, Alti ni té du zend avec les dialectes germaniques, nel Nouv.
Journal asiatiq. t. IX, 1852. — Bopp, Verglcich. Gramm. cit., e Glossa-
rium sanscritum , in quo omnes radices et vocabula usualissima explican-
lur, et clini vocabulis gracis, latinis, germanicis, lithuanieis, slavicis, cel-
ticis romparantur. Serotini, 184 7. — Pictet, Lettre à M. Schlegel, Journal
Asiatiq. 1830. — Eichhoff, Parallèle des langucs de l’Europe et de Linde.
Paris, 1856 . — Poli, neM’Encyclop. di Ersch e Gruber, art. Indngermanr-
scher Spraclistamm. — Rapp, Grundriss der Grammatik der indisch-euro-
pàischen Spraehstammes. Stuttgart, 1854. — In una sua dissertazione De
antiquitate et aflinitate lingua: zendicaa, samscradanica: et germanica:. Po-
tarli, 1798), il P. Paolino raccolse molte voci sanscritte e zendiche, e mes-
sele a riscontro fra di esse e con gli idiomi latino e germanico, dimostrò
t affinità che intercede fra le lingue indo-persiane cd » sermoni di Eungia.
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RAZZA ARIANA.
57
strilli e con gl’ Indiani ; i quali (ulti insieme compongono il primo
ramo della Razza Ariana, il ramo Indo Europeo, che noi scoinpar-
liamo in olio famiglie etniche : Indiana, Persiana, Caucasea, Pelasgica,
Iberica, Celtica, Germanica, Slava, in corrispondenza degli otto par-
ticolari gruppi d’idiomi che si dividono i parlari di tutti questi
popoli.
Un altro ramo della medesima Razza Ariana, disgiuntosi dal ceppo
originario anche molto prima che i Zendi lo fossero dagli Indiani , e
quando forse i loro idiomi non aveano ancor raggiunto un grande svi-
luppo, nè fissale stabilmente le loro grammatiche , popolò l’Arabia ,
la Palestina, la Fenicia, la Siria e la Mesopotamia. Passato in Africa,
si allargò da un canto in tutto il liltorale nordico fino alle sponde
dell’Aliautico , e quinci lino alle Isole Fortunate , e dall’altro per le
fertili rive del Nilo , dalle foci alle sorgenti , e per tutta la costiera
battuta dalle onde dell'Eritreo.
Noi daremo a suo luogo le pruove delle strette relazioni che cor-
rono fra le tre famiglie che compongono questo secondo ramo della
Razza Ariana, le quali chiameremo Siro araba. Nilotica, Libica, e qui
ricorderemo soltanto le ragioni per le quali rannodiamo il ramo
semitico all’altro ramo de’ popoli Indo-Europei. Già entrambi i gruppi
non presentano alcuna fisica essenziale differenza fra di essi , i quali
soli , fra le altre umane razze , posseggono il sovrano carattere della
bellezza; ma dal lato filologico neanco s’allontanano gran tratto l’uno
dall’altro, non ostante queirapparente eterogeneità che sembra scin-
dere le famiglie de'loro idiomi. Grazie agli studi di filologia compa-
rata inaugurati, non è molti anni, in Alemagna, può oggi asseverarsi,
clic vi ha tale analogia fra gli alloqui semitici e i parlari degli Indo-
Europei, che bene può stabilirsene la reciproca parentela , e la filia-
zione, per cosi dire, da una medesima lingua originaria, o matrice :
lingua rudimentaria, forse analoga al cinese, gli elementi delia quale
durano tuttora nelle radici bilitterali dell’ebraico , le quali offrono i
piu notevoli ravvicinamenti con le radici analoghe delle lingue Indo-
Europce. Tale almeno è la opinione, non dirò solamente di Furst (1),
e Delitzsch (2), i quali ci sembra che abbiano tropp’ oltre spinto il
loro metodo di comparazione , ma di Bopp (3) , G. de Humboldt (4),
(I Ucdirgebìtude der aramìiischcn Idiomi’ mit Bezung auf die indo-ger-
manischen Sprachen. Leipzig, 1855 . — Perlenschnùrc aramSiscliertìnomen
und Lieder. Leipzig, 1850, XIV-XV. — Librorum sacrorum concordante.
Lipsia, 1840, Prefaz. — Debraiseli. u. chalditisch. Handwiirterbuch. Leip-
zig, 1852.
(2) Jcsurun, sive Isagoge in grammaticam et lexicographiam lingua; ho
hraiciu contra Gcsenium et Ewaldium. Grimmw, 1858, p. 158 e seg. — Die
qui narc und vigesimale Zalilniethode. Halle, 1847.
(3) Wiener Jahrbiicher, 1828, t. XLII, p. 242 e seg.
(t) Ueber die Vcrschicdenheit des mcnsclilichcn Sprachbaues ; nell’In-
troduz. alla sua grande opera sulla lingua kavi, CCCXX VI - VII.
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58
unno secondo
Gesenius (1), Lassen (2), Ewald (3), Lepsitis (4) , Poti (o), [.uzza-
to (G), Dietrich (7), Bunsen( 8 ), Boelligcr (9),Kunick (10) ed altri (11).
Tra i molti esempi ch'io potrei addurre , mi contenterò solamente
di citare i radicali bilitteraliy *7 • o jq * 7 , i quali si trovano nelle radici
delle voci semitiche ed ariane che denotano qualche cosa di fonda-
mentalmente analogo al leccare, o inghiottire ( 12 ) ; e il radicale ^ J , che
è il substrato di tutti i vocaboli semitici ed ariani che indicano globo,
gl omero, agglomerare (13).
Le radici JfQ, o “tDQ. si trovano associate , in entrambe le fami-
glie linguistiche, all'Idea di mescere, mescolare (14); c il radicale
alle voci che indicano glabro, glabrosità, levigatezza lo). La radice
trovasi in cornu lai ■ , horn tedesco , kern celtico ; in aria pelvi,
(1) Lexicon manuale hebraicum et chaldaicum. Lipsia 1 , 1847, Prefaz. c
LchrgcbSude der hebr. Sprache, p. 485 e scg.
(2) lndischc Alterthiimskundc, I, 528.
(3) tirammatik der hebr. Sprache. Leipzig, 4855, 2. ediz. § l) e scg.
(I) Zwei sprachvergleichendc Abliaudlungen , 1. Ueber die Auordung
und Verwandtscliaft des Scmitischcn , Indischen , xEthiopischen und Alt-
Asgyptischen Alpbabets. 2. Ueber don Ursprung und die Werwandtschaft
der Zalilworter in der Indo-gcrmanischeu , Scmitischen , und Koptischen
Sprache. Berlin, 4856.
(а) iVWl'Enciclopcdia diErsch eGruber, art. Iudo-germanischcrSprach-
stamm.
( б ) Prolegomeni ad una grammatica ragionata della lingua ebraica. Pa-
dova, 1856, p. 84 e scg.
(7) Abliaudlungen fiir scmitische Wortforschung. Leipzig, 1844.
( 8 ) Outlines of thè philosopliy of universal history, applied to languagc
and religion. London, 4854, t. 1, p. 47 2 e scg. 242 e scg.
(9) Wurzelforschungen. Halle, 4852, e On thè classilìcatiou of semitic
róots, appcnd. B. al t. II. delle Outlines del Bunsen.
(10) Loc. cit. p. SIS e scg.
(II) Le radici verbali semitiche, nel loro attuale stato sono trilittere,
ma fra queste Itamene alcune, che sono tali solamente per una finzione gram-
maticale, come i verbi detti concavi e geminati che rimangono trilittcrali e
monosillabici in quasi tutta la loro coniugazione ; ed altre, le quali, benché
trilittere, si distinguono per la debolezza di una lettera radicale, che, in certi
casi, divien vocale, o non si pronunzia punto, come ne'verbi che si chiamano
deboli, o imperfetti. Le radici poi decisamente trilittcrali hanno sempre una
lettera piti debole delle altre, la quale sembra avere minori attinenze col fondo
della significazione, ed esservi stata aggiunta più tardi, o sovrapposta.
(12) Sanse, liti (leccare), lag (gustare), lauk (parlare); \sl%v,\s%iUv\ Ungo,
ligurio, lingua, gula (gl), glutio; ted. lecken, lechzen; ingl. to lick ; frane.
léchcr ; celi, lonkan ; e con l’aggiunta delle labiali b e d, lamberc Xaigós ,
XiftTK, labium, sanse, lap. ted. Lippe, etc.
(13) Glomus, glomerarc, globus, xAóu, «vXivS», etc.
(11) Sanse, mis, miscco ; poi. mieszan ; ingl. to masti ; ted. mi-
sclieu ; celi, meskau.
(15) Glaber, calvus, ykoiu;, yXir/pos, glacies, glisco, gluteo; ted.
glatt, Glas, gleisseu, gliiuzcu.
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HA ZZA ARIANA.
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ariha gal., Erde (ed. terra ; riempire (sanscrito pr. o pur) , in
«■X*?, «•^irXruxi, pfenus, implere, filllcn, lo fili, polac. pilny ;
O'yiff in salvia, salta etc.; nSN *n <4®, off 1 } etc *
Indipendentemente da siffatte similitudini, altre ve n’ ha pure delle
più intime relative alla identità de’ pronomi e de* nomi numerali di
ciascheduno de' due gruppi d’ idiomi , come mostra il seguente con-
fronto fra i pronomi e i numerali ebraici , c i corrispondenti nelle
lingue indo-europee (1).
Pronomi.
1.* pers. singol. ct-ni (2) — im (beoz.) per iyù>\ ego, lat.; io, ital.;
ich, ted. ; uh-am sanscr. : ravvicinamento dubbio.
1. ‘ pers. plur. an h-nu — »», nos, celt. ny.
2. * pers. singol. an-la — indo -europeo lu.
3. ® pers. singol. hu, hi — pere, o, celt. han, hi.
Nomi numerali.
\ . ehad — sanscr. eka'ì
2. s na(yim), o lna[>jim) — sanscr. dei, gol. nca, etc.
3. slos (3), o llat — tri, v* 1 ’?, etc. per la permutazione del l in r.
6. ses — sanscr. sta, «5, sex, etc.
7. sòa — sanscr. saptan , seplem , eie. ; il l non è essenziale : got.
sibun, ted. sieben, ingl. smn.
Niuno per fermo vorrà dire essere fortuite colali rassomiglianze, o
dipendenti datla sola identità fonetica onde certe idee sono espresse
nelle lingue di quasi tulli i popoli; imperciocché siccom’ elio si ravvi-
sano tanto nelle radici che possono allogarsi nella classe delle onoma-
topee, quanto in quelle appartenenti a vocaboli convenzionali , nei
nomi di numero, e finalmente in certe voci (pronomi) che denotano
i primi rapporti che l’uomo, individualizzandosi, instituisce col resto
del mondo esterno, cosi ci pare, che provino abbastanza e l’ antichissi-
mo connubio esistito fra Semiti ed Indo-Europei, e l’ unità della razza
onde procedono e I’ uno e l’altro ramo di popoli : conclusione con-
validata eziandio da prnove di un altro genere , le quali si raccolgo-
no da alcune reliquie di tradizioni primitive conservatesi fra Semiti
ed Ariani , e riconoscibili tuttora in alcuni miti variamente alterati
delle loro antichissime religioni. Tra i quali , secondo notava prima
l’Ewaid (4), è la credenza in uno stato primitivo di perfezione, l’idea
(1) Dal Renan, Histoire gònérale et système comparò des langucs sérni-
tiques. Paris, 1855, p. 438.
(2) An costituisce un sostegno comune alla maggior parte de' pronomi se-
mitici. In aratneo ed in arabo, il pronome della prima persona è ana ; ma
il pronome affisso è i , come in ebraico : or la forma del pronome affisso è
più essenziale di quella del pronome isolato.
(3) A (ine di rendere più sensibile il parallelismo si è trascritto lo schin
ebraico ( {Jf ) per la semplice sibilante s.
(i) Geschichlc des Voikes Israel, t. I. p. 302 c seg. 2. ediz.
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unno secondo
60
delle età favolose clic hanno preceduto l’istoria , e la tradizione del
diluvio universale. Quest’ ultima non sembra alcerto straniera all’In-
dia antica (t), siccome inclinavano a credere il Burnouf (2) ed il Las-
sen (3), ina è parte eziandio dell’indiana cosmogonia , giusta le re-
centi investigazioni sui Veda di R. Rolli (4), A. Weber (5), Fr. Win-
dischmann |6), A. Kuhn (7). Quanto al paradiso terrestre, all'albero
della vita , alla caduta dell’uomo, al serpente tentatore, vi si ricono-
scono grandi analogie colle favole bramanicbe intorno alla culla del-
l’umana specie, c più ancora intorno a certi miti del Vendidad-Sadè,
non improntati da’ Semiti dopo il contatto intellettuale , ('innovella-
tosi in epoche posteriori , fra essi e gli Ariani, ma conservatisi in en-
trambi i popoli, come ricordanza di fatti antichissimi succeduti nel-
l'aurora dell’umanità.
Probabilmente nello stesso ciclo delle tradizioni semitiche ed indo-
europee potrebbe comprendersi quel Tubalcain della Genesi, gran pa-
triarca della metallurgia (8), il quale Ruttmann (9) raflìgura in Vul-
cano (To-óbuiyos, come To-ì i j(‘15 = Turms= Terminiti , o 3s).x*yói, for-
me etrusche ) (10); que’ Krubim (11) , che Iddio fa abitare ad oriente
dell’Eden per difenderne l'entrata, e che verosimilmente sono i Ca-
nuta, o i Griffoni ( krub-yp *•) guardiani de’tesori de’ monti auriferi
in tutti i miti ariani (12); quel Jafcl, noacbido, il quale ha tanta ana-
logia col Titano iaV«ro5, figlio di Urano e di Gea , e padre di Aliatile
e di Prometeo, ed avo di Dcucalione, parente di tutta l'umanità post-
diluviana (13), senza far menzione di altri confronti non meno evi-
denti raccolti singolarmente dall’Ewald, dal Ruttmann, dal Renan ,
dai quali confronti vieppiù chiara emerge l'antestorica parentela dei
Semiti e degli Ariani , e la loro etnica non contrastabile affiuilà.
(1) Id. ibid. I. 561, e Jahrbiicher der kiblischen Wissenschaft , 1832,
t. IV. p. 227.
(2) Bh&gavata Purina, t. III. p. XXXI, LI. Vcd. anche F. Néve , La
tradition iudienne du déluge dans sa forme la plus ancienne. Paris, 1851.
(3) Indische Alterthumskunde. Nachtrage, p. XCIII.
(4) Miinchencr gelehrte Anzeigen, 1849, p. 26 e seg. — 1850, p. 72.
(5) Indische Studicn, ISSO, I. I. p. 161 e seg.
(6) Ursagen der arischen Vòlker. Munchen, 1862, p. 4 e seg.
(7) Zeitschrift fìir vcrgleichende Sprachforschung , 1854, t. IV. p. 88.
(8) IV. 22 — Sella quoque genuit Tubalcain , qui fuit malleator , et fa-
ber in cuncta opera ceris et ferri.
(9) Mythologus , odor gesammelte Abhandl. tiber die Sagen des Alter-
thums. Berlin, 1828, 1. 1. p. 164.
(10) Renan (op. cit. p. 460) vi rannoda, col barone d’ Eckstein ( Athe-
nocuin francai* , 19 aoùt, 1854 p. 775.) la ricordanza dell’antica corpora-
zione di Tubai ( Tibareni, Chalibi), analoga a’ Telchini della Grecia.
(11) Genesi, III. 24 . — Collocavit (Dominus Deus) ante paradisum vo-
luptatis Cherubini (Krubim) . ... ad custodiendam viam tigni vitae.
(12) Tuch, Kommcntar iibcr die Genesis, p. 96-97.
(13) Knobel, Die Volkerlafel der Genesis, p. 21-22 — Buttmann, Mytho-
logus, I. 222 e seg — Renan, op. cit. 461.
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SEZIONE PRIMA
RAMO INDO-EUROPEO.
CAPITOLO I.
FAMIGLIA INDIANA.
Sono gli Indiani di persona ben fatta, ma nou molto robusti : le
mani ed i piedi hanno più piccoli degli Europei, ovale il volto, la
fronte elevata , gli occhi grandi e neri come i capelli, che sono anche
morbidi e delicati, i sopraccigli dolcemente inarcati , il naso profi-
lato, la bocca mezzana con labbra sottili e denti bianchi, ben fatti e
bene impiantati, la barba folta e lunga, il colore delle carni più
o meno scuro secondo i luoghi in cui vivono, e la maggiore o mi-
nore esposizione abituale ai raggi del sole. Tali sono gli Indiani
descritti dagli antichi e da’ moderni viaggiatori. E se tra le vetuste
memorie, quelle che ne serbarono Onesi cri to eNearco, e quelle che
ne conservò Megastene, il quale penetrò più oltre delle terre conqui-
state dal macedone eroe , ci furono dal tempo involate, qualche rag-
guaglio pur ne troviamo presso Strabone, Arriano, e soprattutto pres-
so Q. Curzio Rufo, Plinio il Seniore , e Dionisio Periegete , i quali
uniformemente ci dicono : somigliare gli Indiani , nel colore , agli
Etiopi , ma per la chioma e per le fattezze non essere dissimili dai
nativi di Europa ; da che essi argomentavano quanto fosse potente
Io influsso dell’atmosfera, e i diversi effetti del calore secco e del ca-
lore umido sulla costituzione fìsica e morale dell’ uman genere. Q.
Curzio scriveva: « Ingenti hominum, sicul ubique, apud illos (Indos) ìo-
eorum quoque silus formai » (1); e Plinio: « A Gange versa ad meridiem
plaga lingunlur sole populi,tim quidem infecti, nondum tamen Mhiopum
modo exusli: guanlum ad Indura acceduti , tantum colore praeferuti si-
li ) De rebus gestis Alex. Magni , Vili. 9.
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G2
LIBRO SECONDO
dm (1); » e Dionisio Pcriogele in quo’ versi del suo poema « Della
Posizione della Terra », i quali suonano cosi tradotti nel volgar nostro:
Ultima l’India, amabil terra, s’apre,
Cui lambe l’Ocean l’estremo lite.
Sorge di là per l’oriente il sole,
E lieto de’ suoi raggi l’ incolora ,
Onde di fosca e d’abbronzata pelle
Il sembiante a que’ popoli cosparso,
E del nero giacinto il crino ò tinto.
Ivi chi l’oro a trar fende la terra,
Chi nella spola i nervi stanca e i polsi,
O i bianchi in intagliar lucidi avori,
O dall’onda che rapida diroccia
Toglie i berilli c i vividi diamanti.
Felice in uno clPè, ricca ed amena:
Offre a’ procaci tauri in copia il prato
Cui , divertita in cento rivi, irriga
Un'onda pura che perenne sgorga.
Tra i moderni il Gemelli Carreri, che visitò l’India al tempo del
florido impero del Gran Mogor , descrive gli Indiani come ben falli,
con capelli neri e Unta olivastra ; e il francese Le Gentil , che la percor-
se in tempi a noi più vicini , dice di essi : « che generalmente sono
belli , che le donne sono piacenti e di forma europea ; e che la casta
bramanica vince le altre in bellezza, poiché sono in mezzo ad essa
le più leggiadre donne, c i fanciulli più avvenenti dell’India (2) ».
Ecco poi di quali espressioni si serve il Dubois vissuto molti anni ,
in qualità di missionario, nel Misore: « Gli uomini che si danno ai
lavori agricoli , e che rimangono sempre esposti a’ raggi solari , non
hanno la pelle men bruna de’ nativi della Cafrcria e della Ghinea,
ma il più de’ Uraniani, e di coloro che lavorano riparati dal sole, o
menano una vita sedentanea, hanno il colore della pelle molto men fo-
sco. Un Bramane un po’ nero, ed un Paria un po’ bianco sono cre-
duti entrambi mostruosità, quindi il proverbio: « diffidati da un Bra-
mane nero e da un Paria bianco ». Il colore più stimalo de'Bramani
è di un rame giallognolo, ovvero di un infuso chiaro di caffè; le don-
ne che attirano maggiori sguardi sono quelle dal colore del pan pe-
pato (pain d’épice). Io ho veduto Bramani, e le donne loro massi-
mamente, assai men bruni di molti naturali dell’ Europa meriggia ;
ma tutti gli Indiani de’due sessi hanno le palme delle mani e le pian-
te de’ piedi bianche quasi al pari di noi. »
« Vivono sulle montagne, e nelle dense foreste della costa del Ma-
labar alcune orde di selvaggi di carnagione molto più chiara , e la
(1) Hist. Nat. lib. VI. cap. 19.
(2j Voyage aux Indes. Paris 1798-81.
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IlAZZA ARIANA-FAMIOIIA INDIANA. 63
causa di lai fenomeno è cerlamenle dovuta alle temperie e alla natu-
ra del paese, non meno che all’ombra degli alberi fronzuti che li ri-
parano dagli ardori del sole. . . . Hanno gli Indiani generalmente i
capelli neri e morbidi, la fronte stretta, gli occhi neri ed anche gri-
gi talfiata , e gracile complessione; le gambe sempre volte in dentro
e un po’ curvate, effetto dcH’abiludine di sedersi per terra con le
gambe incrociate come stanno i sarti a cucire. Polpaccio punto non
hanno, anzi Taverne è tenuto da essi per cosa difforme (1). »
l,a varielà del colorito degli Indiani è stata considerata sotto un
aspetto molto filosofico dal vescovo Herhcr, che ne parla ne’ termini
seguenti. « lo rimasi non poco sorpreso dalla varietà di tinta che mi
presentavano gli Indiani, poiché nella folla clic circondavano ione
vedeva alcuni non men bruni de’Negri, altri del colore del rame, ed
altri foschi al pari de’ Tunisini da me visti in Liverpool. Feci parte
della mia sorpresa al Direttore del Bishop' College , il signor Mill , il
quale era venuto ad incontrarmi col signor Cowic, uno de’cappella-
ni in servigio della Compagnia, e quegli mi rispose, che egli mede-
simo, il quale conosceva l'India piu che altri mai, non avea mai po-
tuto spiegarsi quella varietà , che è generale in tutto il paese, e do-
vunque osservabile. Non è solamente la maggiore , o minore esposi-
zione a’raggi del sole che sia causa di tali differenze, conciosiaché no-
tasi ancora fra i pescatori che sono tulli egualmente nudi ; nè man-
co dipende dalle caste, poiché si vedono spesso uomini neri nella
casta più elevala, fra i Uraniani, ed uomini bianchi nell’ infima casta
de' Paria. Questa differenza sembra doversi tenere per meramente
accidentale, come è in Europa; e se presso gli Indiani è più contem-
plabile , egli è solamente perchè questi hanno scoperta abitualmente
una più gran parte del corpo (2). »
Nondimeno se fino ad un certo punto è accettabile T opinione del
vescovo Herber, non è del tutto riprovevole quella degli antichi so-
stenuta ancora da molti scrittori moderni , intorno all’influenza del
clima e della maniera di vivere sulle varietà delle forme fisiche del-
1’ uomo. Intanto io non posso dispensarmi dal riferire , come sug-
gello di quanto ho esposto su’ caratteri naturali degli Indiani , il
seguente brano di un’opera di un acuto osservatore , che è vissu-
to molli anni in mezzo a que’ popoli , de’ quali fa la descrizione che
segue. « Gli abitatori delle pianure generalmente sono più pic-
coli e più svelti de' montanari, o almeno degli abitanti gli altipiani
i quali sono più alti e più muscolosi, ma e gli uni e gli altri sono
agili, di forme eleganti e capaci di sostenere gravi fatiche: tutti o
quasi tutti assai adatti alla vita militare. Pochi uomini contraffatti si
vedono, ma la cecità, per diverse cause, è molto comune. Il colore
(1) Moeurs, institutions et cérémonies des peuples de l’Inde. Paris
4825.
(2) Narrative of a jonrney through thè upper province# of India , from
Calcutta to Bombay. London, 1828.
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64
LIBRO SECONDO
del popolo varia secondo il clima e In circostanze , da un olivastro
cupo volgente al nero, ad una ricca tinta bruna leggermente olivastra
molto simile a quella degli Italiani del nord, o dei Provenzali; ma ne-
gli Indiani lo spirilo è si ben dominato, clic di rado lasciano travede-
re al di fuori le interne emozioni. Ovale è il contorno del viso, alta
la fronte, ma lievemente depressa, neri gli ocelli, la barba, i capelli;
le sopracciglia inarcate; il naso e la bocca di forma europea, lo sguar-
do calmo e tranquillo distante egualmente si dall’aspetto tetro e fe-
roce del Malese , che dall’espressione passionata del Persiano , o del-
l’Arabo. Il busto generalmente è di belle proporzioni, il petto largo
c rilevato, il (aglio della vita snello, bene articolale le braccia , c le
mani piccole, ma nervose; le estremità inferiori piuttosto gracili, ed
il piede piano, gli alluci brevi, ma ben distaccali e pieghevolissimi.
« Si trovano spesso fra i Itadjaputi e i Montanari del nord uomini
di statura gigantesca , che per le proporzioni e l’ erculea forza loro ,
sarebbooo osservabili in lutti i paesi dell'Europa, « Gokul-I)ass, di-
ce il colonnello Tod, l'ultimo capo di Deoghar.era neli'aspeltoe nel-
la complessione un degli uomini più belli ch'io abbia mai veduti: ave-
va circa sei piedi e sei pollici ( misura inglese ) di altezza , aveva la
robustezza di un Ercole, e teneasi perfettamente ritto ; il padre di
lui, nell’età di venti anni era molto più grande, e doveva aver avuto
un’altezza quasi di sette piedi». Le donne, quando non sieno abbron-
zite e afflosciate dal sole e da un lavoro eccessivo, quasi sempre sono
di gran bellezza: piccole e tonde hanno le membra , le articolazioni
pieghevolissime, la (ìsonomia dolce, gli occhi neri e languidi , i ca-
pelli lunghi e setosi, e la pelle di maravigliosa delicatezza c morbi-
dezza. Fra tutte le donne indiane più vaghe sono quelle appartenenti
alla casta bramanica : ammirevoli ne sono il collo, le spalle ed il pet-
to; i membri ben fatti e ben contornati ; i movimenti facili e insie-
me nobili e graziosi ; il volto di un bello ovale greco , il naso lun-
go e diritto, il labbro superiore graziosamente formato, la bocca pic-
cola, il mento tondo. Gli occhi velati da lunghe ciglia nere e sot-
tostanti a sopraccigli elegantemente inarcati, sono grandi, umidi e ri-
boccanti di espressione. A raccorre tutto in poco, è diffìcile di vede-
re un essere più grazioso di una donna indiana di casta superiore , c
non v’ ha cosa , (ino alla tinta dorata di quella pelle si dolce, si egua-
le, si lucente , che non richiami gli sguardi, e non ecciti l’ammira-
zione (1). »
Si cercherebbe invano, negli annali dell’antichità, se l'India fosse
Stata abitata innanzi che vi giungessero gli Ariani , e se il vario co-
lore di que’ popoli indicasse varie razze che ivi si stabilirono. Le ri-
cerche de'modcrni indurrebbero alla credenza, che gli Ariani, al primo
entrare che fecero nell’India, avessero avuto a combattere con popoli
neri che già vivevano in que’ paesi, e che riuscendo di questi viuci-
(t) L’Inde p. Dubois de Iancigny, aidc du camp du Roi d’Ondc ; nel-
rilnivers pittoresque pubblicato da Firmin Didot a Parigi, 1843 , p, 52.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA INDIANA. 65
tori gli inducessero a ricoverarsi io parte sopra i monti, dove tuttora
vivono in modo barbaro, come sono i Gondi e le popolazioni de’ver-
santi de' Monti Vindia , i Billi delle montagne boscose di Malwa e
del Guzaratte, e le tribù montanine di Orissa; e in parte li riunissero
Della classe più vile ed abbietta del popolo, i Paria. Ma queste opi-
nioni sono poggiate sopra tradizioni puramente mitiche, poiché il co-
dice di Manu altro non ricorda, se non le diverse vie che seguiro-
no gli Ariani nello stabilirsi nella Penisola , ed i Purana non dicono
già che il Decàn e l’isola di Zeilan fossero tenute da razze diverse
dall'indiana, ma soltanto che Rama dall’Indostan invadesse il Decàn,
e quinci veleggiasse per l’ isola Taprobane, e che facesse guerra ai
popoli del Decàn , ed al potente Ràvan, sovrano di Zeilan. A me
parrebbe più accettevole l’opinione di F. Schlegel (1), che, cioè le
continue discordie e le dissensioni che seco recar dovea la costi-
tuzione politica dell’India, spingessero la parte più abbietta ed op-
pressa della nazione a liberarsi da’ suoi tiranni, o riparando sui monti
dove riaequistava libertà , o immigrando in altri luoghi dove rag-
giungerla non fosse dato alla potenza de’ suoi padroni, del che ren-
derebbe anche ragione la somiglianza fra gli idiomi deU’lndostan, del
Decàn e dell’Isola di Zeilan.
Quanto a’rapporti storici dell’India, le tradizioni nazionali si con-
fondono con le idee mitiche in modo da non poterle separare. Dio-
doro menziona, come avversario di Semiramide , un regnatore del-
l'India, Stabropate. All’epoca di Alessandro, nelle province da lui
conquistate, compaiono re e nazioni impure, non divise in caste, né
obbedienti a Monarchi (2). Poro ebbe un regno che venne più tardi
in potere del luogotenente delia Battriana. Un'altro regno, quello dei
Prasi , ebbe a città capitale Palibotra dove si fece re Sandracotto che
appare confederato con Seleuco Nicatore, e che resistè con suo Aglio
Amitrocate agli sforzi de’ Greci Battriani che miravano ad estendere
più oltre nell’India la loro influenza. Le notizie indigene raccordano
ancora per notabile re di un regno gangetico, il quale ebbe il suo cen-
tro in Aiodia (Oude) , e si estese in diversi tempi e modi al Pengiab
e al Decàn, Vicramaditia I, lo scacciatore de’ Sacbi (Sciti suben-
trali al posto de’ Greci Battriani) dall’india occidentale e nordica; poi
Vicramaditia II, pervenuto al governo 191 anni dopo G. C. , e sotto
cui il bramanismo ed il buddismo entrarono in pieno conflitto; Anal-
mente Vicramaditia III, salito al trono nel 441, e i successori di esso
cbe governarono in tutta i’ India Ano a che gli Afgani non occupa-
rono la parte N.O.per esserne a lor volta discacciati da’Mongolli cbe,
sotto la condotta dei vivace e valoroso Baber, fondarono uno degli im-
peri più potenti che sieno mai stati al Mondo, conosciuto col nome di
(1) Essai sur la langue et la philosophie des Indiens, trad. p. Mature.
Parie, 1837, eap. III.
(2) Strab. Lib. IO. e lib. XV.
Nicolvcci, Rane umane — Voi. I. 5
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T.1BRO SECONDO
* Gran Mogor » — Durante t’ anarchia che successe all’ invasio-
ne di Nadir-Sciah , i Suabab e i Nabab si resero ciascuno inde-
pendenti nella propria provincia : i re di Cabul , Misore . i Seiki , i
Maratti, il Nidzam e gli Inglesi disputaronsi la ricca eredità di Akbar
e d’Aurangzeb. La bravura personale di un governatore delle Indie,
la politica avveduta di un (Uro, la saviezza e la bontà di un terzo ,
secondate da circostanze fortunose , resero in pochi anni gli Inglesi
padroni di quasi tutta l'India, ed offrirono (dice assai bene il Balbi)
uno spettacolo nuovo nel mondo, di un pugno di Europei, al soldo
di una compagnia mercantile, conquistatore di uno de’più ricchi im-
peri della terra, e dominatore di più di cento milioni di asiatici.
Nè Alessandro, nè i Greci, che si lungamente rimasero al governo
della Battriaoa , conobbero la sede della vera civiltà indiana , e par-
rebbe anzi , a udirli raccontare , che que’ popoli fossero stati poco
meno che barbari. A' moderni scrittori dobbiamo intorno allo stalo
politico, religioso, e civile dell'India antica ragguagli compiuti , dai
quali trarremo sol quanto é richiesto a darne una succinta conoscen-
za ai nostri leggitori.
Il popolo indiano ripartivasi in quattro caste, di cui sono oggi in
gran parte scomparse le differenze: casta de’ Uraniani ( Bràhamanas)
uscita dai capo di Bramina, la piu nobile, e tutta di soli sacerdoti; ca-
sta dei Csatrii (Kschatryas), o Badjaputi, venuta fuori dalle braccia di
quella divinità, e formata da’guerrieri fra’quali sceglievasi il re; casta
de'Visi (Visàs) generati dall’anca di Bramma, e comprendente gli agri-
coltori, i possidenti, i banchieri e i mercatanti; casta de’Sudri ( Su-
dràs ) emersa da’ piedi del Nume, e composta da tutti gli artieri, ma-
nifatturieri e servi. Le classi impure traevano l’origine dal frammi-
schiarsi de’ membri delle quattro caste pure con donne che del lor
sangue non erano. Tale generazione era colpita di anatema, e riuniva
le infime classi dei popolo, i Paria, considerati da manco dei Sudri.
Bramma , dicono i Veda, è quel che è, rivelandosi nella gioia e
nella felicità. Il mondo è il nome e l’immagine sua: egli solo realmen-
te sussiste , tutto comprende in sé , ed è causa di tutti i fenomeni.
Non conosce limiti di tempo e di spazio , non perisce , è anima del
mondo e di ogni essere in particolare.
Bramma venne a rivelare la sua volontà ne’qualtro Veda, libri santi
corrispondenti alle quattro caste. Durò tale dottrina incontaminata sin
quando comparve Siva, seconda incarnazione di Bramma, che, sotto
il simbolo del Lingam , sostituì alle semplici feste del bramismo or-
gie deliranti e sanguinosi sacrifizi. Una terza dottrina, quella di Visnù,
terza incarnazione di Bramma, purificò il culto del Lingam, non po-
lendolo bandire, e dall’accordo di queste credenze venne la Trimurti
di Bramma, Siva e Visnù. Bramma, padre canuto, genera il mondo;
Siva, tenero e patetico Dio dell’amore, è insieme fonte di tutti i pia-
ceri e genio distruttore, Dio della vendetta e de’ supplizi, e giudice ri-
muneratore.
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RAZZA ARI ARA-FAMIGLIA INDIANA.
67
Bramma, diviso il corpo in due, divenne metà maschio e metà
femmina , e generò Vivadji ; questi Marni , legislatore dell’Universo.
« Ascoltale! dice Manti in principio del suo codice: il mondo non
esisteva che in fondo al pensiere divino , in modo impercettibile ed
ineffabile, come ravvolto nelle ombre, ed immerso nel sonno; allora
la potenza che esiste di per sè creò le cose visibili co'cinque clementi,
stese la propria idea e dissipò le tenebre. Colui che lo spirito solo
può scorgere , che non ha parti , anima di quanto vive , sfolgorante
di luce, creò le acque, e vi depose un germe luminoso che diventò
l'uovo d'oro. Nara, spirito di Dio, produsse le acque , ossia il mare
di latte chiamato aneli’ esso nara , sopra il quale avvenne il primo
anaya, o movimento del creatore, detto perciò Ncurayana, cioè agita-
mento sulle acque.
« Nell’ uovo la potenza creatrice restò inoperosa un anno , a capo
del quale, col volere suo lo spaccò, e le due metà formarono l’una il
cielo, l’altra la terra ; di mezzo collocossi l’atmosfera col serbatoio
delle acque. Altrove quest’uovo, generatore del inondo visibile, gal-
leggia sul mare di latte, ossia sull’acque primitive, sinché alla voce
divina (vàcht) e’ scoppia: allora Bramma, in forma di fanciullo , on-
deggia sui flutti, coricato in un flore di loto, tenendo il pollice in
bocca; poi di subito fatto gigante esclama: » chi conserverà ciò che
io ho creato ? « e tosto uno spirito di colore turchino esce dalla
bocca sua , dicendo : » io « E Bramma al verbo suo pose nome
Visnù.
« Quest’uovo periodicamente infranto e distrutto è di continuo ri-
prodotto dall' inesauribile fecondità di Dio. Al fine dell’ultimo calpa,
di mezzo alle rovine dell’ universo, Vismi riposa sulle acque deli' i-
nondazione: un giglio aquatico esce dai suo uiubilrco , e dalla co-
rolla di questo fiore sbuccia Bramma , Dio conservatore ed ordina-
tore (t) ».
11 panteismo di queste dottrine milologichee cosmologiche informa
le spirito della più aulica letteratura indiana , e noi lo abbiamo rac-
cordato solo per indicare il sentimento religioso che domina in tutte le
opere della prima epoca letteraria degli ludiani , rappresentata dai
Veda e dal codice di Manù.
La seconda epoca , differente assai dalla prima, ha per carattere lo
svolgimento de’mili de' Veda, rendendoli accessibili agli uomini, che
han già perduto il senso della semplicità primitiva , e combinandoli
agli avvenimenti storici trasportati nel dominio della favola. Appar-
tengono a quest’epoca le due grandi epopee , il Ramayana di Vai-
mici , che canta le gesle di Rama , e il Mahabharata di Viasa , o la
descrizione delia gran guerra dell’India.
Ma , lasciando da bauda i Poiana, destinati a sviluppare l'elemen-
to religioso sotto forma dello spirito di sella, la grand’epoca dell' in-
diana letteratura è quella de’ poeti che floriron nella corte di Vicra-
(1) Cantò, Storia Universale, Epocali, cap. XII.
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I.IBRO SECONDO
maditia I, e che vide prodursi il poema-di Bhalti , o il Bhatlikavya, il
quale ha per obbietto.coroe il Ramayana, le imprese di Rama ; il poe-
ma di Maglia, il Sisupalabadha , e quello di Sri-Harscha , il Naischada-
tscharita. Come la gemma più preziosa brillava, in questo terzo perio-
do letterario , Kalidasa che staccò dalla religione la poesia soprat-
tutto nelle Stagioni e nella Nuvola Messaggera, in cui la nobiltà del-
l’invenzione è pareggiata dalla profondila del sentimento. Nè minore
fu il trionfo di Kalidasa nell’ arte drammatica , chè il suo dramma di
Vikrama ed Vivasi , e quello singolarmente del Sacunlaìa, gli assicu-
rano un posto eminente fra i poeti di tutte le nazioni. Onorevolmente
accanto a Kalidasa siede Dcbayadeva autore del Gitagovinda, uno dei
più pregiati, e più sublimi poemi dell’indiana letteratura.
I monumenti superstiti dell’ architettura nelle indie gareggiano in
grandezza e maestà con que’d’Egilto, d’Assiria, di Babilonia, di Per-
sia , o consideri le sotterranee esca razioni di Elefanta , di Salsetee
di Ellora ; o le sette pagode di Mavalipur, che rappresentano una cit-
tà regia scalpellata luor della rupe lunghesso la costa del Cioromandel,
in vicinanza di Madras; o gli edilìzi liberi elevati in Benarete, nel
Carneatico, Ramiseram, Deogur, Tanchor, Giangrenate, Tripettas,
o tra le foreste del Zeilan , e le mille rappresentanze a rilievi, colon-
ne, cariatidi, statue sparse a profusione nei templi qua e là innalzali
a Bramma , a Visnù , a Siva ed anche a Budda , ed ai quali traggono
tuttora in pellegrinaggio i devoti bramisti e buddisti della Penisola.
Sventuratamente nulla sappiamo di quel che fossero le scienze pres-
so gli Indiani , considerate nelle loro applicazioni , ma, quanto alle
loro teorie, esse hanno in gran parte molta analogia coi sistemi de’fi-
losofi dell’occidente (1).
Rispetto alle industrie si può congetturare , che le fossero estese e
numerose, perciocché fin da’ tempi di Ctesia, il quale visse per dicias-
sette anni nella corte di Persia, in qualità di medico di Artaserse Mne-
nioue, erane arrivala in Occidente qualche imperfetta cognizione, ma
dopo che i Macedoni si fermarono nella Battriana , « s’ impararono a
conoscere le risaie frastagliate di ruscelli , i cotoni e le fine stoffe e la
carta per la quale fornivano materia, le spezie e l’oppio, il vino fatto
col riso ed il succo delle palme , lo zuccaro di canna che si è spesso
confuso col (abascir formato dal succo del bambuco, la lana che cresce
sui grandi alberi di bombax, gli scialli tessuti con la peluria delle ca-
pre del Tibet, le stoffe di seta della Serica, l’olio di sesamo bianco ( in
sanscrito Ida), l’olio di rosa ed altri profumi , la lacca ( in sanscrito
lùkschà , in lingua volgare lakkha ) , e finalmente l’acciaio temperato,
detto acciaio di Woutz (2) ».
Molti dialetti derivati dai sanscrito , lingua non favellata oggidì,
ma coltivata un tempo e fissala da classici autori, son parlati dall’Indo
al Bramaputra, e dali’lmalaja all'isola di Zeilan. Filologi di gran me-
(1) Uoefer, Histoire de la Chiinie, t. I.° p. 20.
(2) A. de Humboldt, Cosmos, t. 11. p. 187, trad. frane.
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA INDIANA.
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rito tengono opinione che gli idiomi della regione meridionale ap-
partengano a una famiglia diversa da quella della region settentrio-
nale , e che non abbiano veruna relazione ed affinità col sanscrito ;
ma ben altrimenti si avvisano il P. Paolino da S. Bartolomeo, il Co-
lebrooke e molli altri distinti linguisti , i quali , benché riconoscano
una varietà fra i parlari dell'Indostan e del Decàn, credono tuttavolta
non esser ella tanto intrinseca da poter fare separare in due distinti
sistemi glossologici quegli idiomi. L'Ellis, fautore dell’opinione avversa
al P. Paolino ed al Colebrooke , non può fare a meno di ammettere
un tal quale connubio del sanscrito col tamulico (1) , ed anzi a me
pare , che egli Don abbia potuto produrre argomenti molto valevoli
per differenziare sostanzialmente questi due sermoni ; il perchè io ho
fiducia di non andare errato , se più volentieri seguo le opinioni del
dotto frate e del Colebrooke, anche perchè , se vi esistono, come nel
vero vi esistono , distinzioni fra i parlari del settentrione e quei del
mezzodi dell’India, esse sono di bene minor conto di quelle che s’in-
contrano, io non dirò fra il sanscrito e i linguaggi di Europa, ma fra
le lingue stesse parlate dagli europei, fra la slava p. es., e la germa-
nica, fra questa e le neo-latine. Perciò io considero le lingue indiane
procedenti tutte dalla sanscradanica, e le divido col P. Paolino nelle:
1. ° Zeilanica sacra, o quella che si parla da’ sacerdoti ed altri bud-
disti nell’isola di Zeilan , ma non nelle coste marittime dove parlasi
il cingalà, che è un linguaggio corrotto di tamulico e di malabarico ;
2. ° Tamulica, che è in uso in gran parte della contrada marittima
australe della penisola indiana ;
3. ° Malabarica, che corre dal capo Comorin fino al monte d’ Illy ;
4. ° Canora, dal monte d’illy sino a Goa ;
5. ° Mara'sdha , che si parla in tutto il territorio stato un tempo
l’ impero de’ Maratti ;
6. ° Tdenga, o Ttlegù , che domina nella costa d’ Orissa , nel Gol-
gonda, al fiume Crisna sino ai monti Balegates ;
7. ” Hengalica , che si parla in Calcutta e nel Bengala sulle sponde
del Gange ;
8. ° Davanagari, da altri chiamata Nagru, Nagari, lingua indoslana,
lingua di lienarete, o Venarete. Possiede un alfabeto di 52 lettere Col
quale si scrive esattamente il sanscrito. Il suo carattere è generale
nell’ India settentrionale ;
9. ° Guzaraiica, che corre nel Guzaratte.a Suralte.Talta, e su’monti
Balegates : poco differisce dal davanagari ;
10. ° Nepalese, che favellasi nel Nepal, poco diversa dal davanagari :
forse è la stessa che la Mait’hila, o Tiruthya del Colebrooke.
(1) A Grammar of thè Teleogoo Language etc. by A. D. Campbell ; 2 ed.
Madras, 1820, with lntroduction by F. W. Ellis . — Non ancora mi giunge
fra le mani la Comparative Grammar of thè Dravidian , or South-Indian
Family of Languages by R. CaldweU. London 1856.
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I.IBHO SECONDO
A queste aggiungo, secondo il medesimo Colebrooke :
11. ° L’Indi, o Uitidi, che è la lingua popolare dell'India superiore :
ha molte parole sanscrite , ma una costruzione alquanto diversa , e
sla al sanscrito come l’italiano al laliuo :
12. ° Uriya, o dialetto di Orissa , mollo affine al bengali ed al
telinga.
E seguendo i più moderni indianisti :
13. ° Il Sindi , parlato nella provincia di questo nome ed altre vi-
cine : sembra dialetto dell’indi , ma serba molta affinità col davana-
gari, massimamente nell’uso del verbo ausiliare Ihiyan ;
14. ° Il Pengiabi, nella Pentapotamia: è chiaramente un dialetto del-
l’indostano , ma vi sono mescolate parole persiane ed arabe ( queste
introdotte dal culto islamitico j , soprattutto nelle frontiere de’Seiki.
Tali e tanti sono i nomi delle popolazioni sparse per l’ India, che a
descriverle tutte sarebbe opera ardua non dirò, ma impossibile , av-
vegnaché non s’ abbiano ancora gli elementi necessari per le loro
singole descrizioni. D’altra parte ne conforta il pensiero, che fra tanti
milioni di popoli sia dominante un tipo fisico comune, e che quanto
abbiamo detto degli Indiani in generale sia più che sufficiente a far
conoscere tutti i nativi dell’indica penisola. Nondimanco, a rendere
meglio evidenti alcune caratteristiche differenziali, noi consacreremo
brevi parole alle nazioni all'est e all’ovest, ai settentrione e al mezzo-
giorno di questo gran paese, come quelle che presentano (posto a ri-
scontro l’un gruppo con l’altro) le maggiori varietà ; ed ecco il pro-
spetto secondo il quale ne daremo la descrizione.
Radjaputi.
Pengiabi.
Seiki.
Sindiani.
Maratti.
Bengalesi.
Nativi di Orissa.
Famiglia Indiana (Tamuli e Nazioni affini.
Montanari dall'lmulaja.
Nativi delle montagne del Kadjwnlial.
Montanari della parte borea -occidentale del Decàn.
della parte borea-orientale del Decàn.
della parte meridionale del Decàn.
Cingalesi, o Zeilauesi.
Zingari.
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RAZZA ARIANA— FA MIO! I A INDIANA. 7i
§ /. Radjapuli.
I Radjaputi posseggono l’ampia e beo coltivata contrada del Rq-
jast’han. Li distinguono dagli altri Indiani i loro modi e le loro qualità
di natura, imperciocché sono forti, guerrieri e valorosi; hanno statura
eminente e robusta complessione, con viso lungo, naso aquilino, so-
pracciglia bene arcate ed occhi grandi, ma senza espressione. Le tribù
di questa nazione che sono nel Guzaratte sono gli Jharejah, gli Jballa,
i Goilli e gli Jelwah. La tradizione ricorda ch’eglino vi giunsero dal-
l’Indo nel secolo IX. 0 dell'Era Cristiana, attraversando il deserto che
si estende fra il Kotch e il Guzaratte, oKallivar, dov’ erano stati pre-
ceduti da’Katti di capello chiaro, d’occhio cilestrino, di giusta com-
plessione e di mezzana statura , che non eccede i sei piedi inglesi di
altezza.
§ 2. Pengiabi.
Poco differiscono da’rimanenti popoli indiani i naturali del Pengiab.
La classe de’ coltivatori della pianura è detta de’Jauti, che sono più
piccoli, più bruni, e menano vita miserevole e grama.
Questi Jauli sono sparsi ancora nella contrada del Jatwar, al N. E.
del Guzaratte, intersecata dal fiume Banass. Un popolo misto della me-
desima stirpe forma la popolazione principale del Sindi e delle con-
trade orientali dell’Indo soggette al Cabul, dalle quali vennero nel
Guzaratte e nel Kotch. Sono altresi nel Belutscistan dove prendono il
nome di Jagdal.
§ 3. Seiki.
Fra i principali popoli originali del Pengiab si contano i Seiki , di
cui la lingua, ch’è un dialetto del pengiabi, è di evidente provenienza
sanscradanica. Ei sono di elevata statura , di belle forme , con occhio
nero, e nera e lunga capigliatura , ma di colore men fosco degli altri
indigeni della Pentapotamia. « L'aspetto del popolo Seiko, (cosi'il
Burnes ) e la generale rassomiglianza degli uomini che lo compon-
gono, presentano alla speculazione' un curioso soggetto. Quattrocento
auni fa il Seiko era sconosciuto , anche come tribù, ed oggidì la fiso-
nomia di tutta intiera la nazione è altrettanto distinta quanto quella
de’suui vicini». La loro terra natia è il Duob, ossia la contrada com-
presa fra il Ravi ed il Settlege, due affluenti dell’Indo, e la loro reli-
gione è un bramanismo riformato con doltriue islamitiche.
I Seiki sono estremamente comunicativi, e descrivevano con nobil
arte al Burnes le guerre nelle quali avevano combattuto, ed i loro
frequenti conflitti co’fanatici Euzufzi di là dell’Indo , i quali nudri-
scono si fiero odio contro gli infedeli Seiki, ch’eglino volansi ghazi ,
e consacrano la vita loro alla estinzione di questi , persuasi che la
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LIBRO SECONDO
morte d’UD di loro sia più meritoria di quella di un qualunque altro
miscredente.
1 Seiki formavano un’ ardita e formidabile corporazione che gra-
datamente crebbe in potenza fin che pervenne al punto di resistere
alle bellicose nazioni dell'occidente. Non obbedivano a re, e si reg-
gevano in democrazia , ma il valor personale , e l’accorgimento di
Rundgit-SiDg diedero il crollo all’antica costituzione , ed i Seiki pas-
sarono dalla repubblica alla monarchia assoluta. « Tal cambiamento
di abitudini (continua il Burnes) é stato generale. Non tengonsi più
assemblee ad Amritsir, la città santa de’ Seiki ov’erano discussi c re-
golati gli afTari dello Stato ; non esiste più alcuno de’ privilegi che i
settatori di Gurù Govind reclamavano come particolari e propri della
loro tribù. È evidente come tale alterazione debba influire suU’ener-
gìa de’ Seiki , perchè essa deriva da una religione libera da’ vecchi
dogmi del bramanismo e dell’ islamismo degenerato degli Euzufzi loro
vicini. Il valore de’Seiki è coevo' di quella religione che ne formava
la base ; la lor grandezza politica nacque col loro cambiar di creden-
za, e sebbene questa abbia sofferto modificazioni , i Seiki conservano
ancora dogmi particolari, e continuano ad essere, sotto tutti i rap-
porti , un popolo beo distinto (1) ».
§ 4. Sindiani.
I Sindiani, tanto settentrionali che meridionali, sono men bruni de-
gli altri Indostanici , la loro statura è più elevata, e le loro membra
più robuste. I Karatsci, fra gli altri, hanno forme veramente atletiche,
e l'apparenza della salute. Pieri sono ed impetuosi, ma , abbandonati
ai piaceri sensuali, antepongono al sentimento del dovere ed alle af-
fezioni di famiglia i godimenti materiali. Oppressi da duro despoti-
smo, sono quasi selvaggi e affatto ignoranti. I più sono maomettani,
ma vivono io buone ed amichevoli relazioni con quelli che seguono
la religione diBramma; « poiché i Bramanisti non soffrono quivi mali
maggiori di quelli de’loro confratelli settatori dell’islamismo, ego-
dono di altrettanta tolleranza che sotto gli altri governi mussulmani.
Se altra volta furono trattati con rigore, il secolo del fanatismo è pas-
sato, e i Diuani, Indiani del Sindi, fan tutti gli affari pecuniari del
paese, mentre gli Sczaf ed i Haitiani, che sono egualmente brama-
nisti, esercitano le loro professioni senza ostacolo , e maritano i loro
figli pervenuti all’età conveniente, perchè ereditino dopo la loro morte
il patrimonio che essi hanno raccolto, o guadagnato (2) ».
Hanno i Siudiani una tendenza singolare per l’imitazione, e molta
attitudine alle arti meccaniche: fabbricano armi , preparano i migliori
(1) Viaggio da Deli a Lahora, etc. Prato, 1842. p. 61 — Memoria sul-
l’Indo e i suoi affluenti nel Pengiab, nel 5.® voi. de' tuoi Viaggi;- ediz. di
Prato, p 342.
(2) Jturnrs Viag. cit. IIP 194.
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RAZZA ARlANA-FAMfGLIA INDIALA.
73
cuoi dell' Indostan, e riescono particolarmente nella fabbricazione di
certi tessuti (1).
Si dividono in molte tribù, fra le quali sono più distinte quelle dei
Karatsci, Muani, Dgiat, Dgiakri, Dahri, Mahri. Sembra il paese dei
Sindiani essere stato il famoso regno di Musicano, del quale ban par-
lato gii storici d’Alessandro, e le ruine d’Allora son credute dal Bur-
nes occupar l’area della capitale di quell' antico Stato.
§ 5. Maratti.
I Maratti, ovvero più correttamente i Maras'sdhi , erano confinati
in antico, secondo il Colebrooke, nelle parti montane a mezzogiorno
del fiumeNermada, e distcndevansi nella provincia di Kòkàn. Ricerche
più recenti fanno inclinare a supporre , che la lor contrada originale
comprendesse Khandesh , Baglana ed una parte del Berar , allar-
gandosi verso il N. 0. fino al Guzaratte e al Nermada dove sono i
Grassia ed i Billi.
I Maralti sono indiani , non già della casta militare , ma si forse di
quella de'Sudri, avvegnaché i nomi delle loro priucipali tribù : Koon-
bee, Dungar e Goal ali, voglion dire, come osserva l’Hamilton (2, fat-
tori, pecorai e guardiani di vacche, che sono occupazioni proprie dei
Sudri.
Le loro forme fisiche non sono punto simili a quelle de’Radjaputi ,
di cui non hanno la grazia, nè la dignità, poiché generalmente sono
mal falli, e di aspetto gramo e sinistro. I Bramani per altro sono belli,
hanno tratti bene scolpiti ed avvenente persona; ma le caste inferiori
sono di ùn color giallo-scuro e quasi bronzino; hanno il volto piatto e
largo, la persona breve e quadrata. Sono fraudolenti, rapaci, crudeli:
posseggono tutti i vizi de’ popoli semi-barbari, e niuna virtù. Ci assi-
cura il Dottor Stevenson, che la contrada ove parlasi più o men pura-
mente il maratto o mara'sdha si estende lungo la costa malabarica.da
Goa fino a Damano verso il nord dove cede al guzaratico; verso orien-
te fino a Uyderahad ove incontrasi col telegù. Nell' interno giunge a
Solapur, e verso borea fino a Nagpur (3).
§ 6'. Bengalesi.
1 Bengalesi , i quali compongono la maggior parte della popolazione del
Bengala e de’paesi limitrofi, sono uo popolo dolce, pacifico e molto de-
ditoal commercio. La loro statura non passa la mezzanità, e il colore della
pelle rassomiglia a quello di un leggero infuso di caffè. Non hanno mol-
ta gagliardia nelle membra, ma l'insieme della persona è ben fatto ed
(1) De Iancigny. Op. cit. p. 67.
(2) Descriptkm of India. London, 1819, voi. Il pag. 485.
(3; Observations on thè Maràthi Languages, by thè Rev. D. r Stevenson,
Asiatic Jour. voi. VII.
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MURO SECONDO
avvenente. Sono zelanti adoratori di Bramma , e le più pazze e cru-
deli superstizioni son da essi tenute in religiosa reverenza. Havvi una
setta chiamata Ae’Gentives, che giungono fino a farsi schiacciare per
fanatismo sotto il carro dell'idolo Jagannat , quando si porta sulle
pubbliche strade. Le vedove bengalesi corrono volenterose a bru-
ciarsi sul rogo cogli estinti mariti , ed è notabile cosa nella storia de-
gli umani pregiudizi , che essendosi da’ Missionari Anglicani pubbli-
cato un dialogo in bengalese per dimostrare quest’uso contrario non
già all’ umanità , ma si ai codici sacri , il primo libro che sia venuto
fuori da una stamperia fondata dagli indigeni , ad imitazione degli
Europei, sia stala una confutazione del libro de’ Missionari in soste-
gno dell’atroce ubbia (1).
L’idioma che parlasi nel Bengala è il bengalese di derivazione san -
scradanica. Non è stato mai adoperato in letteratura pria del secolo
XVI , alla quale epoca appartiene ( e forma in conseguenza il più an-
tico monumento di essa lingua) il Chailanya-Chanlàmrita di Krishna-
dàsa , discepolo di Chaitanya, fanatico Vaishnava , fondatore di un
nuovo culto di Crisoa , e che visse intorno al finire del secolo XV.
§ 7. Nativi di Oris sa.
È Orissa un’ampia provincia nella punta N. E. del DecàD, fra il
Bengalese c il Telingana , e corrisponde alla divisione puranica di
Utkala, o Alkala-Desa, la quale si distende, dalla parte del setten-
trione infino a Tamlok e Miduapor, da quella del mezzogiorno fino a
Rasikoila Nadi, fiume che sbocca nel mare presso Ganjarn; ad oriente
la limita il mare, ad occidente Sonpur ed altre parti della Gondwana.
Sono prodighi i l’urana di lor lodi alla « famosa contrada » , come
chiamano Orissa , di cui celebrano i sacri ruscelli, i fiori fragranti, i
frutti di squisito sapore , ma non pertanto il suolo n’è generalmente
sterile , e gli abitatori moralmente inferiori agli altri nativi dell’ lu -
doslau ; perocché quivi , non so per quale morbidezza del clima , lo
spirito si snerva, e l'animo s’infemminisce. Delicata hanno la comples-
sione, sottili le membra, e minuti i lineamenti della Usonomia.
La lingua di Orissa è dialetto sanscrito assai vicino all’idioma ben-
galese ; ha però una lontana affinità col telinga , con cui si confonde
nelle vicinanze di Ganjarn, laddovo ad occidente si unisce con l'idio-
ma de’Gondi , che , al dir dello Slirling , è parlato in Orissa da molta
parte di quella popolazione (2 .
(1) La vedova indiana che bruciasi viva sul rogo coll’estinto marito chia-
masi Satti, e lo stesso nome serve a denotare la cerimonia religiosa che ac-
compagna questo fanatico sacrifizio. Centinaia erano le vittime annuali che
si offerivano ad essere bruciate vive non tanto nell’ India meridionale, quanto
nella presidenza del Bengala. Ora questo barbaro uso è stato vietalo, in tutto
il territorio della Compagnia inglese, da Lord William Bentink nel 1829.
(2) Stirling’s Description of Orissa — Asialic Researches, voi. XV.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA INDIANA. 75
§ 8. Tamuli e Nazioni affini.
Vivono i Tannili nella parte boreale di Zeilan e nella meriggia del
Dedin. Più affini a’ medesimi sono i Malabari, i Tulavi, i Knrnati, i
Telinga , tutti favellanti dialetti che sono altrettante diramazioni , o
vernacoli provinciali dell’idioma tamulico. Sono rigidi seguitatori di
Dramma , e presso di essi , più che presso gli altri Indiani , conser-
vasi inalterata la divisione del popolo in caste. I Paria sono ancora
per essi esseri spregevoli e sol degni di schiavitù , e nel Malabar
v’ hanno i Niadi più deplorabili ancora degli stessi Paria, conciosia-
chè loro altro non rimanga se non se un miserabile asilo nelle caverne
e nelle selve dove vivono di caccia e di rapina.
L’aria, le stagioni, i venti della costiera malabarica, non sono l’aria,
le stagioni, i venti della costiera del Cioromandel, e come variano le
influenze esteriori nelle due opposte piaggie del Decèn , cosi pari-
menti , come noia il Ritter, si modificano ancora e l’ indole e le fat-
tezze de’ loro abitatori. Pieni di attività e di energia sono i naturali
della costa occidentale , mentre per converso nella mollezza e nella
perfetta nullità vivono gli incoli della costa orientale. « Il colore dei
Malabari (osserva il P. Paolino da S. Bartolomeo) è oscuro, ma assai
più chiaro de’Tamuli, cioè degli abitanti della costa Ciolomandala. I
pescatori , o Mucuas , i Paravas, nazione addetta alla tessitura delle
tele colle quali traffica, e gli altri abitanti della spiaggia del mare so-
no negri , perchè più esposti al sole ed all’ aria marina , che tinge il
volto di color nero. Le tribù nobili ed alcune altre famiglie, che abi-
tano li palmeti, le foreste, le montagne, e sulla riva de’ fiumi , sono
assai bianche, imperocché sono men esposte al sole, coperte dall’om-
bra degli alberi e cinte d’ un’ atmosfera umida , che tempera i raggi
del sole. Vidi alcune bramanesse bellissime. Tutti hanno una bella e
lunga capellatura , gli occhi neri , le orecchie lunghe e forate, il cor-
po sviluppato e snello. Essi si lavano due volte il giorno, e ogni set-
timana ungono il loro corpo con olio di cocco, o con uova, e si fre-
gano e nettano con Ineia , eh’ è una pianta , la di cui scorza attira le
lordure del corpo. Essi sono robusti fin a 30 anni ; dopo questo pe-
riodo la natura declina assai più che in Europa (1) ».
Parlasi il tamulico proprio iu tutta quella contrada limitata sulla
costa orientale da l’ulicaie al capo Èomorin ; nell' interno dalla
catena de’ mouli che comprendono gran parte del Barramahl ,
Salem e Coimhatore , e ad occidente dalla provincia del Mala-
bar, la quale corre da Comorin al fiume Chandragiri , dove confina
col Tulava, o Canora meridionale, che è una parte dell’antico regno
di Kerula. Tanto il malayalam , o malaharico , quanto il tulava sono
dialetti affinissimi al tamulico, e si l’uno che gli altri sono conosciuti
in Europa con la comune appellazione di malaharico. In questa lin-
gua si sono pubblicati molli trattati sturici de’ regui di Ciula, Paudta
(t) Viaggio cit. p. III.
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76
LIBRO SECONDO
e Cera, poemi drammatici, morali e didattici, non che trattati di pa-
tologia e di medicina.
Il dialetto telinga, o telegù, favellato da’ popoli di questo nome, si
distende sulla costa orientale del Decàn , da Pulicate Ano a Ganjam,
c ad occidente si confonde col barbaro idioma de’Gondi, che prevale
per tutta quella selvaggia contrada che intercede fra i Telinga ed i
Maratti. Questo dialetto è stato esercitato massimamente in tradu-
zioni dal sanscrito , ma è stato ancora consacrato in opere originali,
come storie, biograQe, e qualche poesia e racconto, di cui le più an-
tiche non vanno al di là del secolo XII. La sua età dell’oro fu nel se-
colo XIV, cioè nel tempo in cui regnò Crisna Deva di Vigajanagar.
Il canara si divide in un dialetto antico ed in uno moderno : que-
sto non si può dir letterario , ma l’ antico possiede molti documenti
storici relativi a' re del Misure, e molli poemi e racconti. Il dominio
di questa lingua e della nazione di cui è la favella , occupa tutto il
rispianalo fra le due catene de’Gates, da Beider al nord, Ano a Coim-
batore verso il mezzogiorno, comprendendo le moderne province di
Misore , Sera' , Bednor superiore , Goa , Adoni , Rachur , Kurnul ,
Tumbudra, e parte considerevole delle province di Bejapur e Beider
Ano alle sorgenti del Crisna.
§ 9. Montanari dell'Imalaja.
Benché molti de' nativi delle contrade elevate dell’ Indostan dalla
parte dall’lmalaja appartengano ad una razza diversa dalla indiana,
alla razza Tartaro-Sinica , di cui hanno tutti i caratteri naturali , e
persino in parte la lingua , tuttavolta havvi su questi monti alcune
popolazioni delle quali non è dubbia la provenienza indiana, ed ecco
te poche notizie che intorno ad esse abbiamo potuto raccogliere.
A. Caffiri, o Montanari dell' Indu-kuh.
Dividonsi i Caffiri, o Siah-Pósh, nativi del CaAristan a settentrio-
ne dcll'Afganislan , in molte tribù che sono poco conosciute. Il dia-
letto che favellano, secondo Elphinstone, Burnes, Ritter c Bopp, le
ravvicina moltissimo agli Indiani, benché eglino si dicessero discen-
denti da’ Greci di Alessandro. La carnagione loro è quasi bianca , e
gli occhi cilestrini , il che tiene probabilmente alla elevazione della
contrada in che vivono. È credibile che fossero bramanisti abitatori
delle pianure, che si ripararono in sui monti allorché il paese inferio-
re abbracciò la religione dell’ islam. Tale almeno è il parere degli
Afgani, e il nome di Caflìri (infedeli) singolarmente conforta questa
loro opinione.
I Caffiri sono selvaggi e barbari : mangiano orsi e scimmie , com-
battono con frecce, e si dice che la tribù de’Siah-Pòsh scortichi i
crani de’ nemici per serbarne le chiome a guisa di trofeo.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA INDIANA.
77
Le donne accudiscono a tutte le faccende esterne della casa ; gui-
dano i buoi con l'aratro, e si racconta persino che qualche volta el-
leno sieno aggiogate insieme ad un bue.
Altro non si sa delle loro credenze, se non che adorino Mahadeo,
ma sono affatto ignari delle altre divinili degli Indiani.
B. Casmirani.
Belle e perfette sono le forme fisiche degli abitanti la valle di Ca-
sìmira: brunetto è il color delle carni, snella ed agile la persona, re-
golari i lineameuti del volto, soprattutto nelle donne comunemente
vantate per la loro avvenenza. « La delicatezza de’loro contorni (cosi
il Burnes) dolcemente armonizzava con tutta la persona.., i loro oc-
chi son celebri nelle poesie dell’Oriente, c quelli delle donzelle eh’ ei
vide , non Smentivano i prodigati elogi (1) ».
I Casmirani sono un popolo industrioso, e famosi e inimitabili dal-
la raffinata industria europea, sono gli scialli da essi lavorati con la
peluria delle capre del Tibet.
La valle di Casimira è in fama di essere |a contrada più deliziosa che
sia nell’Universo : fonti perenni sgorgano da’vicini gioghi deU’Imalaja,
e ne irrorano il terreno che si veste di quasi tutte l’erbe , i fiori e i
fruiti di Europa , insiem con quelli delle alpine regioni dellllndia.
Vuole una tradizione . che in antico quella valle fosse un lago della
Dea Urna, moglie di Mahadeo, disseccato dal Dio Kasyapa , il quale
comparve, secondo vuole il Dr. Hamilton, nel XX secolo innanzi di
Gesù Cristo. 1 primi abitatori vi furono, dedotti probabilmente dall’In-
dia inferiore, come l’ idioma che partecipa del bengalese e dell’indo-
staui pone fuori di dubitazione. Monarchi indiani vi governarono fino
al 1586, quando cadde in potere de’Mongolli guidati da Akbar, e di-
pese dalla tanto famosa Deli (ino all’anno 1754. Invasa a tal epoca da
Acniet sciab, la valle passò sotto il dominio degli Afgani fino al 1809,
allorché , dopo essere stata dichiarala independenle da Moamed
Azi m Khan, venne finalmente soggiogata dal potente Maharadgiah
de’ Seiki , Rundgìt-Sing , che la ridusse a provincia del regno di
I.ahora.
C. Montanari del Jumnotri e del Gangolri.
Le alte montagne d’onde prendono origine le sorgenti de’ fiumi
Jumua e Gange, sorgenti venerate e visitate con pii pellegrinaggi
fin da’ più remoti bramanisti del Decàn , sono abitate da un popolo,
che sembra esservisi stabilito da molti secoli, e sul quale l’ influenza
del clima si è già manifestata sensibilissimamente , essendoché sono
divenuti quasi tutti di pel biondo e d’occhio cilestrino — « Questi
popoli (cosi ce li descrive il Fraser ) hanno, è vero, occhi piccoli
(1) Viaggio a Lahora, cap. VI.
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78
MURO SECONDO
pomelli sporgenti e poca barba , onde accennano al tartaro più che
all indiano, ma sono ben fatti della persona , sono forti, robusti , e
generalmente avvenenti anziché nò ; e que’ tali caratteri tartari non
sono suflìcienli a far ammettere la supposizione di una coosiderevole
mescolanza di razze (1) ». Ma io non dubito punto che, circondati
come sono da nazioni tartaro-siniche, non abbiano avuto a confon-
dere il sangue loro con quello de’ vicini ; e che le loro fattezze di og-
gidì ritraggano dalla razza tartaro-sinica innestata sul tronco della
razza ariana.
D. Nativi della valle superiore del Bramaputra.
Nelle contrade intorno alle sorgenti, e lungo il corso superiore del
gran fiume Bramaputra stanziano varie tribù selvagge, di cui alcune
somigliano agli indiani, ed altre sembrano affini, se pur non ne sono
diramazioni , alle vicine tribù di razza tartaro-sinica. Più cospicue
tra esse sono i Garros, i Cacliari, i Cossiahi e i Mani puri , quasi tutti
favellanti idiomi derivali dal sanscrito con l’aggiunzione di vocaboli
delle lingue indo-cinesi , le quali sono predominanti nelle finitime
tribù montanine del Butan e dell’Assam ; Miri, Abori, Mishmis, Kan-
glis, Bor-Kangtis, Singfos e Negas, o Kukìs) , e in quelle sparse in
quell'augusto tratto di montagne che dividono l’Assam dagli imperi
Cinese e Birmano , e d’onde hanno scaturigine il Yang-lsi-Kiang ,
l'Iravaddy, il Saluaem , ed i fiumi d’Assam e d’Ava, nell'India Tran-
sgangetica.
Garros — Delle tribù sunnominate, come abitatrici della valle su-
periore del Bramaputra , i Garros , estesi per l’addietro a tutto il
territorio al nord di quelfiume, a mezzogiorno de’distretti di Silbet
e Myuiunsingh, all'est dell’Assam ed a occidente della gran curva
del fiume islesso, or sono ristretti e confinati nella sola parte cen-
trale delle loro auliche possessioni, essendo stati scacciali, per opera
de’ coloni giuntivi di poi, dalle valli e dalle rive del gran fiume. Quel-
la porzione di essi ebe abita al uord sono gagliardi , nerboruti , con
fisunomia affatto cinese; l’altra porzione che vive a mezzogiorno sono
parimenti robusti, ma meglio formati, arditi, lavoratori per eccellenza,
ed tian fiera la guardatura, il naso piatto, la fronte aggrinzila, gli oc-
chi bruni, la bocca larga, le labbra grosse, il viso tondo, e il colore
brunastio. Affabile e dolce è l’indole loro; son gai e passionali per
la danza. Credono ad una trasmigrazione dell’anima, e ad uno stato
futuro di ricompense e di punizioni (2).
Cachari — Sono una tribù numerosa sparpagliata nello stato di Ca-
ebar, ed in altre contrade circostanti. Nelle fattezze rassomigliano a'
Cinesi , e la loro lingua è altresì monosillabica. Assicura il Fisher
(1 ) Account of a Journey to thè sources of thè Jumna and Bhagirathi
Rivcrs. — Asiatic Researches, e. X1U.
(2) Hamilton, toc. cit.
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RAZZA ARIANA— FAUIGf.l A INDIANA. 79
ch’eglino sono di. bassa statura, raramente al di sopra de’cinque piedi
inglesi, e di un vero color nero, sebbene l’Harailton gli descriva per
belli e di persona eminenti. Convengo col Bitter (1) che la seconda
descrizione appartenga a’soli Caehari delle montagne, e la prima agli
abitatori delle vallate e de’ paesi più caldi.
Cossiahi — Fra i Garros ad occidente ed i Caehari ad oriente sono i
Cossiahi , popolo indipendente , di beile fattezze e di molta forza mu-
scolare. La piccolezza de’ loro occhi , l'obliquità delle loro palpebre
danno ad essi un’aria cinese; ed anche la loro lingua contiene paro-
le derivate dal sinico >2).
Manipuri — Tutti i ragguagli che si conoscono di questo popolo con-
cordano in ciò, ch'eglino sono di bell’ aspetto, e quasi simili, nel-
le fattezze, a’ Malesi , di cui sono pertanto più robusti e più de-
diti al lavoro. Nelle qualità naturali rassomigliano affatto agli India-
ni , di cui hanno ancora i costumi e la religione.
§ 10. Nativi delle montagne del Radjamahal.
Le basse montagne del Radjamahal, nella parte borea occidentale
dell’Indostan, albergano popoli, per alcuni caratteri fisici, distinti da-
gli Indiani delle pianure. Hanno una religione ed una organizzazione
sacerdotale alquauto diversa da quella de’ bramanisti. Dicesi che la
loro lingua si congiunga, per molte voci, al tamulico.e per molte altre
all’idioma di alcune tribù stabilite lungo il corso superiore del Bra-
maputra.
Eglino sono di bassa statura; di rado passano i cinque piedi e tre
pollici : ordinariamente non sono piu alti di quattro piedi e dieci pol-
lici. Le loro fattezze rassomigliano a quelle de’ Malesi, o de’ Cinesi ,
perocché hanno il naso depresso , le labbra grosse , gli occhi piccoli,'
la faccia larga, il petto ampio, e le braccia e le gambe luogbe , ma
ben fatte.
§ 11. Tribù montanine della regione borea-occidentale del Decàn.
( Billi, Kuli, Ramusi, e Katodi. )
A. RiUi.
I Billi sono una tribù montaguese sparpagliata sulla catena del
Vindia che traversa gran parte dell’ India d’occidente ad oriente , e
sulla estremità de’ Gates occidentali. Essi tengono sè stessi per na-
zione distiuta dal resto delia popolazione indiana, e non sembrano
andare errali su di ciò. Nondimeno il gran numero di tribù fra le
quali sono divisi ha fatto credere , che fossero formati da un’associa-
(1) Erdkunde von Asien, IV p. 386.
(2) Id. Ibid. p. 390.
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80
1.1BKO SECONDO
^TciSnze focace "pSper USSU^lSS . Checché » £
L,i continuano a formar tuttavolta la maggior parte della pope
montane e boscose che separano il Guzaratte da Maiw e
Meno perseguitati sono stati i Billi sulla riva sims ra •
le descrizioni che ce ne danno i viaggiatori quasi tutte ad essi si
Billi 0 ,' ad eccezione di alcune tribù convertite .«'islamismo ono-
rano Iddìi particolari . ad ognuno de’ quali si appart^neunad.shn^
autorità: assicurano gli uni il successo delle ^ r ^ e e de ^ r « .
dacci: proteggono gli altri da’ feroci ammali gli uomini ed 1 vii agg •
Templi per adorare i loro numi non hanno, ma scelgono a luog
le cerimonie religiose il tronco di un albero che intorno intorno
" ' G e nera l'rn c n'i e° i Billi sono di bassa statura, di cortl * ri “j
col labbro inferiore sporgente, di nera carnagione « * JJJ
virili degli Indiani delle pianure, sebbene l Herber h d.M non s
piccoli di statura, ma eziandio di gracile e delicata compie
B. Kuii, o Cooiies.
ì Kuli , o Cooiies, come sono detti dagli Inglesi , da taluni son cre-
duli identici a 1 Billi, da altri tenuti per popoli di stirpe diversa. Sono
divisi da' Billi per le elevate creste de' Gates occidentali , occupando
questi il versante orientale, e confinali quelli al versante d. quelle
Alpi che risguarda Ponente , distendendosi altresì alle parti montane
dell'interno del Guzaratte, e verso la costa fin quasi presso a Bombay.
Nelle fattezze son quasi affatto simili a' Billi, ma di questi s0 ”°
no barbari, e di costumi men rozzi e piu politi. L Uerber li dice
prodi , animosi, importuni, feroci , sempre armati di spada , d arco
e di frecce (1).
G. Ramiti.
I Ramusi sono stabiliti più a mezzogiorno de’ Billi , nelle valli de»
fiumi Maun, Neera, Bheema, Para; ne’ vicini paesi alpestri di Funai»
(1) Memoir on thè Bhils ; Transactions of thè Roy . Asiatic Society of Great
Britain and Ireland, voi. 1. . . , .
(2) Loc. cit . — Elphinstone, On thè British Territortes «n thè Dekhan ,
Asiatic Journal, l. XXIII— Rilter. Erdkunde von Asien, IV. 659.
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RAZZA ARIANA-FAM1GI.IA INDIANA.
81
e Ahmednagara, e sulle rive superiori del Godavery. Della medesi-
ma stirpe, sebbene affermarlo con certezza non possiamo, sono i Her-
dan di Sattara, di Surapur, di Bejapur, e delle rive del Tambudra.
I Ramusi son creduti emigrati dell'antico regno di Telingana, per-
ciocché il lor dialetto, benché non siagli all’ intutto simile , ha mol-
te voci del telegù, e vi somiglia per assai particolarità di sintassi.
D. Varali e Kalodi.
Sono due tribù selvagge e montanare sparse per le montagne e le
foreste a settentrione di Kankana, o Concan, intorno alle quali tribù
noi dobbiamo i pochi ragguagli che possediamo al D. r Wilson , che
gli ha pubblicati nel voi. VU della Società Reale Asiatica della Gran
Brettagna.
§ 12. Montanari della regione borea-orientale del Decàn.
( Gondi , Tribù montanine di Orissa, Klioi-Jali e Janadu JatiJ.
A. Gondi.
1 Gondi sono un popolo selvaggio che alberga nelle foreste e nello
montagne della parte centrale ed occidentale della provincia di Gond-
wana. Si assicura sieno antropofagi , per la orribile superstizione clie
lor persuade essere opera grata a Kali , ed atto di pietà verso i loro
parenti ucciderli e divorarli quando sien colti da malattie credute
incnrahiii , o quando per età si faccian deboli ed infermicci. A que-
st' orribile convito , dice il Pendergast (1) che nel 1820 visito quelle
tribù, prendono parte i parenti e gli amici, che si ha premura d’invi-
tare in somiglianti occasioni.
B. Tribù montanine di Orissa.
Le tribù montanine di Orissa , dette Pulindas in sanscrito , cioè a ‘
dir barbari, quantunque appartenenti ad un medesimo ceppo di po-
poli , son conosciute e descritte sotto nomi diversi. Koli si chiamano
i montanari di Chota Nagpur , e particolarmente di Siabhum e di
Moberbuns « uomini atletici, neri, di spiacevole aspetto, ignoranti e
selvaggi all’ultimo grado (2) »; Khondi si dicono quelli stabiliti a
mezzogiorno di Mahanadi , e che formano la più gran parte della
popolazione di Killah Ranpur; Suri si appellano i rimanenti fra Ran-
pur e Katak, ne’ boschi e sulle falde de’monti a settentrione di Maha-
nadi. Questi ultimi sono pacifici ed innocui , di statura più piccola
(1) Asiatic Journal.
(2) Stirling. loc. cit.
Nicol ucci, Itazzc umane — Voi. I. 0
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I.IBBO SECONDO
82
de’Koli e de’Khondi.e di forme anche meno spiacevoli. Il loro idioma
somiglia poco a quello parlalo nel resto diOrissa. Adorano sotto gros-
solane forme Mahadeo, o Devi, specie di feticcio che ha molta somi-
glianza col Lingam di Siva (1).
C. Khoi-Jali.
Così chiamansi i Khondi de’ monti Gumsur a levante di Cliika,
presso la costa orientale del Dccàn , nel distretto di Ganjam, e intor-
no a cento miglia da Juggernauth , nella contrada di Orissa. Il loro
idioma, studiato dal Maxwell , ha mostrato affinità con la lingua di
Orissa, alla quale siasi aggiunta gran copia di voci (amuliche c di
vocaboli telingani. « Sono bruni (cosi il Maxwell ) diritti , tarchiati,
muscolosi e di giusta statura , alcuni anche di bella Qsonomia , ben-
ché generalmente abbiano il naso piatto , il viso tondo , i pomelli
delle gote sporgenti, le labbra grosse, la bocca grande guarnita di ec-
cellente dentatura , ed occhi vivaci e sempre in movimento Sono
immersi in una profonda superstizione, la quale giugne perfino al sa-
crifizio di vittime umane, onde rendersi propizio rubinetto della lor
selvaggia adorazione ».
D. Jamdu-Jali.
« Ragionando il Mackensie (cosi il Pricbard), dcli’introduzione di
una colonia indiana in Tondamandalam, paese descritto come circo-
stante a Madras, osserva che i suoi primi abitatori appartenevano a
due tribù , de’ Vedari e de’ Curambari. La storia narra , che Tonda-
mandaiam fosse stala spopolata da un diluvio, c quindi ricoperta di
foreste ed abitala da barbari , c che i Curambari , Giaini di cullo, vi
giungessero dalla contrada di Karnalaka. Di poi il re Siva di Tanjore
conquistò il paese e v’introdusse i bramarli ed i Veloxa daTulava. Il
Taylor nota, che i Yeloxa son nativi della contrada i quali abbraccia-
rono la fede tradizionale che i loro antenati trassero da Tulava , c
che la lingua tulava è strettamente congiunta col tamulico di Madras.
Aggiunge in oltre il medesimo scrittore, che noi abbiamo in ciò una
genuina ed inalterata narrazione dell’introduzione degli Indiani nel-
la contrada intorno a Madras. Gli Indiani aveano colonizzato, fin dai
più remoti tempi, la regione a mezzogiorno del Coleruo. Egli sup-
pone i Goya della medesima stirpe de’Kohi-Jati e de' Rondi delle
montagne di Gumsur (2) ».
(1) Machperson, nel lournal of thè Royal Asiatic Society, 1852.
(2) Op. cit. voi. JV.p. 182 — Le notizie surriferite sono estratte tanto
dal N. Ili. (luglio 1857) del Journal of Litcrature and Science of Madras :
« Sulla lingua, costumi e riti de’ Khondi, o Khoi-Jati de’ Monti Gumsur,
giusta i documenti forniti da J. A. Stevenson, Esq. commissario in Gum-
sur, e }V. G. Maxwell, Esq. M. D. con osservazioni del rev. W. Taylor »;
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RAZZA ARIANA- FAMIGLIA INDIANA. 83
§ 15. Montanari della regione meridionale del Decàn.
( Todauri, lìudduguri, Erniari e Corumbari, Coturi.)
I Monti Nilagiri, o Montagne Blu, che congiungono le due catene
orientale od occidentale de’Gates, e si estendono a mezzogiorno fino
alla punta estrema della penisola, sono abitati da quattro distinte classi
di montanari vari ne’ dialetti , ne’ costumi , ne* riti religiosi c ancor
nell’aspetto, secondo la varia esposizione topografica delle loro mon-
tagne , e la loro diversa elevazione sopra il livello dell’Oceano. Di
questi i primi son creduti essere gli aborigeni della contrada , gli al-
tri cotoni giuntivi posteriormente ; e degli uni e degli altri noi da-
remo succinta notizia a’ nostri leggitori.
A. Todauri.
I Todauri , o Tuda secondo altri , sono un popolo pastorale che
vive in solitarie capanne ed ha cura degli armenti onde trae il biso-
gnevole alla sua vita. Il lor volto, come l'Hough li descrive, ha i li-
neamenti d'una (isonomia romana fortemente scolpita , e la loro per-
sona alta e quasi atletica armonizza in certo modo colle regolari pro-
porzioni della (isonomia. Hanno corto e riccio il capello, folta la bar-
ba, fosco il colorito, ma nell’ insieme sono avvenenti, e sarebbe diffi-
cile , dice Scoi , trovarne uno che fosse deforme.
II loro idioma, non fissato ancora dalla scrittura, a quanto sembra,
somiglia al tamulico, al quale , non che al suo dialetto alfine il ma-
layalma ed agli altri eloqui del mezzodi , son comuni i due suoni zha
ed ukh , propri della lingua todaura , i pronomi , il plurale e le ter-
minazioni de’ verbi.
Hanno templi formati di grandi masse di pietre sulle loro monta-
gne , e vi conservano scheletri e corpi di animali. La religione loro
non sa nè di bramauismo, nè di buddismo, nè d’islamismo, ma tiene
probabilmente ad una informe ricordanza di qualche altra dottrina an-
teriore allo stesso bramanismo.
B. Budduguri.
Sono un popolo agricoltore agiato e civile che ricoverò su’monli Ni-
lagiri venendo dal nord, egli avrà quattro secoli , a’ tempi delle gucr-
quanto dalle « Some additional notes on thè Hill-inhabitants of thè Goomsoor
Mountains n del ree. Taylor, nel N. 18 dello staso giornale ; dalle carte
pubblicate nel N. 75 del Giornale della Società Asiatica del Bengala conte-
nenti parte dell’ « Analysis of thè Mackensie Manusrripts » pel ree. Taylor,
e da altre notizie edile nello stesso giornale contenenti ulteriori estratti dei
manoscritti del Mackensie e della storia antica di Tondamandalam e i suoi
primi abitatori.
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I.1BR0 SECONDO
re intestine del Misore elio seguirono alla caduta dell'Impero di Vi ja -
yanagara, intorno a sei generazioni addietro, come l’Harkncss sostie-
ne. Sono Indiani della setta di Siva , e parlano il canara misto ad al-
cune parole de'Todauri, da’ quali però differiscono pe’ caratteri fisici,
poiché sono di statura piu breve , più sottili della persona , assai ben
fatti, e di piccole membra. Ne’modi e nelle fattezze non li diresti punto
diversi dagli Indiani coltivatori del Misore.
C. Erniari e Corumbari.
Dalle basse falde di questi stessi monti Nilagiri fino all'altezza di
mila, o due mila piedi , si distendono le tribù degli Erniari e de’ Co-
rumbari , quelli più vicini alla pianura , e questi nelle contrade su-
periori e più elevate. Entrambi favellano un idioma che è un inc-
scuglio di tamulico , di canara , di malayalma , e i Corumbari vi as-
sociano ancora vocaboli todauri. Gli individui di queste tribù sono
di triste e meschino aspetto , di statura bassa e corpulenta ; i ca-
pelli hanno radi e sottili , gli occhi piccoli e quasi sempre iniettati di
sangue.
D. Cohalari.
Altra tribù di questi stessi Nilagiri sono i Cohalari , i quali hanno
vagamente disposti i loro villaggi sulle cime de’monti che chiamano
Cohatagiri , e vi coltivano miglio , papavero ed orzo. Né solamente
sono agricoltori , ma altresì gli artegiani delle montagne , e lavorano
di stoviglie, di ferramenti c di meccanica. In ogni villaggio hanno due
sacri edifìzi , uno dedicato ad una divinità maschile , e l’ altro ad una
divinità femminile.
§ 44. Zeilanesi, o Cingalesi.
Sono i Zeilanesi, o Cingalesi abitatori della parte meriggia dell’Isola
di Zeilan , la Taprobana degli antichi. Le tribù de’Vaidi c de’ Candì
appartengono allo stesso popolo , e sono stanziate nell’ interno dcl-
l' Isola. La prima di esse è un’orda di barbari e selvaggi montagnesi
che si nutrono di frutti cui la terra spontaneamente produce, e della
carne di animali cui il caso fa cader loro nelle mani ; la seconda si
compone d’ individui non punto diversi da’Cingalesi , co' quali for-
mavano in origine un sol popolo eh’ indi si divise per politiche dis-
sensioni.
I Cingalesi sono stati descritti accuratamente da un autore moder-
no, del quale noi riferiamo volentieri le stesse parole come quelle che,
in grazia del nome dello scrittore , formano per noi una grande au-
torità.
« I veri Cingalesi dell’ interno , egli dice , che sono quelli appunto
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA INDIANA-
85
che io descriverò, sono certamente Indiani per fattezze, favella, usi,
costumi, religione e governo. Essi, egualmente che gl’indiani, differi-
scono dagli Europei non tanto per la fìsonomia ed i caratteri di minore
importanza, quanto per il colore, la statura e le proporzioni del corpo.
Varia il colore della pelle dal bruno chiaro al nero : varia altresì
quello degli occhi , ma sono meno osservabili le sue differenze. Piu
comuni sono i capelli e gli occhi neri ; gli ocelli castagni meno rari
de' capelli dello stesso colore , e rarissimi gli occhi grigi ed i capelli
biondeggianli. Quanto a statura, que’ dell’interno sono più alti di quei
che vivono nelle parti basse dell'Isola, c del maggior numero de’nativi
della costa del Cioromandcl e del Malabar, ma sempre meno degli Eu-
ropei, conciosiachè la loro statura media non è che circa cinque piedi
e quattro o cinque pollici di misura inglese. Molto ben fatti sono, pic-
cole hanno le ossa, ed i muscoli ben delineati. Per essere indiani sono
robusti, ed hanno generalmente il petto assai ampio e le spalle larghe,
massimamente gli abitatori dell’alto paese che , non dissimili in ciò
dagli altri montanari , hanno le cosce e le gambe un po' corte, ma
forti e muscolose. Le mani ed i piedi sono comunemente si piccoli ,
che a noi sembrano sproporzionali. Il cranio generalmente è di una
buona forma, se non se forse un po’ più allungato di quello degli Eu-
ropei, carattere cheSpurzheim crede proprio e particolare degii Asia-
tici ; i lineamenti non sono spiacenti, anzi tal fiata bellissimi, e la fi-
sonomia intelligente ed animata. Hanno avuto dalla natura un'ab-
bondanza di capelli ch’essi lasciano crescere in tutta la loro lunghezza,
come fanno altresì della barba che è folta e prolissa , poiché credono
che la barba non guasti già il viso ma l’ abbellì ; c nel vero io ho os-
servato che essa dà alla fìsonomia un’ aria di dignità che sarebbe cer-
tamente scomparsa coll’ uso del rasoio.
n Le donne zeilancsi generalmente sono ben fatte , hanno buon
aspetto, e se ne vedono spesso di tali che possono tenersi per belle.
Gli uomini di questo paese , grandi conoscitori in materia di bel-
lezza femminile , e che hanno libri scritti ex professo su tal materia
c regole che debbono servir di guida in cosiffatte specie di giudizi,
non ammettono che una donna possa stimarsi bella , se non riunisca
tutti i pregi eh’ io qui riferisco, secondo mi sono stati enumerati da
un zerbino candiano , versatissimo in tali studi ne'quali può dirsi
ch’egli avesse una profonda erudizione.
« La chioma dev'esscr folta come la coda del pavone, lunga tanto
da giungere fino alle ginocchia , e terminata in graziosi cincinni ; le
sopracciglia debbono avere la forma dell’arco baleno; gli occhi il cile-
slro del zaffiro , o de’ petali del fiore della Manilla azzurrina ; il naso
come il becco di un falco ; le labbra lucide e vermiglie come il corallo,
o la fresca foglia dell'albero del ferro ; i denti piccoli, regolari, uniti
evintili a’ bottoni del gelsomino ; il collo lungo e tondo come il Ber-
ricodia ; il petto ampio , c il seno duro e couico come il frutto giallo
del cocco; il taglio della vita cosi snello da poterlo quasi stringere con
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I.IBKO SECONDO
una mano; le anche larghe ; le membra tondeggianti e delicate verso
le estremità ; la pianta de' piedi piaua, e tutta la superficie del corpo
morbida , delicata , polita con contorni dolcemente rotondi , senza
che v’ahhia prominenza veruna formata dalla sporgenza di muscoli,
o di tendini (1} ». Cosi egli.
Non avendo i Cingalesi cronologia come l'hanno gli Indiani, riesce
impossibile determinare il tempo della prima invasione che venne
dall’Indostan. Il certo è , che templi immensi tuttora superstiti fanno
testimonio dell’antica coltura dell’ Isola. Plinio fa menzione di quat-
tro ambasciatori venuti in Roma da Zeilan, dopo che un vascello ro-
mano fu gettato sulle coste di quell’ Isola dove i naufraghi vennero
accolti cortesemente ed ospitati. Alcune medaglie romane recente-
mente disotlerrate sembrano giustificar Plinio, e contraddire le criti-
che, o i dubbi a cui le sue asserzioni aveano dato orìgine.
Ma già fiu dal primo secolo dell'Era Cristiana, relazioni commer-
ciali si annodarono fra i popoli dell’Europa del mezzodi, e quelli del-
l' India e di Zeilan, e Marco Polo e Niccolò da Conte fanno entrambi
parola di quelle relazioni che da quel tempo in poi non furono più
interrotte. La dominazione portoghese cominciò nel 1605 e finiva
nel 1650. La signoria olandese vi si fermò dal 1650 insino al 1796,
quando ebbe a piegare innanzi alla preponderanza delle armi bri-
tanniche.
Nel 1798 gli Inglesi fecero di Zeilan una lor colonia.il re Rajascrigha
era morto nell’anno precedente. L’erede della corona, Mutu-Sawamy,
fratello della prima fra le mogli del monarca defunto, fu spogliato ilei
suoi diritti per effetto d’una congiura orditagli contro dal suo primo
ministro Pilamè Talavè , che proclamò re una persona di scemo in-
telletto, Sri-'Wikrama , ch’egli poi dominava a suo talento. A soste-
nere un trono vacillante cercò l’appoggio degli Inglesi, i quali pro-
fittando dell’occasione che lor si offeriva , proposero d’inviare un
corpo di milizie nella capitale ; al che si oppose il ministro, e cercò
anzi di resistere e far guerra a coloro che non più come protettori,
ma come dominatori correvano il paese. Gl’Inglesi non ostante mos-
sero rapidi verso la capitale che trovarono vuota ed incendiata , e fa-
vorirono allora il ritorno al potere di Mutu-Sawamy , che conchiuse
con essi i trattati che lor piacque dettargli. Ma dopo nuove turbo-
lenze , e dopo la morte violenta del re legittimo , e il rinnovato do-
minio di Sri-Vikrama, gli Inglesi finalmente s’impadronirono di tutta
l’Isola della quale fu riconosciuto sovrano il re della Gran Brettagna in
un’assemblea di notabili tenuta in Candia nel 1815 (2).
(1 History of thè IsIam! of Ceylon, hy John Duuj, M. I)., F. R. S. eie.
(2) I tri. intorno a Zeilan anche le opere seguenti: Ali historical, politi-
cai and statistica! Account of Ceylon, liy C. Pridham. London, ISO), ì voi.
"* S. — Ceylon ami thè Cingalese: their history, govememcnl and religion ;
thè autiquitk s, institutions, produces etc. by Sirr. London, 1850, Jv of. in 8.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA INDIANA.
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§ 15. Zingari.
Gli Zingari, allriinenli chiamali Zingani, Zigeuni, Boemi, Gitani,
sono un popolo originario delle contrade presso le foci dell'Indo (1),
ma vagabondo e sparso quasi in tutta Europa, nell’Asia occidentale e
centrale, nell’Africa del norte, e in alcune isole dell’Oceania, singo-
larmente in Celebes e in Borneo. Il color bruno del volto, gli occhi , i
capelli neri e ricciuti, i lineamenti del viso, c l’ insieme della persona
gli avvicinano evidentemente agli Indiani delle rive dell’ Indo, cioè a
dire a’Sindiani ; e vieppiù la favella di cui fanno uso, la quale, a giu-
dizio de’ conoscitori, è un dialetto che parlasi intorno alle foci di quel
gran fiume. Non si conosce l’epoca, nè la causa della lor migrazione,
ma è probabile eh’ ei fossero della più abbietta classe del popolo , e
che per sottrarsi alle oppressioni delle caste superiori abbandonato
avessero le contrade native, e si fossero dispersi in famiglie isolate, che
da secoli e secoli vanno errando fra straniere nazioni. Altri li credono
(e fra questi il I*. Paolino (2)) fuorusciti in tempo della formidabile
invasione di Timur nell’India, invasione atroce, che non ha avuto si-
mile ne’fasti antichi c moderni. Alcuni governi di Europa hanno in-
dotto i loro Zingari a cangiar condizione, ed a fissarsi in istallili sedi,
e se ne vedono, in Austria ed in Turchia, dati all'Agricoltura ed alle arti
meccaniche, come in Hermanstadt, Klausenburg, in Transilvania e
nel pascialiccato di Scutari. lo ho ferma opinione , che , quanto ad in-
telligenza , essi non sieno punto , come molli a torto han preteso, in-
feriori agli Europei. Quante volte non ho io veduto com’ci si burlino
della credulità delle nostre donnicciuolc alle quali indovinano il noine
e predicono l’avvenire ! Quante volle non gli ho io veduti condurre
animali alle fiere , esporli in vendita , mostrarne il pregio e la svel-
tezza , c i creduli contadini avvedersi dell’inganno quando, compe-
rato l’animale, felici loro se avessero potuto menarlo vivo a casa!
Se tutto l’ingegno ch'eglino han volto alfe trappole ed alle astuzie,
lo applicassero in utili mestieri, come ne’ luoghi soprannominati, que-
sta genia di uomini che taluni hanno creduto la più stupida ed ab-
bietta del mondo, potrebbe rivaleggiare con successo co’ nostri mi-
gliori operai, e partecipare de’ vantaggi che la società sempre accorda
agli uomini intelligenti, utili ed operosi.
(1) Greltmann, Historis. Versuch iiber die Zigeuner. Goeltinj, 1787 —
Richardson, Asiatic. ResearcheS, t. VII, n. 9 — Rienzi (Oceanie, I, 2G4 )
ne cerca l'origine tra i Alaratti, e propriamente netta provincia di Mahrat,
ne’ Galee orientali — In Europa si videro la prima volta in Ungheria nel
1117, e atta fine dell'anno stento in Boemia e in Alemagna — (Munstcr,
Cosmographia , 111. cup. V.) In Isvizzera apparvero nel 1418, e in Italia
nel 1422 (Muratori, Annali, t. IX — Cronica di Bologna, t. XVIII — Re-
runi Ilaliearum Script, ad annum 1422). Giunsero in Francia nel 1417, e
di là in Ispagna e in Portogallo, c più tardi, sotto il regno di Enrico Vili,
in Inghilterra.
(2) Viaggio cit. p. 2o5.
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LIBRO SECONDO
Quantunque originari dell’India, i Zingari non sono nò bramanisti,
nò buddisti, nè maomettani : ogni sorta di religione hanno a vile, c
non credono ad altro, che al cattivo genio ed alla fatalità.
Il Rienzi che ha inserito una istruttiva dissertazione sopra i Zin-
gari nel 1° volume della sua opera sull’Oceania , ne ha calcolato an-
che il numero approssimativo nelle varie regioni della terra, che egli
valuta essere presso a poco di cinque milioni, ripartiti come appresso:
Europa .... 1,000,000
Africa 400,000
India 1,500,000
Rimanente dell’Asia. 2,000,000
Oceania .... 20.000
Totale 4,920,000
CAPITOLO II.
FAMIGLIA PERSIANA.
Gli antichi Zendi, cioè i Battriani, i Medi ed i Persiani, erano sti-
mati generalmente di forma e di aspetto bellissimi, e Plinio (1) attri-
buisce ad una specie di unguento di cui si ungevano la morbidezza
della lor carnagione. Di alta statura e di bel viso li dicevano i Greci
( «*Uo5 x»i (*67«9o5 (2) ) , ed Ammiano Marcellino , che accompagnò in
Persia Giuliano imperatore, lasciò scritto essere al di sopra di ogni
bellezza l’avvenenza delle donne persiane (3). In questa sentenza dei
Greci e de’Romani ci confermano le effigie trovate scolpite fra le ro-
vine delle distrutte città dell’Impero Medo-Persico , soprattutto nei
bassirilievi di Persepoli, e nelle medaglie degli Arsacidi e de’Sassanidi;
uè’ quali monumenti ognun ravvisa quella venustà c squisitezza di
lineamenti che tanto a ragione lodavasi dagli scrittori dell’ antichità.
Il contorno del volto di queste effigie è di una forma ovale perfetta,
i capelli e la barba folti, morbidi e distesi, il naso profilato ed aqui-
lino, gli occhi grandi e sottostanti a ciglia vagamente inarcate, la
bocca grande con labbra sottili, il torace ampio , le membra valide c
muscolose, la statura piuttosto eminente, e la persona svelta ed ele-
gante ; caratteri che si sono in gran parte conservati negli abitatori
odierni dell’antico impero Aledo-Persiano , veri discendenti de' pri-
mitivi popoli zendici.
A Zoroaslre battriano si attribuisce l’ ordinamento del popolo in
caste, e la istituzione sacerdotale presso i Battriani , i Medi ed i Per-
siani , al loro primo comparir nella storia , già distinti in tre diversi
(1) Lib. XXIV, 17.
(2) Piu turco, in Alexandre — Senofonte, Anabasi, Lib. III.
(3j li istoriar, qua) supersunt, Lib. XXI V.
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PERSIANA. 89
centri di governo. Soggiogati dagli Assiri andò perduta la loro auto-
nomia, ma quando Arbace, spodestando Sardanapalo, ridusse la Me-
dia a nazione independente, e Persi e Batlriani obbedirono al popolo
vincitore; e quando Ciro, emanceppando i suoi dalla vile soggezione
di Astiage, si fece capo della propria nazione , i Medi ed i Batlriani
furono ridotti all’obbedienza de’ Persiani , i quali composero un im-
pero de’ più possenti de’ quali serbi ricordanza la storia , ma che pur
cadde dinanzi al valore di Alessandro, e fu retaggio de’ Greci conqui-
statori, inGno a che Arsace non iscacciò i Macedoni dalla provincia di
Parliene e d’Ircania, fondando il regno de’ Parti che abbracciò quasi
tutta la monarchia degli Achemenidi , meno le conquiste de’ Romani
nella Siria e nell’Asia Minore.
Le vittorie de’ primi Califfi , quelle de’ celebri Gengiskan e Taraer-
lano sottomisero ora agli Arabi, ora a’Mongolli ed ora a’Tartari quel-
le vaste contrade, le quali sono divise al presente in regni e stali in-
dependenti.
Quale e quanta fosso la civiltà degli antichi Baltro-Medo-Persiani,
non ci è serbato da storici documenti, ma i frammenti dell’Avesta ci ri-
velano quanto fosse progredila la loro letteratura , e gli avanzi di Per-
sepoli, diSusa, di Bisitun , di Ecbatana sono ad attestar tuttavia
il progresso che aveano fatto nelle arti belle, ed in quelle delle co-
struzioni (1).
Idea fondamentale dell’antica religione de’ Persiani fu la quantità
di luce e di tenebre , ed una lotta fra questi due principi che dovea
aver termine colla vittoria del primo. Ormuz, genio del bene, ed Ari-
mane , genio del male , simboleggiarono l’opposizione de’ due prin-
cipi su’ quali Zorastre fondò tutta la sua dottrina religiosa. Zervane
Akerene è l’ Eterno, è il principio supremo che diede cominciamento
a Zervane, cioè al tempo. Dal trono dell'Eterno usci il verbo primi-
tivo , Honover , che produsse tutte le cose buone. Ormuz non cessa
mai di profferir questa parola; con lui la ripetono i geni sparsi dap-
pertutto, e ripetizione costante ne sono in terra le preci senza in-
terruzione innalzate ne’templi , da’Magi , secondo i vari giorni e le
differenti posizioni del Sole. Che se questa parola cessasse e di suonare
in cielo , e di echeggiare in terra , il mondo ad un tratto perirebbe.
Come corpo di essa è la legge di Zoroastre che perciò chiamasi Zenda-
vesla, cioè: parola vivente.
Simbolo visibile della creazione era il toro diletto ad Ormuz , ma
Arimane il percosse , o il toro si mori. Dalla sua destra spalla usci
Caiamort primo uomo , e dalla sinistra G osciorun , anima del toro ,
divenuto il genio tutelare della creazione. Dal seno di essa Ormuz su-
scitò altri due tori , onde vennero tutte le specie di animali mondi :
dalle carne furono prodotti i frutti, dal naso gli ortaggi , dal sangue
(1) Ftandin et Coste, Voyage en Perse pendant les anndes 1810-1811,
opera splendidissima, pubblicata a spese del Governo francese.
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1.1 tlIIO SECONDO
l’uva , dalla coda venticinque specie di grani. Un mondo impuro vi
oppose Arimane , onde una doppia serie di esseri vivono quaggiù in
perpetuo contrasto ed opposizione.
Ucciso da Arimane anche l'uomo, il liquore prolifico di questo cad-
de sul terreno ove il Sole purifìcollo , c geni tutelari lo vigilarono
finché, dopo quaranl’anni , Orinuz ue fece pullulare un albero , che
per dieci anni seguitò crescendo in figura d’uomo e donna accoppiati,
e per frutti recava dieci coppie umane , fra le quali Mescbia e Me-
schiane, progenitori della discendenza degli uomini (1).
Cognizioni astronomiche erano frammiste a cosi strane dottrine co-
smogoniche c religiose , onde gli astri medesimi si ebbero un culto
speciale. Nel Sole adoravasi Ormuz , e se ne invocava l’ apparizione
sull'orizzonte , e se ne piangeva la dipartita nel tramonto. Nel fuoco
sempre acceso guarda vasi la continua protezione del benefico Iddio,
che ivi presente allontanava il maligno Arimanc, pronto a scagliarsi
sui mortali, se per avventura estinguevasi il fuoco, e la luce dava luo-
go alle tenebre.
Mitra anch’esso era un simbolo del genio del bene, di Ormuz, che
nel toro a lui caro e ferito rappresentava il principio della crea-
zione e della rinnovazione perenne degli esseri.
La lingua dell’Avesta, lo zendo , fu l’ idioma adoperalo prima-
mente dagli antichi Batlro-Medo-Persiani, i quali adottarono il pelvi,
quando, caduti in podestà degli Assiri , moltissime voci caldaiche nc
alterarono la nativa purezza. Dominandogli Arsacidi, lingua dell'Im-
pero divenne il parsi che durò tino all’invasione maomettana. Allora,
mescolandosi l’elemento arabo all’elemento persiano, sursero il per-
siano moderno e gli altri dialetti de' popoli che or si dividono il terri-
torio delle antiche nazioni zcndiche, e che noi crediamo appartenere
alla presente famiglia persiana , nella quale perciò comprendiamo le
nazioni sparse nel vasto paese circondato dal Tigri, dal Caucaso, dal-
l’ ludo e dal Golfo Eritreo , congiunte insieme fra sé col vincolo co-
mune degli idiomi , i quali lutti traggono origine dallo zendo, ma se
nc discostano più o meno , secondo la maggiore o minore influenza
eh’ ebbero sovr’ essi le lingue delle altre genti che fecero conquiste in
que’ paesi e vi stabilirono la lor dominazione. Per questa ragione
eziandio delle nuove razze che si confusero con la razza primitiva,
la famiglia persiana odierna è ben lontana dall’ offerire caratteri fisici
identici, conciosiachò , all’ infuori de’Tadgiki, o veri discendenti dei
Persi , che serbano aucora in gran parte le impronte originarie dei
padri loro , tutte le altre genti appartenenti alla stessa famiglia han
subito non lievi modificazioni mescolandosi a nuove c diverse stirpi ;
dal quale mescolamento sono poi surti quc’lipi Gsici nazionali che di-
(1) Canta, Op. eit. Epoca 2. cap. 5. — Val. anche Burnouf, Coni i nei i-
laire sur le Yafna, e Rimile, Die heiligc Sago der altea Uaklrer, Meder und
Perser, oder des Zeudvolkes. Frulifurl a. M. 1S20.
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.. . . . .. . •
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end - '«ila» a il principio delta crca-
.* » ■ ■ . *u «aeri.
' . .a. .11 l'idioma adoperato prinu-
un -i "i -vp'* ; uni, I quali adottarono II pelvi,
q». i ; .eviri , moltissime voci caldaiche ne
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pero di »«•;>'• c i % r * a- ■ suo all'invasione maomettana. Allora,
inerte: i ‘ . i ^ tn t>o .f elemento persiano, sorsero il per-
si-'- , i9 : >'■ ’Ui de' popoli ciré or si dividono il leni-
to» w 1 • •• • i -.'diche. c che noi crediamo appartenere
ti )»•-<■ ii p 'pi, nella quale perriò comprendiamo le
c-r • c rlrcoudalo dal Tigri, dal ( «-intaso , dal-
r trvb- >p e- 'ingiunte insieme fra sé col vincolo co- •
tutti traggono origine dallo tendo, un no
or *j .• -m ■ - ' ia n, secondo U maggiore o minore influenza
di et r i mgne delle all re genti die fecero conquiste in
que t-w » iWiipiso la lor dm. .inazione. Per questa ragione
eziandio dem .wv' ratte r ,< al confusero eoo la razza primitiva,
là famiglia j« i.oau» od)**r... e -m lo» una dall' olleriro caratteri Usici
identici, rouciosiad. t .'■».««« de' Tadgiki , o veri discendenti dèi
Persi, die serl>aii<p lt ..m parte le impronte originarie dei
padri lor< . tnti t.» «Sta . »pp.irl' m nli alla .tessa tatuigli. i bau
aulitili duo lievi «»io< fica*, mi ineaculandosi a nuove e diverso stirpi ;
dal quale mcscotameulu sono poi surti que' tipi tìsici nazioUuii che di»
1' fV.rfe, Op. ed. lìpoca Ì. cap. >. — Yrd anck* Unrnouf, Conuuen-
Mr «al Ir V* v «u, « RkmU, lite lieti igo Sagn drr allei) Baklrer, Med-r und
Pt. dti.-v J ^Zeudvolkca. F rat. furi a. H. IMO.
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RAZZA ARI AS A— FAMIGLIA PERSIANA. DI
slinguono ciascuna delle popolazioni comprese nella famiglia persiana,
c che noi faremo conoscere nell’ordine qui solto indicato.
I Tadgiki , o Persiani.
Guebri e Parsi.
Afgani.
Belutsci.
Curdi.
Iazdi , o Iezidi.
Armeni.
§ 4. Tadgiki, o Persiani.
1 Tadgiki , o Persiani propriamente detti ( Taski di Dionisio Perie-
gete ( l). c Kizzilbaschi de’Turchi ) compongono la maggior parte della
popolazione della Persia, e si distendono altresì pel Belulscistan, Afga-
nistan , Bukaria e Turcomannia cinese. Il nome Tadgiki , secondo
Ritter, denota in tutta l’Asia centrale « un uomo che parla il per-
siano » ; e tali si appellarono a’tempi di Tamerlano que’che non erano
Arabi, o Mongolli , ma cittadini naturali dell’ antico impero persiano,
sopravvissuti a tutte le rivoluzioni e le guerre sanguinose che cora-
batteronsi nell’Iran 2).
Conservano ancora la bellezza ond’ erano vantati gli antichi Per-
siani , c veramente regolari ne sono i lineamenti , il volto di un bel
profilo ovale alquanto allungato , le sopracciglia c gli occhi grandi c
neri, la barba folta, la chioma lucida e morbidissima, e la carnagione
mezzanamente bianca simile a quella degli Europei del mezzogiorno (3;.
Generalmente eglino sono più civili , più intelligenti ed operosi dei
Turchi lor dominatori , ma sono volubili olire ogni credere , pas-
sionati ed amanti del cerimoniale, a In oltre sono il popolo più furbo
e vizioso che sia mai esistito , e tuttavolta i loro vizi son velati da
ipocrisia e politezza di modi , che possono ingannare chiunque os-
servi con leggerezza (4)». « Il Persiano (cosi il Gamba da più secoli
abituato a vedere invaso il proprio paese, obbedendo passivamente ai
Tartari, a’Turcomanni ed agli Afgani , si tiene dalla provvidenza de-
stinato alla schiavitù ed all’ oppressione. Vergognose quasi tutte son
le memorie recenti di lui ; la resistenza è stata sempre nulla. Esso è
(i) V. 1074 — Ta®xw', òOvctjs njpsixov ovou*. Euslath. Commini, in Dionys.
ad locum. — L’Elphinstone suppone questo nome di origine pelvi.
(2) Malcom, The History of Persia , from thè most carly period lo thè
present timo, contaiuing an account of thè religion, gouvernement, usagos
and eharacter of thè inhabitants of that kingdom. London, 4845, 11,
p. 600.
(3) Meyendorff, Vov. d’ Orenbourg à Boukhara. Paris, 1826 — Ritter,
Erdkuude v. Asicn. B. VI. s. 727.
(4) Tenie e Aucher-Èloy.
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92
L1I1R0 SECONDO
stalo testimonio della distruzione c del sacco delle sue città , del mas-
sacro de’suoi fratelli ; e vistosi spoglialo de’suoi l>eni t e condannato ad
una incerta esistenza , ha adoperato per conservarla i mezzi estremi ,
e non di rado anche i più vili. Tale stato di cose ne ha fallo un po-
polo di perduti costumi , onde in lui ninna parola vera, niun giura-
mento sacro e se oggi giura una cosa , domani è pronto a giurare il
contrario. È vile innanzi al potente, ma insolente e duro verso il de-
bole. Che vai mai la sua intelligenza, la estrema facilità nell’ appren-
dere , il progresso clic sa fare nelle arti meccaniche , nelle scienze e
in tuttociò che risguardi istruzione? Questi doni della natura diven-
gono una sventura, quando chi li possiede non ha principi, né alcuna
virtù (1) ».
La lingua dc’Tadgiki , notevole per la tendenza allo stile fiorito ed
ornato , è la lingua delle colte società della Persia non solo , ma di
una gran parte dell' India settentrionale. E un dialetto neo-persiano
pullulato dal persiano antico frammisto a voci pccslù e turcomanne,
ed abbellito dalle veneri che v’impressero gli scrittori che fiorirono
sotto le dinastie de'Gaznevidi e de’Selgiucidi , da Firdusi , l'immor-
tale autore del «Libro degli Eroi » fino ad Hafiz, nelle poesie del quale
raggiunse lo slancio più elevato la lirica persiana (2).
La religione che professano è l’ islamismo della setta di Ali.
§ 2 . Parsi e Guebri.
Sono i Parsi ed i Guebri reliquie degli antichi Persiani i quali , te-
naci della propria religione, c campando dalle feroci persecuzioni dei
seguaci di Maometto, ricoverarono all’Isola d’Ormo nel Golfo Persi-
co, c di là poscia nell’ India, a Suratte e Bombay, dove or vivono di-
scaduti nel potere e nella intelligenza ; mentre altri fuggirono nel Mul-
tai) c nello Scirvan, a Bakù. Sono attivi, sobri, continenti; i più son
dediti al commercio, e frequentano nell’India le società inglesi di cui
adottano in parte anche gli usi. Serbano intatta la religione di Zoroa-
stre , e venerano il fuoco cui conservano ardente ne’ loro templi , e
come cosa divina considerano il gallo annunzialore del giorno (3).
§ 5. Afgani.
Non ha più di un secolo che gli Afgani son conosciuti nella storia
come il popolo dominatore dal Belutscislan al Turchcstan, c dal Sin-
(1) Voyage dans la Russie meridionale, et particulièrement dans les pro-
vinces au de là du Caucaso, fait depuis 1820 jusqu’à 1821. 2. ed. Paris,
1826, t. Il, p. 193.
(2) l)e Uammer, Geschichte der schonen Redckunste Persien, ISIS.
(3) Per più ampie particolarità, ved. Forbcs, Orientai memoirs selocled
and abriged troni a series of familiar leitcrs vvritten during seventeen years
of residence in India, 1, p. 109.
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PERSIANA. 93
di occidentale fino a’ confini della Persia. Tavcrnier e Chardin par-
lano di essi nominandoli Aghuani , od Augani, ma l’Elphiustonc (I).
che nc ha dato una storia compiuta, ce li dipinge di un carattere os-
servabilissimo tanto nel fisico, quanto nel morale. Sono di belle fat-
tezze, di valide e muscolose membra, di volto allungato col naso leg-
germente aquilino e i pomelli delle gote alquanto proeminenti. Il co-
lor della pelle è variabile secondo i luoghi di lor dimora , perciocché
quelli ad oriente sono generalmente di carnagione quasi tanto bruna
quanto i nativi dcll'lndostan, e quelli ad occidente son più bianchi ed
anche più robusti ; anzi il Fraser nc assicura , che in taluni si ve-
dono eziandio i capelli rossastri e gli occhi cilestrini (2). Hanno ma-
niere semplici e cortesi , il carattere franco ed aperto. Naturalmente
sono perspicaci e scaltri , tardi nel risolversi, ma fermi nei propositi,
c forti quanto basta ond’ essere rispettati. Ciò che poi li distingue più
particolarmente è l’amore estremo per la libertà e per l’indipenden-
za ; il perchè sempre inutili sono stati gli sforzi fatti da’ loro capi per
istabilire un governo dispotico. A lato di queste virtù notava il liurnes
non pochi difetti.
« (ili Afgani, (cosi questo insigne viaggiatore), sono una nazione di
fanciulli ; si battono nelle loro contese , e senza alcuna formalità ri-
tornano amici. Eglino non sanno nascondere altrui i propri senti-
menti, e chi non manca di fior di perspicacia gli indovina di leggieri.
Secondo quello che essi stessi dicono, il vizio da cui sono dominati è
l’ invidia , che tra loro regna anche tra i più stretti e i più affezionati
parenti , e non vi sono uomini più atti di loro a tessere intrighi, lo
fui singolarmente colpito della loro infingardaggine ; par che abbiano
diletto a starsene a sedere tutto il giorno, guardandosi l'un l’altro
senza pensare a nulla. Sarebbe difficile scoprire quali sono i mezzi
di loro esistenza ; frattanto eglino vanno ben vestili , godono buona
salute, e sono felici (3).
Molte tribù pastorali v’hanno fra gli Afgani, delle quali io menzio-
nerò quella de’ Lohani , fra Ghazna e l’Indo, principali fattori del
commercio indo-persiano, e la tribù de’Ghildgi che erra nomade fra
Cabul e l'Indu-Kuh dove passa l'estate. « Tutto era pastorale, (cosi
il Burncs descrivendo questa tribù ); gli uomini seguivan le pecore
che pascolavano sulle pendici de’ monti ; i fanciulli , guidando gli
agnelli, formavano il retroguardo a un miglio, o due di distanza; una
vecchia pecora incoraggiavali ad andare avanti, e i fanciulli favorivan
questi sforzi con leggieri colpi di fili d’erba e con grida. Alcuni di
que’ fanciulli eran si piccini che appena potevan camminare, ma il pia-
cere di quell’ esercizio gli stimolava.
« Noi passammo dinanzi a diversi attruppamenti sull’ argine della
strada, che già stavan per esser tolti , già si affardellavano gli arnesi.
(1) An account of thè Kingdom of Cabul, ediz. del 185!), London.
(2) Travcls in thè Himmalaya.
(3) Viaggio da Deli a Lahora cit. p. 149.
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LIBRO SECONDO
Gli Afgani hnn le tende basse, nere, o piuttosto brune. Le donne ac-
cudivano a tutte le faccende invece de’ loro indolenti mariti , carica-
vano i cammelli e gli cacciavano innanzi. Elleno sono brunissime, e
per bellezza poco notabili. Tutte queste genti eran del resto ben ve-
stile , e calzate di sandali con larghi chiodi di ferro ; i fanciulli eran
sani e paffuti. Dicesi che fra queste erranti popolazioni non è per-
messo il matrimonio prima dell’ età di venti anni (1) ».
Gli Afgani chiamano sè stessi Ben i Israel (figli d’ Israele) , c cre-
dono discendere direttamente dagli Ebrei , poiché , dicono essi , che
Nabuccodonosorre , dopo aver distrutto il tempio di Gerusalemme ,
li trasportasse nella città di Ghori presso Bamian, e che il nome loro
venga da un condottiero chiamato Afgama , figlio del zio d’Azaf che
era visir di Salomone, c figliuol dì Berkia. Asseriscono ancora di esser
rimasti ebrei fino al tempo in cui Klialed, designato col titolo di Ca-
liffo, chiamolli nel primo secolo dell’ islamismo, perchè lo aiutassero
nella guerra contro gl’infedeli. Bitumarono, dopo la guerra, nel
paese natio, e furono governati da un re della stirpe di Raion, o Ciro
lino all’Xl secolo, in cui furono soggiogali da Mahmud il Gaznevida.
Una razza di re uscita da Ghori rovesciò la casa di Gbazna e conqui-
stò l'India. Si sa che alla morte del suo fondatore, questa dinastia si
divise in due rami, l’uno ad oriente, l' altro ad occidente dell’Indo ;
il quale stato di cose durò fino al momento in cui un discendente di
Timur li sottomise entrambi ad un nuovo giogo (2).
Ma nel determinarsi la provenienza di nazion da nazione, non me-
rita certamente l’ultimo luogo l'argomento che si trae dalla somi-
glianza, o affinità dei loro parlari; e però nel proposito nostro sarebbe
ragionevole supporre, che la lingua degli Afgani fosse l’ebraico puro,
o un sermone che mollo gli si avvicinasse , ma Klaproth che ha esa-
minato l’idioma degli Afgani , ha dimostrato che questa lingua è un
dialetto persiano, men dolce e meno elegante di quello dell’Iran (3).
L’Elphinstone, che ha visitato il lor paese, ha giudicato la quistione
come il Klaproth, e gli autori del supplemento al Mitridate dell’Ade-
lung ne hanno adottata la opinione , lauto per riconoscere l’indole
persiana , o medo-persica deli’ afgano idioma, quanto per rigettare
l’opinione che fa derivare gli Afgani dagli Israeliti (4). D’ altra parte
(1) Viaggio da Deli a Lahora cit. p. 152-153.
(2) Tali furono i racconti fatti al Barnes dagli Afgani sulla loro erigiti*
c discendenza.
(3} Ueber die Spraclie und der Ursprung der Aghuan odcr Afghancu.
Archiv. fur asiatischen Literatur, Geschichte und Sprachkunde. Sainl
Pelersb. 1810.
(4) Nac li trago zum ersten Theil des Mithridates, s. 252 — Le forme del
pecstu sono completamente persiane , ma l’affinità è maggiore con lo sendo
che col persiano moderno. Le vocali finali, p. es. conservate nell’inflessione
de’ nomi e de’verhi, e che il persiano moderno ha perdute, sono un carattere
che il pecstu ( ovvero lingua degli Afgani ) ha comune con lo zendo : est e
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PERSIANA. 95
è ben nolo, elio gli Afgani odierni corrispondono agli Aapagotii di
Plinio (1), ed agli Assteani di Arriano (2; il nome de’quali fu sco-
perto dal Lasscn in un catalogo delle nazioni tributarie del Gran Ite
inciso in lettere cuneiformi sui monumenti di Persepoli (3).
Le principali tribù di questa nazione sparse sopra tutto il territo-
rio dell' Afganistan sono:
1. ° I Berdurani, fra la catena deH'lndu-Kuli, l'Indo, la catena delle
montagne salate e quelle di Soliman. Sotto questa appellazione gene-
rale si comprendono :
Gli Euzufzi,
Gli Otman-Kail,
I Turkolani,
I Kluberi,
E finalmente gli abitatori dellepianurc del Peisciaver.
2. u Le tribù del Daman, fra le montagne salate, i monti Soliman,
l'Indo ed il Sindi superiore : si dividono in Mervnni ed in Loliaui
clic comprendono :
I Dulet-Kails,
I Gandipuri ,
I Mian-Kails,
I Buburi ,
Gli Sluriani.
3. ° Le tribù de’ monti Soliman , di cui le più conosciute sono:
1 Shirani,
I Viziri.
4. ° I Duraci, fra la catena del Paropamiso al norie, il gran deserto
salalo della Persia ad occidente, la catena del Kodja-Amman a mez-
zodì, e la contrada de’Gbildgi ad oriente, divisi in due gran rami, i
non est <! in pecslu sbta e nishta, in zcmlu aste « nashte, mentre in persiano
è est e nist ; la terminazione della persona terza è in pecslu di, in tendo de,
in persiano semplicemente d. — Ved. anche Raverty, A Grammar of thè
Pukhto , Pusillo , or Language of tbo Afghans , etc. , and Kemarks on thè
Language, Literature, an Descent of thè Afghan Tribes. Calcutta, 1855.
(1) Lib. VI. cap. il.
(2) Indica, p. 514. Ed. Gronovius — item, de Expeditione Alexandri.
p. 221.
(3) E scritto Usk* — ngba, ovvero Us}*— nga, nome che non sembra cor-
rispondere ad altro che agli Aaa — Ve d. Lassen, Keil-Inschriften
von Perse polis. Bonn, 1856, p. 94, e le osservazioni di Carlo Bitter, Erd-
kunde von Asieu, voi, V, p. 206.
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9G
LIBRO SECONDO
Ziraki ed i Pundgipoi, scompartiti i primi in quattro, ed i secondi in
cinque tribù , come appresso :
Ziraki....
I Populzi ,
Allekozi,
Barakzi ,
Atcbikzi.
Pundgipoi
Nurzi,
Alizi,
1 Iskhakzi,
Khugani ,
(Mekusi.
5.° Finalmente i Gbildgi, più numerosi e divisi in due grandi rami,
di Toran, e di Burhan. Il territorio da essi occupato è un parallelo-
grammo in mezzo dcH’Afganistan, i cui grandi lati all’est e all'ovest
sono limitati dal Kohistan, dai Berdurani e dai Durani, il lato setten-
trionale dal Paropamiso, e il meridionale da’ munti Soliman.
§ 4. Belutsci.
Sono i Belutsci gli abitatori di quella parte orientale della Persia
clic corre dall’Afganistan all’oceano indiano, e dal fiume Indo fino
al gran deserto salato. L’ alta statura , le belle forme , la fisonomitf
espressiva, ma anzi tutto l’idioma che favellano, gli avvicinano a pri-
ma vista agli altri popoli di stirpe persiana. Bianco anziché no è il co-
lorito della lor carnagione, benché s’ infoschi d’assai presso coloro che
son prossimi all’Indo. Si dividono in tribù quasi tutte di abitudini pa-
storali. Fin dall'infanzia sono educali a trattare le armi, e per questo
appunto sono dediti molto al ladroneccio ed alla rapina.
Alla stessa nazione che i Belutsci appartengono i Burdi delle pianure
al nord di Scikarpur fino a’ confini del Cotch-Gondave , o paese dei
Brahui. Eglino han preso il lor nome da un famoso personaggio del-
la loro tribù conforme è l’ usanza de’ Belutsci , le diverse tribù dei
quali sono tutte composte di discendenze di qualche lor uomo il-
lustre.
Comunemente si crede appartengano al medesimo stipite de’Belutsci
anche i Brahui , ma il lor dialetto molto alfine a quello del Pengiab ,
la piccola statura, il volto pieno e tondo li farebbono annoverare piut-
tosto fra i popoli indiani, anziché fra quelli di ceppo persiano, dove noi
gli abbiamo collocati per non separarli da'Belutsci in unione de’ quali
sono stati sempre descritti , e co’ quali han comuni le abitudini della
vita e le costumanze (1).
I Fedi delle contrade montane occidentali del Lurislan, i Bakhtiari
(1) Pollinger, Travcls in Bclulchistan and Snidili. ISItì-
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PERSIANA.
97
«Mie montagne di Lur, e i Laki , sparsi nella Persia . ma principal-
mente riuniti in Kazwin, Fars e Mazanderan, sono tribù della stessa
origine de’ Belutsci , e parlano idiomi che han molta somiglianza col
parsi antico.
§ 5. Curdi.
Quella elevata regione tagliata da valli profonde, e frapposta al ri-
spianato della Persia ed alle pianure della Mcsopotamia è la contrada
propria de’ Curdi , popolo nomade e pastorale, discendente probabil-
mente da que’ barbari che si opposero si fieramente alla ritirata dei
diecimila Greci descritta da Senofonte (1). Sono gente vigorosa, robu-
sta , di pelle bruna , con occhi grandi , bocca larga , e selvaggia fiso-
nomia. La loro lingua è di fondo persiano con qualche voce turca,
araba e caldaica (2). Professano l’ islamismo della setta di Omar, dei
cui dogmi e riti sembra che facciano poco conto ; anzi molti di essi
onorano Scetan, o Salari, il nemico di Dio ; la quale idea che è propria
de’Jezidi, è una traccia dell’antica dottrina de'due principi del bene o
del male. Bellissima è la dipintura che il Lamartine fa de' Curdi da lui
veduti in Siria dove conducevano a pascolare d’ inverno i loro ar-
menti. «Gli uomini (cosi egli) erano generalmente grandi, forti, belli
e ben fatti, e i loro abiti annunziavano non già povertà, ma negligen-
za... Le donne non erano nascoste, nè velate, ma semi nude, soprat-
tutto le donzelle da’dieci a'quindici anni. Elle non erano bianche, nè
modeste, nè graziose come l’ Arabe Sirie, nè aveano l’aria feroce e ti-
mida delle Beduine , ma erano generalmente piccole, magre, di una
tinta abbronzita dal sole, gaie, festevoli, vivaci, leste, danzanti, e can-
tanti al suon della loro musica. Non mostravano alcuna inquietudine
de' nostri sguardi, niun pudore della lor quasi nudità innanzi agli uo-
mini della tribù , i quali pareva non avessero autorità di sorta sopra
di quelle , ma si contentavano di ridere della loro indiscreta curiosità
verso di noi , e le respingevano dolcemente motteggiandole. Talune
erano assai belle e spiritose, e maggior vivacità a’ loro sguardi davano
gli occhi neri e i lembi delle palpebre colorati dell’ /tenne. Le gambe e
le mani aveano tinte del colore dell’anacardo : i loro denti bianchi
come l’ avorio, de’ quali faceano maggiormente risaltare la bianchezza
le labbra screziate di azzurro, e la tinta abbronzita del volto, davano
alla lor fisonomia ed al loro sorriso un carattere selvaggio si, ma non
(1) Probabilmente Curdi erano i Kópnoi e i ropSoaiot (Cordiei e Gordia-
ni) de’ Greci, nomi che Strabane (Lib. XVI.) deriva da equivalente
alla parola ladrone neWantica lingua persiana. Sotto il nome di Kudraha,
o Gudràkid sono stati annoverati, in una iscrizione cuneiforme persepolita-
na, fra le nazioni tributarie del Gran Re (Ijissen, Keil-Inschriftcu cit ),
p. 81-86 — Burnouf, Móni, sur quclqucs inscript, cunéif., p. 140.
(2) fìiediger e Poti, Kurdische Studiti), nel Zcitschrift fur die Kunde des
Morgenlandes, t. III. init.
Nicouicci, Razze umane— Voi. I. 7
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MURO SECONDO
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feroce. Somigliavano agiovanellc provenzali, o napolitano con fronle
più alta, portamento più libero, sorriso piu franco e maniere più na -
turali (1) ».
I Curdi si dividono in due caste : gli Assireti, che sono i nobili ed
i guerrieri c clic raramente, o non mai lavorano la terra, ed i Gurani,
Raja, o Kocili, che sono la casta inferiore e coltivano le campagne (2).
Ognuna di esse ha un dialetto proprio , ed anche nella (isonmnia
un tal quale carattere di varietà. Vivono per tribù suddite della Porla
Ottomana e della Russia, e le più conosciute fra di esse sono :
I Sckkir,
1 Noareddini ,
I Shirkis,
I Cheli, ali,
I Siwell ;
E le più grandi dei
Jaf,
Bahdinan,
Buhtan,
Nowandiz,
llakkari.
In mezzo a questi ultimi sono sparsi in più villaggi i Cristiani
Nestoriani, delti ancora Kaldani, o Caldei, in moltitudine di 500 mila
anime secondo Walsh , ma in molto minor numero secondo l’Ains-
worth, che non ne conta al di là di ventisette mila (3).
§ G. Jazdi, o Jezidi.
Appresso a’ Curdi facciamo parola de’Jazdi, o Jezidi abitatori di al-
cune contrade del Kurdistan, delle montagne di Sinjar presso il fiu-
me Chabur, e delle pianure intorno a Nisibin ed Orto, conciosia-
chè v’hanno ragioni assai, nel loro idioma, per considerarli affini allo
curdiche tribù. Nondimanco molti tengono diversa opinione sopra la
loro provegnenza, e qual li crede giudei, quale sabei, o caldei, quale
arabi , quale discendenti dagli adoratori del fuoco , che arcano in
culto e venerazione Arimane. Sono uomini di statura eminente, svelti,
con aspre fattezze che denotano fermezza e stabilità di carattere :
(1) Souvcnirs, Impressions, Pensées etPaysages, pendant un voyage en
Orient.
(2) Rich, Narrative of a residence in Koordistan. Lomlon, 1&56.
(3) Visit to thè Chaldeans ; nel Journal of thè Roy. Geograph. Society,
voi. XI. P. 1.
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RAZZA Alti ARA -rAUIGI.lA PERSIANA. 99
hanno bruni gli occhi c le ciglia , la fronte alta e stretta , il naso
prominente, e le labbra nè turgide, nè sottili (1).
« Credono Satanno principe delle angeliche schiere, il quale, seb-
bene ora sia convenevolmente pagato della sua colpa di ribellione ai
divini comandi, tuttavia egli è potentissimo sempre, e debb'essere, o
presto o tardi .. novellamente innalzato alla sovrana sua dignità nella
Corte Celeste. È mestieri, dicon essi, che l’uomo lo blandisca e l'onori,
perchè , come Satana al presente ha poteri per far danuo all’ umana
famiglia , cosi egli stesso avrà alla sua volta , virtù di beneficarla e
renderle ricompensa. Ammettono, inferiori a Satana in potenza e sa-
pere, sette spiriti, che chiamano arcangeli , a’ cui cenni si fa in gran
parte servo e obbediente il creato. Gesù Cristo, secondo ch’ci credono
erroneamente, fu aneli' esso un angelo possente, il quale vesti umane
forme. Non mori sulla croce, ma ascese ai cielo.
« Il sole è altamente onorato da' Jezidi , ed hanno templi e buoi
sacri a quel gran luminare del mondo. Egli hanno per costume di
baciare qualunque sia la cosa su che esso vibra i suoi raggi , e viag-
giando io insieme con alcun Jezidc allo spuntare del sole , l’ho ve-
duto compiere colai rito. Prestano quasi gli omaggi stessi al fuoco,
siccome simbolo ; non è mai clic sputino in esso ; e frequenti volte
vi lasciano correre le mani attraverso , poi le imprimono di baci,
stropicciano con esse il destro sopracciglio, c, a quando a quando l’in-
tero viso ; abbominano, al paro de' Salici , il colore azzurro ; questo
non debbo mai aversi nelle veslimenta , non mai nelle case. Il loro
Klubleh, ciò vale il luogo cui guardano compiendo le ceremonie, si è
quella parte di cielo in che sorge
« Lo ministro maggior della natura »
ed a quel lato volgono le teste de’ loro defunti (2) ».
§ 7. Armeni.
La discendenza degli Armeni sembra che non s'inganni chi la de-
riva dagli antichi Medo-Persiani. Comuni in gran parte a quelle di
costoro son le loro antestoriche tradizioni , e ì’ idioma che oggi essi
favellano è altresì uno di que’ tanti sugosi rami che germogliarono
sul tronco persiano (3). La lor natia contrada , soggetta alla Uussia,
(1) Riller, Erdkunde v. Asien. B. VI. 2. Abili. 74S-762 — Ainsworlh,
loc. cit. — Forbes, Visit to thè Sinjar Hills, witli some account of Ilio Ye-
zides; Journal of thè Itoy. Geograph. Society, voi. IX, p. 40!).
(2) Lagard, Delle Scoperte di IS'inive, tolgarizzam. del conte Malvasia
Tortorelli. Bologna, 1855, p. 185-186.
(3) Il Klaproth ha dichiaralo ampiamente, nella ma Asia polyglotta, la
diretta affinità dell'armeno con gli idiomi indo-europei. L’argomento è stalo
trattalo con non manco di aggiustatezza da C. F. Niumann, nel suo Vcr-
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LIBRO SECONDO
100
alla Turchia 4 alla Persia , e ad alcuni principi curdi indipendenti, si
estende, d' occidente ad oriente, dalle rive dell'Eufrate Uno alle foci
del Kur nel Mar Caspio, e dal nord al sud, dalla Georgia e dal Caucaso
fino a’ limiti meridionali del Diarhek. Oltre l’Armenia, e' si allargano
ancora, in più o minor numero, por l'Anatolia, la Siria settentrionale,
la Mesopotamia e lutto l’Azerbaijan, la Georgia, la Crimea, la Polo-
nia, e in molle parti eziandio de' possedimenti turchi in Europa.
Da luogo tempo eglino sono in grado non «pregevole di civiltà :
coltivano cou successo le lettere (1) , fan prosperare 1* agricoltura , e
sueh l iner Geschichte der Armenischen Literatur nach den Werken der
Mechitaristen frei boarheitet. Leipzig, 4856.
« L'antica lingua de' figli di flaik (coti quell’ abile scrittore) è un membro
dell'ampiamente diffusa famiglia delle lingue indo-germaniche, od ariane.
Ne’ suoi radicati ha molla somiglianza col dialetto delle province mede e
persiane, ma nelle forme grammaticali presenta fenomeni tulli particolari,
che possono spiegarsi per la natura stessa dell’alfabeto armeiw. Una delle
particolarità di questa lingua è l’ uso del, k nella terminazione del plurale
ne’nomi sostantivi e numerali. E questa probabilmente la transizione del s
de' dialetti e lingue affini nel k che i l’opposto del cangiamento che avviene
di frequente nello slavo del k in s. Andrea Akolulh, di cui faremo ancora
una rolla menzione parlando degli sforzi fatti dagli Europei per estendere
la conoscenza della lingua e letteratura armena, sostiene che l’armeno è
identico all’ antico egizio ed al moderno copto, di che per altro fin da' suoi
tempi con buona ragione dubitava anche Leibnitz. Già n-(ì ioacch i no Sch ra-
der si provò invano a classificarlo fra le lingue madri principali. La
Croze sembra essersi avvicinato dippiù alla verità, perchè sostenne, che que-
sto idioma, nel senso proprio della parola, è il linguaggio degli antichi Me-
di. Il fatto non è propriamente questo ; l'armeno, come abbiala detto, per
alcuni suoi radicali appartiene evidentemente alla famiglia delle lingue
medo-persiane , ed allora molte parole mede conservate da Erodoto possono
spiegarsi per mezzo dell’armeno ».
(1) La letteratura armena è notevole principalmente per aver fiorito
in un tempo in cui tutte le altre erano in decadenza, e per esser divenuta
depositaria, per mezzo di traduzioni, di tanti capolavori greci e di altre na-
zioni, i quali si sarebbero certamente perduti senza di lei. Antichissima di-
cono gli Armeni la loro letteratura, e ne fissami l’origine al II. secolo in-
nanzi G. C. ; ma i migliori scrittori che si conoscano non risalgono al di là
del l\ '. secolo, al quale appartengono S. Gregorio soprannominalo /'Illu-
minatore, che aprì la serie degli scrittori cristiani di quel secolo, ed Isaac
il Grande e Mcsrob, inventore dell'alfabeto della sua lingua — Mosi da Co-
rena, la Storia del gitale , giustamente celebre , non fu pubblicala che nel
4826 a Venezia, ed Eliseo, di cui possediamo la Storia delle persecuzioni
ch’ebbero a soffrire gli Armeni ed i Giordani da’ settari di Zoroastre, ap-
partengono al secolo seguente. Men feraci furono i secoli VII. ed Vili. ;
ma nei IX. si tradussero in armeno opere greche, siriache ed arabe, e nel X.
apparvero i Commentari sul Breviario e sulla Liturgia armena di Cosroe il
Grande , il più elegante scrittore della sua nazione — Il secolo XII. vinse
tutti gli altri pel numero e la forbitezza degli autori, fra’ quali tiene il
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PERSIANA. 101
serbano commerciali relazioni con quasi (u Ili gli scali del Levante.
Professano il cristianesimo dell’antica chiesa armena, che molto con-
serva dell'eresia degli Iconoclasti.
Gli Armeni , come i loro antichi stipili i Medi ed i Persi , hanno
elevata statura , e forme c lineamenti regolari. Brunetta è la loro
carnagione , gli occhi scuri , la barba folta e nera , e i capelli altresì
neri e morbidissimi ; il naso diritto c profilato , lo sguardo calmo e
tranquillo , l’ aria del volto riflessiva e sottomessa. Celebri sono in
Oriente le donne armene per la loro bellezza che io sé raccoglie le
perfezioni del tipo greco e del giudaico, ed ecco la descrizione che fa
il Lamarline di quelle eli’ ci vide in Damasco.
« Qualunque idea { cosi egli) io m’avessi della bellezza delle Sirie ,
qualunque immagine m’abbia lascialo nello spirito la bellezza delle
donne di Bontà e di Atene , la vista delle donne e delle giovani ar-
mene di Damasco ha (ulto sorpassato. Quasi dovunque noi abbiamo
veduto Osonomie che il pennello europeo non ha mai ritratte; occhi
azzurro-scuri che tutta esprimono la serenità ed il candore dell'anima ;
lineamenti sì squisitamente leggiadri , che la mano più leggera e più
soave non potrebbe imitarli, ed una pelle si trasparente e colorata da
(al lieve incarnalo , che una rosa pallida rimane vinta al paragone. I
denti, il sorriso, la naturale morbidezza delle forme e de’movimenti,
il suono chiaro, sonoro, argentino della voce, tutto è in armonia in
quelle ammirabili visioni. Bagionauo con grazia e con modestia , ma
senza timidità , e come se fossero avvezze all' ammirazione che ispi-
rano. Sembra che lungamente godano la loro liellezza in quel clima
che conserva , e in una vita lieta e tranquilla , non punto logorata
da' pettegolezzi delle nostre società (1 ) ».
lu ogni tempo gli Armeni ebbero un luogo nella storia dell’Orien-
te, meu per le guerre ch’ei sostennero, che per gli sforlunì cui sog-
giacque la patria loro. La quale, conquistata da Semiramide, rimase
in balia degli Assiri tino al reguo di Sardanapalo, quando, scosso il
giogo de’ dominatori , visse vita indipendente sotto l' antica dinastia
degli Haigani. L’ebbero quindi in lor soggezione i Persiani , e poi
Alessandro, dopo la cui morte riacquistò la sua autonomia , ma per
ricadere in servitù della Siria, c poscia un'altra volta de’ Persiani, ai
quali alternativamente la disputarono e Parti e Romani. Allorché i
Sassauidi furono costretti di piegare innanzi allearmi maomettane,
quasi tutta l’Armenia si fece suddita del trono di Bizanzio , e fu il
teatro delle contese che si agitarono fra gli Imperatori di Costantino-
poli ed i Caliti! di Bagdad , i quali finalmente la conquistarono e vi
esercitarono quando un dominio diretto, quando un semplice protet-
primo luogo Nerse Clajensis, come poeta, teologo ed erudito. Dopo quel fe-
cola la letteratura armena discadde , ma oggi sembra richiamata a nuora
fila soprattutto per opera della benemerita Congregazione de’Mechitaristi
dell'Isola di S. Lazzaro presso Venezia
(Ij Op. cit.
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unno secondo
102
(oralo, lasciandola in governo a principi nazionali. Nel secolo XI. in-
vasa da' Seldgiucidi , seppe conservare la propria indipendenza. Nel
XIV. fu conquistala da’ Persiani e da’ Saraceni , e nel XV. cadde in
potere della Porta Ottomana , cui successivamente ne tolsero gran
parte Persiani e Russi.
CAPITOLO III.
FAMIGLIA CACCA SEA .
Dalle sponde del Caspio Onoalle rive deli’Eussino si estende la ca-
tena de’monti caucasei, la quale, digradando insensibilmente, confina
al norte con le steppe sabbiose della Russia d’Europa , e dal lato di
mezzodi , prolungandosi in varie braccia, congiungesi al Tauro nella
Turchia d’Asia , al picco di Demavend ed alle montagne del Tabe-
ristan iu Persia. Questa regione che è stala spettatrice di tante migra-
zioni di popoli che dall’Asia dilagarono in Europa , è stata aneli’ essa
abitata, fin da tempo immemorabile, da popolazioni parlile dalla fini-
tima Armenia, dalla Persia, o da più remote contrade asiatiche, rac-
colte su que’ monti, fra quelle valli, in quelle rive, per esercitarvi il
commercio, o per amore di libertà, o per fuggire gli sdegni de’nemici
invasori della patria loro. E però gli abitatori del Caucaso , vari per
lingua, per fattezze e per costumi, dimostrano a prima vista questa di-
versa loro origine e provegnenza, conciosiacbè taluni si assomigliano
e si affratellano con gli altri rami della razza ariana , altri sembrano
isolati iu mezzo a questi, ed appena serbano qualche traccia di alfinila
con le popolazioni dell’ Asia settentrionale. Oltre al confermare tali
asserzioni i ragguagli che abbiamo de’più diligenti viaggiatori, lo com-
provano maggiormente gli esami delle lingue favellate da que’ popoli,
benché di alcuna di esse veramente non ancora si conosca quanto
sarebbe necessario per poterne recare in mezzo un giudizio diritto c
completo.
Fra le lingue caucasee quelle a cui tutte le altre si rannodano ,
come a ceppi primitivi, sono il giorgiano, l’osseto, il circasso ed il
lesgo.
Il giorgiano, da cui dipendono gli idiomi de’Alingreli , degli lini-
reti, de’Suani, de’Guri , de’Lazi, offre molta rassomiglianza con le
lingue del ceppo indo-germanico, e con alcune dell’Asia settentrio-
nale^); ina questa analogia si ravvisa piuttosto nell’insieme della
lingua , che nella sintassi e nelle forme grammaticali , argomento per
alilo sufficiente a dimostrarne l’origine comune con le lingue ariane
(1 Kraprolh , Voyage au Caucaso. Paris, 1843 rnl. 11, p. 5/7 — //«/>/',
Ine kaukasischen (ilieder des Indo-curopàischcn Spraohstamnis. Berlin,
-j. ~ H ust ’ n . Deber die Sprache der Lami. Berlin, 1843 — Ueber das
Mingrelische, Suanische uud Abchasiscbv Spraehe. Ibid. IMS.
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BAZZA ABIANA-FAMIf.LlA CA (TASCA.
103
ancorché il tempo, e l’innesto di vocaboli di altre lingue ne abbiano
alteralo notevolmente la forma primigenia.
L’osseto è di fondo persiano , al quale sonosi commisti molti vo-
caboli di parlari slavi (1).
Il Circasso, efors’anche l’ abassido, che Giildenstedt, in opposi-
zione di Pallas , vi rannoda , è una lingua che differisce dalle altre
caucasec, e per le parole e per la sintassi. Klaprolh vi scorge affinità
con le radici finniche, soprattutto col vogulo e con l’ostiaco della Si-
beria (2).
Il Lesgo, e con esso il favellar de'Kisti od Ingusci, de’Scirvani ,
de’ Daghestan! e de’Kubitsci , idiomi tutti derivati probabilmente da
una medesima sorgente, son parlari che han molto di comune eoo
le altre lingue del Caucaso, e con lo tschudo, il finnico e il samoiedo
della Siberia, ma il lor fondo ( è uopo il confessarlo ) è tuttora inco-
nosciuto , nè si sa se può ragguagliarsi con alcun altro de’ linguaggi
caucasiani , o se devesi invece credere alfine al ceppo ugoriano , o
affatto indipendente dagli uni e dall’altro.
Noi, seguitando il metodo adottato per la nostra classificazione ,
dovremmo scindere in due gruppi gli abitanti la regione caucasea, e
descriver gli uni fra i popoli di razza ariana , e confinar gli altri fra
le nazioni di razza tartaro-sinica; ma poiché neanche questa distin-
zione sarebbe esatta, dacché nullaltro sappiamo delle lingue circassa
e lesga , se non che esse hanno radici comuni co' parlari finnici , ed
ignoriamo, almeno fino ad ora, la natura del fondo di questi idiomi,
cosi ci permetteremo di riuuirli tutti in una sola famiglia, descrivendo
parlitamente ciascun popolo in particolare , giusta il prospetto che
qui ne presentiamo.
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> aui.gua uauuiovu. 8
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Giorgiani
Mingreli.
Imireti.
Suani.
Guriaui.
Lazi.
Osseti.
Abassidi.
Circassi.
Daghestani.
(1) Roseti, Ueber die ossetischc Sprache. Berlin, 1845.
(2) Op. cit. 1J, 580.
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104
unno secondo
§ 1. Giorgiani.
■ La Georgia, o il Kartli , limitata a settentrione dalla catena delle
montagne nevose del Caucaso, a ponente dall’ Imirezia , all’ est dal
Daghestan meridionale e dallo Scirvan , a mezzogiorno dall’Armenia,
è la medesima regione che gli antichi chiamavano Iberia , e che ai
tempi delle colonie greche sull' Eussino era tenuta , oltre gli Iberi,
da'Mosqui , da’Tibareni , da’ Macrosi , dagli Amardi ed altre minori
tribù. Dopo il secolo XIII. fu divisa in molte province che formarono
in diverse epoche regni independenti , i quali Coirono coll’ esser di-
strutti e riuniti in un solo governo del vastissimo impero moscovita.
Il giorgiano somiglia affatto, ne’ caratteri fisici , a’ popoli dell'Eu-
ropa. • È di statura piuttosto eminente e complessionato. È d’aria in
volto bello, ed ha gli occhi neri e grandi, il naso lungo e spesso aqui-
lino , meno a ma' de’ Romani che de' Giudei, co’ quali è stato non
raramente confuso. Fiera è la sua andatura, e spesso accompagnata
da un dondolamento del corpo, che fa parerlo quasi insolente. Abi-
tando un paese incessantemente esposto alle scorrerie de’ vicini , cd
obbligato del continuo a difendersi e contro i Turchi de’pascialiccati
di Kars e di Akhaltzikhe, e contro i Persiani che traversavano l’Aras-
se, e contro i Tartari e i Lcsghi che discendevano dal Caucaso, la sua
posizione lo ha renduto guerriero ; e perché pochi essi erano , e co-
stretti a far fronte a innumerevoli armati , più che alle battaglie re-
golari, sono abituati alla guerra de’ partigiani. Niun popolo dell’Asia
forniva più bravi soldati, né migliori cavalieri. Il corpo giorgiano era
sempre nelle armale persiane quella divisione di eletti sulla quale i
re di Persia faceano maggior assegnamento, e dalla cui parte era sem-
pre la vittoria. Bravo, ma talvolta duro, ospitale, ma poco affabile, in-
telligente, ma pieno d’ ignoranza , il giorgiano possiede a un tempo
e le virtù ed i vizi del soldato.
« Il popolo è composto generalmente di agricoltori e d’ artigiani ,
e poco o nulla si cura del commercio. La bellezza delle donne giu-
stifica la riputazione che hanno grandissima della loro avvenenza; nè
v’ ha chi le pareggi nella dolcezza dello sguardo , nella bianchezza
delle carni e in quella regolarità di linee di cui le statue greche ci
han lasciato il modello. Abituate ad essere in continua relazione con
gli uomini usi alla vita de’ campi, hanno saputo acquistarsi sovr’essi
quell'impero che meritamente è dovuto alla penetrazion dello spirito
ed all'amenità del carattere (1) ».
1 Giorgiani hanno avuto storia e letteratura nazionale, di cui l’e-
poca più brillante fu nel secolo XVIII. sotto le dinastie reali de’Mu-
krani e del Kaket. La loro lingua è dura , anzi aspra , ma regolare,
completa ed energica. Possiede due alfabeti , I’ uno ecclesiastico di
38 lettere inventato nel 410 da S. Mesrob , il secondo volgare chia-
(I) Gamba, Voy. cit. Il, p. IS6-HS7.
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BAZZA ARIANA -FAMIGLI A CA FRASE A. 105
malo Mkhcdruli, parimenti di 38 o 39 lettere, di cui 30 consonanti,
cd 8 o 9 vocali (1).
§ 2. Mingreli.
Sul pendio meridionale del Caucaso, e confinante col Mar Nero, la
Circassia, l’Imirezia e la Georgia, occupa la Mingrelia la maggior parte
della Colchide , regione un tempo floridissima , ed ora suddivisa in
frazioni territoriali governate da nobili vassalli del Dadian che n’ è il
principe supremo. I suoi abitatori son di alta statura e di belle for-
me, con volto ovale , fronte ampia , naso profilato , occhi grandi , e
capelli fra il castagno ed il bioudo. « Que'signorolti che si dividono il
paese vivono secondo l’uso de'baroni del secolo XVI. Trincerati in
un affumicato castello , in una torre a due piani piantata sopra un ri-
pido scoglio, dominano orgogliosamente la loro valle, e non ne esco-
no mai se non per la caccia e le cure campestri. Sotto a’ loro manieri
stanno i villaggi de’Ior servi disposti a terrazzi degradanti sul colle, o
modestamente sparsi in mezzo a’boschetti. I contadini sono tenuti ad
ogni specie di prestazione di lavoro a’ loro padroni, oltre alla coltiva-
zione de’ campi. Ogni famiglia ha una sua propria destinazione la quale
si trasmette di padre in figlio ; questi è agricoltore, quegli ha cura delle
stalle , quell’ altro della cantina , nè mai trapassa da un mestiere al-
l’altro. In caso di guerra, seguon la bandiera del loro padrone, c for-
mano una milizia reputala assai pel suo valore (2) ».
La lingua parlata in Mingrelia si avvicina molto al giorgiano, ed è
riboccante di vocaboli armeni.
S 5. Imireli.
« Gli Imireti , che vivono in un terreno in gran parte boscoso fra
il Mar Nero e la Grusia, sono generalmente grandi e forti ; han rego-
lari fattezze di volto , e non formano evidentemente che una mede-
sima razza co’ Giorgiani e co’ Mingreli , ma essendosi le famiglie loro
più o men mescolate col sangue greco , armeno e ancor giudaico , si
osservano talvolta differenze notevoli ne’ loro lineamenti.
Benché meno industriosi dc’Mingreli, nondimanco allevano bestia-
fi) Veti, sulla lingua giorgiana, il P. Paolino, Dizionario giorgiano ed
italiano. Roma 1629 , in 4 — Adelung e Valer, Mithridatcs , Th. 1, 430 e
seg. Beitrage , Th. IV, 130 — Ktaprolh Vocabulaire et grammaire de la
langiic géorgienne. Paris, 1827 — Brosset, L’art liberal , ou Grammaire
Géorgicnne. Paris, fSÒf— Eléments de la languc Géorgienne. Paris, 1837 —
Tschubinof Dictionnaire Géorgien-Russe-F rancais. Petersburg, 1840.
(2) Moeurs, scènes, paysages et costumes du Caucase, desseins par le
prince Gagarine, et acconipaguós d’ un teste esplicati! par le conile Stackel-
berg. Paris 1842.
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106
LIBRO SECONDO
ino .-issai , od esercitino qualche commercio di cavalli , di panni , di
grano e di utensili di rame.
« Sono gran cacciatori e bevitori , come dice il Gamba , il quale
continua : ni’ incresce dover dire , che la loro crassa ignoranza , non
solo dal lato delle scienze e delle arti , ma eziandio da quello della
morale, ne ha fatto per lungo tempo un popolo corrotto ed abbando-
nato alla dissolutezza ed a lutti gli altri vizi. Se bisogna prestar fede a
quel che dicono gli uflìziali russi, gli Imircli non hanno fatto mai con-
to delle loro promesse e de’ loro giuramenti (1) ».
Il loro idioma, poco diverso dal mingrelo, è mollo affine al giorgia-
no, di cui è nolo di essere derivazione.
§ 4. Suani.
I Suani , che ricordano i Suano-Colchi di Tolomeo , e i Suani di
Strabono e di Plinio, si trovano ancor oggi ne’ luoghi montani presso
l’EIbrus dov’ erano probabilmente anche a’ tempi della spedizione de-
gli Argonauti. Sono di belle fattezze , di alta statura e di membra vi-
gorose. bellissime sono le loro donne , ma di costumi assai dissoluti.
Quantunque valorosi cd armigeri , sono i più poveri di lutto il Cau-
caso , ed appena possono procurarsi onde vestirsi ; anzi spesso , per
comperare il bisognevole, sono costretti di vendere le loro donne, c
periino i loro figliuoli.
§ 5. Guriani.
II piccolo territorio sulla costa del Mar Nero , a mezzogiorno del
Fasi , c che chiamasi Curia , è popolato da genti che prendono il
nome dalla contrada, e si appellano Guriani. Que’chc si crede apparten-
gano al ceppo giorgiano, non si distinguono dagli laureti c da’ Mio-
greli ; ma vi ha pure molti Armeni c Giudei e Turchi che rendono
assai variata quella piccola popolazione, lticco e fertile è il suolo della
Curia, c la coltivazione non ne è trascurala da’ nativi , i quali perciò
sono in condizioni più prospere de’Mingrcli e degli Imireli. Favellano
un dialetto affine al giorgiano , e vicino a quello de’ Suani , de’Min-
greli c degli Imireti.
§ 6". Lazi.
Tutta la costa che si estende dalla Mingrelia e la Guria fino aTre-
bisonda, è abitala da’Lazi che hanno dato a quella contrada il proprio
lor nome. Sono antichissimi abitatori di quelle spiagge, poiché già [Mi-
nio li chiama col nome che oggi hanno (2) , raccordato ancora dagli
storici bizantini. Il loro idioma , che è molto aflìue agli altri dialetti
(1) Op. cit. voi. 1, p. òiJ.
(2) Lazi Colchorum gente». LiO VJ, c. 4.
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA CACCASEA. 107
dogli abitanti le costiore marine del Caucaso, contiene, secondo Ro-
sen (1) , gli avanzi dell* antica lingua della Coicliidc ; onde non pare
controverso clic tutti i primi abitatori di quella regione fossero iden-
tici co’Lazi moderni. I quali a lor volta somigliano in tutto alle popo-
lazioni caucasee sopra descritte, che sono insiem co’Lazi i veri discen-
denti de’ popoli che ab antico staziarono in quelle terre. Essi pertanto
ban perduto di quella civiltà che non ispiaceva a’ Greci medesimi, ed
ora sono pirati che corseggiano per quelle coste, senza possedere alcu-
na delle istituzioni e de' costumi che denotano un popolo incivilito.
§ 7. Osseli.
Gli Osseli son robusti e bellicosi montanari divisi in molte tribù
indipendenti. Il Klaproth , seguendo Diodoro di Sicilia , li deriva dai
Medo-Sarmati degli antichi, poiché la loro lingua è di fondo per-
siano frammisto a molle voci slave (2). « lo considero (egli dice) gli
Osseli come i Sarmato-Medi degli antichi , e come gli Alani e gli A si
del Medio-Evo.
« Da sé medesimi s’appellano Ir, o Iran, parola che non ha alcuna
significazione nella lingua propria , e il lor paese chiamano Iron-sag,
o lronislan , la quale denominazione pruova egualmente eh’ eglino
sono di origine meda , conciosiachè dice Erodoto che i Medi si chia-
mavano Arioi (‘Afioi) , ed anche oggi tutta la Persia porta il nome di
Iran. I Nogai e gli altri Tartari chiamano gli Osseli Os e Tawli , o
montanari, perchè stanziati nella parte superiore del Caucaso ; i Cir-
cassi li dicono Kouch’ha, nome che danno alle più alle montagne ; i
Lesghi gli appellano Otzi.oOtz, i Giorgiani Ossi, o Ocosi, e il lor paese
Osscthi , di cui i Russi han fatto Osetintsi ; ma questo nome è fore-
stiero alla nazione , che se ne serve solo per acconciarsi all’abitudine
degli stranieri (3).
a Gli Osseti (è sempre Klaproth che parla) sono molto ben fatti,
forti, vigorosi, ed ordinariamente di statura mezzana, non avendo gli
(1) Ucber die Sprache der Lazen cit.
(2) Un più moderno viaggiatore perù asserisce, che la lingua che parlano
anche oggigiorno gli Osseti è una delle più antiche del mondo, e contiene
parole radicali di lutti i linguaggi europei, eccetto forse soltanto la lingua
finnica. Lentamente [avellano come i Tedeschi, e nel modo loro di dire, e nel
suono delle loro frasi havvi tanto di germanico, ch’egli pensava di continuo
dover eglino perfettamente comprendere ciò che egli diceva in tedesco. Kohl,
Viaggi nella Russia meridionale. Firenze, 1S42, p. 429 — Veti, la Gram-
matica e il Vocabolario Osseto-tedesco e Tedesco-osscto di Sjiigrcn, Pietro-
burgo, 1S44, e lloseii « iiber die ossetische Sprache cit. » , il quale ritiene
Tasseto di fondo medo-persico , giudicandone tanto dalle radici de’ vocaboli,
guanto dalle forme grammaticali. « Diess bestStigt die Wortvcrgleichuug
in Allgcmcincu in dea Wurzcln und den Gcsctzen dcr Latituimvaudlung ».
t'osi egli.
(3) Voy. cit. II, 224.
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MURO SECONDO
108
uomini che cinque piedi e due a quadro pollici di altezza. Raramente
son grassi , ma quasi sempre carnuti c quadrati , ciò che si osserva
soprattutto nelle donne. Li distingue da’ loro vicini la Qsonomia che
mollo si approssima a quella degli Europei : gli occhi hanno azzurri,
i capelli biondi, o rossastri , e pochi veramente di colore oscuro. È
una razza di uomini sana e feconda, ma non vedonsi fra essi in gran
numero vecchi al di là di 70 anni. Le donne d’ordinario sono pic-
cine e poco avvenenti, col viso tondo e il naso schiacciato : non per-
tanto sono robuste , e contribuisce a renderle tali un assiduo lavoro
ed un frugale nutrimento. Quelle di Tagaur fanno eccezione in que-
sto punto per la loro bellezza ed il taglio svelto della persona , rasso-
migliando assai alle giorgiane, da cui traggono la perfezione delle for-
me, che sembra aver origine dal counubio de' loro antenati con donne
della Georgia.
« Gli uomini coltivano la terra, forgiano il ferro, fabbricano le case
c gli strumenti di agricoltura, lavorano selle, preparano la polvere da
schioppo, e cuoi per le scarpe e per corregge. La caccia, dopo la ra-
pina , è la loro occupazione favorita. Tutte le cure domestiche allo
donne, non esclusa una parte de’ lavori della campagna (1) ».
§ 8. Abassidi.
Gli Abassidi sono abitatori della grande c piccola Abasi, che è quel
(ratto di terreno che si allarga sul liltorale dell’ Eussino dalla Min-
grelia fino ad Ànapa , e verso i monti fino alla sorgente del Molka c
del Kuban. 1 navigatori greci e romani chiamavano gli Abassidi
Acheeni, Kerchetf, Sannigi c Sindi : essi stessi si appellano Absnc, i
Circassi li chiamano Abassa , i Giorgiani Abkassi , e il lor paese
Abkhassethi. Hanno la testa un po’compressa a’Iati, il viso stretto, il
mento breve, il naso procmincntc e i capelli volgenti al bruno cupo (2).
Questi caratteri , e la loro liDgua che , ad eccezione di alcune parole
circasse , non ha alcuna analogia con le favelle conosciute , dar» cer-
l'aria di probabilità all’antica opinione, che gli Abassidi litlorani
discendessero da quegli Egizi che il gran Sesoslri menò seco nulla sua
spedizione nella Colchide. Checché sia di tale opinione, certa cosa è,
ch’eglino sono popoli antichissimi del Caucaso , i quali hanno subito
il giogo dc’Lazi, de’ Giorgiani , de’Mongolli, de’ Persiani e de’Turchi.
Ne’ tempi del basso Impero i Genovesi commerciando in quelle coste
vi fondarono alcune fattorie delle quali ancor oggi si parla, rammen-
tando gli Abassidi con piacere i Djenoves , ( Genovesi ) loro antichi
e fedeli amici.
fielle sono le donne degli Abassidi , ed in gran numero erano una
volta vendute ne’ mercati di Tiflis e di Anapa , dove i Turchi ed i
Persiani si recavano per arricchirne i loro serragli. Quantunque i Russi
(1) Voy. cit. p. 255.
(2) Kluproth, 1, 201.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CAL'CASEA.
109
abbiano fallo scemare questo infame traffico sulle rive dell’ Bussino,
non lian potuto impedirlo interamente, perchè vi si presta lacostilu-
zinne sociale degli Ahassidi , appo i quali un padre ha il diritto di
vendere i propri figliuoli , e , morto il padre , ne acquista diritto il
primogenito della famiglia.
Gli Ahassidi son pigri , c perciò poverissimi , ed alla vita pacifica
dell’ agricoltore preferiscono i disagi e i pericoli del brigandaggio.
Nondimeno educano buone razze di cavalli, e que’ montoui chamlous,
le cui grasse code son per essi un delicato manicaretto.
Vivono in istalo di perpetua nimistà co'Mingreli, co’Circassi e coi
Russi, le cui armi poderose non han potuto domare ancora la nativa
loro indipendenza.
§ 9. Circassi.
I Circassi ( comprese le tribù de’Kabardi , degli Ingusci e de’Tsce-
clicnsi) che diconsi essi stessi Adighé.e sono i Gbizi dc’Greci scrittori,
iKasaclii degli storici bizantini, iKassoghi delle cronache russe dcll'XI
secolo, e i Tcherchesi de'Russi moderni, sono abitatori di quegli alti
monti del Caucaso d'onde sgorgano il Terek, la Malka ed il Kuban,
distendendosi fino al Mar Nero ove si confondono insieme con gli
Ahassidi , benché altra volta , innanzi che i Russi stabilissero le loro
frontiere caucasee nel 177 1, si dilatassero piu verso il nord, c posse-
dessero pascoli ancora al di là del Kuban.
« Gli uomini, e massimamente nelle classi elevate, sono quasi tutti
di alta statura, e di erculea complessione, senza aver nulla di pesante
e di grossolano nelle loro fattezze ; hanno un personale elegante, pic-
coli i piedi , le braccia molto vigorose , l’ aria marziale , e il porta-
mento veramente romano. Le Circasse non tutte sono bellezze, ma ge-
neralmente hanno forme avvenenti, carnagione bianchissima, capelli
bruni o neri, e lineamenti mollo regolari (I) ». Non altrimenti le de-
scrive il Klaproth , ma Reineggs non le trova si belle come sono
generalmente riputate. Stakelberg aggiunge, che i Circassi, olirci
lineamenti regolari , « hanno il naso diritto ed aquilino , gli occhi
espressivi , e la barba tenuta con molta cura. La sveltezza della loro
persona , la piccolezza de’ loro piedi sempre calzati elegantcmcutc ,
danno alle loro doune un’aria naturale di distinzione. Fin dalla più
tenera età le fanciulle si stringono la vita in un busto di pelle che
il solo sposo ha diritto di tor via, tagliandolo col pugnale. Non astrette
a’duri lavori deU'agricollura , come in altre parti del Caucaso , con-
servano la bianchezza e la freschezza della carnagione , e meritano ,
per ogni titolo, la fama di bellezza onde vanno distinte (2) ».
Numerose sono le tribù della Circassia , ed i principi della Kabar-
dia, oltre a’ propri soggetti, hanno aucora sotto il lor dominio molle
(1) Palla/, Viaggio in diverse province dell'Impero Russo. Milano, 1816.
(2) Op. cit.
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I.I11R0 SECONDO
110
{lenii di origine mongolia, la cui razza si è ivi abbellita con l’innesto
de' sangui giorgiano e circasso.
Coltivano i Circassi con poca cura le loro fertili valli, ma con qual-
che attenzione allevano il bestiame , e massimamente i cavalli di cui
posseggono buone razze. Della proprietà hanno idee molto singolari;
il furto e il brigandaggio sono titoli di gloria che si trasmettono in
prezioso retaggio alle generazioni che seguono. L’esercizio poi di quel
loro brigandaggio li rende agguerriti ed anche temuti da’popoli vi-
cini ; e se la superba Russia si vanta di noverarli fra suoi vassalli , a
voler dire il vero consegue appena , non senza grandi sagrilìzi , che
que’monlanari si contengano dal fare incursioni sopra i suoi soggetti.
I Circassi non han nozione di scrittura : la loro lingua è imperfet-
tamente conosciuta , e le voci difficili ad essere pronunziate , c rap-
presentate da segni alfabetici (1). In canti nazionali che si mandano
a memoria si conservano le loro tradizioni , ed bavvene alcuna che
ha tanta potenza su que’ rozzi cuori, che s’ intuona in ogni circostanza
di grave momento, c di pericolo della patria.
§ 10. Daghestan.
Comprendiamo nella generale appellazione di Daghcstnni tanto gli
abitanti del Daghestan meridionale da Derbent lino allo Scirvan ,
quanto gli Scirvani medesimi e le tribù del Lcsghistan fra il Caspio
il Koi-su e l’Alazan. V'ha molta probabilità nell’opinione , che tutte
queste tribù appartenessero ad una sola nazione, gli Albani antichi ed
i Lesghi moderni , cosi a cagione della quasi identità degli idiomi
che favellano (2) , come per la somiglianza ne’ loro caratteri fisici e
morali.
Sono i Dagheslani di belle forme e regolari , ed hanno la persona
giusta e snella , il colore della carne vermiglio , i capelli castagni , u
gli occhi neri. Impugnano le armi valorosamente , e molti di essi
aiutano del lor braccio la Russia a combattere le bande Circasse ,
mentre altri sono fieri ed implacabili nemici de’ Moscoviti. Coltivano
in mezzo ad aride rocce un suolo ingrato , e tagliano in terrazzi i
fianchi de’ monti , trasportandovi la terra vegetale fino ad altezze
straordinarie (3). Alcuni son crudeli , feroci ed ausati al brigandag-
gio ; altri lavorano con solerte cura i più bei giachi che si conoscano
nel Caucaso.
(1) La lingua de’ Circassi differisce mollo dagli altri idiomi caucasei, tanto
per le parole che per la sintassi, e dimostra molta affinità con le radici fin-
niche, soprattutto con quelle del vogalo e dell’ostiaco della Siberia. Queste
somiglianze danno argomento a conchiudere, che i Circassi appartengano ,
non che * Voguti e gli Ostiachi, ad un ceppo comune che, in epoca remota,
si è diviso in molli rami, di cui verosimilmente uno era formato dagli U uni.
Klaproth, 1, ÒSO.
(•2) Ved. Klaproth, Sulle lingue del Caucaso, nel li voi. de’suoi Viaggi-
la) Stakelberg, Op. cit.
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«AZZA AR1ANA-NAZIONI DI EUROPA .
Iti
NAZIONI ARIANE
DELL’ EUROPA E DELL'ASIA OCCIDENTALE.
Le nazioni del continente europeo e delle sue isole, c quelle della
parte occidentale d’Asia che prende il nome d’Asia Minore, compon-
gono un gruppo di popoli vincolati da antichissimi ligami di comu-
nanze religiose c di favella , e tutti procedenti da quel medesimo
stipile ariano del quale abbiamo già descritte le tre famiglie Indiana,
Persiana e Caucasea. Nella notte de’ secoli è velato quel tempo in clic
le prime ariane colonie si sparsero per l’Asia Minore e per l’Europa ;
uè si potrebbero con certezza indicare gli straordinari avvenimenti
che le indussero ad abbandonare la patria , e volgersi in cerca di
nuovo cielo, e di nuova c libera terra. Egli è probabile nondimanco,
che le prime emigrazioni avvenissero innanzi che le due famiglie in-
diana e persiana sì separassero , e che scismi religiosi , o dissensioni
politiche avessero dato incitamento a quelle successive colonie che si
estesero a mano a mano sopra il suolo ancor vergine di vestigio uma-
ne dell’Europa e dell’Asia occidentale.
Prima a volgere il passo alla volta di Europa sembra essere stala la
famiglia Pelasgica , la quale movendo dalla Ùattriana , c traversando
l’Armenia, parte giunse nell'Asia Minore; parte, superali i gioghi del
Caucaso, e pervenuta in sulla Palude Meolide, inoltrassi, dopo lunghe
peregrinazioni, da un Iato in Tracia, e s' impadroni delle regioni che
poscia s’appellarono Macedonia, Tessaglia e Grecia, e tenne dall’altro
le contrade che indi si chiamarono Epiro ed illiria, d’onde pe’ declivi
più facili delle Alpi orientali discese in Italia , dove in appresso, per
altre vie, nuove colonie successivamente si tramutarono.
Dopo i Pelasghi , attraversando il Turkestan fra il Ponto Eussino
c l'estremità meriggia degli Urali, vennero in Europa i Celti, i quali
giunsero di secolo in secolo nel fertile paese delle Gallie, d’onde mos-
sero ad occupare Inghilterra ed Irlanda, e a conquistare la Spagna te-
nuta dagli Uteri che gli avevano preceduti nella lor migrazione d'Asia
in Europa.
Seguirono i Germani presso a poco le tracce de’ Celti , e venuti in
sulle rive dell’Eussino , e passato il Tanai , il Boristene ed il Nicper,
si volsero alle foci del Danubio, risalendo il quale si sparsero nel cen-
tro della Germania, alcuni accompagnandosi in oltre al corso del We-
ser e dell’ Elba , altri a quello dell’Oder e della Vistola , ed altri ve-
leggiando per le terrò scandinave allor credute disgiunte dal conti-
nente. Quella parte de’Gcrmani che rimase nella Scizia di Europa fu
la progenie de’ popoli che si chiamarono Daci, Geli o Goti, e furono
il ceppo degli Ostrogoti d’Italia e de’ Visigoti di Spagna.
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112
LIBRO SECONDO
Ultimi a giungere (laU'Oriente furono gli Slavi che per lungo tempo
vissero ignoti nella Sarmazia Asiatica al di là del Volga, e poscia pe-
netrando nella Sarmazia di Europa , vi si estesero a danno de’ popoli
uraliani.
Come dolce ricordanza della patria loro conservarono i primi abi-
tatori di Europa le credenze religiose de’padri loro, e ad una casta sa-
cerdotale affidarono la custodia de' dogmi della lor fede, e questi sa-
cerdoti ebbero in conto d'interpreti della volontà de’ loro Iddìi, quasi
mediatori fra le potenze invisibili e le umane creature. Essi erano gli
arbitri delle sorti de’ popoli , i quali sottostavano allo imperio delle
lor volontà, nella guisa stessa che gli Indiani obbedivano a' loro Bra-
mani, ed i Persiani a’Magi di Zoroastre.
Ma un altro vincolo ancor più saldo di parentela fra tutti i popoli
di razza ariana sta nell’ analogia e similitudine de’ loro sermoni, che
benché vari di pronunzia , di scrittura e di parti accessorie , serbano
nel fondo , o nelle radici de' vocaboli , e nella struttura e costruzion
grammaticale, una fisooomia che tutti li rassomiglia.
È fuori il piano di quest’opera presentare i numerosi fatti onde si
è tratta l’importante deduzione : « essere i parlari di Europa stretta-
mente affini con la lingua sanscrita , la dotta , la ricca lingua favel-
lata un tempo nell’India, ed ora morta, e solo a’sapieuti intelligibile »,
ma basterà solo al nostro intendimento far conoscere sommariamente
il metodo che si è seguito nella investigazione di que'fatli, perche si
possa meglio valutare la giustezza de' risultati che indi sono stati de-
dotti.
Il carattere più importante che dimostri la relazione di affinità fra
le lingue è I’ analogia nella costruzion grammaticale e nelle leggi di
combinazione delle parole ; e noi, guardando alle sole declinazioni e
coniugazioni, troviamo : che per le prime, esse presentano nel greco,
latino, gotico e lituano una coincidenza cosi perfetta col sanscrito,
che sarebbe impossibile attribuirla al caso, come sarebbe l’accusativo
singolare generalmente distinto per un n o m; il genitivo per un a, il
dativo e il locativo per un * ; e i casi del plurale e del duale che offro-
no ancora altre somiglianze fra di loro. Per le seconde , ossia per le
coniugazioni , nate , nella formazion del linguaggio , dall'aggiunzione
de’ pronomi personali alla sillaba radicale di ciascun verbo, luit’i nostri
idiomi conservano tracce abbreviate di quelle composizioni , come m
per la prima persona del singolare c del plurale, s e t per la seconda,
l e ni per la terza , rappresentate dal pronome dimostrativo. « Ma
queste tracce, cosi l’Eichhoff, addivengono tantoppiù evidenti, quan-
toppiù si risale verso l’ antichità , fino a che trovinsi riassunte nel
verbo sostantivo indiano , la cui radice AS , unita alle terminazioni
prenominati basta a spiegare quasi tutti i tempi de’ verbi, come sono
complicati e variati per ciascuna coniugazione in ispecie, usando ta-
lora aumenti e raddoppi , come in indiano ed in greco , lai altra al-
lungamenti e mutazioni vocali, come in latino, in gotico ed iu litua—
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RAZZA ARIANA— NAZIONI 01 EUROPA . 113
no, ora circonlocuzioni, come in islavo ed in celtico, ora verbi ausi-
liari, come Delle lingue moderne di Europa. In mezzo a tanta molti-
tudine di forme, la flessione fondamentale è sempre la stessa, e tutte
le analogie parziali, assimilandosi in differenti gradi, lasciano intrav-
vedcr chiaramente l’idea madre cbe ba concepito la coniugazione eu-
ropea (1) » Cosi egli.
Quando havvi generalmente affinità grammaticale fra le lingue esi-
ste ancora una somiglianza più o men grande io certe parti del loro
vocabolario. Talvolta veramente tali somiglianze non si estendono che
a piccol numero di parole, ma queste di una speciale categoria ; p. es.
che rappresentiuo l’ idea d’ un popolo nello stato di esistenza primi-
tiva, che esprimano relazioni di famiglia , come madre , padre , fra-
tello, etc., che distinguano le diverse parti del corpo, o che denotino
obbietti più sensibili dell’ universo ; saran voci di numeri , di verbi
che esprìmono sensazioni ed atti corporei piu generali', come man-
giare, bere, dormire, etc. E poiché non si è mai conosciuta una na-
zione che non abbia fatto uso di simili espressioni , o che abbia ab-
bandonate queste voci primitive , che formano in qualche modo il
fondo della sua lingua, per adottar quelle di un idioma straniero,
così osservando come le lingue d’ Europa e d’ India si corrispondano
in queste parti del loro vocabolario, deduciamo ragionevolmente, che
essi idiomi non formavano in origine che un sol linguaggio, o meglio
la lingua di un popolo solo.
Il seguente specchietto di alcune voci delle categorie mentovate che
io ho tratte dall’opera dell’Eichhoff, servirà a far conoscere a quelli dei
miei lettori che non fossero iniziati negli studi linguistici , quanto i
parlari dell’Europa sieno aflioi all’idioma sanscrito. Non ho creduto
di dover estendere il riscontro a tutte le lingue europee , conciosia-
chè molte di queste si congiungono più o meno strettamente ad al-
cune di quelle che ci sono servite di comparaziono ; ed ella è in effetti
facile cosa da un idioma indurre a’suoi derivali , come dal latino al-
l' italiano, al francese, allo spagnuolo, al portoghese, dal greco antico
al greco moderno , dall’ alemauno o tedesco all’ olandese ed allo sve-
dese , etc.
(1) Parallèle des langues de l’ Europe et de l’Indc. Paris, 1856, ]>. 56.
Nicotueu, /lazze umane — Voi. I. 8
114
LIBRO SECONDO
Comparazione fra alcune parole di lingue europei
ITALIANO.
SANSCRITO.
GRECO.
LATINO.
Sole
suris, surias
crficjj, arselo?, ijXtos
sol, sirius
Luna, mese
mas, masas (mese)
|att é v (mese)
mensis (mese)
Giorno
divas
9 doi
dies
None
oisa
yv(
nox
Mare
mìras, pathis (acqua)
«róvros
mare
Terra
ira
6fX
terra
Colle
calao
noXeSonrfi
coll is, culmen
Albero
druj.dàru
8 ,sis, Siyo
arbor
Corpo
garbas
nxp^tós (frullo, embrione)
corpus
Capo
kapàlas, kapàlan (cranio]
caput
Occhio
aksas,aksi
óy.Ao 5, ómos
ocus, oculus
Mano ( destra )
dakiiuas (torte)
titola.
dextera
Piede
pad, padas
«roós
pes
Uomo
varas, viras
vir
Donna
jani
r J> ^
mulier
Padre
pitr, pas (capoì
«’An^p
paier
j Madre
ma, màtr
mimji
maler
Fratello
bhràtr
frater
! Figlio
sùnus,bùlas (fanciullo)
«■3?XoS
filius
Mangiare
ad
eo», eafl»
eilo
Bere
pà, pò
*r o», «ìy»
polo, bibo
Vedere
pas,o pasi
«r**rr*iy»
specio, spedo
Amare
vr, o var
d jj«, xipev % épx.v
vereor
Nascere, generare
jan
ySW&v, yiyvopXl
geno, gigno, guasco
Dormire, sopire
svap
sopio
Occupare, tenere
àp
dtfXM
apio, apiscor, IiaL
Muovere, dirigere
ni, o nai
y«», v«v»
DUO
Perire, distruggere
oas
vocia»
oeco, Doceo
Uno
ekas, unas
e 7 j, 2v
unus
Due
dvi
£ óo
duo
Tre
tri
rptU
Ires
! Quattro
calur
r« rratfss
quatuor
Cinque
pacca n
«•«'vr«
quinque
I Dieci
dasan
$g'xa
decera
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RAZZA ARIANA— NAZIONI DI EUROPA. 115
on le corrispondenti in lingua sanscrita.
CELTICO.
GOTICO.
TEDESCO.
LITUANO.
RUSSO.
CIURICO.
GAELICO.
li.iul
»
sabuil
gonne
saniti
solnce
uis ( mese )
9
mei)a,meuolb
tnond, monadi
menu
miesiac
dy.ld
)>
dags
lag
dieria
den’
IIOS
goache
nalils
naclit
naklis
nocz’
nior
muir
marei
mccr
mare
more
aiti
»
»
crd
»
»
»
9
»
kulni, holm
kalwa , kalnas
cliolm
dar
doire
Iriu
»
»
' 1
corf
))
»
korper, kref (anliq.)
))
))
»
9
haubith
kogt', liaupl
9
»
9
9
augo
auge
akis
oko
»
9
talli sivo
zeseu
deszine
desnaia
»
* »
lolus
fusi, gioie
pedas
KB
gwr
fear
wair
aver (anliq. )
wyras
Hi
cena
>
queos
kueu ( anliq. )
»
tad
»
ladar
valer
»
ESSI
mani
mathair
»
multer
mole, motiua
mater, mal
bruwd
braihair
brothar
brudcr
brolis
brat
9
»
SUDUS
soli a
sunus
syu
esu
itliain
ita
esse»
edmi
iem
»
»
»
9
9
poiu
»
»
9
spàlien
9
»
»
»
weria
ebreo, ivabren
wieriju
wieriu
geoedlu
geiuam
kcina, giaua
keunen
gerau , gaminu
9
9
»
slega
scblal'eu
sa puoi u
sgliu
»
t
liaba
liaben
9
9
9
»
oeiwa
ocigen
neszu
nesu
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oiiken
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non
ooe
ains
ein
wienas
odio
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dau
twai
zwei
divi
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tri
ihrels
drei
iry»
tri
pedwar
ceithar
fidwor
vier
keturi
czeiyre
numi)
COIg
(imi
fuuf
penki
piai'
deg
deicb
taibuu
zeba
deszimt
desiai' i
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116
7 WR<> SIXONTtO
CAPITOLO IV.
Famiglia Pelasgica.
Percorrendo pii autori che conservano memorie de’prischi abitatori
della Grecia, dell'Italia e dell’Asia Minore, troviamo raccordato un po-
polo col nome di Pelassi , agricoltore e stanziale, sparso e diffuso per
queste contrade propagandovi i semi di religione e di civiltà. Le
altre genti che abitavano con esso eran diramazioni probabilmente
uscite dal medesimo ceppo che i Pelasghi , da cui le distingueva so-
lamente la natia selvatichezza, e l’ignoranza delle arti utili alla vita.
Egli 6 vero, che non può storicamente risalirsi fino a que’ tempi vetu-
stissimi in che le stirpi pelasgiche non eran punto smembrate c divise,
ma i pochi ragguagli a noi lasciati dall’ antichità , spargon pure qual-
che luce fra le tenebre delle favole, c ci permettono ricostruire sopra
basi probabili l'etnografia antica della Grecia, dell’Italia e dell'Asia
Minore.
A. rdasgi in Grecia.
La Grecia antica trovavasi , a dir di Erodoto , come divisa in due
grandi popoli , Pelasgi ed Elleni. I Pclasgi , ristretti di poi alla sola
Arcadia, aveano abitalo innanzi l’Argolide, la costa settentrionale
del Peloponneso, c forse il Peloponneso intero, non che le pianure del-
la Beozia c della Tessaglia, la Macedonia, l’ Epiro, e molte isole del-
l'Jonio e dell’Egeo.
Gli Arcadi, i Pelasgi per eccellenza (che l'Arcadia si crede comune-
mente essere stata la sede originaria pelasgica , c la contrada onde
nacque dal suolo Pelasgo (1)) , fra i re loro indigeni contavano un
Atlante fratello di Prometeo e padre di Deucalione. Prometeo passò
dal Peloponneso in Etolia , e vi fondò uno stato che fu la culla degli
Elleni. Non dice la tradizione se per effetto di conquista, o di pacifica
colonizzazione , ma dice chiaramente, sotto il velo di questa mitica
parentela , che Pelasgi ed Elleni non erano in fondo che un popolo
solo (2). La discendenza di Atlante non fu conservata si scrupolosa-
(1 ) Im storia i Iella nascila ili Pelasgo dal suolo della Grecia è tratta da
un passaggio di un antico poeta , Asio da Samo, vissuto probabilmente in-
nanzi il cominciamento delle Olimpiadi, e che Pausania riferisce :
‘Avritìsdy rfi II elxayàv tv d-fixd^ot; àpssaoi
IV* fkt'sx iv dv a ò :,'v. tv, tvx ©yr ( r,jy yi voi tini
(2) Onde Strattone ebbe a dire, un tempo la Grecia no» essere stata che
pelasgica ; « Pelasgus antiquata gentem per universum Gracidili extitissc »
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BAZZA ARIANA -FAMIGLIA PEL ASC ICA. 117
mente come quella di Elleno figliuolo di Deucalione , il cui regno fu
diviso fra Elleno e il fralello Anfizione , toccando a questi la costiera
marina dalle Termopili alla Beozia, a quegli le montagne dell’Alta Tes-
saglia. Poco conosciuta è la posterità d’Anlizione. Ebbe un figlio da
cui nacque Locri , onde venne il nome alla Locride , eh’ era il paese
sottomesso alla sua autorità.
Elleno ebbe tre figli, Eolo, Doro e Xuto, che furono i tre ceppi
della triplice divisione della schiatta ellenica ne' tre rami eolico, do-
riese e ionio. (1) Eolo regnò ncll’Eolide, che forse fu il paese intor-
no al golfo pagasetico con lolco capitale fondata dall’avo di Giasone,
capo della celebre spedizione degli Argonauti nella Colchidc. Doro
successe al padre ncll'isteotide , d’onde fu discacciato da’l’errebi: al-
cune tribù da lui dependenti, guidate da Maccdno , si sparsero per
la macedonia ; altre passarono in Creta per ritornar tosto in Grecia
(Lib. V.) ; ed Eschilo nelle Supplici identificava i Pelasgi eo’ Greci. Coti
egli fa parlare Pelasgo al banditore digli Egiziani
a D’onde arrecar t’attenti
Onta al suol de’ Pelasgi? E che? Venirne
Pensasti forse a popolo di donne?
Barbaro essendo, a troppo ardir t’avanzi
Con greca gente ».
■ Traduz. di E. llellotti.
I Latini non facevano distinzione Ira Pelasgi ed lille ni . e tutti i Greci
non di rado appellavano indistintamente col nome di Pelasgi :
« Cum vetcr occultili! Priamus sub marie pelasgo»
dice Ennio ; e parimenti Virgilio, parlando di Sinone :
« lite dolis instructus et arte pclasga »
/lineiti II. 1b2.
c dei Troiani :
« Ignari scelerum tantorura et arte pclasga ».
lbid. Ulti.
(I) Veil. ApoUodoro, Bihlioth. lib. I. cap. 7, 5; e meglio Esiodo, Fragni.
8. pug. 278, ed. Marktsch.
’EXXyivos S’ iyivov to As(xnro*róXoi jSxziXvs
Aiyós rs BuO-jù; r s «ai Ai'oXos iV«'iu-/,x r :xr 1 5.
( Da Elleno poi furono generati i re datori di leggi, Doro, .Vaio, ed Eolo
amator di cavalli ).
La divisione della stirpe greca ne’ tre rami eolico, doride e ionio non è
adunque antichissima , e sembra anzi essere stala introdotta , per interessi
politici, in tempi comparativamente recenti tale è anche l'opinione di un
moderno e dotto archeologo elleno, il sig. Pupurigupoules.
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118
LI llltO SECONDO
ove stettero fino a che non invasero, sotto la condotta degli Eraclidi,
il Peloponneso. Xuto, esulatosi per dissensioni avute co’ fratelli,
rifuggissi in Atene, e vi sposò Creusa figliuola di Eritteo, dalla quale
ebbe Jono ed Acheo. Il primo, scacciato con la sua tribù , venne in
Egialea , clic cbiamossi Jonia, quindi Acaia. Di là si allargarono per
l’Argolide e la Laconia, e vi rimasero fino al ritorno degli Eraclidi.
Atlante generò sette figlie che si dissero le Atlantidi , una delle
quali, Maia, fu madre di Mercurio, e stabili in Cillene il culto di que-
sto Nume; un’altra, Alcionia , ebbe da Nettuno un figlio che regnò
nella Beozia. Elettra partorì Giasone e Bardano che ricorda la pa-
rentela de’Pelasgi greci co’Pelasgi dell’Asia Minore.
Al tempo della emigrazione dorica gli Elleni, già divisi da’Pelasgi,
occupavano l’Elolia, la Locride, parte della Tessaglia, parte della Ma-
cedonia, il littorale dalle termopili alla Beozia , l’Elide, l’Acaia, l’Ar-
golide, la Laconia, Creta ed altre isole dell'Jonio e dell’Egeo. I Pela-
sgi tenevano l’Arcadia, la Beozia, parte della Tessaglia, e della Mace-
donia, l’Epico, Andros fra le Cicladi, e parte dell’isola di Creta. Ef-
fetto della conquista de’ Doriesi fu, che l’Argoiide, la Laconia, la
Messenia, Corinto obbedissero a’conquistatori ; gli Argivi passassero
nell'Acaia e nella Beozia d’onde scacciarono i Pelasgi ; ed altri Elleni
del Peloponneso s’incamminassero verso l’EUesponto, varcato il quale
si stabilirono sulle costiere marine dell’antico regno di Priamo (88
anni dopo la distruzione di Troja), e vi si distesero da Cizico alle
foci dell’Ermo, chiamando Eolia il nuovo paese con Lesbo, in ricor-
danza del ramo ellenico dal quale essi discendevano.
Ma quantunque divisi e smembrati , rimase sempre fra i Greci un
comune ligame di parentela. Gli Arcadi, i Beozi e gli abitatori delle
altre contrade dell’ Eliade non parlavano di sé stessi che come di un
sol popolo, ed avvegnaché, niun vincolo politico li congiungesse mai,
durò sempre questo nazionale sentimento alimentato da pubbliche
feste a cui solo i Greci poteano prender parte, e nelle quali compia-
cevasi la nazione di mostrarsi in tutto il suo splendore.
Lingue della Grecia.
Anche I’ unità dell’ idioma che parlavano i popoli della Grecia di-
mostrava l’identità della loro origine. E siccome furouo i Pelasgi il
ceppo originario da cui discesero anche gli Elleni , cosi il dialetto di
Arcadia, l’eolio, dovea essere ed era la forma primitiva del greco lin-
guaggio, il fonte comune da cui gli altri dialetti derivarono. E vera-
mente l’attico ha molte forme comuni con l'eolio che scompaiono ne-
gli autori più recenti, e son tenute per arcaismi. Il ionio , a delta di
Strabene , era lo stesso clic l’antico attico , ed il dorico, secondo lo
stesso autore, è stato aneli’ esso originariamente un parlare eolico, il
quale era sparso ampiamente per la Grecia , occupando gran parte
del Peloponneso, ad eccezione dell’Attica dove prevaleva l' attico , e
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA. 119
Megara o la Doride, a seltentrione del golfo di Corinto, dov’era par-
lato il dorico, il quale fu introdotto dappertutto dopo la celebre inva-
sione cbe cangiò la faccia della Grecia (1). .
B. Pelasgi in Italia.
Pelasgi (2) furono anche i popoli aborigeni dell’ italiana penisola ,
i quali probabilmente vi giunsero in più tempi e per diverse vie.
Posteriormente all' arrivo di essi , altri coloni mossi di Lidia , o da
tale o tal altro punto delle terre poste lungo le coste dell’Asia Mi-
nore , e condotti da Tirreno o Tarseno figlio di Ali secondo gli uni ,
o da Tarcontc secondo gli altri, o dall’uno e dall’altro secondo i terzi,
approdarono in sui paesi iiltorani fra il Tevere e l'Arno , dove me-
scolandosi a' Pelasgi italici , composero un popolo che si disse Base-
no, e cbe i Greci chiamarono Tirseno o Tirreno, ed i Romani Tusco
od Etrusco. La gran massa pclasgica poi, scevra di straniero mesco-
lamento , è ricordata con diverse appellazioni presso gii scrittori
delle cose antiche d’Italia. Enotri si dissero gli abitatori del Bruzio e
della Lucania e di tutta la costiera occidentale fino a Posidonia , di-
fi ) Sui Dialetti greci, e sul loro paragone con gli italiani , ved. Pctjron
Origine dei tre illustri dialetti greci paragonata con quella dcH’cloquio il-
lustre italiano ; nelle Memorie dell’Accad. di Torino, t. 1, serie 2. — Ved.
anche Scimeli, Histoire de la littcrature grecque. Paris, 1825, t. I, p. 71
e seg.
(2) Di Pelasgi in Italia si ha ricordanza presso molti scrittori. Fratelli
e figlio di Pclasgo arcade si dicono Enotro e Peucezio, da cui ebbero nome
gli Enotri e Peucezt, o Iapigi che, ne’ tempi antichissimi, occupavano tutta
la meriggia parte della penisola (Dionis. 1, 15. Pausan. Arcad. c. 258).
Pelasgi erano in Agilla, Ravenna e Spina che aveva il suo tesoro in Delfo,
e erederasi fondata da Diomede , non che in tutta la costa orientale dal-
V Aterno sino al Po (Niebuhr, Stor. Rom. ediz. napol. voi. I, p. 62). Pe-
lasgi sembra che fossero gli abitatori della Tirrenia (Tirreno-Pclasgi) che,
secondo Dionigi, serviva agli antichi Greci per denotare tutta l’Italia occi-
dentale. Virgilio infatti chiama Ardea città pelasgica fondala da Danno
(/Eiieid. VII, 408 e seg.); e Terracina, modificazione latina di Trachina,
Amimela, Ormia, Sinuessa ( Niebuhr , ibid. 60) fan conchiudere da’loro no-
mi che fossero città pelasgiche , come tale era senza dubbio Larissa fondata
nell’interno. Ercolano, Pompe ja, e Marcino non lungi da Salerno, son dette
da Strabono (loc. cit. ) di fondazione pelasgica ; e Pelasgi erano ancora i
Snrrasti di Nuceria ( Servio ad .Kncid. VII, 758) e i Teleboeni dell’isola
di Capri ( Virgil. vEneid. V, 755). Argiva, e quindi pelasgica, si credeva
l'origine de’Siculi sulle sponde del Tevere inferiore (Dion. I, 75, 79), nel
Piceno (Silio Italico, Vili, 445) e negli agri adriano, pretuzio e pai mense
(Plin. II. N. IH, cap. 19). Finalmente si ha da Festa, che non pure que-
sta o quella parte d’Italia, ma che l’intera penisola fosse tentila primitiva-
mente da’ Pelasgi: ( Pelasgi ) primi Italiana tenuisse perhibentur ( ad Aùicid
Vili, 600).
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120
LIBRO SECONDO
stendendosi nell’ interno Ano al Brada no cbe segnava i confini fra la
Japigia e la Lucania ; perciocché gli Japigi, od Appuli tenevano quella
parte della costa sud-orientale dal pendio meridionale del Gargano
Ano a Taranto , ed i Messnpi lutto il rimanente della costiera Ano al
capo di Leuca. Da Posidonia alle foci del Liri , e da un mare ali’ al-
tro erano gli Opici , Osci , Ausoni , Aurunci che poi si chiamarono
Campani e Sanniti dopo l’ invasione sabellica, la quale rimescolò da
capo a fondo l'Italia; mentre dal Liri ad Anzio verso il mare di sotto,
e nell’interno fino ad Antino (lj stanziavano i Yolsci, e d’Anzio al Te-
vere i Siculi, e sul mare di sopra, dal Sagro fin presso Ancona, i Sa-
bini e le popolazioni sabclliche. Tutlociò che dal Tevere e d’Ancona
s’allarga fino alle Alpi era posseduto dagli Umbri e dagli Etrusci, ec-
cettuato lo spazio intorno al golfo adriatico occupato dagli Encti o
Veneti , e più dentro terra fino al Bcoaco dagli Euganei (2) , e fra i
laghi di Como e d’ Iseo dagli Orobi (3), e quella parte della costiera
( 1 ) « Benché Plinio ascriva Antinum alla Morsica (Lil). III. cap. 12),
e in molte iscrizioni questa città si chiami Antinum Marsorum ( Q. Norio
Q.f. Secuntlino omnibus honoribus Mars. Antino functo, presso de’Sanctis,
Tre Dissertazioni. Barenna 1784, p. 50 ; Montanus populi Antinatium
Ma(rso)r.ser. arcarius, Muratori, 1025, I, e meglio ancora de’Sanctis, I.
I. c.p.30), pure è additato da’ topografi fin dal tempo del Febonio quel passo
di Livio IV, 57, dell’anno di Roma 546, nel quale è detto : Cirsi mi An-
tium hostes ; vietar exercitus depopulatus Volscorum agrum, castellani ad la-
cum Fucinum ri expugnatum atque in eo trio millia hominum capta, ceteris
V'olscis intra mania compulsi s nec defendentibus agros. Se questo castello
sia Antinum o no, egli è però sempre certo, secondo il passo citato, che nel
IV. secolo di Roma il territorio volsco si estendeva fino al lago Fucino, e che
Antino solamente più tardi fu aggregata al territorio morsico. La completa
rassomiglianza del dialetto e della scrittura della lamina di Antino con
quella di Velletri dà peso a questa ipotesi , tantoppiù che vediamo le iscri-
zioni marsiche essere affatto fra loro concordanti ». T. Mommsen, Die Un-
teritalianischen Dialetto. Leipzig, 1850, p. 521.
(2) Divisi in Triumpilini, in Camuni ed in Stoni (Plinio, H. N. Lib. III.
cap. 20 — Slrah. Lib. IV). Se gli Euganei ed i Veneti fossero Slavi piut-
tosto che Pelasgi è quistione che non può esser risoluta per mancanza di do-
cumenti ; ma il facile cammino che si schiudeva agli Slavi dell’ Istria, della
Liburnia e della Dalmazia a venire in Italia , o per le Alpi comiche e le
Rezie, o attraverso il golfo adriatico, e la venuta posteriore degli Illirt e dei
Libami, favoriscono la congettura, che anche gli Slavi, dopo i Pelasgi, fos-
sero giunti ad occupare alcune regioni della penisola. Ved. su tal proposito
Thunmann (Untcrsuch. Uber die Gcschichte der Oestlichen europ&ischen
Volker. Leipzig, 1774), le opinioni del P. Dolce e dell’Appcndini, e la let-
tera sulla lingua illirica negli Opuscoli raccolti dall’lnghirami. Ved. an-
che Schaffarik, Slawische Alterthiimer, 1. 1 — Abeken, Mittcl-Italien vor der
Zeit der romischen Herrschaft. Stuttgart u. Tubingen, 1845. Si attende con
impazienza dagli eruditi la pubblicazione rfeU’ltalia Slava del Follar, dalla
quale può venire molta luce sulle antiche migrazioni slave in Italia.
(3) Di stirpe incerta, secondo Plinio, il quale adduce la testimonianza di
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA. 121
tirrenica dove rimasero i Liguri ( popolo di stirpe iberica ) , che già
innanzi il dominio degli Etrusci eran discesi dalle Alpi occidentali,
e signoreggiavano per l’Italia superiore e media fino al Tevere. Degli
Umbri non restava a’ tempi di Plinio che un gran nome e poche me-
morie , ma par certo ch’ei dominassero un vastissimo territorio che
comprendeva, oltre quel che rimase detto Umbria, anche la parte me-
riggia deM’Etruria, ed il paese conquistato di poi da’Sabini fra il Teve-
re e l’Appennino, e le spiagge dell’Adriatico dal Po al Piceno, d’onde
scacciarono i Liburni che vi avevano fatta irruzione.
Popolo rozzo , ma forte e pieno di sugo erano i Sabelli , i quali,
cresciuti di numero , si dilatarono a mano a mano per le parti cen-
trali c meridionali dell’ Italia. Primi ad uscire dalle patrie contrade
furono i Sabini d’intorno Amiterno, che scacciarono i Casti od Abo-
rigeni dal territorio fra Reale e Carseoli. Abbandonarono i Casti le
terre loro , ed accompagnatisi al corso dell'Anio , giunsero a Tivoli ,
ad Antenna, a Ficuleia , a Tellene , e da per ogni dove soggiogarono
i Siculi , che aveano tenuto in Italia un dominio molto piti esteso ,
come sottomisero ancora Crustumerio ed Arida (1) , e quivi misti
a’Siculi si chiamarono Casci o Prisci Latini , o solamente Latini, che
sembra essere stato il nome proprio de’ Siculi del Lazio. Quella parte
de’Siculi latini, ed anche de’paesi meridionali che non vollero soffrire
l’altrui dominazione, emigrarono nell’Isola dal lornome detta Sicilia,
e fin nella Grecia orientale, dove apparvero chiamandosi Tirreni.
Altre irruzioni fecero i Sabini verso l’Umbria e verso il Piceno col-
l’augurio di un picchio sacro a Marte, poiché gli Iddìi, auspici dell’im-
presa , mandavano un animale che facevasi il duce delle colonie (2) :
un lupo fu guida degli Irpini, un toro si trasse dietro, nel paese de-
gli Opici , i Sabelli che quivi divennero il gran popolo sannita , che
spedì colonie nel paese che fu poi de’Frenlani e degli Eroici, e s’ im-
padroni della Campania, della Lucania e della Bruzia. Tra i Frentani
ed i Sabini viveano le tribù sabclliche de’ Vestini , Peligni , Marsi c
Marruccini.
Un rapido sguardo gettato su gli antichissimi idiomi dell’Italia ser-
C alone : Cato originerò gentis ( Orobiorum ) ignorare se fatctur. II. N.
III. 17.
(1) Dinamo, /, 16.
(2) « Col rito, per solito , e colla legge delle sacre primavere , così chia-
mate, manducati fuori a brevi intervalli la gioventù esuberante in cerca di
nuova patria, quasi come, ancor oggi, stormi di montanari delle Marche,
tarda loro progenie, fan tutti gli anni altrettanto, non più veramente per
metter casa altrove, abbandonate per sempre le natie contrade, e per guada-
gnarsi colianni alla mano altra sede, ma sì per acquistarvi almeno colle fa-
tiche delle braccia d’uria o due stagioni quel vitto che dalle men feconde lor
terre sperar non possono ». Orioli, Che la guerra Sabina nel cominciamento
della Storia Romana non lini con una alleanza a patti eguali, ma che i Sa-
bini vinsero ed assoggettarono i Romani. Uomu, ISSÒ, p. S.
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122
MURO SECONDO
vira a conformare 1’ unilà etnografica delle popolazioni aborigene
della penisola.
Lingue italiche antiche.
Le lingue dell’ Italia antica ( oltre l’etrusco , sulla cui natura sono
ancora discordanti le opinioni de’ filologi, e intorno al quale diremo
a suo luogo quel pochissimo che se ne sa ; oltre l'euganco ed il vene-
to, tuttora enigmatici ; oltre il dialetto di Falena il quale, secondo Stra-
bone, non era etrusco, ma un «aftu iSióyXaMios (1), e finalmente, oltre
il ligure che dominò dal Tevere alle Alpi , in tutta la costa occiden-
tale , fino a che gli Etrusci non vi sostituirono in molte parti il loro
idioma) erano la messapica, l’osca, l'umbra, la volsca e i dialetti sa-
bcllici. Il latino non fu lingua antica di alcun popolo italiano, ma un
nuovo dialetto germogliato sull’idioma de’ Siculi per l’influenza del-
l’invasione sabellica.
L’ idioma messapico , il quale era un parlare molto più affine che
gli altri italici linguaggi al sermone de’Pelasgi della Grecia , era stato
comune, ne’ primi albóri della nostra storia, a tutta l’ Italia meridio-
nale. La venuta delle colonie greche e l’ invasione de’ Sabelli lo re-
strinsero alla penisola Brezia e al liltorale dal Gargano al capo di
Leuca , dove rimase nella sua primitiva purità. « Ma il commercio
co’Greci e la congenialità innata del popolo fecero si che la Brezia si
grecizzò forse in tempi assai rimoti e prima della venuta de’ Lucani,
c più tardi nel quinto secolo di Roma anche la Puglia ; cosi che alla
guerra sociale , di quel barbaro grecismo indigeno nell’ Italia esiste-
vano gli avanzi inastalo civilizzato nella Brezia e nella Puglia , in
istato barbaro nella Messapia (2) ».
Il territorio nel quale si parlava la lingua osca comprendeva :
1. ° i Sanniti, i Frentani con Teano Appulo, gli Irpini, ad eccezione
di alcune città sul confine appulo, ed i Campani ; questi popoli par
lavano l’osco puro, e servivansi nella loro scrittura dell’alfabeto in-
digeno trasmesso da’ Sabini od Umbri ;
2. " i Lucani cou Ausculum Apulum, i Bruzl ed i Mamerlini, po-
ti) Ebbe questo idioma più affinità con quello de’ ricini Umbri e Sabini,
che coll'etrusco : sentenza confermata dall’esame di alcune delle otto o noce
parole di essa lingua trasmesseci da’ classici (Mommsen, Untcrital. Dialekte,
òdi ) . Ed anche, accettala la latinità, s’intromisero alle volle, nell’adope-
rarla, barbarismi e idiotismi tutti locali : tanto han sembrato provare dieci
o undici epigrafi che l’ Orioli trascrisse dalle schede del cav. Guidi, il quale
le area ricopiale da sassi seimlcrali, che non giudicò a si opportuno di ri-
torre dall’ipogeo dove trocolti. « Iscrizioni scoperte a Falerii , Lettera di
F. Orioli al Doti. Hcnzen, Bollettino della Corrispondenza archeologica per
l’anno 1854 ».
(2) Mommsen, Iscrizioni Mcssapichc. Annali dell’Istituto di corrispon-
denza archeologica, voi. XX.
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BAZZA ARIANA-FAMIGI.IA PEI. ASCICI. 123
poli bilingui , perché parlavano osco e greco come si sa dagli anti-
chi autori e dalle monete che vi appartengono.
La lingua volsca era propria del paese tenuto dal popolo di que-
sto nome, come l'umbra favellavasi dagli Umbri. Le popolazioni sa-
belliclie avevano dialetti propri che rannodavano l’umbro all’osco o
sannitico , e riunivano in sé storicamente e geograficamente questi
due popoli ; se non che il rapido accrescersi de’ Romani verso oriente
disgiunse presto questa catena di popoli , e non ci lasciò che poche
tracce della lingua di quelle tribù intermedie.
Le particolarità caratteristiche di tali idiomi antichi d’ Italia non
sono perfettamente conosciute , perchè i monumenti che ne hanno
conservato i ruderi non sono egualmente per tutti numerosi, nè sem-
pre facili ad essere dichiarati. Però sembra, che il certo si riduca a
quanto brevemente ne diremo.
Idioma JUcssapico.
Il dialetto messapico ha più affinità col greco che con le altre lin-
gue antiche d’Italia , sebbene i Messapi fossero stati sempre barbari
pe’ Greci (1). Il Giove Sallentino Menzana , che Scaligero corresse
Meni Zana ricorda il dorico Zjìv 0 Zs-k ; I ’Artemes della iscrizione di
Ceglie Artemide o Diana ; Damalria di Baleso Demetra o Cerere
greca ; 1 ’Aprodite di Ceglie l’Afrodite ellenica, la quale si disse Fenus
da’ Latini, ed Uerenlalis dagli Osci.
I Messapi non finirono mai le parole in m o in t, come nell’ um-
bro, nel latino, nell’osco e ne’ dialetti sabellici. La forma de’ nomi
corrispondeva esattamente alla greca ; e la terminazione de’ nomi di
città in usius e isius (come in Canusium, Veuusia, Genusia, Brundi-
sium), o in s-nlos i2); non die l’altra delle parole arlorian, leoloras,
plaloras , etc. si ritrovano nel greco e suoi dialetti. In oltre i Latini
come i Sanniti sono binomi, cioè hanno un prenome e un nome , a
cui aggiungono il nome paterno ; i Greci regolarmente non hanno
che un solo nome , e cosi pure si mostrano i nomi messapici : Ma-
lennius Dasummi filius ; Medella Dasmi f. ; Teolora s Arlahiaihi , uegli
autori e nelle iscrizioni, appunto come ’Avn'oxos 'Avnoxoi. Si trovano
pure alcuni binomi , come il Dasio Altinio di Arpi , ma sono molto
rari (3). Con tuttocciò non vuol negarsi , che molte cose il dialetto
messapico ebbe comuni col latino ed osco , siccome certamente la
parola panos=panis , che Ateneo cita per mcssapica, e forse anche il
(t) Antioco presso Strabone, VI, 5 — Pausania, X, 10 — Diodoro, XXI, etc.
(2) li Niebulir fu il primo a riconoscere questa desinenza come etolica o
pelasgica : esempi sono , Taras , Tarantuni — Metabos e Mota pontoni —
Uxentum — Fratuentum — Malocnttim — Gruraentum — il fiume Casucn-
tus nella Magna Grecia — le città di liuxentum , ed Agrigcntuin — Lau-
rentum — Momentino — Trueutum — Surrcntnm, etc.
(3) Mommscn, Iscrizioni cit.
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unno seconik)
124
nome Morcos, se infatti corrisponde a Marcus che è prenome Ialino, ma
non osco.
Dalle desinenze costanti trovate in alcune parole delle iscrizioni
rncssapiclic si sono riconosciute le terminazioni de’ casi , e quindi le
declinazioni de’ nomi di questa lingua, le quali sono :
1." Declinazione, as-aihi (1) j
2. * os-ihi } mascoline
3. ® is-is |
l.“ a femminile.
La lingua in oltre fu assai ricca di vocali, come lo mostrano le pa-
role (aolinahiaihi, iriionochoas, e la lapida di Brindisi, dove, p. es. nel
verso 9, non v’è consonante senza la sua vocale che t'accompagni ; la
quale vocalizzazione sillabarica richiama l’iscrizione del noto versetto
di Cere illustrato dal Lepsius (2). Le lettere dominanti sono A ed O,
più rare l, e specialmente E. 1 dittonghi regnanti, o a dir meglio le
composizioni di vocali sono AO, Al, IA, OA : tutte le altre sono più
o meno rare. Amava molto questa lingua di congiungere le semivo-
cali R, L, N, S con qualunque altra consonante , e non era avversa
alla concorrenza di un’aspirata con una muta, ma per le altre si mo-
strò abbastanza ritrosa , almeno per quanto ora apparisce.
Lingua osca.
La lingua osca è in armonia con la latina nelle sue più essenziali
relazioni : le vocali, i dittonghi e le consonanti degli Osci corrispon-
dono esattamente alle vocali , a’ dittonghi ed alle consonanti de' La-
fi) La desinenza in as è quella che nei nomi appuli i Lalini espressero
con ius, ed i Greci con os, perchè queste desinenze som le più comuni an-
che nei nomi appuli riferiti dagli scrittori ; cosi di Arias, re de’ Messupì,
scritto da Tucidide con la forma epicoria fecesi 'Aptos presso Ateneo con
forma più grecizzata ; e di Dazomas, o Dazimas fecesi in latino Dasmus, e,
con desinenza più latinizzala, Dasumius.
Ailii trova il suo grammatico confronto nell' ov greco e nell’ i latino : così
il n-jUoi) greco delle monete pugliesi corrisponde alta forma messapica l'ol-
la ihi ; e il Dasmi ( Medella Dasmi f.) della iscrizione della tomba canosina
al Da/.imaibi dell’iscrizione di Lizza.
« Similmente credo, continua il Mommsen , che la desinenza toras, si
deliba riconoscere nel latino turius , di cui non mancano esempi nelle più
antiche iscrizioni pugliesi. — Un’altra desinenza più comune ancora.quclla
di ahias-artahias-cilahias-moldahias-solahias-taotinahias , potrebbe essere
aoiis, all'analogia del Terraeus che trovo nelle iscrizioni brindisine : le quali
roci romanizzate sarebbero forse : Artaeus-Cilaeus-Muldacus-SuUaeus*
Taulinaeus, oTutinacus, coll’omissione dell’aspirata». Loc. eit.
(2) Annali dell’ Istituto di Corrispoudciiza archeologica, Mòli , p. ISO
e scg.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA.
125
tini. Nelle stesse radici delle parole, mollissime sono comuni alle due
lingue , c rari sono i casi in cui non sieno determinabili le analogie
fra l’uno e l’altro idioma. Queste analogie sono ancora più evidenti
nella struttura intima delle lingue , vale a dire nelle declinazioni dei
nomi, e nelle coniugazioni de’ verbi.
I nomi osebi prendono al genitivo la terminazione in ai ed in as
nella 1.* declinazione che comprende i nomi mascolini uscenti al no-
minativo in as ed in a, ed i femminili in u ed in o; in eis nella 2."
declinazione clic abbraccia i nomi mascolini terminati in tis ed in os,
i femminili in is ed in s, ed i neutri in um ed in om, o nella 3.“ che
ha il nominativo in s, o che non ha caso retto. Il dativo nella 1." de-
clinazione termina in ai, nella 2.* in ui, e nella 3.® in ei ; l’accusa-
tivo in am nella 1.*, in um e in om nella 2.*, ed in im nella 3.";
l’ablativo in ad nella 1.”, in ud o in uf nella 2.*, e in id nella 3." Il
nominativo plurale forse prende la terminazione in as nella 1.* de-
clinazione e in us nella 2.“: nella 3." raddoppia la consonante finale
del nominativo singolare. Il genitivo esce in azum nella 1.® declina-
zione, in um nella 2.®, ed in ium ed im nella 3.®; il dativo e l’ abla-
tivo in ais nella 1., in uis, ois, ovs^ nella 2.*, ed in iss nella 3.®; l’ac-
cusativo, nella 1.® in as, nella 2.® in uss, e nella 3.® in iss, s?, benin-
teso che i nomi neutri della 2.® declinazione prendono l’ uscita in a
pel nominativo e l’accusativo.
Confrontando queste declinazioni con le declinazioni latine, si ri-
man persuasi della loro grande somiglianza. La 1.® declinazione la-
tina è affatto simile alla 1.® osca de’ nomi uscenti in as ed in a ; la
3.® latina avvicinasi quasi intutto alla 2.® osca, e la 3.® di questa lin-
gua può collocarsi vicino alla 5.® de’Latini.
Se paragoniamo poi le terminazioni delle declinazioni osche che
non hanno le analoghe nel latino dell’aureo secolo con le desinenze
di alcune voci che pur rinvengonsi nelle iscrizioni arcaiche, e ne’ do-
cumenti piò antichi della lingua del Lazio , impariamo a conoscere
dippiò , che quanto men pulita era la lingua latina, altrettanto mag-
giori erano le aflinità che ella serbava con gli altri dialetti antichi
della penisola , e che a misura che il Ialino s’ ingentiliva , e gli altri
idiomi, o si abbandonavano affatto , o erano adoperati soltanto dagli
indotti, le differenze apparivano maggiori, e tantoppiù grandi, quan-
to meno gli scrittori si dilungavano dall’ epoca del predominio della
lingua latina sulle altre lingue d’Italia. Laonde , per non fare qui pa-
rola che delle sole terminazioni de' casi , la desinenza del genitivo in
eis od in is della 2.® declinazione osca non è rara nelle iscrizioni la-
tine, come P. Clodis. C. L. Pampini (1) ; L. Ragonis (2); C. Rtmis (3).
L. Anavis L. F, (4). La termiuazione in ui trovasi nel Janui Quirino
(1) Baldini, Saggi dcU’Accademia di Cortona, t. U, 1758, p. 55.
(2) Ibid. 47.
(3i Ibid. 68.
(4J Ibid. 104.
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LIBRO SECONDO
126
delle leggi di Noma (1) ; quella in ois ( dal. ed abl. plur. ) è ovvia
nelle iscrizioni latine arcaiche, suois, gnaiois, etc. ; quella in id (abl.
singnl. della 3.® declinaz. osca ) era nella parola conventionid nel SC.
de’ baccanali ( v. 22.) , e in airid , in una iscrizione di Civita Lavi-
gli» (2).
Le cognizioni che abbiamo intorno a’ verbi della lingua osca sono
tanto imperfette, che non possiamo formarne alcuna completa coniu-
gazione. Le terminazioni però de’ verbi tino ad ora conosciute ci ri-
velano una gran somiglianza fra le coniugazioni osche e le latine.
Il Mommscn si è creduto autorizzato a formare di tutti i verbi oschi
due coniugazioni, ch’ei mette a confronto con la 3.® e con la 1.® la-
tine ; ma a dir vero le comparazioni non reggono per tutti i tempi e
modi, e solo si osserva, che le uscite de' tempi e modi di una lingua
si trovano quasi costantemente nell’altra, senza che quelle di una
delle coniugazioni osche corrispondano perfettamente con quelle di
un’altra coniugazione latina; cioè a dire , che un verbo osco può
avere cd ha in effetti le uscite de’ suoi tempi e modi corrispondenti
ora a quelle di una , ora a quelle di un’ altra delle quattro coniuga-
zioni latine, ma non mai a tutte quelle di una sola coniugazione.
Ve’ verbi oschi le terminazioni che si conoscono sono quelle sol-
tanto delle terze persone singolari e plurali tanto de’ verbi attivi,
quanto de' verbi passivi ; una sola terminazione ci è nota della prima
persona de’ verbi, cd è quella del verbo sum (pres. ind.) simile in tutto
all’ analogo verbo latino. La terza persona del singolare indicativo
termina in t, come nel Ialino , e nel plurale in uns , uscita quasi si-
mile alla terminazione uni della 3.® e 4.® coniugazione latina. Il pas-
sivo indicativo è formato a somiglianza del latino , cioè aggiungen-
dosi un er ( lat. ur) alla terminazione della medesima persona del
verbo attivo. Il perfetto indicativo osco termina in et o in ed ; in la-
tino non ha questa terminazione , ma invece finisce in it in tutte le
coniugazioni. Il futuro attivo osco termina in id, in usi o in est ; in
latino in il o in et. Il congiuntivo presente singolare osco esce in it ,
et, id ; il Ialino in at o in et: plur. ins, osco : ini ed ani latino. L’im-
perativo singolare in osco termina in lud, in latino in lo ; il plur. in
int osco, n lo, latino. L’ infinito osco attivo esce in um , il passivo ag-
giungendo un ur alla terminazione attiva ; l’infinito Ialino attivo ter-
mina in re ed il passivo in ri. Il participio osco ha la sua termina-
zione in id, il latino in ns; il perfetto passivo supino in tu otom osco,
lum latino.
A qual grado di sviluppamento giungesse la lingua osca , non può
definirsi che in maniera molto vaga ; intanto è veramente osservabile,
che come il suo dominio si ristrinse verso il 400 della fondazione di
Roma, cosi l’alfabeto ne divenne più regolare, c lo stesso idioma non
(1) Festa, sub voce opima.
(2j Mommsen, Die unteritalianischen Dialckte, p. 252.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PEI.ASGICA. 127
cbl»e più l’apparenza di un rozzo dialetto , ma fu considerato come
lingua colta, e fors’anche gentile. Almeno sembra che (Ino alla metà
dell’ Vili, secolo di Roma non la cedesse punto al latino , ed Ennio
anzi la pareggiava col greco e col romano quando diceva : « sé avere
tre anime possedendo tre lingue , la greca , l’ osca e la latina ( 1 ) ».
Della letteratura osca fan testimonianza ancora le iscrizioni superstiti,
e il nome delle favole atellane (già in uso in Roma anche prima
del 450 (2)), nelle quali niuna censura, neppur quella della morale,
poneva freno alla più sfacciata ironia.
Lingua umbra.
Una stretta affinità si è trovala esistere fra la liDgua umbrica, l'osca
e la latina ; e questa analogia non limitata soltanto ad alcune voci, ma
estesa a gran parte del vocabolario ed alla struttura grammaticale. Il
nome di Giove si trova scritto frequentemente nelle Tavole Eugubine
in caratteri tusco-umbri, Jufe , Jufe patte, Jupater (Jupiter latino).
Il nome di Marte è scritto, Mari, Marte, Marti. Il Dio Sabino Sancì «
si chiamò Sansie in umbro, ed il picchio sacro a Marte, venerato dai
Sabini, Piquier Marlier. 1 numerali sono molto affini a’ corrispondenti
latini, come tinti (unus), dur (duo), tre (tres , pelar (qualuor, in osco
pelora), potnpe( quinque), se, o seh (sex), utur (oclo), desen (decem).
Le voci poi delle vittime nominate nelle tavole di Gubbio, come buf,
vitluf, apruf, porha, kapru, avef, sono lievi modificazioni delle latine
bos, vitidus, aper, porca, caper, avis.
Quanto alla struttura grammaticale può asserirsi , che il sistema
delle declinazioni umbriche è semplicissimo. La terminazione del no-
minativo può essere o in vocale, o in consonante ; la vocale a indica
il genere femminile ; le altre terminazioni il genere mascolino, o fem-
minile, o neutro. In tutte le declinazioni il genitivo singolare si for-
ma con T aggiungere un s o un r al caso retto ; la prima nel dialetto
delle tavole eugubine scritte in caratteri tusco-umbri (umbro-arcaico),
la seconda in quello delle tavole scritte in caratteri latini (neo-umbro .
Il dativo esce in e, in t, e talora anche in u ; l’ accusativo in m, o in
n, e l’ ablativo , come il nominativo nella declinazione in a , e nelle
altre declinazioni in u, od in i. 11 nominativo plurale ha la desinenza
in s (umbro-arcaico), o in r (neo-umbro); il genitivo io um, od in
om 5 T accusativo in s, o in f, ovvero in p, o ph.
« Pochi verbi s’ incontrano nelle tavole eugubine, e questi non va-
riati abbastanza per modi , per tempi , per persone, onde sperare di
tesserne una intera coniugazione. Parlasi ivi le più volte in impera-
tivo ; i tempi son quasi tutti o futuro o presente ; la persona è sem-
( 1 ) « Q. Ennius trio corda habere sese dicebat, quod loqui grasce et asce
et latine sciret ». Aulo Gelilo, 17, 17.
(2) Munk, De fabulis atdlanis. Lipsia, 1840, p. 90.
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I.1BR0 SECONDO
128
prc o seconda o lena ». Così scriveva il Lanzi , egli ha molti anni ,
nella sua riputntissima opera solla lingua etnisca (1), e noi poco più
oltre di lui abbiamo proceduto nella conoscenza delle coniugazioni
della lingua umbra. Tultocciò adunque che sappiamo di questa, ri-
spetto a’ verbi, sono le terminazioni dell’ imperativo plurale in alu, et u,
cilu, itu, (naralu, narrato ; up-elu, obito ; /ritti, Tacito ; habilu, habe-
to; poco diverse dalle latine in ale, in alu, in eie, in elo, in ile, in ilo.
Le terminazioni in tisi (singol.) e in urent (plur.) del futuro esatto
(fusi, fonisi, habwrenl, etc.) corrispondono con le medesime desinenze
degli stessi tempi osclii fusi e fcfacust, e de’ latini fuerit, fecerit, habuc-
r ini. Il participio passato ed il supino, terminati in Ioni ed in tum, e
per ellissi in lo ed in tu , corrispondono egualmente al latino ed al-
l’osco, come naralu (narratum), falu (factum, in osco focus), screlho
est, scriptum est. — « Eno deilu: etalo, Jjovinur: lune dicito : statum,
lguvini » — etc. Vi sono eziandio altre terminazioui, le quali si rife-
riscono ad altri tempi e modi come al presente indicativo e congiun-
tivo, al perfetto indicativo , al participio futuro passivo, e da queste
semplici desinenze , ponendole a riscontro con quelle de’ medesimi
modi e tempi de’ verbi latini , Aufrecht e Kirckhoff giudicarono po-
tersi ricostituire due coniugazioni ; semplice l’ una ( einfache Konjuga-
tion ) , la quale suole appiccare le desinenze personali quasi sempre
immediatamente alle radici de’ verbi del presente imperativo , come
appunto nella 3.“ de’ Latini, se non che in umbrico fu messa non di
rado da parte la vocale congiuntiva i-e-u, equivalente alla sanscrita
a ; l’altra derivata ( abgeleitele Konjugation ) , che suddividesi in due
speciali classi, coincidente la prima con la sua analoga in latino , ed
è quella che appone alle radici nominali o verbali un a come segno
coniugativo ; la seconda corrispondente alla latina de’ verbi in c-re,
e formasi aggiungendo alla radice esistente un’altra (che non di rado
è ai) che suole accorciarsi tanto in latino , che in umbrico in è , ma
più propriamente, in umbrico, in i (2).
Dialetto volsco.
I Volsci acquistarono la cittadinanza romana molto tempo innanzi
della guerra sociale, e questo spiega la rarità delle loro iscrizioni , e
la mancanza delle monete in lingua nazionale , perciocché ne’ primi
(1) Saggio di Lingua etnisca . Roma, 1789, 1. a ediz. voi. 1, p. 356.
(2) Aufrecht und Kirckhoff, Die Umbrischen Sprachdcnkmaler. Berlin,
1819-1851 , in 8, t. 1, Formcnlehre, p. 159-141. Vcd. anche Laureti, Uei-
tràge zur Deutung der Eugubinischen Tafeln. Bonn, 1853. — Grotefend,
orni i menta lingua 1 umbric®. llannov. P. I. 1855, II. e III. 1836, IV. c
*837, Vi. e VII. 1838, Vili. 1859. — donneili, Inscriptiones Osca! et
alib. Eugubin* latina intcrpretationc tentato. Neapoli, 1841. — Lepsius,
nscnptiones Embrica! et Oscac quotquol adhuc reperto! sunt omues, all.
,n foL e Imo in 8. Lipsia, 1841.
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA. 129
(empi non si servivano che degli assi pesanti senza iscrizioni , e poi
col diritto della cittadinanza che ricevettero, perdettero quello di co-
niare monete. Poco adunque sappiamo di questo antico dialetto ita-
lico , e questo poco mostra l’ affinità che esso serba fra l’ umbro e
l’osco, più stretta veramente col primo che non col secondo (1).
Si osserva singolarmente, secondo il Mommsen, nel dialetto volsco:
1. ° La completa mancanza de’dittonghi ai, ei, oi, essendo ai rim-
piazzato da e (se=osco svai, umbrico sve) ; e cosi anche ei (osco dei-
vai = volsco deve).
2. ° Spesso le parole sono terminate da vocali, fasia — deve, declune,
vesune, se — arpalilu, estu, uinu, coiukriu, sepu, toticu.
3. ° Le abbreviazioni de’ nomi non sono formate con le due prime
consonanti , come nell'osco, ma solamente con le due prime lettere.
4. ° L’ordine de’,nomi : ec.se. cosulies, ma.ca.tafanies, pa.vi.pacuies,
non corrisponde all’ osco , ma all' umbrico dell’ iscrizione di Assisi :
c. v. vistinie, ner. t. babr. maronalei, vais. ner. propartie, t. e. voisie-
ner; de’quali nomi il secondo probabilmente è il patronimico da met-
tersi al genitivo, come p. es. Paquius Vibii fil. Paquius.
5. ° Anche la mutilazione della terminazione ust in us , come nel-
l’ umbrico apelus per apelust, sembra mostrarsi in atahus che può con-
siderarsi come forma verbale. Cosi parimenti, con l’omissione del t, si
è formato fasia per faciat, habia per habeat : forse anche se, per simile
omissione, può esser set— sii, c dedea dedicai. £ Luna e l’altra forma
sono sconosciute nell’osco.
6. ” Nel volsco si trovano alcune voci umbriche isolate; più spesso
quella della divinità Vesune che s'incontra frequente nella tav. eugu-
bina IV. in unione di Vesune puemuncs puprikes : le altre sono fasia,
u escles , uinu ; anche il medix sislialiens è stato giudiziosamente para-
gonato dal Lepsius con Kveslre-sisteteies.
Molto minore sembra essere l'affinità con l’osco : entrambi i dia-
letti aborrono dal rotacismo degli Umbri ; alcuni nomi concor-
dano fra loro, come Paquius Vilnus Marius (?) Gaius , non che il no-
me del maestrato Meddix , che s’ incontra quasi sempre nelle iscri-
zioni osche, mentre non se ne è veduto traccia fino ad ora nello
umbriche,
Dicdelli sabellici.
Le medesime relazioni del dialetto volsco , serbano fra l’ umbro e
l’ osco anche i dialetti sabellici propri a tutte le tribù fra il territorio
de’Frentani, Volsci, Latini, Romani, Etruschi, Umbri e Galli. Nella
terminazione delle parole si trova spesso una semplice vocale , e si
nota il passaggio dall' ai all’ e, come sue, poimunie, tal quale si osser-
(1) Ved. Grotefend, Itudimenta lingua; Umbrie® , V. p. 18. — Lepsius,
Inscript. p. 81. — Mommsen, Un terital. Dialetto, p. Z22.
Nicolucci , Mozze umane — Voi. I. »
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I.1BR0 SECONDO
130
va nell’ umbrico : per contrario si trovano forme, come enei, Imitai,
maroucai , e composizioni di nomi , come «. alies. I. che non tian le
eguali nell’ umbro , ma sembrano puramente osche. Manca in oltre,
in questi dialetti, il rotacismo degli Umbri, ma alcune parole appar-
tengono agli uni ed agli altri, come le voci dira=zmala (1) ; poimunie
(sab.) e puemunis (umbro); pesco ( sab.) e persklu o pesklu (umbro».
Molto meno può definirsi la relazione fra le iscrizioni marsiche e le
volsche. Egli è vero, che vi ha lieve differenza fra il marso Mai ma-
roucai ed il volsco deve declune, fra il marsico sue ed il se volsco, ma
non può asserirsi nulla di certo intorno alla relazione che corre fra
entrambi questi dialetti. Poco conosciamo degli uni e degli altri , e,
relativamente agli idiomi sabellici , quello solo sappiamo , che Var-
rone ci ha trasmesso di parole sabiniche , o quel tanto che nella
lingua latina ci si è conservato come idiotismi sabini e marsici, idio-
tismi che rivelano le loro proprietà provinciali soltanto nella radice,
o nella trasposizione di qualche lettera , onde Quintiliano scrisse :
lacco de Tuscis et Sabinis et Praenestinis quoque ; nam ut eorum sermone
ulentem Veclium Ludlius inseclatur, quemadmodum Pollio deprehendit in
Livio Palavinitalem (2). È notevole però che il maggior numero di
questi provincialismi sabini sicno relativi al culto , e che la lingua
sacerdotale sia quella che ne ha conservato per più lungo tempo.
Quali poi sieno le affinità de’dialetti sabellici col Ialino, non che
quelle degli altri idiomi italici antichissimi sia con la lingua del Lazio,
sia co' vari dialetti fra di loro, quanto alle parole , o al vocabolario,
può giudicarsi dal seguente specchietto , dal quale , non meno che da
tuttocciò che finora abbiamo detto, s’inferisce, che lutti i dialetti anti-
chi <f Italia sono affini fra di loro , e che tutti rivelano una p rovegnenza
comune , o la discendenza da un medesimo ceppo glossologico.
JIi%35. ablm et Umbri qWB nos mala ’ ,lira a PP e dant ». Sere, ad jEneid.
(2) Institut, Orat. I. S. 56.
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA
131
Parallelo fra alcune parole Ialine con le corrispondenti umbre,
coliche, sabelliche ed osche.
( Si sono conservate le desinenze dei casi c tempi che le parole hanno nelle iscrizioni )
LATINO
UMBRO
VOLSCO
SABELLICO
OSCO
Sol
«
«
ause!
«
Paier
paier
c
patres
c
Vir
viro, veiro
«
c
t
Diva
di (deus )
deue
«
dei vai
Ara
asa
«
«
aasai, aasas
Floralis
«
C
Ausare
Huusai, lluusa-
siais
Annus
akno , acnu
<
«
amnud
Mensis
ineo , meni
«
mesone
«
Populus
popln, popi uni
<
tolai (?)
C
Tprminus
termno, lermnaf
«
terminus
«
Vinuin
vinu
uinti
t
«
Pecunia
«
c
ilunom
eilvam
eiivas, eilvam, eie.
Donimi
«
*
dunumna
Arva
arva
«
C
«
Vox
vok
«
C
Vullus
VUlU
«
«
«
liirciis
a
«
hirpus
hirpns
Multa
«
«
multa
mollo, multas,
nioltam
Pravlium
kastru
«
«
casirons, caslrid
Via
«
«
«
viu, viai, viam
Civis
C
«
«
ceus
Censor
<
«
«
censtur ;
Quastor
«
«
C
kvaislur
Sacer
sakre, sacra
«
<1
sakra
Albus
alfu,alfo, alfer,
allìr
«
alpus
c
Pins
peho
«
«
«
Pacalus
pacrer, pacri
c
pacris
«
Salvus
salvo , sa! vom ,
salva
c
«
Quis, si quis,
nequis
pis, pisi , pis-bcr
pis, sepis
nipis
pis, nepis
Sutis
C
c
suara
suvad
Alter
etru, etre, clur
c
c
allrei, atrud,
altrud
Inter
anter, ander
«
«
anier
Pranerea
preira
c
<
pruier-para
(praterquam)
Sii
si
se
a
set
. Agii
c
«
anget
Dal
«
«
«
dal
Ha bei
babe
c
t
«
Habeat
«
«
«
hipid
Dedicai
«
dedea
«
didest
Ambiit
( ampr-ehlu )
«
«
amfret
Faciat
lasci
fasia
a
<
Posilum est
«
pibom
c
«
, Scriptas
«
a
c
scriflas
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132
unno secondo
C. Pelasgi nell'Asia Minore.
Omero, nel II. dell’ Iliade , annoverando i confederali di Priamo
nella guerra troiana , fa menzione , oltre a'Pelasgi di Larissa asiati-
ca (1), di molte nazioni dell'Asia Minore, delle quali niun’altra me-
moria è pervenuta Ano a noi , c d' altre ancora che ne' tempi poste-
riori continuarono a vivere nella storia, come i l'aflagonl , i Frigi, i
Misi, i Lidi, i Cari ed i Liei.
Già le auliche tradizioni ricordavano i Frigi imparentati a’ Greci
sotto il nulo di Dardano generato da Elettra tigliuola del pelasgico
Atlante (2). Erodoto poi racconta, che i Frigi di Grecia passarono in
Asia, abbandonando la Macedonia, e che il lor primo nome era quello
di Brigi che mutarono col paese chiamandosi Frigi (3). A questi era-
no aOìni i Misi , de’ quali disse Strabene, che erano discendenza di
quelli che viveano sul Danubio di stirpe trace, o pelasgica, alla quale
appartenevano eziandio i Bitini , i Mariandini , i PaQagonl. Un altro
antico mito fa de’Misi, de'Cari edc’Lidl, che i Greci stessi credevano
originari di Tessaglia , tre rami etnici derivali da tre fratelli , Lidio,
Cario e Misio. E se per avventura 1’ un d’ essi era afiìne co’ Frigi di
Dardano, i quali erano certamente Pelasgi, non pare da doversi du-
bitare, che tali fossero anche i Lidi ed i Cari (che si dissero ancor Le-
legi nelle Isole dell’Egeo che abitarono, ed io alcuni altri punti delle
coste dell’Asia (Ij ) Don che i Bitini , i Mariandini ed i PaQagonl (5).
(1) Della pingue Larissa i furibondi
Lanciateri Pelasghi lpotou mena
Con Pilio, bellicosi ambi germogli
Del pelasgico Leto Teutamide.
Tradus. del Monti.
(2) Virgilio , sponendo come Enea richiedesse di aiuto Evandro nella
guerra contro i Itutuli , non tace come vi fosse indotto dalla origine e pa-
rentela che li congiungevano per ragione d’ Elettra d’ Atlante, e di Dardano
figliuolo di lei. Ecco i versi di Virgilio, vEneid. Vili. 105 e seg.
Dardanus Iliaca; primus pater urbis, et auctor,
Elcctra (ut Graii perhibent) Atlantide cretus,
Advehitur Tcucros. Electram maximus Atlas
Edidit, adhcrios Immuro qui sustinet orbes.
Vobis Mercurius pater est, quem candida Maja
Cyllenc gelido conceptam vertice fudit.
At Majam (auditis si quicquam credimus) Atlas,
Idem Atlas gcncrat, cadi qui sidcra tollit.
(3) Lib. Vili. 5. .
( \) Ved. Soldan, Ueber die Karer und Leleger, nel Rheinisches Museum,
111. 1855, p. 87 e seg.
(5) Oggi in Alemagna è comune fra gli eruditi la opinione, che la Caria,
la Creta, le Isole e le coste della Grecia fossero state occupate da’Semili in-
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA. 133
Xanto Lidio e Menecrate , olire Erodoto e Strattone , confermano
la parentela di questi popoli i quali parlavano dialetti che non solo
somigliavano fra loro , ma che ritraevano ancora mollissimo dei
parlari ellenici (1).
I Greci , dopo il conquisto di Troia , colonizzarono ed ellenizza-
rono i paesi posti sulla costiera dell’Asia Minore, ma le contrade del-
l' interno si ressero sempre in istati indipendenti. A grande potenza
sali il regno di Lidia che , sotto Creso , parve dover assorbire tutta
l’Anatolia, e si estese in vero dalle coste della Caria fino alle sponde
dell'Alis. Però Ciro, sconfìtto Creso nella celebre battaglia di Tirabrea,
impadronissi di tutta l’Asia anteriore, ebe fu governata in nome dei
Persiani fino a che Alessandro non distrusse l’onnipotenza degli Ache-
menidi : allora anche gli stati interni dell’Asia Minore furono greciz-
zati, e satrapi macedoni se ne contrastarono il possedimento. I prin-
cipati di Bitinia , di Cappadocia e del Ponto furono conservati indi-
pendenti , non meno che le greche repubbliche stabilite lungo le
spiagge. Dopo la varia fortuna de’ principi greci , uno de’ re nazio-
nali, Mitradate VII. Eupatore, re del Ponto, surse a sovrastare nel-
l'Asia anteriore, e, sottomesse dapprima alla sua dominazione la Pa-
flagonia e la Cappadocia , estese poscia l' imperio sulla Bitinia , la
Frigia, la Misia, la Caria, la Licia, la Panfilia, non che sulle colonie
greche , e fu re temuto e potente. La fortuna di Mitradate curvossi
dinanzi a quella di Siila , di Lucullo e di Pompeo, il quale pose fine
alla indipendenza dell’Auatulia , e la rese soggetta e tributaria di
Roma trionfante.
Tale fu la influenza della cultura ellenica sulle coste in prima , e
quindi ne’ paesi interni dell’Asia Minore, che la civiltà di questa parte
nunzi la immigrazione pelasgica (Berthau, Zur Geschichtc der Israeliten.
Goettingen, 1HÌ2, p. 190 e seg. — Lengerke, Kenaan , p. 193 e seg. — Ma-
rers. Die Phamizicr, /. p. 10, 27, 33. 11. 17-21— Etcald, Geschichte des
Volkes Israel, 1.329 ( 2. a ediz.)). Io non discontengo punto per la esistenza
di colonie semitiche sparse qua e là per l’arcipelago greco e per le coste del-
l’Asia Minore , e soprattutto in Cilicia , in Licia , in Panfilia e Pisidia ;
ma non saprei farmi seguace delta vagheggiata dottrina di un semitismo ge-
nerale e primitivo tanto in Grecia, quanto nell'Asia Minore, imperciocché
nè lo dicono gli scrittori dell’ antichità , nè lo pruovano gli idiomi che sono
stati sempre ellenici per tutta la Grecia, ed elle no-barbari, cioè pelasgici, per
l’Asia Minore ; anzi lo stesso Gesenius, giudice ben competente nella qui-
stiune, ha dimostralo non esistere traccia di semitismo neppur nella Cap-
padocia e net Ponto fino all'Alis, ove Bochart e gli antichi etnografi si osti-
navano a vedere Semiti, poggiati singolarmente sul nome di As vsóiojm che
era l’appellazione generate de’ nativi di que' paesi. (Geschichtc der hebrìt-
ischcn Sprache, § L P- *5).
(1) Strabone XII. Afferma costui, che il fondo della lingua de’ Cari , che
Omero chiama pofjìxpófvmi ( Iliad. Il, S67), era un greco-barbaro, ed Ero-
doto ci accerta, che i Cari, i Misi e i Lidi erano ój*4y).»j3joi (lib. I.) , cioè
parlavano un medesimo linguaggio.
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134
LIBRO SECONDO
del gran continente asiano , dopo la guerra di Troia , non può con-
siderarsi distinta dalla greca di Europa, con la quale rivaleggiava in
ogni sorta di studi e di arti gentili ; ma non è senza importanza il
raccordare que’riti religiosi onde furono famosi i Dattili Idei, i Cori-
banti di Frigia ed i Cahiri di Samotracia : riti i quali ritraevano del
dualismo persiano di Ormuz ed Arimane, dell'egizio di Osiride e
Tifone, e che vedremo riprodotti in Etruria sotto i simboli de’Genl
del Bene e del Male , figurati ne’ sepolcri , e ne’ vasi fittili degli an-
tichi Raseni. Tutti gli altri monumenti frigi e lidi illustrati dallo
Stewart (1) dimostrano sempreppiù il trapiantamento delle religioni
da Oriente in Occidente , o le modificazioni che le dottrine mitiche
orientali andavano man mano acquistando avvicinandosi all'Occidente,
per rivestirsi in Grecia ed in Italia di nuove forme , ed abbellire il
mondo ideale degli Itali e degli Elleni.
Nelle pagine seguenti ci occuperemo in particolare dell’etnografia
della Grecia e dell’ Italia. Consacreremo ud paragrafo distinto agli
Etrusci, la cui lingua è tuttora un enigma, e la cui civiltà si profonda
ed originale ebbe uno svolgimento tutto proprio , ed anteriore cer-
tamente alla civiltà ellenica ed alla latina. Favelleremo per ultimo di
un popolo che, sebbene lontano d’ Italia , ha serbato, in mezzo a fa-
miglie etniche diverse , la lingua de’ padri suoi , ed il nome clic ne
ricorda l’origine, cioè i Rumeni o Romani abitatori della Moldavia e
della Yalacbia , di una parte della Bessarabia , della Transilvania e
della Bucovina.
ARTICOLO I.
SOTTO-FAMIGLIA GRECA.
§ /. Greci.
La forma del cranio caratterizzato dall’ ovale il più regolare della
calvaria, dalla elevazione e corrispondente larghezza dell’osso fron-
tale , dalla moderata curvatura de’ zigomi , dalla riunione delle ossa
mascellari superiori quasi perpendicolarmente al di sotto delle aper-
ture nasali , è la forma che ci offrono i teschi de’ Greci moderni , e
che si ritrae parimenti da’ crani antichi , c da tutti i capolavori a noi
trasmessi dalla greca scoltura (2). Alla quale si è attribuito , egli è
(1) A Description of some ancienl Monuments witli inscriptions stili exi-
sting in Lydia and Phrygia. London, 4S42, fot.
(2) « Forma calvariìe fuliglobosa, maxilla superiori» otsibuf fidi nariam
apcrturis fere ad perpendicolo m condonati*, jugalibur ossibur modice et con-
cinne declàibut, artificum laudatis proxima signii » . tìlamcnbach, Decas VI.
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RAZZA ARIANA-FAMIGI.IA IMXVSGICA. 135
vero, di aver rappresentato un bello ideale di cui non vedesi il tipo
fra i mortali ; ma se si prescinda dalle effìgie degli Dei e degli Eroi ,
nelle quali veramente si sono esagerati talvolta certi caratteri di bellez-
za nella fisonomia, i simulacri de* grandi uomini di quella nobile e
generosa nazione, non si allontanano punto, ne’tralti fisingnomonici,
dalle forme cbe presentano i crani dissepolti degli antichi Greci , ed
in gran parte anche i volti degli odierni discendenti degli Elleni.
Il colore della pelle e de’ capelli variava e varia ne' Greci come in
tutti gli altri Europei, e sappiamo dagli antichi scrittori, che i capelli
erano biondi, rossi o neri, gli occhi azzurri , castagni o neri, come
essi indicavano con gli epiteti di n\>*vox*(r*i, yX*j*»»rt5«5;
nè diversi ora si mostrano dagli antichi i moderni Greci , perciocché
quella bellezza ond’ erano distinti i loro antenati si è anche oggi ri-
trovata in Grecia da lutti i viaggiatori , fra’ quali piacemi citare in-
nanzi ogni altro il signor de Pouqueville (1 j.
a I Greci , egli dice , d’ ordinario sono grandi e ben fatti ; i loro
occhi pieni di fuoco , la bocca mirabilmente formata , e guernita di
denti bellissimi. E sebbene in generate possa dirsi , eh’ eglino sono
tutti avvenenti, v’ha nondimeno fra di essi alcune gradazioni dipen-
denti da’ luoghi dov’ei stanziano. Bionde, svelte e di un nobil conte-
gno sono le donne di Sparta : quelle del Taigete hanno il portamento
di Pallade quando si recava, in mezzo alle pugne, armata deli' egida
formidabile. Trae a sé gli sguardi la Messenia, piccola, pienotta, con
lineamenti graziosi, occhi grandi, lunghi e neri capelli. L’Arcade, na-
scosta in grossolane vesti di lana, lascia appena intravvedere la rego-
larità delle proprie fattezze , ma il volto esprime abbastanza l’ inno-
cenza e la candidezza dell’ animo. Le donne de’ Greci Moriotli por-
tano, generalmente, il vanto della bellezza, e fors'ancora la palma della
virtù.
« I Agli de’Greci sì allevano ed ingrandiscono in una completa li-
bertà , a somiglianza di quelle piante vigorose che spontaneamente
nascono da fertile suolo ; nè mai sono si duramente trattati come i
figli delle classi inferiori ne’ paesi più civilizzati, cnon mai si mostra
un sentimento di pena sulla loro fisionomia ».
Dipingendo poi i naturali di Sparta dice , come i Lacont differi-
scano, nel portamento e ne’ costumi, dagli Arcadi loro vicini, i quali
portano la tasca e il bastone da viaggio e menano una vita pastorale,
mentrechè gli Spartani han passione per i combattimenti, d’ onde in
essi un carattere vivo e turbolento, che la più lieve cagione è baste-
vole ad irritare. Parla ancora il Pouqueville de’ luoghi e biondi ca-
pelli delle donne di Mistra, della ior aria imponente, della maestosa
loro andatura , della eleganza delle forme , della regolarità de’ linea-
menti , della espressione animata de’ loro grandi occhi azzurri guer-
(1) Viaggio in Morea, a Costantinopoli ed in Albania, non che in molte
altre parti dell’Impero Ottomano, negli anni 1798-99-800 c 801. Milano,
1816.
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LIBRO SECONDO
' 136
nifi di lunghe ciglia. Gli uomini, fra i quali ve n’ha pure de biondi,
sono di statura eminente , di fattezze virili e regolari , e conservano
qualche cosa de’Doricsi della Sparta antica.
Niun altro popolo ebbe mai sulla civiltà del mondo tanta parte,
quanta n’ebbero i Greci fin dal loro primo apparir nella storia. Di-
staccatisi dal ceppo ariano, e dall'Asia passati in Europa, si elevarono
bentosto ad una individualità che , all’ infuori della lingua , vincolo
indestrultibile fra le genti di cui sia comune l’ origine , altre tracce
non serbavano della loro provenienza forestiera, e spesso per vanità si
dissero autotoni, e da Giove creali sotto il cielo felice della Grecia.
Tuttocciò che d’altronde era stato introdotto appo i Greci, e reli-
gione e costumanze che i Pelasgi avean seco recato dall’ oriente , o
che altri tesmofori vi aveano trapiantato posteriormente dall'Egitto e
dalla Fenicia, videsi in Grecia rivestito di nuove forme, ed accomo-
dato alle tendenze di quel popolo. E chi studiasse la mitologia dui
Greci comparandola con le dottrine bramaniche, con lo Zend-A vesta,
0 con le religioni egiziana e fenicia, troverebbe, egli è vero, lo stesso
fondo mitico comune a tulle queste religioni, ma espresso da'Greci in
un linguaggio sensibile, che dal primo periodo della lor coltura andò
man mano avanzando; perciocché mossi i Greci dalla viva lor fantasia,
non solo popolarono di divinità cielo e terra, e gli elementi tutti, ed
1 regni della natura, ma dove videro forza e moto , quivi pensarono
che fosse vita somigliante alla umana , e tutte le dottrine simboliche
adombrarono in istorie umane che i poeti e gli artisti presentavano
alle fervide menti, ed agli sguardi esercitali delle moltitudini (1). bu-
fi) In versi inimitabili ha espresso il Monti le dottrine mitiche degli El-
icili, ed io non posso resistere al piacere di citarne il seguente passo, che
servirà d’illustrazione a quanto si è detto nel testo.
« Tempo già fu che dilettando i prischi
Dell’apollineo culto archimandriti.
Di quanti la natura in Cielo c in Terra
E iieH’Aria e nel Mar produce effetti
Tanti Numi crearo, onde per tutta
La celeste materia e la terrestre
Uno spirto, una mente, una divina
Fiamma scorrea che l'alma era del Mondo.
Tutto avea vita allor, tutto animava
La bell’arte de’vati. Entro la buccia
Di quella pianta palpitava il petto
D'una saltante Driade
(.fucila limpida fonte uscia dall’urna
D’ un innocente Naiade
(ìarzon superilo e di sì* stesso amante
Era quel lìor; quell’ altro al Sol converso
l’uà ninfa a cui nocque esser gelosa.
11 canto che alla quota ombra notturna
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RAZZA ARIANA -FAMIGLIA PEI.ASG1CA. 137
rono perciò la poesia e le arti belle incarnate presso i Greci coll’ an-
tropomorfismo religioso ; e i primi poeti Zelo ed Anfione, Femonoe
sacerdotessa di Apollo , Manto Boio ed altre Sibille , Museo e il suo
discepolo Orfeo, e Lino precettore di Ercole , celebrarono la genea-
logia degli Dei , la pugna de’ Titani , il Caos , la creazione del Gran
Tutto ; e le prime sculture furono immagini sacre scolpite in legno
da Dedalo (1), in marmo da Dipeno e Scilo cretesi, Mala e suo figlio
Micciade ed Anterno di Cbio (2) , o gittate in bronzo da Arislocle
cretese (3).
Queste prime poesie religiose , e questi primi saggi dell’ arte non
rappresentano al certo l' eccellenza alla quale indi pervennero, sotto
il bel cielo di Grecia, la poesia e la scultura, ma dimostrano la ten-
denza delle menti degli Elleni, la quale non deviò mai da quel pri-
mo indirizzamento, ma vi si aggiunsero i nobili sentimenti dell'amore
di patria e di libertà , e i pittori e i poeti eternarono le vittorie di
Maratona, di Platea e di Salamina , o l’ eroismo de’ combattenti alle
Termopoli
Dove la Persia e il Fato assai men forte
Fu di poch’alme franche e generose (4)!
La Grecia era nata per le arti, e con esse, e con le opere della più
elevata intelligenza, ba conservato la sua influenza fio sulle presenti
generazioni ; nè v’ ha chi nou riconosca, a’ di nostri, la preminenza
ch’ebbero i Greci in ogni ramo di lettere , di scienze e di arti belle.
Ma quello che contribuì, fin da’ primi tempi, a diffondere più effica-
cemente le idee e la coltura loro in quasi tutte le regioni del globo
allora conosciuto furono soprattutto le colonie che questo popolo iu-
dustre ed operoso seppe spandere in Asia , in Africa, ed in Europa.
« Niun popolo dell'antichità, così l'Humboldt, presentava uua riu-
Ti vien si dolce da quel bosco al core ,
Era il lamento di regai donzella
Da re tiranno indegnamente offesa.
Quel lauro, onor de’ forti e de’ poeti ,
Quella canna che fischia , c quella scorza
Che ne’ boschi sabei lagrime suda ,
Nella sacra di Pindo alta favella
Ebbero un giorno e sentimento c vita, etc. ».
Sermone rulla mitologia.
(1) Intorno a Dedalo, v. Pausanin , Lib. IX. 40 , dove ri ricordano un
Ercole a Tebe, un Tra fonia a Lebade, un Brilomarte ad Olonte, una Mi-
nerva presso i tinossi, tuttavia esistenti a quel tempo.
(2) Adriani, Lettera a G. Vasari, nel Manuale dell’Arte Greca pubbli-
cato in Eirenze dal Lcmonnier, p. 54SS.
(3) Si cita di Arislocle un combattimento di Ercole ed Antiope.
(4) Leopardi, Canto all'Italia,
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138
Milito SECONDO
nione di colonie più numerose, e generalmente più polenti. Ma però
dalla fondazione delle prime colonie eolie, fra le quali brillarono Mi-
tilene e Smirne , non men di quattro o cinque secoli corsero Ono a
quelle di Siracusa , di Crotone e di Cirene. Gli Indiani ed i Malesi
non han fatto altro se non occupare qualche piccolo punto sulla co-
stiera orientale d’Africa , g Socotorà ( Dioscoride ) , e nell’Arcipelago
meridionale dell’Asia. 1 Fenici sparsero, è vero, le loro colonie sopra
uuo spazio ancor più vasto di quello de' Greci , poiché elle disten-
devansi, quantunque a grandi distanze, dal golfo arabico lino a Cer-
nea sulla costa occidentale d'Africa , ed il loro sistema di colonizza-
zione era in oltre assai perfezionato , né mai metropoli diede origine
a una colonia che avesse posta maggiore attività di Cartagine al com-
mercio ed alla conquista , ma Cartagine , non ostante la sua gran-
dezza , rimase sempre , quanto alla coltura intellettuale e al genio
artistico , molto al di sotto dell' altezza sopra cui salirono le greche
colonie, le quali fecero fiorire, per si lungo tempo, le forme più no-
bili dell’arte.
« Non dimentichiamo che molte città greche prosperarono ad un
tempo nell'Asia Minore, nel Mare Egeo, nell’Italia meridionale ed in
Sicilia ; che le colonie di Mileto e di Marsilia , al pari di quella di
Cartagine, fondavano altre colonie ; che Siracusa, pervenuta al colmo
della sua potenza , combatteva contro Atene , e contro le armate di
Amilcare e di Anoibale;cbe Mileto,dopo Tiro e Cartagine, fu per lun-
go tempo la più importante città commerciale del mondo. Cosi, in gra-
zia della sua attività, ud popolo, spesso agitato da discordie intestine,
diffondeva la vita al di fuori di sé , e , per opera della sua crescente
prosperità , deponeva in ogni luogo il germe fecondo, che dovea far
rinascere la civiltà nazionale. La comunanza della lingua e della reli-
gione riuniva i membri lontani di questo corpo, i quali formavano tanti
anelli intermedi , per cui la piccola metropoli ellenica penetrava nei
vasti cerchi ov’agitavasi la vita degli altri popoli. Per tal modo l'el-
lenismo ammise nel suo seno elementi stranieri, senza mai sagrifica-
rc la grandezza, nè l'originalità del suo carattere (1) ». Cosi egli.
Oltre a queste pacifiche influenze che i Greci spandevano ovunque
Iraevali il commercio e l’industria, la civiltà ellenica penetrava an-
cora, per mezzo delle armi di Alessandro , nelle contrade meriggio -
occidentali dell’Asia, nella valle del Nilo , e fin ne’ deserti della Li-
bia. E se si riflette, che dalla battaglia del Cranico fino alla invasione
distruggilrice de’ Saci e de’ Tocari in Battriana , non scorsero più di
cinquanta olimpiadi, dovrà ammirarsi la magica seduzione che l’ in-
civilimento greco esercitò ne’ paesi conquistati , e le radici profonde
che vi mise in si poco tempo. Mista alla scienza degli Arabi, de’ Neo-
Persiani e degli Indiani, questa civiltà ha continuato a spargere la sua
luce fin sul Medio Evo , di guisa che talora non si può distinguere
con certezza ciò che appartiene veramente ai Greci da ciò che è
(1) Cosmos, li. 172-171.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA. 139
rimasto scevro di straniero mescolamento , e deve esser ritenuto
come proprio dello spirito inventivo de’ popoli asiatici (1).
Ma le sorti della guerra e il fato di Roma cbe aveano chiamato i La-
tini alla dominazione del Mondo , resero la Grecia e i suoi possedi-
menti in potere delle aquile romane , e, vinta da'Quiriti, ingentiliva
i costumi de’ vincitori (2). Al decadere dell’Impero d’Oriente, al
quale erano attaccate le sue sorti, la Grecia fu preda di chiunque vo-
lesse conquistarla , ed ora videsi corsa da Sciti , Eruli , Goti , Anti,
Schiavoni, ora soggetta a’ Veneziani , o ad avventurieri francesi , ca-
talani, napolitani, turchi che se ne contrastavano il possesso , fino a
che, dopo varie altre e sempre infelici sorti, non cadde in potere degli
Osmanlini. Quando Maometto li. erasi fatto signore di Costantino-
poli, videsi ancora la Grecia continuamente esposta alle scorrerie dei
Veneziani , i quali occuparono il Peloponneso fino al 1715, allorché
lo scettro del Sultano pesò uniformemente sopra tutto il classico
suolo della Grecia.
Ma i discendenti di Milziade e di Temistocle si agitavano fra le cate-
ne, e se non poterono riacquistare la libertà ne'primi moti del 1770, con
disperato valore sostennero, nella terza decade del secolo che volge ,
quella lotta memoranda che decise del loro affrancamento , in grazia
della generosa intervenzione delle grandi potenze di Russia, d’Iughil-
terra e di Francia, le quali, rendendo alla libertà la più celebre delle
nazioni, tributarono un omaggio dovuto al gran nome, ed alle grandi
memorie della Grecia.
§ 2. Albanesi.
A lato de’ Greci poniamo gli Albanesi o Schipetari , abitatori del-
l’Albania d’ Europa , da Sculari fino all’Aria , soggetti alla Porta , e
sparsi in colonie per la Morea, la Sicilia e le province pugliesi e ca-
labresi del reame napolitano. Di quelli che sono in Albania, gli abi-
tanti al mezzodì si dicono Toski , quelli al norie chiamansi Gueghi.
Appartengono a’primi le tribù d e’Japidi c Aet'Lhamidi; a’secondi quelle
degli Amauli , Malisori e Muditi (3). Sono occupati quasi esclusiva-
mente del mestiere delle armi , e riescono i migliori soldati dell* ar-
mata ottomana. « Questi fieri Albanesi, dice Choiseul, sarebbero an-
cora eroi, se avessero uno Scanderberg alla testa loro, ma non sono
più che masnadieri , la cui ferocia (raspare dalla lor fisonomia. Son
tutti alti , snelli e nerboruti ; il loro vestito consiste in larghissimi
(lj ld. p. 180.
(2) Graecia capta feruta, victorem cepit, et artes
lntulit agresti Latio.
Ora:. Epist. Lib. II. epist. /, 1S7-I38.
(3) Puucquevillc nomina ancora altre due tribù pastorali dell 'Alta Alba-
nia, cioè i Trikalli ed i Dardi.
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140
LIBRO SECONDO
calzoni, in una piccola veste, ed in un giubbettino guernito di piastre,
di catenelle e di parecchie (ila di grosse olive di argento : portano
stivaletti legati con corregge che ascendono talvolta finn al ginocchio,
per tener ferma sulla polpa della gamba una piastra che ne prende
la forma, e la preserva dallo sfregamento del cavallo. I loro mantelli
gallonati e frastagliati a più colori rendono quella maniera di vestire
affatto pittoresca ; non portano in testa che un berrettino rosso, che
gcttan via quando corrono a battersi ».
Le donne, di valida costituzione , non vivono già nelle mollezze e
nelle rilassatezze degli Harem , ma coltivano co’ loro sposi e co' loro
figli la terra. Sobri nel vitto , ordinariamente si nutriscono di latte,
formaggio , olive , legumi ; raramente fanno uso di pane , ma sono
contenti del grano o grano d'india bollito nell'acqua.
Poco gelosi delle loro donne , non le nascondono mai agli occhi
altrui, ed il nodo coniugale una volta formato, di rado si scioglie col
divorzio, cosa comunissima presso i Mussulmani. E raro ancora che
un Albanese abbia più di una donna, e i grandi che debbono tenerne
molte per dovere di etichetta , pare che si assoggettino a quest' uso
per lusso più che per gusto.
Si compiacciono grandemente del lor nome , c tenacemente con-
servano le usanze, e i costumi de’ padri loro, anche in mezzo a genti
d’ altra lingua , e d’ altre costumanze. Tali sono gli Albanesi raccolti
ed ospitati in alcune province del Regno di Napoli. « Non v’ha per-
sona tra essi che non serbi vivissima la rimembranza delle sventure
del suo paese ; nè v'ha giovane che non abbia appreso da’suoi pa-
dri le terribili ire , le barbare violenze , e l’opprcssura che l' Epiro
ebbe a patire dagli Ottomani ; e quanto sangue generoso avesse ba-
gnalo le zolle della Morea , e quanto amore infiammasse i petti dei
figliuoli del Castriota. Non vi ha fanciulla di Spezzano , di San De-
metrio e di Maki, che non canti al malinconico raggio della sera una
canzone, volgendo l'estremo saluto alla diletta riviera : non ci ha vec-
chio che non narri le miserande tradizioni ; non uomo insomma che
lavorando alla vendemmia o alle messi , non canti la speranza della
vittoria e del ritorno. E tutte queste cantilene della vecchia Albania,
nelle quali, o si ritraggono gli antichi costumi, o le vicende dolorose
della guerra , si mantengono fresche e vive in quel popolo esule e
disperso, e son per lui affetto, religione e tutto (1) ».
La moderna Albania d’Europa comprende parte dell’ Illirico e del-
l' Epiro : popoli slavi si sono ora addensati sopra il suolo degli anti-
chi Illirici ed Epiroti, ma le genti aborigene vi duran tuttora, c sono
appunto gli Albanesi che rappresentano la discendenza di quelle pri-
sche popolazioni pelasgiche vincolate di stretta parentela con gli Eti-
leni e con gl'itali primitivi. L'Illirico e l’ Epiro furono sempre cstra-
(1 ) Lettera intorno alla poesia albanese; nd Lucifero di Napoli, an-
no X.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASG1CA. 141
irei a quella civiltà di cui rifulsero le contrade della Grecia , e non
mai si ellenizzarono ; i costumi e l’ idioma degl’illirici ed Epiroli ri-
masero sempre barbari , e sarebbe oggi impossibile rintracciar nella
lingua albanese quelle somiglianze e quelle analogie col greco che
dovea conservare a’ tempi della grande migrazione pelasgica.
Alcuni filologi che banDO preso ad argomento de’ loro studi la lin-
gua albanese , hanno creduto che questo idioma , spogliato di certi
vocaboli greci, turchi e slavi, sia da per sé linguaggio isolato, e non
abbia appiglio di analogia, o di assonanza, o di costruzione colle pro-
pinque favelle d’Asia e d' Europa ; ma più profonde investigazioni
filologiche han provato all’evidenza , che l’idioma albanese è un lin-
guaggio dotato si di forme particolari e di caratteri propri ed essen-
ziali , ma che le sue inflessioni grammaticali lo dimostrano apparte-
nente alla classe delle lingue indo-europee (1). Il Biondelli aggiunge
dippiù, che analizzando le tavole eugubine , vi si trovano certe pro-
prietà caratteristiche esclusive della lingua albanese ; tali sono i suf-
lissi che, applicati a’nomi, tengono luogo di articolo, e l’uso di unire
in una sola parola i nomi e gli aggettivi colle preposizioni, formando
per tal modo i casi locativi , causali c simili , come esisco invece di
co esis , che significa con questi ; ucriper, lutaper, invece di per ucri,
per tuia che valgono pel monte, per tutta ; della qual proprietà il la-
tino idioma serba ancora una rimembranza nelle parole tecum, vobi-
scum, quapropler e simili, senza poterla estendere ad arbitrio ad altri
casi.
« L’affinità del Ialino co’ dialetti etrusci (umbro , poiché le tavole
eugubine sono scritte in umbro, e non già in etrusco ) sembra ornai
dimostrata dal confronto degli antichi monumenti , cosicché si può
con più di ragione ammettere un nesso d’origine tra le primitive na-
zioni traci, cpirotiche, etrusche (umbre) e latine. Questa opinione,
oltre l’essere fondata sui fatti, concorda meglio di ogni altra con le
storiche tradizioni , e dippiù rende ragione della differenza esistente
a’ tempi d’Omero tra la lingua greca propriamente detta, e l’ellenica
primitiva attribuita ad Orfeo, differenza per la quale quest’ ultima era
divenuta straniera per sino a’Greci. Per tal guisa si concilierebbe an-
cora l’ opinione apparentemente diversa di coloro che attribuiscono
alla Ialina un’origine ellenica , poiché s’intenderebbe sempre l’elle-
nica primitiva della Tracia e deli’ Epiro , che devesi ben distinguere
dalla greca posteriore. La necessità di questa distinzione fu sentita
eziandio dal rinomato Grotefend, il quale, dopo aver illustrato i prin-
(1) Xilander, Die Sprachc der Albanesen od. Schkipetarcn. Frankf.
1855, VonUahn, albancsischeStudien. Jena, 1855, in 4.° Nella seconda parte
di quest’opera si trovano una grammatica del dialetto tosko, poemi toski
e gueghi, proverbi, frasi, storie, e per ultimo un Vocabolario Albanese-
Tedesco e Tedesco-Albanese — Ved. anche Ma. Mailer, The Languages of
thè Seat of War in thè East. London, 1854. p. 52 e seg.
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LIBRO SECONDO
cipali monumenti , cosi si espresse (1) : « Suoi aulem prisci Grseci ,
quorum consanguineos Umbros pulo , ab Hellenibus serioris aetatis ,
io quos illorum nomen per Bomanos demum transiit , bene distin—
gueudi : quemadmodum euim umbricus sermo per varios casus sic
immutatus , ut plures inde nascerentur dialecti magis magisque di-
versa? , prisca Grxcorum in Epiro lingua per populos Ilelladis tam
varie esulta est, ut non mirandum sit, quod tandem Graecis barbar®
viderentur linguae, qua; antiquilus non magis diflerebant, quam ipsa
romana (2) ».
ARTICOLO II.
SOTTO-FAMIGLIA ITALICA.
§ L Etruschi.
Gli Etruschi , secondo una loro credenza nazionale (3), e secondo
l'opinione più comunemente ricevuta dagli antichi (4), erano Pelasgi
italici , associali a Pelasgi asiatici venuti di Lidia , o dalla Meonia.
Livio nou dice già che fossero Reti (S), ma si dello stesso stipite de-
gli abitatori della Rezia, i quali , giusta la sentenza di Plinio (6; e di
fi) Rudimcnta lingux Umbrie®, p. Vili. p. 8.
(2) Atlante linguistico di Europa. Milano, 1841 p. 95.
(3) Gli Etruschi, regnando Tiberio, aveano con pubbliche lettere dichia-
rato sè esser propagati da una colonia di Lidi condotta in Etruria da Tir-
seno, o Tirreno figlio di Ati, e riconoscere i Sardiani di Lidia come loro
agnati — Tacito, Ann. IV. 55.
(4) Il padre della Storia registrò il primo questa tradizione ( 1. 94) che
trovasi riprodotta in tutti gli storici , i geografi ed i poeti dell’antichità.
Ved. Strabane, V.; Plutarco, Vita di Romolo; Cicerone, De Divinatone,
1. li, Plinio, IH. 8; Valerio Massimo, li. 4; Vellejo Patercolo, 1. 1; Ta-
cito, loc. cit. ; Giustino, XX. 1 ; Appiano, Res. Pun. LXVI; Tertulliano,
Spcctac. V; Festo, vv. Sardi, Tyrrhenos,- Virgilio, vEneid. II, 781; Vili,
479; IX, 11; Servio, in loc. e 1, 67; Orazio, Satyr. VI. 1 ; Licofrone, Cas-
sandra, 1551—1361; Silio Italico, IV, 721; V, 9; Vili, 485; X, 40; 485;
XIII, 828; Stazio, Sylv. I. 2, 190; IV 4,6 ; Catullo, XXX, 13; Rutilio,
I, 596. Comp. anche Ovidio, Metamorfosi, 111. 583; Seneca, Consolat. ad
Helvetium, VI.
(5) Alpinis quoque ea gentibus haud duine origo est ( idest tusca ) , maxi-
me Rhietis: quos loca ipsa efferarunt, ne quid ex antiquo, prteler sonum lin-
gue r, nec eum incorruptum, retinerent. Lib. V. cap. 53.
(6) Rha-tos, Tuscorum prolem, arbitrantur a Gallis pulsos , duce Rhccto.
II. ti. Libr. III. cap. 20.
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RAZZA ARIANA-FAMIGLU PELASG1CA. 143
Giuslino (1) , eransi riparati su que' montani gioghi all’arrivo dei
Galli , che gli spodestarono delle terre cisalpine ; e perciò parmi non
meriti essere seguito il pensamento di coloro che pongono sulle Alpi
Rezie la culla della nazione etrusca da essi creduta di stirpe teutoni-
ca , giunta per quel cammino di Germania in Italia (2). Nè manco
credo, che i Tusci fossero Celti (3), o Finno-Slavi (4) , o Iberi lati-
nizzali siccome pensa Guglielmo de Humboldt (5) , sebbene io pure
inclinassi ad opinare, che i Liguri avessero potuto avere anche la lor
parte nella costituzione della nazione etrusca, poiché Dionisio fa in-
tenderci , che la Tuscia , in un’ età remotissima, fu paese iberico ; e
l’ occupazione che i popoli della Liguria aveano fatto del suolo etru-
sco , dovea aver lasciato certamente di sè vesligia , seppure i Liguri
non rappresentassero la tribù de’Luceri (Luceres, Ligure») , la gente
sottomessa, la stirpe de’ soggiogati , la tribù Minorum Gentium, ossia
una delle tre tribù di cui componeasi il popolo dell’ Etruria (6) , es-
sendo delle altre due I’ una de’ Pelasgi asiatici , e l’altra de’ Pelasgi
italici comunemente appellati aborigeni (7).
(1) Tusci,duce Rhteto, aviti» sedibus omissis, Alpe s occupavere, et ex du-
ci» nomine gentem Rhtetorum condiderunt. Lib. XX, cap. 5.
(2) E questa la opinione del Niebuhr, e suoi seguaci. Alquanto diversa è
la maniera di vedere di O. Muller, il quale crede gli Etrusci un popolo mi-
sto di Pelasgi Tirreni venuti dall’Asia Minore, e di Rase ni. Teutoni, di-
scesi dalle Alpi Rezie, i quali, scacciati gli Umbri, si collegarono co' Pelasgi
Tirreni, e diedero origine al popolo, eh’ indi si disse Tusco od Etrusco, Die
Etrusker, Einleitung — Grotefend , in Ilenop , De lingua Sabina, Alto-
» ice, 4857.
(3) Opinione di sir William Retham, nella sua Etruria Celtica.
(4) De Gobineau, Essai sur l’ megaliti 1 des raccs humaines. Paris, 4855-
4855. t. III. p. 7 7-87.
(5) Prttfung der Untersuchnngen Ober Alten — Hispaniens. Berlin, 4824.
(6) Orioli, Delle tre prime tribù romane. Roma, 4852.
(7) Opina il Lepsius che questi aborigeni fossero stati di preferenza Um-
bri fUeber die tyrrhenischen Pelasger in Etrurier. Leipzig, 4842), e la sua
opinione non manca certo di molta probabilità. La dottrina niebuhrriana
perde di giorno in giorno terreno, ed io qui trascrivo una particella della
Dissertazione del Koch « Sulle Alpi Etrusche » dalla quale può giudicarsi
del conto che oggi si fa in Alemagna della discendenza teutonica de’Raseni:
« Bei einem Rùckblick auf die bisher gepflogene Untersuchung ergiebt sich,
dass die Erschaffung des angeblichen Alpenvolkes der Rasener, aus denen
in Italien die Etrusker hervorgegangen sein sollen, nicht Geschichte, son-
derà Fiction ist. Die Etrusker sind tyrrhenische Pelasger und weiter nicht».
Ihre Eintcanderung nach Italien erfolgte auf dem See-nicht auf dem Land-
tcege. Sie kamen con der lydisclien Kiiste, nicht aus dem Norden und de n
tiroler Alpen. Morgenldndisch sind ihre Kunstdenkmaler, ihre gottesdien-
stlichen ùebràuche, ihre slaatlichen Einrichtungen, folglich kònnen sie kein
nordisches Volk sein. Weder der Norden noch die Alpen haben etruskische
Kultur aufzuweisen. In Italien verschmelzen die Tyrrhener mit einem Theile
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LIBRO SECONDO
Come da' crani degli antichi Greci, e dalle loro scultore a noi per-
venute , noi abbiamo potuto riconoscere la fìsonomia de’ vetusti El-
leni, e paragonarla con quella de’Greci dell'epoca nostra, cosi pari-
menti da alcuni teschi trovati nelle necropoli etnische, dalle effigie
in esse dipinte, o ne' vasi fittili dissepolti fino ad ora, da alcune opere
in plastica , da alcuni bronzi, e dalie sculture superstiti appartenenti
a questa nazione, rilrar noi possiamo i caratteri fisici de’ prischi Ra -
seni, e compararli con quelli degli abitatori odierni della Toscana e
de’ rimanenti popoli italici. Ma già prima di noi aveano fatto altret-
tanto ed il Micali, cd Otofredo Muller, ond’io stimo pregio dell'opera
di riferir qui le medesime loro parole.
« Il tipo fisico, o la fazione delle teste che più caratterizza la razza
italiana degli Etrusci (cosi il Micali), e che la forza delle rivoluzioni
politiche, né l’azione medesima della civiltà non han mai fatto pe-
rire fra noi , si scorge evidentemente in moltissimi ritratti maschili
e femminili effigiati in monumenti sepolcrali dell’età vetusta (1)
Desso è lo stesso della grande variata razza del Caucaso. Il diametro
verticale è corto, quindi il viso largo; il contorno della testa, vista
di faccia, si direbbe come quadrato, atteso che il cranio vi apparisce
schiacciato alla sommità, e orizzontale l'estremità inferiore della ma-
scella. La fronte è bassa, il naso aquilino con base piana, il mento
tondeggiante dinanzi, la posizione delle orecchie alquanto alta. Tali
sono ancora i caratteri principali del tipo odierno in Toscana , e più
generalmente della universale razza italiana (2) ».
Il Muller poi ci descrive gli Etrusci con queste parole: a Aveano ,
per quanto può giudicarsene, il viso pieno e tondo, gli occhi grandi,
il naso grosso e corto, il mento grande e un poco prominente. Erano
di piccola statura, con la testa grande in proporzione, le braccia
corte e grosse, il corpo grave e pesante, e , per dir tutto in breve ,
cran gli obesi et pingues Etrusci (3) ».
iter besiegten Umbrer und den v or ihnen da gewesenen alleren Pelasgern zu
c inevi — :um etruskischen Volke.u Die AlpenEtruskcr. Leipzig, 1855, p.71.
(1) Storia degli antichi popoli italiani. Milano, 1856, t. I. p. 101.
(2) Udii. t. 111. p. li.
(3) Eppure, all' infuori «Wf’obesus Etruscus di Catullo, e del pinguis
Tyrrheniis di Virgilio (Aineid. XI), non si fa altrove menzione, appo gli
antichi, de’ caratteri fisici de’Raseni , anzi Teopompo le donne loro chiamò
r ài ólsis xaXii , benché veramente poco felice concetto ci dessero Orazio
(Od. in. io).
Non te Penelopen difficilem procis
Tyrrhenus gcnuit parens ;
ed anche Plauto, nella Cistellaria, li, 3.
Non enim hic, ubi ex tusco modo
Tute tibi indigne dotem qua:ras corpore.
Il Creuzer, nella sua Simbolica cerca di render ragione della obesità degli
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Etrusco
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RAZZA AKIANA-FAHIGLIA PBLASGICA. 115
Ma le descrizioni de’due soprannominali autori sembrano falle so-
pra le prime e più informi scultore toscane ; almeno le tavole citate
dal Micali ( XIV. XV. XVI. ) che accompagnano la sua Storia degli
antichi popoli italiani, non rappresentano se non teste di terra cotta
soprapposte a vasi canopici. Che seguardinsi le effigie sculte in tempi
posteriori, quando l'arte, raffinandosi, avvicinavasi alla pura espres-
sione del vero, e, per non allontanarci dal Micali, se si considerino
i monumenti da lui rappresentati nelle tavole XL1V. LX. LXV. LXVI.
LX Vili. CV1. CVII. CV11L, quelli posseduti dal ricco museo del mar-
chese Campana , in Roma (1) , e gli altri pubblicati splendidamente
dall’lnghirami (2), noi non potremo dare del tipo fisico degli Etrusci
altra descrizione, se non la seguente.
Testa ovale, fronte ampia e sporgente, ma piuttosto bassa , occhi
grandi , naso tendente alla forma aquilina , bocca e labbra regolari,
mento tondo e non di rado sporgente, angolo facciale di 80 ad 85 gra-
di, barba e capelli morbidi e distesi, statura non eccedente la mezza-
nità (3), complessione robusta, membra proporzionate. Questi mede-
Etrusci, considerando la natura del suolo e del clima nel quale essi viveano.
« Era l’Etruria, egli dice, un paese caldo, un clima pesante. Un’aria den-
sa, giusta l’ espressione degli antichi, pesava sopra i suoi abitatori. Se il
clima dolce e ridente dell’Ionia, se Usuo cielo leggiero vide crescere una
razza mobile e poetica, che la popolò di creazioni non men ridenti e leggere ,
non fu cosi dell’antica Toscana, la quale nudriva uomini di un carattere
grave e di uno spirilo meditativo. Tale disposizione morale fu potentemente
fecondata dalle frequenti aberrazioni nel corso ordinario della natura in
quella contrada ove continuamente siproduccano meteore, tremuoli, lacera-
menti subitanei del suolo, rumori sotterranei, nascUe mostruose nella specie
umana e negli animali. La maggior parte di questi fenomeni si spiegano per
la natura dell’atmosfera carica di vapori brucianti, e per i numerosi vul-
cani di cui si sono scoperte le tracce ».
(1) Da una terra cotta appartenente ad esso Museo è tratta la testa etru-
sco effigiata nella tavola , e copiata al vero dal mio amico signor F. Pelo-
galli. Il eh. architetto Canina, rapito recentemente da morte all’onore d’Ita-
lia, e versato più che ogni altro nello studio de' Monumenti etruschi, era di
credere, che questa testa rappresenti il tipo raseno nella sua più gran pu-
rezza e verità.
(2) Monumenti etruschi , o di etrusco nome , disegnati , incisi e pubbli-
cati da Fr. fnghirami. Badia Fiesolana, 1821 - 1826 , voi. VII in 4 . — Etru-
sco museo chiusino da’suoi possessori pubblicato, con aggiunta di alcuni
ragionamenti del prof. D. Valeriani. Poligrafia Fiesolana , 1833 , in 4 .
(3) La statura di due scheletri maschili , presso a poco eguali , e prove-
nienti dal necropolio etrusco discoperto presso a Bologna dal conte Gio. Goz-
zadini, fu valutata dal Calori » fra i quattro piedi e mezzo ed i quattro
piedi e tre quarti (metro 1 , 54 7 — 1 , 613 ), di misura bolognese, dietro l’ispe-
zione de’ frammenti delle ossa lunghe degli arti, di colonna vertebrale e dei
teschi. Questi individui dovevano essere molto robusti e forzuti, indicandolo
le assai marcate impronte muscolari delle ossa ». Lettera del prof. Calori
Micolucci, Razze umane — Voi I. IO
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LIBRO SECONDO
situi caratteri si sono perpetuati ne' moderni abitatori della Toscana ,
e spiccano ad evidenza ne’ ritratti de’più grandi uomini di quella
parte d'Italia, in Dante, Michelangelo, Leonardo da Vinci , Galileo
Galilei, nel ritratto di Cosmo de’Medici, di Leon X° ed altri infiniti.
Osservato poi il cranio degli Etrusci vi ravvisa l’anatomico tutti i
caratteri della Torma calleasiana , ed una perfetta somiglianza con i
teschi detestanti italiani. Ovale è il contorno della parte superiore
guardata col metodo blumenbachiano, le ossa mascellari anteriori al-
lineate con le frontali , e le sporgenze laterali de’ zigomi distanti fra
loro Dè più né meno di quanto lo sono le ossa temporali , di guisa
che due linee che toccassero quei due puDti di ciascun lato dei cranio
sarebbero parallele , o aline» quasi parallele fra di loro. Piuttosto
corto è il diametro verticale (dalla fronte al mento ), quindi larga
la faccia ; la parte inferiore del mento tondeggiante, e quasi orizzon-
tale la inferiore estremità della mascella. Molto rilevata è la spina del
naso , e le ossa nasali ben prominenti , come e appunto nel naso
aquilino. La parte occipitale è parimenti molto sporta infuori, e pre-
cipuamente la sua protuberanza.
Tali sono i caratteri di un cranio etrusco di Cere da me esaminato
e di quelli osservali dal Calori provenienti dal sepolcreto raseno di-
scoperto presso a Bologna dal conte Giov. Gozzadini (1) , non che
dell’altro bellissimo vcjcnle Ggurato dal dott. A. Garbiglieli dì
Torino (2), che ne diede altresì alcune misure, le quali, messe a ri-
scontro con quelle di altri teschi italiani così antichi come moderni,
vi corrispondono perfettamente , e forniscono un’ altra non dubbia
pruova della identità etnica delle vetuste italiche popolazioni.
1 crani da me confrontati col vejente del Garbiglietti sono: 1° un
cranio volsco trovato presso Aquino, ed appartenente probabilmente
a’ primi secoli cristiani; 2° un cranio osco ( campano) recentemente
dissepolto da un’antica tomba, che si crede anteriore all’era nostra;
3° un'altro cranio osco ( cumano ) rinvenuto negli scavi eseguiti in
Cuma per ordine di S. A. R. il Conte di Siracusa, parimenti de’ primi
secoli dopo G. C- ; 4° un terzo cranio osco ( pompeiano ) del 1 " se-
colo; 5“ un cranio che si crede essere di un Sarrasle di Nuceria , e
che fu raccolto da un’antichissima tomba sulle rive del Sarno; 6° un
cranio napolitano odierno, e 7° un cranio , anche moderno , di un
nativo di Sora, vetustissima città de’Volsci. L’antichità del cranio
etrusco del Garbiglietti risate ad opoca anteriore alla presa di Veji
fatta dal Dittatore Furio Camillo , l' anno di Roma 360 , ed avanti
l’età nostra 393.
intorno a due scheletri umani del Sepolcreto di Villanova , nella Descri-
zione di un Sepolcreto etrusco scoperto presso a Bologna del conte Giov.
Gozzadini. Bologna, 1855, p. 38.
/ i) Lettera cit.
(2) Brevi cenni intorno ad un cranio etrusco. Torino 1841, con lav.
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UMO -MONDO
- (V*? t - fv.il a* m. «tomi .abitatori della Torcati.» ,
* '-«w rr .KraHi «to' piti grandi uomini di quelle
•« *»c. • M«i»-'»u«rlo. Leonardo d» Vinci . lintil*.»
* U do Medici, di L*>« X* *d altri .niioUi.
• U«t*< «ieffi Orbaci vi ravvi»* [ . : 3 iU I
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prominenti , rotto e appunto nei nano
" i> e psmntenli molto sporta infuori, e pre-
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«o cranio etrusco di Cere da me «Mulinato
«'ori provenienti dal sepolcreto meno Vii—
• dal conte (ìkiv. Gonadinl |1), non che
' *• figuralo dal doti. A ii.u biglietti di
» Arcai alcune io»ure, le quali, mosse a ri-
d- *«*cbi ilaluoi tori entelli come n.-iderni,
vi con^aao* "i. nie, e formarono un' ailrk non dubbia
iwwiradert* sto nota «tmea delle vetuste italiche popdhlsat.
I er.iù di tu.- «uoh. itati col vejeole del Gerì <„i>m .wno: 1 on
' • •• Aqnino, ed ipp : .
ep.f.- vamiii rrMtaui; T un cranio osco ( campano recente monto
« ' ’* «o anitra tombe, clic si credo a n tenore airere itra;
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*** lo raccolto <i. un 4nt.rbi-.una tomba sulle rive del Sarn-.; f. un
cranio napolitano «ad- rao, * 7* un «ramo . anche moderno . di un
nativo di Sora, vriu-tfa*ic,.« ,iu dr 'Voteci. Lamichili de! rrttuo
etrusco dri GorbigheUi risaie ad upoee anteriore alta presa di W
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1 eia nostra 393.
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lì, Lettera eit.
f*. Brrsi cenni intorno ad un cranio etrusco. Turino isti, con tot.
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Misure comparative di un cranio etrusco , di Ire osci ( campano , cumano e pompeiano), di un sacraste (di NuceriaJ,
di un napolitano , e di un sorano odierni (in pollici e linee parigine)
BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA
147
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ranxe), da me pregato, mi fornisse le misure che io ho registrate nelle rispettive colonne dello specchietto.
148
I.IBRO SECONDO
Medesimamente la lingua degli Etrusci, sebbene poco addentro vi
si sia potuto penetrare, dev’ esser noverata , secondo la opinione dei
più valenti elruscisti, nella classe delle Indo-europee. I nomi de'nu*
meri si spiegano in parte col latino e con gli altri dialetti italici antichi
(I. match — 2.lku — 3zal — i.hul — 5. ci (1) o hi, come scrive il Lepsius
(in Gehrards ' Ardi. Zeit. n. 1, p. 375) — 6. «a— 7. semh o umph (2) —
8. uth — 10. alch o alchl (3) ). Il thu è analogo al duo latino ; l’ hut è
forse affine al quatuor latino, al petur umbro , ed al p etora osco ; il
ci o hi è la radice forse del quinque ; il sa è il sex de’Latini, se pur non
piaccia di crederlo tratto direttamente dal sas sanscrito : il semh o
semphè il septem latino, ed Uthafe , che è dichiarato dal Lanzi per
Octavius, sembra comprendere il nome del numero 8 nella radice uth
affine all’umbrico ulhur.
Pare che i nomi etrusci appartenessero a tre declinazioni, la prima
uscente in A ed in D al caso retto, la seconda in E ed in I, e la terza
in una consonante qualunque. Il genitivo prende un s nella sua ter-
minazione, un m l’accusativo; l’ablativo è simile al uominativo nella
prima declinazione , ma ne’ nomi uscenti in E della seconda , o ag-
giunge un 1 al caso retto, o cangia in questa la vocale terminale del
nominativo.
De’verbi etrusci e loro coniugazioni nulla sappiamo, o quasi nulla.
Solamente ci è noto, che il mi etrusco corrisponde all'tipt, sum, gre-
co, e che la terza persona del passato indicativo termina in ce, come
nelle seguenti parole :
Tece o Tsece , posuit.
Thupitailsece , deposuit , an reposuit ?
Turce , dicavit, consacra vit.
Zilachce o Zilachnce, quaesturam egit 7
Usavano gli Etrusci di accorciare le parole, elidendo lettere, o to-
gliendo vocali, e respingendo l’accento alla prima sillaba, onde le me-
desime voci greche e latine , usate da essi , prendevano sempre , per
ragion del genio della lingua , una forma diversa , ed una diversa
terminazione. Apollon , p. es. , dicevasi in etrusco Aplu , Vulcauus
Selhlans, Atropos Alrpu, Minerva Menerva o Menroa, Hercules Ercle
o Bercia, Velulonia Velluna, Volaterra V dalkri, Agamennon Achmen-
(1) S. Campanari, nel Ballettino della Corrispondenza Archeologica ,
1848, p. 74.
(2) Orioli, Bali. sudd. 1848 p. 141. 143.
(3) Il vocabolo alch, « per idiotismo anche alchl, o il numero 10 aggiunto
ad un altro numero semplice ne decupla il valore, come in cealch cinquan-
ta, da ce o ci, cinque, ed alch dieci (Iscriz. tuscan. dichiar. da F. Orioli,
nel Giornale Arcadico, t.119n.8) e in semhalch settanta (semh sette, alch
dieci, nell' Orclana 2. edita dall’ Orioli neh' Album di Roma, anno XIX,
n. 18). Le unità dopo le decine si mettono innanzi al nome composto dal
numerale semplice e dal 10, come 51 p. es. che si esprime con mach cealch
cioè uno e cinque volts dieci, etc.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA.
149
rum , Clytemnestra Gulumita , Orestes Urusthe. Peleus e Tydeus si
contraevano io Pele e Tute, e Meoelaus in Metile, ed Alexander (Pa-
ride ) in Elchsentre, Carcanius in Carena , Llcinius in Leene, etc. (1).
Sappiamo dippiù, che alcune sillabe presso gli Etruschi indicavano
costanti relazioni di famiglia. La sillaba al indicava un patronimico;
attaccata al prenome ci fa noto il padre, alligata al gentilizio ci nomina
la madre. Sa indica la donna maritata in uomo di quel nome , ma se
quest' uomo era della propria famiglia , il sa era naturalmente con-
giunto col prenome. Il primo nome di famiglia che la donna aveva
nubile , dopo entrata nella casa del marito era aumentato con la sil-
laba et , originalmente eia , od anche i, originalmente ta, cosi la :
titei. le
cnesa
caiiuil
( Lanzi, 11. 0 p. 361 , n.“69)
(1) E probabile che primitivamente P etrusco fotte tlato più ricco di vo-
cali, che non fu poi ; almeno vi tono esempi che sembrerebbero confermarlo,
come quella iscrizione orvietana: mi kalairu yuiuf (Lanzi, II. numero 4 91. ),
e l'altra d’ ignota provenienza conservata nella biblioteca vaticana: mi ve-
neruf finucenaf; e più ancora l’antichissima iscrizione, non ben leggibile,
chiusino : miara-Siavelavesnaf zama simap ? u ? rkems ? evenpetursikipia
(Bollettino deli’Institato archeol. 1846, p. 8). Le leggende di due vasi pos-
seduti da’ Guglielmi di Civitavecchia, ed editi dal Micali (Monumenti ine-
diti, tav. XXXIV.) abbondano pure di vocali, e suonano Cuna:
e l’altra:
mi ramu-Saf kaiufinaia
mi rafuvuf lariceia.
Queste iscrizioni che forse risalgono alla più antica epoca rutena somi-
gliano in gran parte a quella del vasetto di Cere , nella quale il Lepsiut
(Ann. dell’Instituto della Corrisp. Archeol. t. Vili, p. 199 e seg,)\ trovava
il ritmo esametro :
miniceAumamima-Surnaramlisiai^i
purenaieò-ecraisieepanamineSunastav
helefu ;
td all’altra del vate conservalo ora nella sala de'bronzi del R. Museo Bor-
bonico, appartenuto già al Museo borgiano, e che suona cosi :
minimulvenckevebuirpupliana.
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I.IEIIiO SECONDO
è una larthia della famiglia Tile , figlia di un Cainnia, e moglie di un
Leene ; la :
3 mia . urinali, tutnasa
( Lanzi, I. c. p. 354, n.° 44)
è una Tliana nata Urinate , maritata con un Tutna; la :
tar3i. al^ei . . . séSresa
( Lanzi, t. c. p. 429, n.° 346)
è una larthia Alphe moglie di un Selhre Alphe (1).
Questo e null’altro sappiamo della lingua etnisca ; e fra le poche
parole che noi conosciamo di essa lingua, alcune sembrano comuni
col greco e col Ialino , come usil, sol ( ausel , sabellico ); phuiius , fi-
lius ; manim, mensis, ut», dorico papalser, prcesul, ponti f ex,
aivil, aevum , «fa*; ilus, affine alla radice di dividere ; eler o «tre, al-
ter, *™po« ; fanu, fanum; lupti, ollarium, sepulcrum ? W*s? «ma, do-
nimi, x* v *. e in antica ortografia ***» : altre, come clan per natus,
amar per aquila, lanista per maestro di gladiatori (Isid. ) , mantissa per
giunta alla derrata (Festo), arse verse per averle ignem (Festo), rii per
annos, fatando per coelum (Festo), subulo per libicen (Varr.) etc., sono
a (Tallo straniere al greco ed al latino, ed a tutto il sistema delle lingue
indo-europee; nè si sa che trovino appiglio di analogia con alcuno
degli idiomi conosciuti (2).
Può dirsi altrettanto de’ nomi de’ mesi da marzo ad ottobre :
Martius — Vekilanus o Velutanus.
Aprilis — Cabreas.
Maius — Ampiles.
Junius — Aclus.
Julius — Traneus.
Augustus — Ermius-
Seplember — Celius.
October — Zosfer.
Questi nomi si trovano cosi nel Dizionario di Papia che li trasse
da un più antico glossario di Ancileubo goto. Nella trascrizioue i no-
mi avran sofferto qualche alterazione, ma le etimologie senza dubbio
sono ignote: forse in Velcitanus è Voltumna; in Ampiles è Ampelos,
(1) Ketlermann, nel Bullettino del la Corrispondenza Archeologica, 1833,
pag. 54.
(2) Coi i pure C. O. Mailer. « Unter den einzelnen etruskischen Worte n,
deren wir etica nur zteanzig mit ihren Bedeutungen kennen, tind nur tcc-
nige, tcelche in der Form erweislich griechitehen oder rdmischen entipre-
chen ; die meisten sind se/ir fremdartiger Natur ». — Arile. Hetrorien, in
tnch «. Gruber, allgemeine Encyclopadie.
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RAZZA ARUNA-FAMIGI.IA PEI. ASCIO. A . I 5 I
genio bacchico; in Traneus è Turno, ossia Venere; in Ermiusè Her-
mes ossia Mercurio, benché iu etrusco Mercurio dicasi Turms. In
Celius è Coelum, in Zosfer è forse Phosphorus.
Primi fra i popoli d'Italia, e innanzi che i Greci riempissero il
mondo del nome loro erano gli Etrusci saliti in grande rinomanza per
imprese terrestri e marittime. Corseggiando in sul Tirreno , il Jonio
c l’Egeo si erano resi formidabili a tutte le nazioni abitanti attorno
al mediterraneo , ed aveano piantato colonie in Corsica ed in Sarde-
gna, che servivano di scali per il commercio con la Spagna e le coste
d’Africa, e si erano avventurati Qno alle isole Canarie. Guerreggian-
do per terra, dall'Etruria propria, fra l’Arno e il Tevere, estesero il
lor dominio nell’ Italia superiore (in dove giungono le campagne bo-
lognesi e ferraresi ed il Polesine , donde poi si distesero per l’ adia-
cente pianura fra l' Appennino e le Alpi fino al Ticino (I), cacciando
i Liguri die vi s' erano stanziati , e vi formarono la nuova Etruria
che riceveva l’ essere da dodici città collegate. Nel Lazio assoggetta-
rono il paese fra i monti e il mare occupato dai Volsci , giungendo
Uno alle sponde del Gurigliauo , oltrepassato il quale si inoltrarono
per le felici contrade della Campania fino al fiume Silaro. Condus-
sero anche quivi dodici colonie, e vi edificarono altrettante città , fra
le quali primeggiava Volturno , poi detto Capua. Si distesero altresì,
dalla parte dell'Adriatico, nel Piceno, dove si sono ritrovati bronzi
ed altre antichità veramente loscanìche. Inverso il mare di sotto pre-
sero al.iguri il golfo della Spezia ed il paese più propinquo alla Ma-
gra dove edificarono Luni , che indi a poco divenne col suo porto
l’emporio più grande della nazione.
E quanto nelle armi, altrettanto nelle scienze e nelle arti emer-
sero gli Etruschi valenti. Coltivarono soprattutto la medicina e l'a-
stronomia, ed istituirono l'anuo magno da Numa Pompilio introdotto
poscia fra i Romani (2>
(1) Di qui gli Etrusci occuparono le Re:ie, i cui nomi indicano origine
toscana. Ved. Tschudi, De prima et vera alpina Rhetia. Basilea, 1534, in
4°, e Quadrio, Dissertazioni critico-storiche sulla Rezia di qua dalle Alpi.
Presso Dos di Trento fu scoperta una iscrizione etrusco ; nella Baviera re-
nana, presso Rheinza lern si trovano molti frammenti di stoviglie con carat-
teri etruschi. La lingua, di Griiden, nel Tirolo , secondo Niebuhr, potrebbe
essere benissimo risguardata conte un resto della lingua tasca, attesa la ori-
ginalità delle sue radici. Ved. anche Cavedani, negli Annali dell’ Instituto
Archeol. 1842, e Giovannelli (conte Benedetto): De’ Rezi, dell’origine dei
popoli d’Italia, e d’una Iscrizione Rezio-Et rosea. Trento, 1844, in 8. —
Sulle antichità etrusche trovate in Sonnenberg e presso Matrai , nel ver-
sante settentrionale del Brennero, nel Tirolo, cons. il medesimo Giovannelli,
Le Antichità Itezio-Etrusche scoperte presso Matrai. Trento, 1845; Micali,
Monumenti inediti, p. 331 e seg. tav. LUI. — Ved. anche Mommsen, Die
Nordetruskischen Alphabete auf Inschriften uud Mttnzen, nelle Mittheilun-
gen der antiquarischcn Gesellschaft in Zilrich, VII. B. 8 lleft, 1855.
(2) Parag. nella Simbolica di Creuzer la dottrina etnisca dell'anno ma-
gno co’ cicli indiani , egiziani, etc.
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152
LIBRO SECONDO
« lln carallere proprio di questo popolo, e che merita essere con-
siderato in modo particolare , è la disposizione a rendersi familiari
con alcuni fenomeni naturali. La divinazione , di cui era incaricata
la casta sacerdotale scelta fra i cavalieri , porgeva occasione di stu-
diare giornalmente le variazioni meteorologiche dell' atmosfera. Gli
osservatori de' lampi ( fulguratores ) si studiavano conoscerne la dire-
zione, non che i mezzi di attirarli o deviarli ; distinguevano accura
tamente i lampi che partivano dall’alta region delle nubi , da que’cb
Saturno, divinità della terra, lanciava di basso in alto , e che si chia
mavano lampi terrestri di Saturno , differenza che la fisica moderna
non ha giudicata indegna di un' attenzione particolare. In grazia di
tali osservazioni si aveano ragguagli officiali e giornalieri sulle tem-
peste atmosferiche. L’arte esercitala ancora dagli Etrusci di far ca-
dere la pioggia (aquaelicium), o di far pullulare sorgenti nascoste, sup-
poneva negli Aquilegi uno studio profondo di tutti gli indizi naturali
che servono a riconoscere la stratificazione dei terreni, e le inegua-
glianze del suolo » (1).
Coltivarono la musica e i ludi scenici , e scrissero opere letterarie
che si leggevano ancora al tempo di Varrone in Roma , e che ora
sono perdute per sempre.
Nell’arte delle costruzioni tanta eccellenza raggiunsero, che ancora
si ammira nelle opere che tuttavia ne rimangono, nelle mura di molle
città toscaniebe, nella cloaca massima di Roma , nelle necropoli di
Tarquinia, di Vulci, di Yeji, di Castel d’Asso e di Norchia nel Vi-
terbese ;2), nell'anfiteatro di Sutri, ed in molti altri edilìzi di cui so-
no in piedi tuttora gli avanzi, o di cui ci hanuo conservato memoria
i più diligenti scrittori (3).
Quanto fossero operosi nella scultura lo attestano le statue e bas-
sirilievi scoperti , e che tratto tratto si van disseppellendo nell'Elru-
ria. Nella sola Bolsena i Romani predarono 2000 statue (di cotto?);
e le opere del Cori (4), del Lanzi (5), del Winkelmaun (6), del Mi-
cali (7), dell’lngbirami (8), del Campana (9j e d'altri infiniti possono
(1) Humboldt, Cosmos, 11. 162, 163.
(2) Orioli, De’ sepolcrali edilìzi dell’Etruria Media, e in generale del-
l’Architettura toscanica. Poligrafia ftesolana, 1826.
(3) Ved. Plinio ( H. N. XXX VI. 13) sulla regai tomba di Porsena fatta
a somiglianza del labirinto di Creta.
(4) Museo Etrusco, 1737.
(5) Descrizione della Galleria di Firenze — Dissertazione sulla scultura
. degli antichi e vari suoi stili , con note dell’Inghirami.
(61 Storia della scultura, Lib. III.
(7) Storia degli antichi popoli italiani, t. IV e Monumenti inediti.
(8) Opp. cit. e Pitture ili vasi fittili per servire di studio alla Mitologia
ed alla Storia degli antichi popoli. Firenze, 1833-37, 4 voi. i» 4.
(9) Antiche opere in plastica discoperte c dichiarate. Roma, 1842, fol.
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RAZZA ARIANA-F AMIGLI A PELASGICA. 153
far fede di quanto gli Elrusci avessero fatto in materia di plastica,
di scultura e de' getti in bronzo (1).
Plinio che schierate innanzi a sé scorgeva in Roma le maraviglie
del greco pennello, non cessava di ammirare le dipinture colorate
di Ardea , di Cere e di Lanuvio ; e noi che abbiamo anch’oggi sotto
i nostri occhi pitture etrusche negli ipogei di Tarquinia , di Chiusi,
di Veji , di Cerveterì, non possiamo non lodarne la grazia dell’in-
venzione, la finitezza del disegno, e la giusta disposizion de' colori,
anche quando le figure sono monocrome. « Quivi si ravvisano con-
viti funebri , bighe o quadrighe , ludi ginnastici , zuffe di gladiatori,
buoni e mali geni, figure danzanti e suonanti, animali mostruosi ed
altre finzioni simboliche.... Lo stile generale di queste pitture è piut-
tosto semplice , che manierato , tra il far de’ moderni e il prisco: gli
animali, e massime i cavalli, vi sono ritratti più svelti e ben formati,
che non le figure umane : le facce di per tutto vi son prese in profi-
lo : nel colorito per lo più capriccioso a talento del colorista , si cer-
cava un certo effetto d'armonia più che verità e bellezza ; però nel to-
tale vi si trovano motivi e mosse che additano opere migliori (2) ».
Un'arte nella quale gli Etruschi si acquistarono una fama non pe-
ritura era quella di formare dalla fragile argilla bellissimi vasi isto-
riali e dipinti , che a migliaia sono usciti dagli scavi fatti in Elruria,
e che meglio del marmo e del bronzo , conservano intatti i segni ad
essi affidati. Trovandosi ancora nella Magua Grecia, nell'internu del—
l’ Apulia e della Lucania, nella Campania , nel Lazio , in Sicilia , non
meno che in Atene e Corinto, a Megara io Aulide , nelle Isole della
Grecia , e perfino in Crimea ed altre colonie greche deH’Eussìno e
della Cirenaica, ed alcuni vasi della stessa Etruria portando greche
iscrizioni, molti eruditi sostengono, che fossero opera di artisti greci,
dalla Grecia o dalla Italia Greca tramutatisi nella Toscana, come nel se-
condo secolo di Roma fu appunto di Demarato da Corinto. Ma noi che
abbiamo in mente di non entrare in quest' opera in discussioni
le quali ci trarrebbero lungi dal nostro obbielto, facciamo notare sola-
mente, che i vasi che trovansi fuori l’Elruria appartengono realmente
ad antichi Greci od Italioti ; ma che di quelli che si sono scoperti nelle
necropoli etrusche, alcuni sono opera veramente rasenica, senza me-
(1) Ved. Musaci ctrusci quod Gregorins XVI. in aedibus vaticanis con-
stituit Monumenta. Roma, 4842. Per tuttocciò che riguarda l' Etruria ti
consulti pure i eccellente opera del Dcnnis ch’io non conosco nell’originale
inglese, ma soltanto nella traduzione tedesca del Meittner « Die Stàdte
und Begràbnissplàtze Etruriens. Leipzig, 4852, voi. 2 in 8. con tav. ».
(2) Micali, op. cit. II, 244-246 — Vedi ancora la lettera del Cardinal
Garampi al Tiraboschi « Sulle pitture di Tarquinia », non che, nei « Mo-
numenti dell'Istituto Archeologico» le tavole pubblicatevi dal Gehrard, Orioli,
Welker, de Witte, Leptius, eie.; e descritte negli Annali di gueUa dotta As-
sociazione letteraria.
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1 54
LIBRO SECONDO
scolanza di grecismo, (1) e sono i vasi caoopici.e quelli che nelle loro
dipinture raffigurano mostri con due o quattro ali, combattimenti fra
i buoni e mali spiriti , altre simboliche rappresentanze della dot-
trina elrusca dell'Èrebo, e il gran Dio delle anime Tinta o Giove, ora
sotto la flgura gorgonica , con la lingua tirata fuori, orrida in vi-
sta , quanto spaventevole , ora in forma di benefico genio custo-
de e proteggitore delle anime. Questi miti e simboli che ritraggono
molto delle dottrine orientali, e soprattutto del dualismo persiano di
Ormuz ed Arimene, o dell’egizio di Osiride e Tifone, appartengono
evidentemente alla più antica epoca etnisca , quando le dottrine dei
l’elasgi asiatici dominavano nell’etnisca mitologia, e i vasi che li rap-
presentano o sono, o pare che sieno anteriori a tutti quelli di Grecia
e delle sue colonie. Gli altri vasi poi, i quali iiortano dipinti e Numi e
favole elleniche , attcstano certamente le riforme che nella religione
dell’Elruria avevano i Greci introdotte ; e però sono contemporanei,
o posteriori a’ vasi fittili lavorali da’ figuristi greci ed italioti , e pos-
sono essere opera , cosi di artefici toscani ( come è piu probabile ) ,
come di quelli della rimanente Italia e della Grecia.
Noi non sapremmo affermare quale veramente fosse stata la reli-
gione professala dagli Etrusci, perciocché, ne’ primi tempi, vi trovia-
mo tanto innesto di credenze orientali , e nei posteriori tanta greca
mitologia , che difficilmente può sceverarsi quel ch'era proprio dei
Toschi da ciò ch’eravi stato introdotto d’altronde; ma, a giudicarne
dal fioco che gli scrittori ci hanno tramandato , e che i monumenti
dell'Etruria ci hanno conservato, i Risoni professavano il sistema
emanativo ili un solo ed unico principio, il Demiurgo, dal quale, co-
me prima emanazione, nacque Tmia, il Genio ilei bene, che in Mantu
avea l’opposizione del Gemo del male. Dodici Dei Consenti forma-
vano il supremo consiglio ile’ numi, Dei che indi si nominarono con
appellazioni della greca mitologia. Una triade forinavasi da Cerere ,
l’ale e la Fortuna, e due nature di spiriti si contrastavano perenne-
mente il volere e l’anima dell’ uomo (2).
Ma che rimase maid’uua civiltà si originale e fiorente? Tutte le me-
morie toscane perirono nella guerra de’ Alarsi, poi io quella di Siila
che distrussero gli uomini generosi, e i mouuiuenti massime scritti.
La nazione etrusca periva allora colle scienze e la letteratura sue : i
magnanimi furono colpiti dalla proscrizione del Dittatore : dappoi i
poeti diedero vanto ad Augusto d’aver rovesciato gli altari dell’Elru-
ria ; nelle città si piantarono colonie romane ; i proprietari divenne-
ro filiamoli , la lingua Ialina e le glorie latine offuscarono la liogua e
la glorie elrusche. I Greci non ne parlarono piu che come di corsali
e scapestrati; i Romani come d’aruspici e d’artisti; e fra gli stessi Etru-
(1) Campanari , Intorno i rati fittili dipinti rinren. nei tepolcri dell' E-
truria compr. nella Diz. Ponlif. Disserta z. premiata dall’ Accad. Romana
d’ Archeologia.
(2) Muller, Die Etrusker, cap. 4. 5. 6 — Gehrard, Ueber die Gottheiten
der Etrusker, Abhandl. zu Berlin, 1843.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PKLASGICA. 155
sci la dominazione altrui soffocò ogni loro memoria , null'altro la-
sciando che il desiderio di diventare del tutto Romani (1 .
§ 2. Italiani.
Le prische italiche popolazioni vivi-ano indipendenti l'un» dall'altra
quasi tutte governate con formedi liberi civili reggimenti, e Roma ebbe
a soslenerecon esse dure e sanguinose guerre innanzi di acquistare il
dominio sopra tutte le genti della Penisola. Noi manchiamo di memorie
dalle quali apparisca lo stato di civiltà degli antichissimi popoli italiani,
e scarsi monumenti ci avanzano, che ci conservino le sembianze di quei
nostri vetustissimi progenitori. Se non chealcuni bassirii it- v i volsci tro-
vati presso Velletri nel 1774 e pubblicati dal Becchetti e Cartoni (2;, ed
altri esistenti nel R. Museo Borbonico napoletano, ed alcune medaglie
osche e iapigio-messapiche, ed una statua in terra cotta (3) e qualche
rara corniola trovate nel Sannio, sopperiscono iu parte a tanto difetto,
c ci offrono fisonomie che hanno tutti i caratteri di somiglianza con
quelle conservate negli innumerevoli monumenti romani di tutte le
epoche e col volto degli odierni abitatori della vasta Penisola ; nei
quali ovale è la forma del cranio, l'osso froutale moderatamente ele-
vato, ma assai largo e più o men prominente , gli archi zigomatici
dolcemente inclinati, l’angolo facciale fra i 75 e 85 gradi: gli occhi
grandetti, la bocca proporzionatamente larga con labbra ben forma-
te, il naso profilato in molti, in altri alquanto carnoso nella punta;
folte le sopracciglia, i capelli e la barba; la statura nè bassa, nè mol-
to elevata, bene sviluppate le altre parti del corpo, ed i membri su-
periori ed inferiori in giusta proporzione ed armonia con la statura
e la robustezza degli individui.
Il colore della pelle generalmente volge al brunetto, e s’infosca
insensibilmente da’ nativi dell’Italia superiore e degli Appennini
agli incoli della costiera inferiore tirrenica, delle Calabrie e dell’isola
Trinacria, della Sardegna e della Corsica. Pari al colore della pelle
è quello de' peli e de’ capelli, che in tutti sono morbidi e distesi , ma
rari sono i biondi, comuni i castagni ed i neri, soprattutto nelle Cala-
brie ed in Sicilia.
Iu tanta varietà di climi , quanta ne offre l’Italia dalle Alpi al capo
(1) Cantù, Storia Universale, Lib. Ili — Ecco in che lugubri accenti è
cantata questa speranza da Virgilio , dopo essere stata distrutta la sua par-
tria , eh’ era la colonia più bella dell’ Etruria :
Aspice convexo nutantein pondere mundum
Terrasque, tractusque rnaris, coelumque profundum :
Aspice , venturo laetentur ut omnia saeclo.
Eglog. IV. 5 0-52
(2) Bassirilievi Volsci. Roma, 1785, fol.
(3) La Pallade di argilla trovata presso Rocc’ Aspromonte nel 1777, ed
ora conservata nel 1. R. Museo di antichità in Vienna.
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LIBRO SECONDO
Pachino, varia è l’indole de'suoi abitatori. Gli scrittori latini davano
vanto di virtuosi, prodi e marziali a’Sabini(l) e Sabetli (2), di lavora-
tori e doviziosi a’Rutuli ed Aurunci (3), di semplici ed operosi ai
Volsci (4), di fortissimi e ricchissimi a’ danniti (6). Feroci chiamaro-
no gli Èqui ed Equicoli (6) , forti e rozzi i Marsì , e incantatori , e
sperti nella virtù delle erbe (7j; incolti e dati alla vita pastorale i Lo-
fi) Modettut eius vultus sermoque constane, habere quid a Curibus vide-
batur — Cic. ad fam. ep. 20 — Fortissimo s viros, Sabino s flores Italia e ac
robur Reipubblicae; id. prò Ligario — Sabini gente s ea tempestate secundum
Etrusco s opulentissima e viris armisque. Liv. I. 30 — Virgil. Georg. II. in
fine.
(2) ... rusticorum mascuta militimi
Proles, Sabellis docta ligonibus
Versare glcbas, et severae
Matris ad arbitrium recisos
Portare fustes
Hor. Od. Lib. III. od. 6.
(3) Aurunci Rutulique serunt, et vomere duros
Exercent colles atque horum asperrima pascunt.
Virg. jEneid. XI. 318 — VII. 79S.
(4) Tota denique nostra illa aspera et montuosa et fidelis et simplex, et
fautrix «uorum regio. Cic. prò Gn. Plancio. 9.
(5) Regio gentium vel fortissimarum Italiae. Plin. III. 12 — Caput hoc
(Bovianum) erat Peutrorum Samnitium longe ditissimum, atque splendi-
dissimum armis virisque. Liv. IX. 31.
(6) jEquorum magnam gentem etferocem — Cic. de Rep. II. 10
Horrida praecipue cui gens, assuetaque multo
Venatu nemorum , duri» Acquicola glcbis
Armati terram exercent, semperque recentes
Convectare juvat praedas, et vivere rapto.
Virg. Aineid. VII. 746 e seg.
(7) Fortissimorum virorum Marsorum et Pelignorum— Cic. in vat. 15.
Genus acre virum. — Virg. Georg. II. 167.
.... et qui dissiraulat metum
Marsae cohortis Dacus.
Hor. Od. II. 20.
fortissimus Umbro
Vipereo generi et graviter spirantibus hydris
Spargere qui somnos cantuquc manuque solebat,
Mulcebatque iras , et morsus arte levabat.
Virgil. iEneid. VII. 752 e seg.
E Silio Italico.
Hae bellare acies nòrant; at Marsica pubes
Et bellare manu, et chelydris cantare soporem,
Vipereumque herbis hebetare , et carmine dentis.
Vili. 494-496.
Plinio credeva iMarsi aver imparato da Circe l’arte incantatrice, ed Agel-
lo diceva di essi (Cap. II. lib. 16 ) Fi quadam genitali datum, ut serpe n-
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA. 157
cani (1) i Brnzi (2) ed i Pugliesi (3); assueto al male e fraudolento il
Ligure (4), educatori di buone mandrie e di puledri il Veneto, l’Eu-
ganeo ed il Messapo (5) , mentre del gentile etrusco si lodavano la
sapienza e la civiltà, nella quale si gloriavano potersi iniziare i gio-
vani romani (6), e non men della civiltà l’opulenza e la fortezza (7).
« Ed oggi (lo dirò col Micali) nelle pianure uniformi dell’Italia supe-
riore e della Puglia tu trovi maggiore uguaglianza di carattere e di co-
stume: in Toscana l’indole grave dell’antica famiglia etnisca: la rozza
Sabina, l’ inculto Sannio nel centrale Appennino, il Ligure povero e
misero come i suoi antenati , perchè il suolo ingrato può appena so-
stentarlo. Le forme stesse di queste razze appaiono molto diverse :
gli occhi espressivi , i lineamenti Aeri e fortemente pronunziati del
Calabrese o del Sannite montanaro, non sono quelli dell’Etrusco ci-
vile, nè del Campano molle; e iu tutto, se bene avvisiamo, si conosce
lo stesso potentissimo influsso si della natura fisica, come del gover-
no civile a (8).
Come Roma aggiungesse al suo imperio tutte le italiche popolazio-
ni, riunendole in una sola e grande nazione, come con le armi vit-
toriose dilatasse i suoi confini dall’estremo lembo occidentale dell’Euro-
pa fino all’Eufrate, dalla Brettagna e da una parte della Caledonia fino
alla Getulia , ed a quel limite ove cominciano i deserti della Libia ,
tium viride ntarum domitores tini, et incantationibu» , herbarumque lucci*
furiant maedelarum miracula.
(1) Lucana pascua — Hor. Epod. 28.
Omnia Lucanae donent pecuaria sylvae.
Calpurn. Eglog. ultima, e. 17.
(2) Nobile!, pecuariae in Brutti s habentur — Varrò de R. R. II. 1.
(3) Plinio H. N. Vili. 48 — Impiger Appului , Hor. Od. 1. 31. — Co-
lumella, VII. 2.
(4) Ligures, durum in armis genus. Lie. XXVIII. 48. XXXIX. 1.
— Assuetumque malo Ligurem.
Virg. Georg. II. 168.
Vane Ligur, frustraque animis elate superbis,
Nequicquam patrias tentasti lubricus artes:
Nec fraus te incolumen fallaci perferet Auno.
ld. jEneid. XI. 715. e teg.
(5) Euganea quantumvis mollior agna. Iuv. Satyr. Vili. 15 Euripide,
Ippol. 230-1132 — Strab. V — Plinio XXX. 4. — Mestaput equum domi -
tor. — Virg. Aìneid. VII. 691.
(6) Etrueci campi . . . frumenti ac pecoris et omnium copia rerum opu-
lenti. Liv. XXII. 3 — Etrutcos . . . gentem Italiae opulentiuimam armit,
viri*, pecunia ette. ld. X. 16.
(7) Habeo auctoret, vulgo tum romano t pu eroi, ticut nunc graecit «tru-
sci* Uteri* erudiri solito!. Liv. IX. 36.
(8) Op. cit. II. 202. 203.
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LIBRO SECONDO
abbracciando una superficie di più di 100,000 miglia quadrate (1), è
nobile argomento di storia, alla quale tocca pure di narrare l'eroismo
cittadino , il valor militare e le virtù civili cbe illustrarono il popolo
latino. Alla storia parimenti si appartiene di raccontare, siccome affie-
volita la grandezza del romano carattere , si estinse altresì a poco a
poco e il vivo amor del suolo natio in petto a’cittadini, e quello spirito
unificatore che animava cosi vasta e colossale mole ; e come i barbari
irrompessero nell’ampia cerchia de’confini dell'Impero, e l’Italia fosse
mela delle incursioni de’ Vandali , Eruli, Ostrogoti, Franchi, Longo-
bardi, Normanni, Svevi, Saraceni, che se ne contrastarono, con guer-
re sanguinose, il dominio; come lo spirito antico di Roma, rivivendo
in molte città italiche, le sollevasse ad una vita libera, e come dalla
riunione de' molti stati in che si vide spartita la Penisola al dissolversi
del Mondo Romano, sorgessero le odierne divisioni politiche dell’Italia.
Tutte queste cose racconta la Storia; ma noi limitali alla descrizione
fisica de' singoli popoli della terra, non possiamo estenderci aldi fuo-
ri de’ coufini assegnali al nostro argomento. Aggiungeremo soltanto,
che in Italia, prima e dopo la fondazione di Roma, si veneravanoNu-
mi locali e protettori : non eravi luco o fonte cbe non fosse tenuto
per sacro, e in custodia di qualche benefica intelligenza. Ogni città,
ogni borgata aveva i suoi Penali , e le stesse case erano custodite da
buoni spiriti, da’ Lari, ossieno le anime de'famigliari trapassati. Pro-
teggitore di Narni era Viridiano, e di Otricoli nell' Umbria Valenzia ,
di Cassino Delvenzio, e Morica di Minturno ne’Volsci.La Dea Pelina
ne’Frentaoi, Angizia ne’Marsi, Volturno iddio ricordano ancora altri
Numi topici, oltre le Deità infinite di questo e di quel popolo , e delle
quali nel solo bronzo di Agnone si contano fino a venti venerate in
quella parte del Sannio.
Chi poi consideri più addentro la religione de'Romani , vi vedrà le
prische credenze de’Sabelli e degli altri popoli italici innestate con
le dottrine religiose degli Etrusci e de’ Greci, la cui mitologia fu per
intero trasportata nel panteon latino. Numa , sabino, iniziato ne' mi-
steri de' sacerdoti etrusci, introdusse in Roma riti e credenze dell’ E—
truria , e soprattutto l’aruspicina nella quale erano addottrinati i Lu-
cumoni. Il Lazio non abbandonò il suo feroce culto antico diGioveLa-
ziare, di Fauno, Silvano, Pale, dea della Pastorizia, ed Anna Perenne,
madre della fecondità: i Sabiui vi recarono il mito di Sabo, tramutato
poscia in Giove, il culto di Vacuna, che indi divenne la Vittoria, di
Summano o Soraoo , Dio padre onorato al pari di Giove e Signore
delle regioni infere, e di Februa ministro della morte, convertito
dappoi nella Dea Febbre, alla quale era dicalo anche un tempio, Sa-
turno, Giano, Bacco e Marte erano Iddìi venerali da tutti i prischi
(1) Quella è la valutazione fatta dal Berghaust, fecondo la circoscrizione
dell’ imperio adottata dall' Heeren: està è circa un quarto dippiù della mi-
sura proposta come incertissima dal Gibbon iHist. de la chòte de l’empire
romain, 1. 1. c. 1. p. 86, dell’edizione del Guizot ).
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASGICA. 159
italiani , come dai Greci , ed annunziavano la origine comune della
religione de’ due popoli. Saturno però non era, presso i Latini , il
solo padre della natura feconda: esso edOpi sua moglie e sorella rap-
presentavano i due principi generanti, ed anche un dualismo di oppo-
sizione, cioè il Cielo e la Terra.
Dilatandosi il commercio degli Italiani con popoli stranieri, Numi
stranieri all’Italia vi ebbero il loro culto speciale, e ad Iside s’innal-
zarono templi a Roma , e Pompei; e Giove Serapide riscuoteva in
Pozzuoli gli stessi onori che gli si tributavano a Mentì ed a Canopo.
Sanguinosi riti si trassero ancora da’Barhari della Tauride.e nel bosco
dell’ Ariccia , poche miglia lontano dal Tevere, umani sacrifìci era-
no offerti alla taurica Diana (1).
Ma una nuova religione, religione di amore e di carità, rovescian-
do gli idoli di Grecia e di Roma, piantò la croce su gli altari profa-
nati da osceni e da crudeli sacrifici , e fece penetrare il sentimento
dell'umana dignità ne’ costumi e nelle istituzioni de’ popoli. E poiché
l'antico incivilimento era stato spento da' Barbari e dalla corruzione
insinuatasi in tutte le classi della società, il cristianesimo sfolgorante
di luce della sua origine divina, chiamò Roma ed il mondo a novella
civiltà. Roma, fatta centro del nuovo culto, vinse a sua volta i Bar-
bari, non più con le armi , ma col vangelo, e sotto l’ influsso della
divina parola recò presso di essi l’intelletto e le arti d’Italia e di
Grecia, e l’idea vivace del bello, ed il tempio cristiano, in cui la re-
ligione avea ammesso tutte quelle nobili arti santificandole, si che
l'antico tempio di Tanfana videsi trasformato in isplendide cattedrali,
e le antiche selve in ricche e popolose città.
I Barbari venuti in Italia v’ importarono eziandio molte voci , ed
aiutarono lo scadimento del latino , il quale si andò a mano a mano
alterando finché surse da esso il nuovo eloquio oggidì parlalo nel-
la Penisola. Da una parte il latino già corrotto pe’l traforarvi delle
forme popolari proprie de’ vari dialetti provinciali (rimasugli delle an-
tichissime favelle rimasti sempre vivi fra il popolo) cessò di conser-
vare la sua purezza ; dall’altra i Barbari , adoperando il sermone del
paese, lo pronunziavano assai male, e l’imbastardivano ognor più coi
loro vocaboli. Allora s’ introdussero, o si resero generali gli articoli ;
alle desinenze variate delle declinazioni si sostituirono le preposi-
zioni ; a quelle delle coniugazioni i verbi ausiliari, e tale veramente
fu il sovvertirsi della lingua , che il latino si trovò trasformato in un
un idioma affatto nuovo , il quale si disse romano rustico , per indi-
carne la origine dagli alloqui del volgo , e dal parlar comune della
gente rusticana (2). Nobilitata questa nuova lingua nella corte di Fe-
(1) Lucidi, Storia dell’ Ariccia; Roma, 1796, in 4.
(2) Gli elementi per la trasformazione del latino in italiano esistevano in
quella lingua, ma la conquista germanica vi diede l’impulso e l’accelerò.
L’origine adunque del nostro alloquio è tutta propria , indigena: la lingua
de’ Barbari altro non fece se non facilitare quella corruzione del parlare,
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LIBRO SECONDO
derico 11. in Sicilia bentosto si elevò a tale altezza da poter essere
adoperata nel sublime poema deli'Alighieri ; nella lirica delicata del
Petrarca, e nella nobile prosa del Certaldese.
Mi si conceda ora di chiudere questo articolo con la descrizione
dell’indole intellettuale e morale degli odierni Italiani, nella quale
descrizione, io userò le medesime parole di un illustre scrittore con*
temporaneo.
« L’Italia ( egli dice) è posta sotto i gradi più caldi delle zone tem-
perate. Conseguentemente meno bisogni che in altro clima non cosi
favorito dalla natura, e maggiore facilità di provvedere a quelli che
sono inerenti alla umana condizione. Basta in Italia la metà d'un la-
voro, e di un lavoro assai meno sudato e rincrescevole che non in
Germania ad ottenere dal suolo il medesimo risultamento. Ciò libera
l’Italiano da molte cure moleste , e lo conduce di leggieri a pensare
ch'egli possa essere destinato ad assai meglio, che a consumare la vi-
ta in uoa lotta corporale distruggitrice delle forze dello spirito. Ma
quand’anche questo pensiero lo conduca per gradi, come pur spesso
avviene , ad abbandonare adatto il lavoro, e a darsi all’ ozio del gio-
care e del bere , e detl’andar vagabondo, pur nonostante è tale la sua
natura, che egli non cade mai in quello stato d’abbrutimento nel
quale l’eccesso della fatica puramente materiale conduce il basso po-
polo ne’ climi del settentrione. L'Italiano ha più tempo per riflettere
e per istruirsi ; quindi più presto si forma e si produce nel mondo.
In ciò pure è mirabilmente aiutato dalla natura della sua lingua , la
cui semplicità e precisione mette presto il fanciullo in possesso di
questo prezioso meccanismo , mentre il Tedesco ha generalmente a
lottare per tutta la vita contro le difficoltà della sua , e ben di rado
giunge ad esprimersi colla chiarezza e spontaneità che è propria d’ogni
Italiano non guasto da una viziosa educazione straniera.
« E seguitando oe’termini della incominciata comparazione fra l’I-
talia e la Germania , ci sembra di poter affermare, che un’altra graa
differenza s’incontri fra i due paesi, differenza che in termini più ge-
nerali potrebbe dirsi passare fra il mezzogiorno ed il settentrione di
Europa. E questa è che l’Italiano , individualmente cousiderato , si
preseuta in un aspetto più semplice, più bello , piu imponente ; lad-
dove come membro del corpo politico cede nel paragone almeno al-
trettanto quanto sovrasta per la condizione anzidetta. Nel settentrio-
s’ incontrano a migliaia individui moralmente parlando pallidi e sco-
loriti, spogli d’ogni qualità necessaria per acquistarsi una personale
considerazione; ma tiene precisamente a questa, direi quasi, mutila-
zione dello spirito, l’attitudine loro a formare un tutto omogeneo, e
bene e fortemente ordinato.
« Questa importanza individuale dell’Italiano ci conduce ad un
che prevalendo generalmente sull’uso delle forme accurate degli scrittori e
delle società forbite, diede estere e vita al nuovo sermone che sostituì in tutto
la lingua latina.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PEf.ASGICA. 161
rilievo di molto peso , che , cioè , a conoscere ed apprezzare al loro
giusto valore le più nobili qualità di questo popolo essenzialmente
impressionabile e passionato, è d'uopo studiarlo non nella vita fami-
liare, dalla cui intimità lo distoglie l’istinto avventuroso che lo stra-
scina; non nella vita politica, siccome sopra abbiam detto, ma là so-
lamente dove l’intelligenza dell' uomo individuo può svilupparsi in
tutta la sua pienezza, nei campi dell’arte.
' « Quegli che si proponga di conoscere nella storia di una nazione
straniera altra cosa che uno sterile elenco di nomi e di date , deve
innanzi tratto imprimersi bene nella mente, che taluni interessi capi-
tali nella sua patria ponno non esser pure avvertiti , non che tenuti
in considerazione presso di quella : e dove egli voglia formarsi un
giusto criterio della nazione da lui presa di mira, gli bisogna diligen-
temente rintracciare e seguire nelle loro applicazioni sentimenti e bi-
sogni diversi afTatto da quelli del paese al quale appartiene. Per ap-
prezzare degnamente l’Italia é necessario il senso delle arti rappre-
sentative e dell’eloquenza; è necessaria una sentita ammirazione della
potenza artistica che ha prodotte tante opere eterne , per elevarsi al
giusto criterio delle proprie facoltà dell’ Italiano , sublimi anche al-
lorquando meno felicemente si esperimentavano in un arringo di-
verso.
« L’arte è oggi considerata da molti nella vita civile de’ popoli
quasi un oggetto accessorio, un ornamento di lusso ; ciò prova sol-
tanto che l’epoca nostra manca generalmente di questa nobile facoltà,
alla quale , e specialmente per opera dei grandi artisti italiani, l’iuci-
vilimento dei popoli moderni va debitore di assai maggiori progressi
che dal più degli uomini non si consideri.
« Quanto all'Italia , tutta la storia sua, ed ogni passo che l’uomo
imprima sopra questo celebre suolo, ci avvertono, che se, per alcuni
rispetti, ella ha obbedito alle circostanze tisiche del paese , ovvero
che se in ciò la natura ha vinto l’ uomo , nell’ arte per lo contrario
l’uomo ha trionfato della natura , ed ivi, concorrente ogni parte del
bel paese, ha creato i più splendidi monumenti della morale grandezza.
« Per conseguir questo effetto , non bastava che fra il popolo ita-
liano sorgessero, e fossero pur molti, sublimi artisti: bisognava ezian-
dio che ciascuno individuo di questo popolo fosse dotato di una emi-
nente facoltà di gustare, di apprezzare, e di godere del bello; avve-
gnaché l’artista non possa inspirarsi che dal favore della moltitudi-
ne. Ora la facoltà di afferrare l’idea nella forma , il sentimento del
bello , non è compatibile colla sudala ed incessante fatica, che ottun-
de i sensi di quelli che vi sono per forza di natura o d’altre circo-
stanze costretti; e appunto la condizione contraria abbiam veduto più
sopra essere la propria dell' Italiano. Quindi l’attitudine , il genio, il
culto degli Italiani per l’arte : l’arte si mostra in tutto e dappertutto
iu Italia, dalla stupenda architettura de’ palazzi e dei templi ai pitto-
reschi compartimenti delle campagne; dalla squisita eleganza delle
Nicouhci , Ra:;c umane — Voi. I. 1 1
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I.IBHO SECONDO
gran dame all', aggraziata acconciatura de’ villici. Tutto io Italia respi-
ra l’arte, tutto rivela una nazione eminentemente dotata del senti-
mento del bello e cieco alla luce dell'intelletto , e morto ai
palpiti del cuore è colui, il quale non sappia tributare all'Italia un
omaggio di riverenza e di ammirazione (1) ».
§ 5. Rumeni.
Traiano conquistando sopra Decebalo una parte della Dacia, vi po-
se molte colonie di Romani e d'altri popoli soggetti allo imperio, che
vi rimasero e si moltiplicarono. Adriano, abbandonando quel paese
dopo cento settanl’anni, in vilolii a ritirarsi al di qua del Danubio ,
ma pochi obbedirono alla volontà dell' imperatore, e gli altri rimasti
in maggior numero al di là di quel fiume , vi conservarono l' essere
di Romani , e la lingua del Lazio che si rese comune anche agli in-
digeni della Dacia e alle colonie non romane condottevi da Traiano:
i quali popoli introdussero nella lingua dominante vocaboli propri ,
die in qualche modo alterarono le forme del puro latino. Tale è l’i-
dioma che oggi ivi si favella, ma disformato ancor più dal contatto del-
le altre genti che v’immigrarono, Ungheri, Greci , Bulgari, Armeni,
Ebrei, Zingari (2).
Sono i Rumeni alti e vigorosi della personali nobili lineamenti, e
d’intelligente aspetto (3). Si dividono in Ardali, Montani e Moldavi: i
(1) Leo, Storia degli Stati italiani dalla caduta dell’Impero Romano fino
al 1840, trad. da Loeve ed Alberi. Firenze, 1840, t. 1. 17-19.
(2) Gli Ungheri ri giunsero nel IX. secolo dell'era cristiana; i Greci sol-
tanto nel X V. secolo; i Bulgari fin dal secolo VII., e successivamente in con-
seguenza delle guerre tra la Porla e la Russia, e massime di quella alla
quale fecero fine i trattati del 1820; gli Armeni ne’ secoli XI. XIV. XV.
X VII. Gli Ebrei vi si condussero dalla Spagna e dalla Polonia, i primi
fuggendo le persecuzioni di Ferdinando e Isabella la Cattolica, i secondi le
minacciose turbolenze che non restavano mai di rinnovarsi negli Stati po-
lacchi. Le fisonomie di quest’ ultimi ritraggono un po' del tartaro, onde Vail-
lanl con ardito supposto crede raffigurare in essi i discendenti di quegli Ava-
ri che nel IX. secolo convertironsi alla fede ebraica, e nel vero il nome di
Khagan, onde intitolansi i loro Rabbini, e il quale consuona appunto con
quello degli Acari, dà certamente ragione a quella ipotesi. Gli Zingari ge-
neralmente si crede che fossero giunti fra i Rumeni, per la prima volta sot-
to il regno d'Alessandro il Buonu ( 1401-1452) , benché Batailland asseveri
che già re ne fossero fin dalla metà del secolo XIV.
(3) l 'ha nondimanco una varietà notabile fra i Rumeni moldavi e quei
della Valachia. « I primi sono robusti, sobri, abituati alla fatica ed a sop-
portare l'injluenza de’ climi più opposti ; le loro altezze differiscono da quelle
del popolo caiacco. Il loro volto è meno aperto ; e l’abitudine che mantennero
di portare lunga la barba e i capelli, dà alla loro fisonomia un aspetto quasi
selvaggio, per modo che da lungi altri li crederebbe quelle schiette statue dei
Sermati primitivi che fregiano i musei, eroici vestigi de’ trofei dell’antica
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA PELASG1CA. 163
primi più conosciuti sotto il nome di Transilvani , i due ultimi sotto
quello di Valachi , come gli Slavi usavano di chiamare generalmente
tutti i Romani. Con questa appellazione , obliata dagli indigeni da
più di 600 anni, gli scrittori moderni ci hanno parlato de’ nativi della
Kumenia , i quali , respinsero gli Slavi fino alla Vistola , disfecero in
molli combattimenti Alessio Comneno ed Isacco l’Angelo, fecero tre-
mare i principi francesi sotto le mura di Costantinopoli, massacrarono
Baldovino conte di Fiandra, ricusarono a Balli, nipote di Gengiskan,
ed a’ suoi Tartari un passaggio verso l’ occidente, e non meno ferma
resistenza opposero contro gli assalti degli Ungheresi, de’ Polacchi,
de’ Russi e degli Ottomani. Quattro loro grandi uomini, Giovanni
Corvino , Stefano IV., Vlado V. e Michele IV. rifecero consecutiva-
mente e protessero la loro indipendenza , ma al principio del secolo
XVII. , dopo la morte di Michele , cominciò un’ agonia terribile che
durò fino al 1716, e gettò i Rumeni in una letargia secolare, durante
la quale si compirono , quasi a sua insaputa , i più inauditi attentali
sulle sue leggi fondamentali, i suoi diritti pubblici e civili, le sue per-
sone e le sue proprietà (1).
I Rumeni della Valachia e della Moldavia compongono la maggior
parte della popolazione di questi due stati tributari della Porta , ma
governati da principi propri, detti Ospodari: gli altri che sono in Bes-
sarabia obbediscono alla Russia, e quelli della Transilvania sono sud-
diti dell’Austria.
Vari sono i dialetti che favellansi presso i Rumeni. Il più puro è
quello che parlasi in Moldavia e Valachia, e chiamasi romaico o ca-
iacco; il valacco-ungherese è il dialetto degli Ardali di Transilvania e
de’ Rumeni della Bucovina ; il Macedo -caiacco è proprio de’ Rumeni
che sono sparsi per l’Ungheria.
Egli è certamente sorprendente di vedere come le radici della lin-
gua latina si sieno conservate fra i Rumeni, i quali, anche in mezzo
a popoli d’ altre stirpi che d’ ogni intorno li circondano , conservano
tuttora l'essenza del loro antico linguaggio romano.
« Numerose vi sono le parole latine miste a slave c apioelleniche,
tedesche, turche; formansi.i plurali , cambiando l’a in e, l’u in i;
molti finiscono in uri, come da jugujuguri, da noia noduri, da fuma
fumari, somiglianti a donora, pralora, campora che dissero i nostri vec-
chi ; usa l’articolo e lo derivò da ille, ma iuvecc di prefiggerlo il suf-
figge, dicendo parinte-le il parente, domn'ul, omn' l l'uomo , e pel
femminile a, ovvero oa se termina io e — Nostri sono i pronomi: eri,
tu, elea, densu ; noi, voi, ei; cosi noslru, vostru, loru, acest, acelu —
/Ionia sui Barbari. Presso i Valachi a rincontro voi trovate uno svolgi-
mento più ampio della statura e delle bellezze della razza umana ». l)emi-
doff, Viaggio nella Russia Meridionale e nella Crimea, etc. Torino, 1841,
p. 151.
(I) Vaillant. La Romanie, ou histoire, langue. litterature, orographie,
stalistiquc des peuples de la langue d’or. Paris, 1845, 5. voi. in 8.
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164
LIBRO SECONDO
I numerali sono identici ai nostri fino al cenlo, che dicesi sàia, come
nel sanscrito. I verbi han quattro desinenze nell' infinito, sincopale ,
come si fa nei dialetti dell'Alta Italia, in à, è, e muta, t, eson prece-
duti sempre dall’a, come gli inglesi da lo; p. es. a cantò, cantare.
Perdettero il futuro semplice, ma conservarono il trapassato (1) ».
Io trascrivo qui sotto alcune parole tratte alla rinfusa dal vocabo-
lario moldavo e dal confronto che ne istituisco col latino, può il lettore
scorgerne chiaramente la loro intima somiglianza ed affinità (2).
Moldavo.
Lalino.
rtogr. italiana )
Aeo
Aer.
Alb
Albus.
Ardscint
Argentum.
Aux
Aurum.
Bove
Bos ( abl. bove).
Cresch
Cresco.
Donane
Doininus.
Femaja
Foemina.
Fercrtra
Fenestra.
Pier
Ferrum.
Flore
Flos ( abl. fiore ).
Floresch
Floresco.
Formos
Formosus.
Jcrba
Herba.
Leo
Leo.
Lup
Lupus.
Nesch
Nasco.
Passere (3)
Passer. ( abl. passere ).
Porta
Porta.
Sclio
Scio.
Soridsce
So rei.
Tsciudad
Civitas.
Urs
Ursus.
Utscis
Occisus.
Vacca
Vacca.
Verdié
Viridis.
Vulpe
Vulpes.
Vulture
Vultur (abl. vulture).
(1) Cantò, Appendice 1* al 1° libro della Storia degli Italiani.
(2) Vtd. Alesi, Grammati Daco-Romana, sive Valachica. Vienna 1826 —
Blacewicz, Grammatica della Lingua Daco-Romanica, moldava o valacca.
Lemberg, 1844 (Co’ tipi moderni cirilliani ) — Vaillant, Vocabulaire Fran-
cais-Roumain , et Roumain-Francais. Boucoureshti , 1840 — Grammaire
Roumaine à l’usage des Francis, Jbid. 1840.
(3) Con la significazione di uccello in generale.
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RAZZA ARIANA-FAMIGLIA IBERICA.
165
CAPITOLO V.
FAMIGLIA IBERICA.
Una gran fa migri a di popoli del ceppo ariano dislendevasi, ne’tem-
pi antichi, per ta Spagna e l’Aquitania col nome d’Iberi, ed occupa-
va, con l’appellazione di Liguri, quanto è il paese dalle bocche del Ro-
dano a quelle del Tevere, prolungandosi per Pisolo -vicine del Tirre-
no , le Baleari , la Corsica , la Sardegna e la Sicilia , dove si dissero-
Morgeti e Sicanì, quivi giunti dalle sponde del Sicano in Ibcria scac-
ciativi da’Ligi (1). In Sardegna si chiamarono lliensi (Plinio) , o lo-
laeusi (Strabone); in Corsica Kyrnos secondo i Greci (2), sebbene tan-
to in Corsica, quanto nelle altre isole, e soprattutto in Sardegna , si
credessero commisti a’ Libi, oppure a’ Fenici (3). In Inghilterra, dell*
quale furono probabilmente anche i primi abitatori , vi perdettero ,.
dopo le invasioni de’ Celti assai più numerosi, e nomee lingua, e non
se ne riconosceva , a’ tempi di Tacito, l'origine, che pe'soli caratteri
della lor (isonomia , i quali a poco a poco disparvero , assorbiti dai
tipi dominanti celtico e teutonico, ovvero profondamente modificati
dalla influenza prolungata di quel clima.
È parere di alcuni etnografi , che gli Iberi fossero Semiti venuti-
d’ Africa in Europa, a traverso lo stretto gaditano , ma lo studio ac-
curato fatto sulla lor favella conforta invece l'opinione , ch’ei venis-
sero dalle stesse sedi onde mosse la gran migrazione ariana. Anche
in Roma era credenza comune, a' tempi di Varrone.che gli Iberi fos-
sero giunti dal Caucaso nella Spagna , alla quale avean dato il pro-
prio nome , e questa credenza poteva essere forse una ricordanza
dell’antica loro migrazione d’Oriente verso Occidente , dall’Asia al-
l’ estrema punta dell’ Europa occidentale.
A quale poi degli altri popoli europei si possano dire più affini ,
è quistione tuttora indecisa ; nè io li credo Celti , come dice il
Maunert (4), nè Gotoni, come pensa l’Arnt (5), nè Finni dell'Euro-
pa nordica, secondo la sentenza del Rask (7), e molto meno slavi (6);
perciocché l’ idioma iberico, del quale ha discusso cosi dottamente Gv
de Humboldt (8), e più recentemente ancora il Baudrimont (9), non
( I ) Tucidide, Lib. VI. VII. — Diod. Bibl. — Strab. III.
(2) Euttath. ad Dionys. Perieg. e. 458.
(3) Cicero prò Scauro, cap. 14. 18.
(4) Geographie der Griecher und Ròmer Leipzig, ISSO'.
(5) Ueber die Verwandschaft der Europaischen Sprachen, 1819.
(6) Ursprung der altnordiscben Sprachen, p. Hi, 146.
(7) De Gobineau, Sur l’inégalité des races humaines, t. IH. pi 77.
(8) Priifung etc. cit.
(9) Histoirc des Basques, ou Escualduuais primitif. Parie, 1354, in 8.
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166
LIBRO SECONDO
ha mostralo fino ad ora alcun rapporto valutabile né co’ moderni par-
lari di Europa , né con que’ della famiglia tigoriana (1), quantunque
sembri nondimanco di’ ei si colleglli e stringa co' sermoni indo-
europei delle età vetuste ; « dal che , dice G. de Humboldt nella
conclusione delle sue Ricerche sulla lingua iberica, noi possiamo trarre
conferma di quell'opinione dedotta anche da altre ragioni, che i pri-
schi Ibcri appartengono al più antico ceppo delle nazioni europee....
e che il parlar loro può allogarsi nella stessa linea de’ linguaggi antcl-
lenici ».
Vissero gli Iberi indcpendenti nella loro Penisola inOno a che i
Celti, invadendo la Spagna, non ispensero la loro autonomia. Gli in-
sofferenti di straniera soggezione, ricoverando sui Pirenei e nelle co-
stiere meridionali, con la propria libertà, conservarono la purezza del
loro idioma. Gli abitatori dell’ interno, della Lusitani» e delle coste set-
tentrionali piegarono il collo sotto il giogo del vincitore, e la propria
lingua mescolarono a quelle de’Celti, e dominati e dominanti compo-
sero un popolo che si disse de’Celtiberi. Né guari andò , che anche
gli iberi del mezzogiorno fossero scacciali dalie proprie sedi da 'Feni-
ci che su quelle coste posero colonie , delle quali Strattone conta du-
gcnto nel paese che or chiamasi Andalusia, e nei due iati dello stretto
dalle foci dell’Anas ( Guadalquivir) e del lieti , fino ai moderni regni
di Granata e di Murcia.
I Liguri furono scacciati dalle contrade presso le bocche del Rodano
da’ Focesi che vi fondarono Massilia, ma si mantennero in Italia più
lungamente independcnti, e costò multo a’ Romani assoggettarli alla
loro dominazione.
Conquistata da’ Latini la Spagna, gli Iberi primitivi, sempreppiù ri-
stretti di numero, per sottrarsi al dominio di Roma, rifugiarono nel-
le provincic della lìiscaglia e del Guipuzcoa, e nelle provincie basche
delle Gallie, dove si diedero il nome di Escaldun, plurale Escualdunac,
che i Romani cambiarono in quello di Vachi, Vaselli o Vasconi. Qui-
vi , non lasciando l’antico idioma , resistettero ancora alle invasioni
de’popoli teutonici, e nè Goti, né Franchi riuscirono mai ad aggre-
garli , in maniera permanente , agli imperi da essi fondati.
Erano gli iberi divisi in piccole tribù che per un eccesso di diffi-
denza non si legavano mai fra di loro. Tribù pacifiche erano quel-
le de’Turduli e de’Turdetani , e furono sempre respinte dal Rodano
verso l’occidente. Di essi diceva Strabone: « sono i più civilizzati de-
gli iberi , sono familiari con ia scrittura, ed hanno libri che risalgono
ad un'alta antichità. Posseggono ancora poesie e leggi scritte in ver-
si , die , a loro credenza, datano da sei mille anui (2) ». I Vaccei in
(I) Lniham , Varieties of Man. London , ISSI, p. 581-52.
('2 3o^v':*:oi S’éjsriJoytai -iv l^, r 'W otjroi, x«i /.*< r's
KxXait £i [jLVr.f irfi bxoooi r* f'Jyypx’pfAJira, xaf «rutiifijtra, xx I votovi bpnìtjooi *ì-X-
xioxiÀì&'y iti», fasi. Strab. Ut. p. 209, Ed. Casaub.
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RAZZA ARIANA— FAMIGI.IA IBERICA. 167
ogni anno dividevano le loro (erre, e ne mettevano in comune i-
frutti, indizio di ben antica società (1). Erano uomini onorati, e pre-
ferivano alla vita l'onore e la castità. (2). Le tribù montagnosi viveano
due terze parti dell’anno di pane e di ghiande : indossavano vesti
grossolane di lana nera , e le donne usavano ancora veli neri. Ve-
stivano le gambe di una calzatura di peli tessuti, quasi conte gli odier-
ni biscaglini che stringono le gambe con nastri di lana che manten-
gono stretto al piede una specie di sandalo detto abarca.
La religione degli Iberi in gran parte ditTeri va da quella dc’Celti.
Non, avevano istituti di druidi e di bardi; alcuni, dice Strohone, non
riconoscono ne’Galiziani fede di sorta negli Iddìi, e dicono che nelle
notti di piena luna i Celtiberi e i lor vicini di settentrione, danzino-
e facciano festa con le famiglie innanzi alle porte delle case loro , in
onore di un Dio senza nome (3). I Lusitani sagriflcavano un capro a-
Marte, e talora prigionieri e cavalli Molti autori, de’ quali G. de
Humboldt sembra seguire l'opinione, credono di vedere una mezza-
luna e stelle sulle monete dell’antica Spagna , ma Florez (5) osser-
va , che nelle sole medaglie della lielica il loro è sempre accompa-
gnato da una mezzaluna , la quale manca nelle medaglie delle altre
province.
I Turdctani, fin da tempi remotissimi , coltivarono la poesia , ed
erano comuni presso di loro i canti popolari che si conservarono in-
Galizia , anche quando eglino adottarono il linguaggio del Lazio (6).
Aspre e rozze pareano a Quintiliano quelle poesie (7) , ma Marziale
consigliava Lucio, poeta indigeno, a non disprezzarle (8). Un fram-
mento di esse venuto Qno a noi fu trovato dall’ Humboldt quaud’ei-
raccoglieva elementi per la sua opera sulla lingua de' primitivi popoli
della Spagna (9).
Le poche memorie che ci avanzano de’ Liguri, raccolte con la con-
fi) Diodoro, V. 54.
2) Strab. 111.
(3) Ibid.
(1) Strab. Ibid.
(5) Médallas de las colonias, municipios, y pueblos- antiquos de Espugna.
Madrid, 1757-1775 noi. 1.
(6) Silio Italico, 111.
(7) Latrare verius quatti loqui vidcatur— Plinio, III. 5.- — Strab. III.
(8) Lib. IV. 56.
(!),i Egli trovò sei stanze scoperte da lbargnen in un manoscritto a Si-
mancas, ed è un coro de’ Montanari del tempo di Augusto; una lamenta-
zione sulla sorte di Lelo, capo biscaglina, massacrato nel suo ritorno dalla
guerra dalla sua donna ch’erosi ligata con Zara. Si compongono queste
stanze, come la seguidilla moderna, di coppiette di quattro versi, i tre pri-
mi pentasillabici, il quarto più breve, e serve in qualche modo di estrevillo-
o ritornello. Vi si notano tracce di rima c di assonanza, ed i Baschi mo-
derni possono comprenderle ancora.
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1G8
Milito SliCONIKJ
suela diligenza dal Micali , noi qui Irascriviaoio con le medesime pa-
role dell’autore.
« Natura privando i Liguri di comodi e di beni, diè loro in com-
penso robustezza, intrepidezza e coraggio. Fra tutti i Liguri monta-
nari i Co pillati, o Chiomati furono non che i più (ieri , ma I più te-
naci delle antiche costumanze: e quest'uso loro di portare tuttavia
lunga chioma nell'età di Augusto , era stato parimenti consueto a
tutti i Liguri nella prima selvatichezza. Niente meno rustici , incolti
e materiali han dovuto gli Etrusci trovare quelle generazioni di Li-
guri , che abitavano per avanti al Po, e ch'eglino ridussero in buo-
na parte a vita più civile , se più tosto non gli aggregarono per con-
cordia e unione alla propria nazione dominante. Al pari feroci si mo-
strarono i Vagicnni, per la massima parte situali nelle Alpi maritti-
me, c per le sottoposte sassose valli: ma più di tutti indomiti erano
gli Apuani con altri fieri popoli di loro stirpe che abitavano in co-
mune per le Alpi di S. Pellegrino, i cui sommi gioghi s'alzano 4840
piedi sul livello del mare , e nel territorio attorno sino alla Magra.
Per entro a luoghi di tanto aspri ed infecondi dovea il sentimento
della libertà operare con grandissima efficacia in animi per natura ga-
gliardi, addurati alle fatiche, e pieni d'ardimento e di cuore. Sicché
a ragione la voce unanime degli antichi celebrava con laudi l’iunata
franchezza , il valore e la mirabil forza de’ Liguri. ... Le femmine,
che pe’nostri costumi sono di poco o niun sollievo alla società , non
erano nulla meno degli uomini laboriose, e coni' essi viveano per le
ville scassando e zappando il terreno; anzi tagliando duri macigni ,
dice Posidonio. Di tal maniera essendo essi molti e povero il paese e
scarso, faeea pur mestiere die i Liguri si sforzassero a procacciarsi
modo di vivere con diffìcile e pertinace lavoro: nè potendo tampoco
superare con la fatica o con l'arte la sterilità del suolo, uomini e don-
ne s’allogavano fuori paese per faccende rustiche, in quel modo che
molli Genovesi delle montagne fanno anche oggidì.
« Abitavano generalmente i Liguri per villaggi , ed i luoghi loro
principali si delle montagne, come delle due riviere, erano piuttosto
castrile che vere città. . . . Illetterato per certo era un popolo , che
con tali pene reggeva sua vita ; vuol aversi anche per cosa di mo-
mento, che nessuna scrittura antica siasi trovata fi nora nel paese pro-
prio de’ Liguri ... Nè possediamo alcun monumento originale della
lingua o del dialetto particolare de’Liguri, il qual possa schiarire al-
quanto più l'istoria, ma il decreto del senato romano dell'anno 637
sopra le controversie de’Geuoati co’ Viluri loro vicini, porge tuttavia
buon numero di nomi affatto locali, che, sebbene abbiano inflessio-
ni e ortografia latina, ne lascian chiaramente vedere la forbita e desi-
nenza primitiva: nomi tanto più certamente nazionali, io quanto che
quella parte della Liguria, dove stanno i luoghi c popoli ivi stesso
menzionati, non fu in nessun tempo occupata da stranieri , nè mai
soggetta alle mutazioni di sorte che provò la regione ligure intorno il
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BAZZA ARIANA -FAMIGLIA IBERICA.
169
Po. Nell’elenco di essi nomi si voglion notare due titoli di famiglie ,
liguri entrambi : dov'è da considerarsi specialmente, come la sola di-
versità di una vocale distingua il nome paterno da quello del figlio ;
proprietà di liogua cbe s* osserva alle volte ne’titoli delle famiglie etru-
sche, atteso l’indole sintetica dell’idioma. Ma quale correlazione po-
tesse realmente aver l’etrusco coll’estinto ligure è cosa impossibile
a dire (1) ».
Noi però non conosciamo fino ad ora il tipo fisico de’ popoli iberi-
ci , e saremmo costretti ad esser paghi di que’soli caratteri morali
che gli scrittori raccolsero intorno ad essi , se le tribù le quali si ri-
dussero, fin dalle prime invasioni celtiche , nella Biscaglia e nelle
Province Basche ove ora formano una scarsa popolazione in quei
medesimi luoghi , e propriamente nel punto di congiunzione dei
Pirenei e de’Monti Cantabri si del versante spagnnolo che da quello
che guarda la Francia , non si fossero mantenute inalterate, e non
conservassero ne’ loro caratteri fisici quegli stessi tipi che erano pro-
pri degli Iberi primitivi, salvo quel leggero variamento , che lunga
stagione di anni, e mutazione di culto, di leggi e di costumi, han do-
vuto produrre necessariamente ne’ medesimi.
« Hanno i Baschi (riferiamo qui le parole di un sagace scrittore
che si al vivo dipinge questa singolare popolazione), uomini e donne,
quali sono oggi, nelle forme esterne, un’attrattiva che non trovi in
alcun’altra umana razza. Gli uomini, di statura mezzana, ma ben pro-
porzionati, offrono l’espressione della vigoria e dell’agilità, per cui
giustissimo è il proverbio che dice, correre come un Basco. Il loro ve-
stito leggero, adattato al clima ed agli usi loro, lascia scorgere tutti i
loro movimenti, naturalmente più graziosi di quelli dì alcun altro po-
polo. Un sajone bruno gittato con negligenza sulla spalla sinistra, un
giubbettino rosso aperto sul petto, una camicia sempre bianca , un
calzone attillato e stretto alla cintura, calze turchine o brune, eleganti
sandali formati di canape intreccialo e ligati al piede con fettucce co-
lor di porpora , formano il vestiario del giovine Basco , sul capo del
quale si adatta un piccolo berretto piano ch’ei mette di sbieco , se
pur nou gli piaccia di raccogliere i capelli in una rezzuola di seta. Or-
dinariamente non porta arma veruna , ma lascia difficilmente la sua
mazza ferrata di cui sa servirsi, iu caso di rissa,, con meravigliosa de-
strezza , o che attacchi, o che voglia difendersi. E difficile di dare delle
donne un'idea che s’avvicini solamente alla realtà. Che dire di esse,
se non ch’elleno hanno proporzioni bellissime , taglio svelto della
persona e carnagione stupenda ? Le loro belle braccia , le loro bel-
le mani, i loro piccoli piedi sono in perfetta armonia con un profilo
veramente greco. Ma egli è impossibile far comprendere quanto tali
attrattive sien nobilitate dall’ineffabile amenità di tutti i loro movi-
menti , dalla grazia del camminare, dal maligno sorriso che scherza
intorno alla loro bocca di corallo, ed accende di nuovo fuoco i loro
(1) Op. cit. II. 15-20.
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170
LIBRO SECONDO
occhi neri d’ordinario si vivi; descrivere con quanta agilità lancino
io aria i loro fusi , o mantengano in equilibrio sul capo una brocca
di terra; con qual arte annodino intorno a’ capelli il fazzoletto i cui
lunghi capi ricadono liberamente sulla nuca; far sentire come loro
graziosamente si acconci il cappello di feltro bianco, il /fari il di un ros-
so di porpora, e il giubbone corto di scarlatto; pingere il fuoco de’lo-
ro sguardi, la pantomima di tutte le membra che accompagna il loro
discorso. D'ordinario suol rimproverarsi a quelle incantatrici creature
un pò di civetteria, e molta leggerezza, ma io ho ben ragione di crede-
re, che accasandole si prenda l’apparenza per realtà; il tuono catti-
vello , per esempio , con cui dicono a tutti gli stranieri il loro Lgun
hon Jauna , la maniera giocosa con cui gli avvicinano e li mot-
teggiano, la loro disposizione costante a ridere ed a celiare, possono
benissimo derivare dalla loro ingenuità, e credersi a torto per condi-
scendenza. Almeno questa pretesa condiscendenza non mi sembra
compatibile con quello spirito profondamente religioso , con quella
innocenza d’espressione, con quella riserva in tutte le azioni , con
quella modestia in tutti i movimenti, che io ho trovato in Ustarritz ,
in Hasparren ed in altri borghi lontani. Del rimanente il severo conte-
gno che gli uomini osservano in lor presenza, e che forma un contrasto
singolare con la libertà di maniere de’ Francesi e degli Alemanni, par-
mi fornire una pruova vittoriosa in favore della mia opinione ».
« Il Basco è attivo, perseverante e coraggioso come lo sono sem-
pre gli uomini vigorosi ed agili ; come soldato non è alto a servire
nella linea, ma nella piccola guerra mostrasi attivissimo e divien for-
midabile; il suo sangue è caldo come il suo clima , il suo coraggio
fermo come le sue rocce , il suo attacco impetuoso come il mare che
bagna il suo paese. 11 profondo sentimento religioso che l’anima non
basta che appena a tenere in freno le sue focose passioni , e talvolta
la passione vìnce la stessa religione ; ma non conosce le vendette
dello Spagnuolo, ed è ospitale come quest’ultimo. La profonda ve-
nerazione con cui i Baschi parlano de’ morti è un tratto caratteristico
della nazione, ed è probabilmente a siffatta venerazione che tengono
i segni di un dolor prolungato che manifestavano altre volte alla mor-
te di un parente, strappandosi i capelli e flagellandosi , ma il gover-
no ha vietato tali eccessi con pene severe. It Basco ama con passio-
ne la piccola guerra, e i giuochi in cui possa far mostra della sua for-
za e della sua agilità; non conosce altra patria che le sue montagne,
ed anche oggi non parla della Francia che come d’ un paese stranie-
ro. Il Basco è probo nel commercio, non mostra avidità e si conten-
ta di un guadagno moderalo; nella sua solitudine ha sfuggito! vizi di
cui d’ordinario sono intaccali i popoli limitrofi. É rarissimo che il
pastore delle contrade più elevate discenda dalle sue montagne , e se
lalfiata ne discende è per andare a vendere una capra in città. Cosi,
straniero alla cultura intellettuale ed agli usi del nostro secolo, c’ si
rimane assai vicino allo stato primitivo della natura, e vive conten-
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RAZZA A Iti ANA-FAJ1IGLI A CELTICA. 171
lo nella sua ignoranza. Il coltivatore più agiato frequenta le fiere, ed
apprende un poco di francese; non riporta nelle sue valli i nuovi usi
e la politezza de’ suoi vicini , ma riceve lo straniero che viene a visi-
tarlo in sua dimora con l'ospitalità e la franca bonomia de’ tempi
antichi (1) ».
CAPITOLO VI.
FAMIGLIA CELTICA
La famiglia de’ Celti ( Ksiroi e de’ Greci , Cella e Galli dei
Romani (2) ), migrando d’Asia in Europa, giunse di secolo in secolo
nel fertile paese delle Gallie , e si distese dal Reno alla Garonna.
Scacciali gli Iberi dall’Aquitania, s'inoltrò dalla Garonna ai Pire-
nei, e, superati questi monti, dilagò per la penisola spagnuola ,
dove compose con gli Iberi la nazione ch’indi nomossi de’Celtibe-
ri (3). Solcato poi lo stretto gallicano, popolò l'isola di Prydain o
Brettagna , d’ onde si mosse ad occupare la vicina isola di Erinn od
IrlaDda — Dalla parte d’ Italia , discendendo per le Alpi ( Biturigi ,
Arverni ed altri popoli mentovati da Plinio ), pose stanza nella valle
dell'Eridano, circa l’anno 150 dalla fondazione della Città. Più tardi
i Boi ed i Lingoni (Cimri) si allargarono fra il Po e l’Appennino, cac-
ciando a un tempo Etruschi ed Umbri. Ultimi giunsero iSenoni (Cimri
aneli’ essi ), sotto la guida di Etitovio, circa il 360 di Roma, e si di-
stesero verso il mare ab Utente ad /Esim{\ .Da questi Celti di Elitovio
uscirono le orde di Brenno che si volsero sopra Roma , che era già
caduta in lor potere, quando Camillo, raccolti i fuorusciti , venne a
liberarla, e ad attcstare col fatto l’ immobilità del Giove Capitolino.
Gli scrittori greci, fra’quali Aristotile, Polibio (5) e Diodoro (6),
davano generalmente il nome di Celti a tutti i nativi della Gallia
Transalpina , ma i Romani li dividevano in Aquitani , in Celti ed in
Belgi. 1 Celli, che da’Romani dicevansi Galli, stavano in mezzo : per
un lato la Garonna segregavali dagli Aquitani , e per l’ altro la Senna
c la Marna da' Belgi.
(1) Estraila dal viaggio di Lunemann ne Pirenei, na’Nouvelles Annales
des voyages. Paris 1851.
(2) Jpsorum lingua Celta;, nostra Galli appellantur. Cesare, de Bello
Gallico, Lib. I, cap. 1.
(3) .... profugique a gente vetusta
Gallorum Celtce miscenles nomea lberis.
Lucano, Pharsalia, IV, 9, 10.
(4) Liv. V, 55.
(5) II, 15.
(6i V, XXX V1UXXXIX.
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172
MURO SECONDO
Questi soggiornavano di là dalla Senna e dalia Marna , chiusi fra
que' fiumi ed i monti Vogesi o Vosgi ed il Reno ; ma una parte di
essi , passando in mezzo a’ Galli , si volse a mezzodi fino a Tolosa , e
stabilissi nella Linguadoca sotto il nome di Arecomici e diTectosagi(l).
Ramo della celtica famiglia erano anche i Cimri che abitarono pri-
ma il Chersoneso cimrico, ossia l'odierna Danimarca, e forse ancora
la meriggia parte della Svezia e della Norvegia (2), ma penetrando nel-
le Gallie posero lor sedi nel centro della Francia , fra la Senna e la
Loira (3).
I Celti non indicavano sé stessi con un nome comune, ma ciascu-
na delle moltissime tribù in che si dividevano, e delle quali Tolomeo
e Plinio ci hanno lasciato l’elenco, chiamavasi coi suo.
Tribù de’ Celti Aquitani erano :
I Vasali o Vasalae di Ausonio e di Ammiano, che abitavano il pic-
colo territorio di Bazadois: forse erano i Vocali di Cesare , i Basa-
vocali di Plinio e i Vasari di Tolomeo — Gli Elusati di Cesare , nel-
l’odierno Condomois — Gli Atwei , tribù famosa fra le aquilane , che
stanziavano in Armagnac — I Concerne, o colonie miste, discendenti
dagli avanzi dell’armata di Sertorio, i quali erano stabiliti in Lug-
dunum, ora Saint-Berlrand, Aquae Convenarum, ora Baguères.Ca-
lagorris Benearnum , ora il Bearnese — I Sociali ; i Tannati ; i Ga-
rumni; i Biger rioni; i Preciani; i Gariti; Sibuzali; Cocosati, menzionati
da Cesare e da Plinio , e i Tarbelli che giungevano fino a’ piè de’ Pi-
renei. Ma tutte queste tribù portan nomi che sono euscariani , e
tutte , eccettuati i Convenae , probabilmente sono di origine iberica,
alla quale riportavasi parimenti, nella Gallia Narbonese , la tribù dei
Salitivi, che i Greci di Massilia riconobbero per Liguri. Le altre tribù
deila stessa provincia (Provenza ) erano celtiche, come i Volcae (Belgi)
(1) I Belgi nelle antiche tradizioni irlandesi son chiamati Fir-Bholg.
Ausonio ( De dar. urb. Narbon.) asserisce che il nome primitivo de' Tecto-
sagi era quello di Botghi : Tectosagos primaevo nomine Bolgas. Cicerone
dà ad essi il nome di Belgae : Belgarum AUobrogumque testimonio credere
non timetis 1 (prò M. Fonteio). I Manoscritti di Cesare portano indiffe-
rentemente VolgaB o Volcas. Finalmente S. Girolamo dice che l’idioma dei
Tectosagi era lo stesso di quello di Trevi, città capitale della Belgica.
(2) « Dans le Nord (scrive il Wo rmsaae), c’est une opinion fort répan-
due que les Celtes ont habité la Scandinavie meridionale , et, à défaut de
renseignements historiques, on se fonde «ur la ressemblance des armes, des
Instruments et des bijoux en bronze et en or trouvés dans nos tumulus, avec
ce ux qui ont ite decouverts en Angleterre et en Trance. Cette opinion a
des partisans en Nortcege, et les historiens de ce pays l’ont tenue pour de-
montrée ». Lettre à M. Mérimée, Moni tour du 14 avrii 1833 — Fe<f. Munch,
Det norske Folkshistorie, deutsch von Clausen. Lubeck, 1853, in 8, p. 8.
(3) Per Celti tennero » Cimri anche i Romani, perciocché tali furono
giudicati da Cicerone (prò Lege Manilia XX — Tuscul. quaestion. Il,
XXVII — V, XIX), da Sallustio (Fragm. orat. contra Sultani) « da Fe-
sta (sub voce Cimbri)
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 173
divisi in Tectosagi ed Arecomici con le capitali Nemauso ( Nlmes ) e
Tolosa; gli Alloibrogi fra il Rodano e l’Isera; i Cacari ; i Voconzi fra
l’ Isera e la Duranza , con Avenio (Avignon), Vindalium ( Vedéne ) ,
Carpentoracte ( Carpentras), Arausio (Orange) e Cabellio (Cavaillon).
Tribù della Gallia Celtica aggiunta all'Aquitania erano: iPiMoni, dalla
foce della Loira fino al Poitou; gli Agesinali; i Santoni, dalle foci della
Gironda fino all’oriente del Perigord; i Bilurigi', gli lasci o Ubisci, sola
tribù de’ Galli a mezzodì della Garonna — Nell'Interno erano i Lemo-
vici nel Limosino ; i Cadurci -, i Pelrocori del Perigord ; i Nitiobrigi ; i
Bilurigi Cubi del Berry ; gli Arcami saliti a grande celebrità ; i Velau-
ni , i Cabali, che lavoravano nelle miniere di argento delle Cevenne,
ed i Ruteni.
Le tribù della Celtica propria erano :
1. Intorno la costiera marina dalla Loira alla Senna :
I Nanneli o Namnilae , in parte della Diocesi di Nantes; i Veneti, in
Vannes; i Coriosopiti ; gli Osismi presso il promontorio di Quimper-
Corentin ; i Biducesi o Viducassi, nel ducato di Penthievre; i Curioso-
liti, riconosciuti da Cesare per popolo armorico; i Veneti', i Bodiocassi
ed i Ltssubi.
2. Al settentrione, ma nell’interno:
I Redoni presso Rennes riconosciuti ancora come armorici, egual-
mente che gli Ambibari ; gli Andicavi o Andes di Cesare ; i Turoni in
Turaine; gli Aulerrì, di cui faceano parte i Diablintae , i Cenomani e
gli Eburoni o Eburaici valorose tribù; gli Arni o Arubi ; i Namnelae di
Tolomeo, diversi da’ Nannetae , gli Abringeatui che si suppone aver
abitato Avranches, nella Normandia occidentale, ed i Parisi.
3. Al mezzogiorno e nell’ interno :
1 Carnuti che occupavano un esteso territorio sulle due rive della
Loira , con Autricum, poi Civitas Caruotum, ora Chartres ; i l'recas-
si ; i Saitmi ; i Mcldi ; i Vadicassi ; i Mandubi; i Segusiani gli Edui, tra
la Loira e la Saona ; gli Ambarri ; i Boi e le quattro tribù degli Elveti,
fra il Reno , il Giura , il Rodano , il Lemano e le Alpi Pennine. Fra
queste piu illustri i Tigurini co’ Tugeni chesi poneano nel numero
de’Galli più valorosi ; ed anzi credeasi che avessero, nelle età prece-
denti, valicato il Reno, e si fossero distesi ne' luoghi occidentali della
Selva Ercinia.
Le tribù della Gallia Belgica erano miste con tribù germaniche, le
quali, allettate dalla fertilità delle terre, si erano spinte sulla sinistra
sponda dal Reno, e vi aveano fermate le loro dimore: dicilur plerosque
Belgas esse orlos a Germania , Rhenumque antiquilus transduclos , pro-
pler loci fertililatem, ibi consedisse, Gallosqut qui ca loca incolerent expu-
lisse (Cesare).
Tribù germanizzate nella Gallia Belgica erano, secondo Cesare: i Con-
drusi, gli Eburoni, i Cereri, i Pemani, i Baiavi, i Toxandri. Tacito vi
aggiunse gli Ubti, i Tribocci, i Nemeti, i Vangioni, e Strabone anche i
Aerai. Queste tribù occupavano il territorio che si estende fra il Re-
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174
LIBRO SECONDO
no e la Marna, cioè Liegi, il Brattante, le due Fiandre, lo province di
Naraur e di Hainault. Le tribù celtiche proprie si allargavano fra la
Marna , la Senna e la Somma , ed erano i limi, i Suntioni , i Vtro-
mgndui, i Bellovaci, gli Ambiarti , i Caldi, gli Atrebali , i Morirti ed i
Treverì (1).
I Celti che primi passarono a popolare la Brettagna appartenevano
probabilmente allo stesso ceppo di quelli che primi abitarono la Gnllia
Celtica. Le successive invasioni degli altri Celti respinsero i più anti-
chi incoli di quell’isola nell’ Irlanda e nelle parti montane della Sco-
zia al di là del Clyde, ove si mantennero col nome di Gaeli (Galli), o
più correttamente Gadhels, Gwyddils, e quivi, rafforzati da altre ban-
de venute da Erinn, composero il popolo dell’Albania , o dell’alto
paese , cioè delle Montagne (Al-ben, paese delle montagne ) : popolo
che nomossi ancora Caledonio, e che giunse a gran rinomanza di co-
raggio e di bravura sotto il Dome di Pilli e di Sroti.Quest’ultima appel-
lazione era comune altresi agli abitanti l’Irlanda che in lingua roma-
na dicevasi Bibernia e Scolia indifferentemente. In Brettagna gli Scoli
vivevano sulle coste del grande arcipelago del nordovest , e i Pitti
nelle contrade orientali sulle rive del mar germanico , separali fra
loro dalla catena de’Grampi.
Dal Clyde e dal Forth fino alla punta della Cornovaglia due altri
rami di Celti si dividevano quella parte della Brettagna ; ad oriente i
Logri ; ad occidente i Cirnri, che in lingua romana si dissero Cambrì;
questi venuti dal Chersuneso cimrico più che dalleGallie, quelli dalle
vicine coste della Gallia. A questi Celli tennero dietro altre colonie
partite dalle stesse contrade, le quali si dissero poi Britoni, o Breto-
ni che si piantarono al nord de'Cambri o de’ Logri sulla frontiera dei
Gaeli fra il golfo del Forth e quello del Solway. Il nome di Bretoni
prevalse agli altri de’ Cambrì e de' Logri , e non altrimenti che con
quello furono appellali dagli scrittori latini gli abitatori tutti dell'Isola
di Brettagna.
In questa adunque ed in Irlanda si ripetevano le stesse popolazioni
che esistevano per tutta la Gallia. In Irlanda e al nord della Scozia,
i Galli ; nella Cambria i Cirnri, che nella Gallia Celtica sì allargavano
fra la Senna e la Loira; nella Logria i Belgi che in Inghilterra si dis-
sero Bretoni.
Fra queste celtiche popolazioni non mancavano certamente gli Iberi
(i Siluri), forse primi ad occupare la Brettagna, e il lor tipo, fino a’tem-
pi di Tacito (2) , formava un contrasto assai rilevaute con quello dei
Galli, de’ Belgi e de’Cimri , tutti e tre rami di uua medesima stirpe,
(1) Coni. Schoep/lin, Alsatia illustrata. Pcriod. celi. — Raoux, Mé moire
cn répouse à la question proposéc par l’Acad. des Sciences et Belles Let-
tres de Bruxelles, memoria che ottenne il premio nel concorso del 1825.
(2) Silumin colorati vultus , et torti plerumque crines , et posila contro
Hispania , lberes velerei trojccùsc , eatquc tedes occupasse fidem faciunt.
Agricola, cap. IX.
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA.
175
i quali, poniamo diversi per dialetti, per leggi, per costumi (t), ser-
bavan nondimanco tracce evidenti della loro affinità nel fondo degli
idiomi eh’ essi favellavano. Vero è bene, che di questi parlari nuu
si conoscono oggidì che l'orso e il gaelico dell’ Irlanda e delle mon-
tagne della Scozia, il cimrico del paese di Galles, ed il basso breto-
ne della Brelaqne brelonnanle della Francia; ma rimangono ad attesta-
re la parentela di questi popoli celtici alcuni nomi locali, che hanno
la medesima terminazione nella Gallia Geltica, nella Belgica e nella
Brettagna. Questi nomi trovano le loro etimologie tanto nell’ erso e
gaelico, quanto nel cimrico e nel basso bretone.
Le terminazioni più frequenti de’ nomi locali celtici sono dunum o
dinum, durum o duro, maqu&, acus o iacum ; e noi nel vero li ritro-
viamo in moltissime denominazioni di località occupate da’ popoli
celtici tanto in Francia, quanto nelle Isole Britanniche, come lo pruo-
vaDO i pochi esempi che riferiamo qui sotto, desumendoli dall'elen-
co più numeroso che, sulla Geografia di Tolomeo , e sull’Itinerario di
Antonino, è stalo elaboralo dal D.' Prichard.
l.° Nomi di luoghi terminati in dunum o dinum.
•2 I
i Noviodunum
ne’ Biturigi
oggi Novers.
Q ■
i Lugdunum
Edui
Lyon.
) Augustodunum ,
Id.
Autun.
,
j Melodunum
Senoni
Melun.
II
f Ebrodunum
Caturigi
Em bruii, o Yver-
^Vindinum
Aulerci Ccnomani
Le Mans. (dun.
Si]
1 Noviodunum
ne’ Remi
1 Vcrodunum
Veroducehsi
oggi Verdun.
~ #5 1
1 Lugodinum, oLugdu-
Batavi
Leyden.
te; t
[num
• (
Maridunum
ne’ Siluri
oggi Camarthen.
Camulodunum
Briganti
Holderness.
f 1
i Rigodunum
Sedanti!
Warrington.
$ j
jMargidunum
Coritani
Nottingham.
a, <
iBranodunum fnum
leeni
Brancastcr.
.a
jDunium, o Muridu-
Durotrigi
Bridport.
[v 1
1 Londunum, o Londi-
Trinobanti
London.
^ I
Camalodunum munì
ld.
Malden.oColche-
(ster.
(1) Hi mane» (Galli) lingua, (cioè dialetto) institutù, legibus inter te di f-
ferunt. Cesare, B. G. /.
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Nella Nella Gali la Nella Gallia Celtica. Nella Brettagna. Nella Gallia Nella Gallia
- ettagna . Belgica Belgica. Celtica.
176
I-IBBO SECONDO
2.° Nomi di luoghi contenenti dumm o duro
Ernodurum
Salodurnm
|Ictodurum
Divodurum
|(ìanodurum
Antissodurum
Brivodurura
Batavodurum
Marcodurum
Daronum
Durocatalaunura
( Durovcrnum
I Durobriv®
IDurnovaria
jDurocobrivium
I Lactodurum
t Durocorinium
ne’ Biturigi
Elveti
Caturigi
Elveti
Senoni
Aureliani
Batavi .
Tungri
Ncrvii
uè’ Canti!
Id.
Durotrigi
Caticuchlani
Id.
Doburii
presso Parigi,
oggi Constant.
Auxerre.
Briave.
presso Bavay.
oggi Cbalons sur
(Marne.
oggi Canterbury.
Rochester.
Dorchester.
ktony-Stratford.
Towcester.
Cirenster.
3.° Nomi di luoghi terminati in magus
| Vindomagus
iNoiomagus
I Noiomagus
Jdotomagus
yArgantomagus
Jjuliomagus
f Condotomagus
I Scrraanicomagus
' Catorimagus
ne’ Volci Arecomici
Vadicassi
Lessubii
Veneliocassi
(Ant. Itin. 29)
Andicavi
Ruteni
Santoni
Caturigi
ad occidente diNtmes.
oggi Nemours.
Saint- Sauveur.
Bayeux.
Argenton.
Angers.
sulla Carolina,
oggi Chermez.
Chorges(Mannert).
Caesaromagus
Noviomagus
Borbetomagus
Ì Rhatomagus
Marcomagus
Noviomagus
Rotomagus
ne’ Bellovaci
Nemeti
Vagii
Subanecti
Tungri
Batavi
Veliocassi
oggi Beauvais.
Spever.
Worms.
Boban.
Marmagen.
Nimwegen.
Rouen.
«5
Caesaromagus
Noviomagus
Sitomagus *
Durnomagus
ne’ Trinobanti
Regni
Iceni
Id.
oggi HolwoodHill,Sus-
Woodcote. (sez.
Woolpit.
Water Newton.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA.
177
4.° Nomi di luoghi terminati in acum.
^ fEbrolacum
g -i ì Saloniacum
jCerbelliacum
50 ' Annedonacum
' nc’ Biturigi
Segelauni
Santoni
ca
«
j Nemetagum
l (ìesoriacum
\Origiacum
JMoguntiacum
/Camaracnm
iBagacum
JTolbiacnm
fMinariacum
[ Ricciacum
l Turnacum
ne’ Morini
Atrebati
Ncrvii
Tnngri
Morini
Ncrvii
presso Bordeaux.
oggi Arras.
Mente.
Cambray.
Bavay.
Tolbiac.
prcssoTeroucnnc.
presso Trèves.
oggi Tournay.
( Vagniacum
Eboracum
Rraboniacum
Ì Bremctauracum
Olenacum
Epiacum
Brovonacum
ne’ Cantii
Briganti
Id.
Id.
Id.
Id.
oggi North Flect.
York.
Overborough .
Brampton.
Old Carlisle.
Hexham.
Kirklcy Thnrc.
Briga e Briva sono parole che occorrono frequentemente nello de-
nominazioni di località celtiche : più comuni sono in Ispagna , e
specialmente nelle contrade tenute da’Celliberi , come Arcobriga, Se-
gobriga, Auguslobriga non lungi da Numanzia, ed altre somiglianti.
Nella Gallia Celtica si trovano queste parole in
'Eubobriga
Limnobriga
Amageubriga
ne’ Senoni
Briva
Brivatcs Portus
Arvemi
^Brigobannc
INctiobrigcs
VBrivodurùm
Aureliani
presso Sens.
presso Moyon.
sull’Arar.
oggi Brest.
al nord del lago di Co-
stanza.
Agen, al sud della Gal-
lia Celtica,
oggi Briave.
Nicolgcci, Razze umane — Voi. !■
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178
I.IBRO SECONDO
Nella Gallia Belgica, in
Latobrigae, Caesar. B. G. 1—5.
Saraarobriva , ovvero Samarobriga, sul fiume Samara, o Somma;
in Anton- ltiner.
Nella Brettagna, in
Brigae , presso Venta Belgarum. — Durobrivae, Durocobrivae. —
Briganti, tribù principale de’Bretoni. — lsubriganti. — Bravinium. —
2 Brivinium in Ordovicis.
Sego, o Sege — Nomi di luoghi, o di tribù comprendenti ìe parole
Sego, o Sege.
In Ispagna :
Segobriga degli Edclani, nella Tarraconese. — Segobriga de’Cel-
tiberi. — Segonlia degli Arevaci, nella Tarraconese. — Segontia dei
Celtiberi. — Segessamo e Saguntia, due città in Ispagna. — Saguntum
degli EJctani. — Segienses, Segeda.
Nella Gallia Celtica :
Segovellauni , Segalauni, nella Gallia Narbonese. — Scgodunum ,
neU’Aquitania. — Segone, la Saona. — Segobodium, ne'Sequani. —
Segobrigii, nella Gallia meridionale. — Segustero, Sisteron (Mannert).
Nella Gallia Belgica e nella Brettagna :
Segonliaci , tribù. — Segedunum , in Brettagna. — Segelocum dei
Coritani, in Brettagna, Itin. Antonin. — Segoulium, presso Anglesca.
Ebbro — Ebor.
In Ispagna :
Eburobritium (Alcobaza) , nella Lusitania. — Ebora , più borghi,
come p. cs. Ebora sull' Anas.
Nella Gallia Celtica :
Eborica , borgata deglLAulerci. — Eburovici, delti ancora Eburo-
ni. — Eburovix, loro duce. — Eborodunum Caturigum. — Eburobri-
ca. — Eborolacum, G. Aquitan.
Nella Gallia Belgica e nella Brettagna :
Eburones. — Eboracum — Caer Eborauc. — York. '
Tri, Tre, Trbv.
Nella Gallia Celtica :
Tricasteni , Tricassii, Tricovii. — Tridentum. — Tricorii , presso i
Voconzi , in Provenza.
Nella Gallia Belgica :
Treviri. — Tribocci.
Nella Brettagna :
Trinobanti. — Trisanton fiume presso Southampton.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 179
Nemo, o Nemeto.
In Ispagna:
Nemeto-briga, Tiburi in Asturia. Nemanlurissa Nemetati, Tar-
raconese.
Nella Gallia Celtica :
Nemausus Colonia. — Nemeturici, nelle Alpi ; Plin. 3. 20. Ne-
mossus, o Augustonemelum (Strab. 4.), negli Arverni, Clermont.
Vernemetura.
Nella Gallia Belgica :
Nemetacura, Alrebati. — Nemetae, presso Speyer.
Nella Brettagna :
Vernonemetum , Willonghby-on-the-Wold.
MEDIOLANCM , O LANCM.
Mediolanum Santonum, Xantonge, nella Gallia Celtica. Mediola-
num fra i Biturigi Cubi. — Mediolanum negli Aulerci-Eburaici Me-
diolanum Ordovicum, nel paese di Galles settentrionale.
Nant.
Nannetes, in Brettagna, Nantes. — Nantuates, Nantueil. — Nan-
luacum , Nantua in Borgogna.
Venta.
Nelle Gallie: Veneti, nell’Armorica. — Vinduna. — Tanro-ventum,
presso Tolone (Mannert, 87). — Ventia, negli Allobrogi ( Dione Cas-
sio. Mannert, 93 ). — Vindulum, sul Rodano ( Strabone). Vindo-
magus, nella Narbonese.
In Brettagna: Venta Belgarum, Venta Silurum, Winchester, Caer-
went, nella provincia di Gwent. -—Venta Simenorum. — f Totem
33 ) — Norfolk: 1
Con, Can, Cant.
In Ispagna : Canaca , Cantabri , Concana , Conlestani, Contrabia.
Nella Gallia Celtica : Condate, sulla Loira. — Condate presso Lio-
ne. — Condatomagus. — Consoranni presso Tolosa, Cenomani Con-
divincum. — Voconzi, nella Narbonese.
Nella Brettagna: Concanguium.— Manconium, Manchester.— Ca-
nonium, presso il Tamigi — Areconium, in Herefordshire. — Urio-
conium, Wroxeter. — Veroconium.
Cad, Cat, Cass.
Cadurci , nella Gallia Celtica. — Caturiges , nella Gallia Narbone-
se. — Catorimagus, loro città. — Catobriga, in Lusitania. Venelio-
cassi , nella Bassa Brettagna;— Cassiuomagus, G. Celtic.— Vadicassi,
Borgogna Tritassi. — Durocassium Tav. Peutig. c. 6. Duro-
cassi , Ant. Itin. Dreux. — Caturiagum, nella Gallia Belgica.
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180
LIBRO SECONDO
Augustoritum Pictonum , Poiticrs. — Vago-ritum ?— Majorilum.
Eie, Rig. _ . . . . „
Dariorigum Venetorum , Bassa Brettagna. — Caturigi, Biturigi, G.
Celtica-— Avaricum. — Mediomatrici. — Durotrigi, Carbantorigum,
Rbigodunum, in Brettagna.
Latots, Launi, Lato. ......
Vela uni, Aquitania.— Segelaum, G. Narbonese — Landobris, isola
nella Lusitania. — Orolaunum.— Cassi-vellaunus, Caswallon? — Ca-
talauni, nella G. Belgica, Alauna.— Alaunum, in Brettagna.— Alau-
na de’Damni, in Caledonia.
Vie, Vecis, ic, ecis. ... ,
Lemo-vices. — Brannb-vices , Avatici, Narbon. (Mannert, 83).—
Ordovices. — Gabranto-vici, in Brettagna.
Atcm, Ates.
Brivates portus, Brest. — Atrcbati, nella Belgica.
Tutti i nomi topici sopra mentovati , ed altri ancora conservatici
dacli autori, trovano le loro etimologie negli odierni parlari indigeni
d’Irlanda, di Scozia, di Galles e della Bassa Brettagna : parlari che rap-
presentano a’ di nostri gli antichi idiomi celtici nelle loro varietà ,
1 quali ne’ vocaboli e nelle forme grammaticali, dimostrano iu ol-
tre la loro cognazione con l’ altre lingue del tronco ariano favellale in
Asia ed in Europa. .... ,. . .
Noi daremo anche un saggio di questo similitudini fra gli antichi
ed i moderni sermoni celtici, desumendole eziandio dall'opera prege-
volissima del medesimo Dott. Prichard.
1 Le sillabe duro in principio, e durum nella fine de’ nomi occor-
rono nelle appellazioni di borghi , o luoghi posti presso le rive del
mare , o de’ fiumi ; ed acqua appunto dicesi dwr o dar, c duvr o
dilvyr, in cimrìco; dour, in cornovagliese ; dur, in armorico ; parole
le quali corrispondono al gaelico uisge , ed alle antiquate parole erse
dobhar, dorar. ...... ■ ,• . .
2. Marno è parola finale di luoghi. In irlandese c in gaelico magli
significa un campo, o un piano: in cimrico ed armorico la stessa parola
scrivesi maes, e pronunziasi mas.
3. Dunum, — In irlandese e gaelico significa altura fortificata, for-
tezza; nell’antica lingua bretone, a testimonianza di Beda, avea la stes-
sa significazione — In Brettagna è stata usata indistintamente ne’ no-
mi locali la terminazione dui» , o din , come Londunum e Londinum,
Maridunnm e Caer-mhyrdhin, Carmarthen. La stessa etimologia ha
parimenti il cimrico dinas, che significa città.
4. Briga,brug, brogli, e barg , in erso od irlandese, ed in gaelico sono
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RAZZA ARI ANA-FA MIGLIA CELTICA . 18 l
denominazioni antiquate di paesi, o borgate; in cimrico, la parola brig
significa sommità, cima, punta, applicata soprattutto agli alberi , agli
arbusti, a’capelli; ma òro, egualmente che in arinorico, significa una
contrada, e più propriamente una contrada bassa e piana.
In Ispagna briga occorre frequentemente nelle contrade celto-ibc-
riche, ed è generalmente applicata a' paesi posti sulle rive de’ fiu-
mi : altrettanto in Gallia per Amageubriga sull’ Arar, e per Pagus
Arebrigius anche sull’Arar, — Briva ha una significazione quasi si-
mile a Briga , onde Briva in Brivates Portus, Brivodurum , Durobri-
vae, Briva lsarae ora Pontoise, ovvero, il ponte sull’Oise, nell’Isola
di Francia, Briva-Curretia , ora Brive la Gaillarde , cioè ponte sulla
Couréze.
5. Sege, o tego, come in Segedunura — Sigh, in erso, onore e di-
gnità. Ség, in cimrico, d’onde segain, segaidh, copertura, septum, teg-
men. £ dubbio se il cominciamento de’ nomi propri in sege, o sego de-
rivi dall' una o dali’ altra di quelle due parole.
6. Nani, valle, ruscello : esiste in cimrico, ma non in crso. Trovasi
questa parola in Nantuacum , oggi Nantue, posta in un’angusta valle
fra due montagne; nc’Nantuates che occupavano , secondo Strabone,
la valle del Reno sottoposta immediatamente alla sua sorgente ; in
Nannetes, o Nantes, contrada intersecata da ruscelli.
7. Ebor, o Ebur. Prichard non trova altra probabile etimologia pei
nomi che contengono la parola ebor, che il cimrico aber , che signi-
fica « confluenza di acque, » sebbene l’ uso di essa voce non fosse li-
mitato solamente al paese di Galles, ma fosse comune anche in [sco-
zia, come Aberdeen , Aberborlbrick , Abercurning, etc. — Uàvre de
Grace trae di qui probabilmente anche il suo nome.
8. Tre — in Treviri, Tricaslini , etc. Tre, Trev, borgo in cimrico ;
non esiste in erso.
9. Latini, Lauri.— Llan, cimrico, chiusa, trincea. Di qui Segelau-
ni, Catieuchlani, etc.
10. Cad, Cai, Cas. — Cad, in cimrico, significa truppa; quindi ca-
terva, da cad , battaglia o conflitto ; e tyrva, tanna, cadtyrva, caterva,
truppa di soldati.
11. Acum, iacum — come in Nemetacum, Epiacum, Gessoriacum.
Aig. (cimrico), branco, mandra, truppa; aig ed aich sono terminazioni
comuni in cimrico.
12. Ates e iates, alus. — laid, aid, in cimrico, è terminazione fre-
quente di aggettivi, come Ceisariaid, i Cesariani, o Romani, facilmen-
te convertibili io ates, iates : medesimamente aeth è terminazione di
nomi, come Cattraelh.
13. Rilum — in Augustoritum , Poitiers ; Aoderitum, Javols ; Cam-
boritum, Cambridge ; Durocoritum , Vannes. Rhyd cimrico , ryd cor-
novagliesc, guado ; quindi in cimrico Rbid-ychan per Oxford. L’erso
non ha parola corrispondente che si approssimi a questa radice.
14. Triges — in Durolriges. Trig, in cimrico, stanziare, dimorare :
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LIBRO SECONDO
182
di qui irigan rimanere; trigadiad, abitanti ; onde Duro-trigas, abitanti
in vicinanza delle acque.
15 . Lhvcch, cimrico — ìoch, erso , lago, entrata di acqua : occorre
questa parola soprattutto modificata in lug, o lue, come in Loukotokia,
Lutctia , Parigi. Lugdunum , capitale de’ Segusiani fra il Rodano e il
Dubis, era situata nel punto in cui, al dire di Strabone, l'Arar si con-
giunge col Rodano.
I nomi propri de’personaggi gallici ricordati dagli scrittori antichi
trovano parimenti la loro spiegazione ne’moderni idiomi celtici ; cosi
Brennus , il capo de’Senoni che saccheggiarono Roma, e il capo dei
Teclosagi che invasero la Grecia , deriva dal cimrico Brenhin che si-
gnifica re, o dall’ armorico bren che ha la stessa significazione. Anche
in erso l’antiquata voce Braes significava principe, sovrano.
Orix è la terminazione di alcuni nomi di capi gallici, come Ambio-
rix, Cingetorix, Vercingetorix, Eporedorix, Dumnorix, Orgetorix.
Boiorix era un capo de’ Cimri.
Goruch (in cimrico l’u pronunziasi quasi come l’i), ovvero in costru-
zione oruch, omessa l’iniziale g, significa, in cimrico, sovranità, supre-
mazia : adoperata avverbialmente quella parola significa su , sopra.
Orix può derivare da questa etimologia, ma Prichard lo deduce piut-
tosto da goneych, praepotens, In tal guisa Cingelorix è fa-
cilmente risolubile in Cyncad , che significa il primo in battaglia , ed
Orwycb. Il nome composto, che è nel perfetto genio della lingua cim-
rica , Cyncad- orwy eh, non può essere scritto da un romano altrimenti
che Cingelorix ( 1 ). Dumnorix è il valoroso o potente Dwvyn, o Dym-
byn, o Dymhn. Questi nomi entrano per una sillaba nella composi-
zione de’ nomi propri cimrici, o bretoni , come Dyvnwal Moelmud,
o Dunvallo Molmulius , Dyvnaint , Dumnacus , principe degli Audi.
Fer, in Vercingetorix e in altri nomi , è probabilmente il cimrico
gter, ter, l’ irlandese fear che significa rir, >if*s. Gw in cimrico co-
munemente rappresenta il ri latino , come gtcraig, virago ; ed anche
il vo, come in Gwrlbeyrn (Vortigerno in ortografia latina) , rir prin-
ceps: quindi Ver-cinget-orix è Gwr-cyncad-orwych, ed Orget orix è
Gorcad-orwych. Ambiorix ha lo stesso nome oria: dietro la voce
ambi, che occorre non raramente in altri nomi celtici, come Ambi-
gatus.
Per ultimo, a fine di meglio dilucidare la somiglianza degli antichi
dialetti de’Celti co’moderni idiomi erso, cimrico, bretone, noi dare-
mo la spiegazione di alcune n vocabolo gallica et celtica » trasmesseci
dagli autori classici , mediante etimologie dedotte dagli odierni par-
lari celtici.
1 . Petorrilum , che al dire di Aulo Gelilo « non est ex Graeca dimi-
dialum sed lotum Transalpibus , nam est vox gallica » , significava un
( 1 ) O’Brien deriva Cingelorix dalle parole erse Cin-go-loir, il capo della
spedizione, e suppone che non sia un nome proprio, ma un titolo officiale.
RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 183
carro a quattro ruote ; ed infatti petor, in cimrico e in cornovagliese ,
vuol dir quattro, e rhod, in cimrico, ruota.
2. Pempedula, cinque foglie, al dir di Dioscoride cosi chiamata dai
Celti. Pemp, pump, cinque (cimrico, cornovagliese ed armorico), e dei-
len (cimrico), foglia. Può fornire l’etimologia di foglia anche il dwiUc
irlandese; ma non cosi quella di cinque, che in erso dicesi cuig.
3. Trimarkisia , cavaliere che combatte con due scudieri : da fri ,
tre, e march , cavallo : entrambe le parole sono cimriche ed erse.
4. Nella vita di S. Caprasio si dice che il borgo di Agen, in Guien-
na, ovvero Agennum, è cosi detto « ab iatu speluncae». Agen, in cim-
rico, significa grotta, spelonca.
5. Bagaudac , la rozza moltitudine che fece una insurrezione nelle
Gallie a’ tempi di Diocleziano e Massimiamo. In cimrico bagad signifi-
ca moltitudine.
6. Baslard, in Du Fresne, deriva evidentemente dalle voci cimriche
las, basso, e lardd, sorgere.
7. Vergobretus, al dir di Cesare ( B. G. I. 18.), era il nome del ma-
gistrato principe presso gli Edui. L’etimologia di questo nome O'Brien,
nella sua dotta prefazione al Dizionario irlandese , la deriva dalla vo-
ce ersa brealk , giudizio. Fear-go-breith significa in irlandese • vir ad
judicium ».
Il cimrico fornisce egualmente una non men atta etimologia. Gicr
è ter, vir; e gyvrailh procedimento giudiziario. Gtcr-gyvraith, che si-
gnifica « eir ad leges » , può essere scritto in Ialino Vergobretus.
8. Culliomarchus , la pianta detta Equiungula. il nome è derivato ,
secondo Marcello Burdicalense , damare, equus , c cal, calus , un-
gula. March, equus, caled, durus sono parole che vivono tuttora nel
cimrico. L' armorico ha kalet. Terso cala.
fi. Caterva, al dir di Vegezio e di Isidoro, è parola di origine gallica
Cad e tyrva, truppa di soldati, ovvero esercito, in cimrico. L’erso ha
Cath, battaglia, ma non parola che corrisponda a tyrva.
10. Rheda, carro a quattro ruote, ossia carretta che i Romani, a
detta di Quintiliano (Lib. I cap. 5.), trassero insiem col nome da’Gal-
li. L’etimologia è nel cimrico r he, veloce; d'onde xhcdu, correre velo-
cemente ; rhedeg, correre alla corsa. Arm. redek , erse realham , io
corro. L’ erso ed il cimrico hanno questa radice , ma la cimrica è più
vicina all'antico gaelico.
11. Candelum, una misura di terra di cento piedi , in Columella.
Cani, in cimrico ed armorico, cento. L’erso ha ktd.
12. Tarrns Trigaranos, in una pietra scritta scavata nel 1711 nella
Cattedrale di Parigi, e rappresentante un bue sul quale posauo tre uc-
celli. Etim. tane, bue, in cimrico ed armorico; tri, il numero tre, e
garan, gru. Le parole erse sono tarbh , tri, corr.
Erano i Celti un popolo fiero e coraggioso , e da natura accomo-
dato a sostenere T aspre fatiche della guerra c i disagi grandissimi
delle migrazioni. Erano di forti e robusta membra, di elevala statura
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184
LIBRO SECONDO
di sguardo truce e feroce. Tali ci sono descritti dagli! autori che eran
vissuti in mezzo ad essi, o contro di essi aveano sostenuto gli impeti
e lo sorti de' combattimenti.
Ammiano Marcellino, ch’era stato molti anni nelle Gallie, così
tratteggia i caratteri di questo popolo : « Quasi tutti i Galli sono di
statura eminente, di carnagione bianchissima, con capelli rosseg-
gianti ed occhi e sguardi feroci : accattabrighe per natura , altieri ed
insolenti ne’ loro modi. Un esercito intero d’altra gente non terrebbe
fronte ad un sol Gallo, massimamente s’ egli abbia per aiuto , nelle
battaglie , la sua robusta donna dagli occhi azzurri , la quale , gonfie
le vene del collo , stringendo i denti , levando in aria le sue grandi
e bianche braccia, e facendo uso come arma offensiva de’ piedi e dei
pugni, lancia i suoi colpi con tal violenza da somigliare alle pietre
scagliate dalla catapulta. II suono della voce loro ha quasi sempre
qualche cosa di terribile e minaccioso , anche quando parlano senza
sdegno. Tutte le età stimano atte alla guerra , ed un vecchio prende
le armi con tanto coraggio, come un uomo nel fiore degli anni , e le
sue membra indurite dal freddo e dalla fatica le portano ancora con
vigore. Disprezzano il pericolo, nè si vedono fra essi gli uomini che
noi chiamiamo per derisione Marci in Italia, cioè col pollice ta-
gliato per liberarsi dal servizio militare. I Galli amano molto il vino,
cd hanno inventato altre bevande inebrianti ; onde vi sono uomini
fra il basso popolo in cui l’abitudine dell’ ubbriachezza ha istupidito
i sensi, e gli ha renduti veri idioti (1) ».
La descrizione che ci lasciò Strabone concorda con quella di Am-
miano , quanto alla fierezza del carattere ed al coraggio individuale
de’Celti , ma ei li dice in oltre capaci di cultura e d’istruzione lette-
raria, d’animo aperto, nobili , generosi, e pronti sempre a difen-
dere, anche con le armi, la causa di chi si opprime (2).
Ciò che faceva adunque maggiore impressione nell’animo de’Greci
c de'Bomani era la grandezza della persona de’Celti , e la robustezza
delle membra loro (3). Ammiano Marcellino dice di più, che i loro
occhi erano azzurri, e i capelli tra il biondo ed il rosso come presso
i Germani (4). Livio altresì avea notato l'alta statura , e le lunghe e
rosse chiome de’Galli (5); c Virgilio parimenti accennava a'ioro biondi
(1) Historiar. qu® sùpersunt, Lib. XV. cap. 12.
(2) Lib. IV. p. 299, ediz. cit . napaVsta^svrss Za siip ay»s sySiSóatrt «pòt Tu
3tf^3i(*oy* àars xai 1 «raiSsias àirrsaSai.xai 1 liyàv rrfi Ss jSias.ro (isy i*. ri<y (jojsaroy
Cari fieyiXSt/ ùnt x y , ri Ss in roù • Oyyiaai Ss’ xat' xara? aaSivs
Sii to six'Xoyùy, xai’ «■J3s'x*!jroy,oyyaj'*yaxro0yrss tois «Sixsia^ai BoxoSjiy asi' riv
«Oujtrioy.
(3) Cosi Cesare : Plcrumquc hominibus Gallis pr® magnitudine corporum
suorum brevitas nostra conteraptui est (B. G. IV. cap. !.)■ ed Arriano ti
dice « |ji«ya).ot ri aiyxrx » (Lib. IV.).
(1) Com® rutilantcs ex more Gefmanonim.
(3) Proccra corpora, promissac et rutilat® com*. Lib. XXXV 111 c. 17.
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RAZZA ARIANA-FAMIGLIA CELTICA.
185
capelli ed alla bianca loro carnagione, in que’versi del libro Vili, del-
l’Eneide:
Galli per domos aderant, arcemquc tenebant,
Aurea csesaries ollis
tum lactea colla
Auro inncctuntur.
E Claudiano nel seguente verso (in Rufinum):
Inde truces flavo comitantur corporc Galli ,
c nel suo secondo panegirico di Stilicone :
tum flava repexo
Gallia crine ferox, evinctaque torque decoro
Binaque gassa tcnens, animoso pectore fatur.
Lucano nel X. della sua Farsalia ricorda il biondo capello de’Galiu
. . . . tam flavos gerii altera crines,
Ut nullas Rheni Cassar se dicat in arvis
Tam rutilas vidis'sc comas ;
ed anche Silio Italico :
Auro certantem et rutilum sub vertice nodum.
Diodoro egualmente descrive le lunghe e bionde chiome galliche ,
e l’ artifìcio adoperatovi intorno per lingerie in rosso (1) , del che fa
menzione anche Plinio nel XXVIII. della sua Storia Naturale.
Tacito, scrivendo de’Celti della Brettagna, non dimentica i rosseg-
gienti capelli degli abitanti la Caledonia (2), e nelle antiche poesie
popolari erse e gaeliche raccolte e pubblicate dal Machperson e Smilh
sotto il nome di Ossian ( ma che probabilmente appartengono a
diversi bardi d’irlanda e di Scozia , tutti anteriori al secolo Vili, del-
l’ era nostra , e posteriori alla introduzione del Cristianesimo ed alla
estinzione del druidismo nell’lsole Briltaniche) gli Irlandesi sono sem-
pre chiamali gli occhiazzurri figli di Erina (3) , ed ora come bionda ,
(1) I.ib. V. 28.
(2) Rutilai Calcdoniam habitantium cornai (Agr. II.).
(3) Il Duce
Occhiazzurri d'Erina.
(Fingai. I.)
Spregiò d’Erina gli occhiazzurri duci.
(Id. IV.)
Guardando stati da’ lor nebbiosi colli
Gli occhiazzurri d’Erina.
(Sulmalla)
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LIBRO SECONDO
186
ora come rossa è descritta la chioma loro (1) e quella de’ Cale-
doni (2).
Cosi pure, nelle Triadi Bretoni, una colonia gaelica di ceppo scoto-
irlamlese è chiamata : t rossi Gaeli d'irlanda. In altra antica cronica
gaelica del 1057 i montanari della corte di Malcom 111. sono appel-
lati qiaUochiomati :
A eolca Albain uilc,
A shluagli feta folt-bnidhe.
Vos docti Albani omncs,
Vos exercitus peritorum llavo-coraatorura (3) ;
e generalmente tutti i Gaeli sono ricordati dalla tradizione come uo-
mini di biondo capello e d’ occhio cilestrino (4).
Se dagli autori greci , latini e celtici abbiamo saputo quel era la
In molti luoghi delle stesse poesie anche i Caledont son descritti con occhi
cerulei.
Vivace figlio
Dell’ occhiazzurra Ciato.
(Temora, IL)
Chi yien da Strnmo a passo tardo e lento
Coll’ondeggiante crin?
Volge ad Brina sospirosa il guardo ,
11 bel guardo azzurrin I
(Id. III.)
Vidi il soave
Girar dell’azzurrina pupillctta.
(Id. IV.)
Più non vedesti nelle vòte sale
L’occhiazzurra brillar sua dolce figlia.
(La battaglia di Lava)
(1) Qui colla bionda giovani! ricciaia
Sta Feradaste, l'occliiazzurro figlio
Del buon Cairba regnator d’Ullina.
(Temora, Vili.)
È trascinata e sparsa
La gialla chioma per la molle arena.
( Fingai, IL)
Gira bieco il guardo
Cormir rossocrinito.
(Temora, I.)
(2) E vetta di collina, ove riposi
Nuvoletta dal sol dipinta a sera.
Pareva, o Civadona, il tuo crin biondo.
( L’incendio di Tura )
(3) O’ Cannar, Rerum hibernicarum scripp. Prolegom. I2i.
(4) Keating, History of lrelaud, p. 40.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA.
187
statura, il colore della pelle, degli occhi e de’capelli de' Celti, un al-
tro genere di ricerche ci farà nota la forma del cranio.
Esistono in tutta l’Europa occidentale, dalla Scandinavia alle Isole
Britanniche ed alla Spagna , antichi sepolcri qua e là disseminati , nei
quali si conservano gli avanzi mortali de’ prischi abitanti di quelle re-
gioni. Accompagnano quegli ossami alcuni monumenti dell’ umana
industria coevi di quelle tombe , le quali , secondo che contengono
utensili, ornamenti, armi in silice, osso, terra cotta, o in bronzo, rame
ed anche in oro , ovvero in ferro , si dividono in tre categorie , che
giusta il pensamento degli odierni archeologi (1) appartengono a tre
diverse epoche, le quali si dicono di pietra, di bronzo e di ferro, essen-
do la prima la più antica , e l’ultima la più moderna di tutte.
Ora si sa che i Germani, quando giunsero in Europa, conoscevano
|* uso del ferro , o perciò è comune opinione , che le tombe della
terza epoca fossero opera loro, e alla stirpe loro appartenessero quegli
scheletri che vi si sono rinvenuti.
I Germani erano stati nelle loro migrazioni pel continente europeo
immediatamente preceduti da’Celti, quindi a costoro sembrano doversi
riferire i sepolcri del secondo periodo , del periodo di bronzo , e gli
scheletri che vi sono rinchiusi appartenersi a quelle celtiche popola-
zioni, le quali prime si tramutarono d’Asia in Europa.
Vari sono tuttora i pareri intorno a’costruttori de’ sepolcri della più
antica epoca, e chi li crede fattura de’ Celti, chi de’Finni, e chi final-
mente di una razza di uomini già estinta (2). Se in mezzo a tali di-
spareri è pur lecito produrre una propria opinione , io affermo , che
quelle tombe non si debbono attribuire ad altri che agli Iberi , i qua-
li movendo dall’Asia prima de’ Celti e de’Germani ad occupare le
vergini contrade dell’Europa, si distesero a mano a mano dalla Palude
Meotidc per l’Europa centrale, nordica ed occidentale, sempre incal-
zati di più in più dalle orde celtiche valorose e guerriere , che ne
seguirono le orme , e non si posarono dall’ occuparne le sedi anche
(1) .K>/cr«tcm,Ansichten flber die keltischenAlterthttmer. flotte, —
Wormsaae, The Primevai Antiquitics of Denmark, translatcd by IV. J.
Thoms. London, 1849 — Merime'e, Sur Ics antiquités prctendues ccltiqucs;
Monitcur universel du lì avril 1885, num. 104 — Munch, Det norskc Folks-
liistorie, trad. in ted. dal C lause n. Lubeck, 1855 — ■ Wilson, Archeological
a. Prehistorical Annals of Scotland. Edimburgh, 1851 — De Gobineau, Es-
sai sur.l’inégalité des races humaines, I. Ili, 1855.
(2) È l’opinione che oggi incontra maggior favore. « The Cella; ( ice havc
seca reason tc beline ) are by no means to be regarded as thè primal hcin
of thè land, but are, on thè contrary, comparalively recent intrudere. Agcs
before their migration iato Europe, an unknotcn Allophylian race had wan-
dered to Ibis remote i stand ( Isole Brittannichc) of thè sea, and in its turn
gave place to laler Allophylian nomade s , also destined to occupy it only for
a lime. Of these antehistorical nations, Archa’ology alone reveals any tra-
cci » — Wilson, Arch. a. Prelùsi. Auuals of Scollami pp. 700-701.
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LIBRO SECONDO
188
quando , varcali i Pirenei , ricoverarono gli Iberi in Ispagna , o solcalo
il mare cercarono rifugio nell’Isole Brittanniche. Agli Iberi primitivi
crediamo adunque appartenersi que’tescbi trovali nelle cripte e sepol-
creti del periodo lapideo ; e se non fallali nostro giudizio, i loro ca-
ratteri anatomici Io confermano in maniera evidente. E nel vero il
cranio de' Baschi odierni, ed in gran parte eziandio quello de’Liguri,
i primi discendenti legittimi delle vetuste popolazioni iberiche della
Spagna, i secondi di quel ramo d'Iberi che si allargarono per la costie-
ra mediterranea dalle foci del Rodano Ano a quelle del Tevere , ras-
somigliano grandemente a’ teschi raccolti da quelle antichissime se-
polture dell’ età di pietra : crani corti e larghi , con 1' occipite am-
pio e dilatato , da poter servire di tipo alla forma brachicefala orlo-
gnata del Relzius, senza per altro essere interamente identici alla pi-
ramidale del Prichard ed alla mongollica del Blumenbacb, non aven-
do molto proeminenti i zigomi , nè larghe e profonde le orbite , nè
molto piane le ossa nasali, nè l’apparenza, per cosi dire, quadrata del
contorno del viso, ma presentando, in universale, un tipo intermedio
fra l’ovale ed il piramidale dell' illustre etnologo brittanno (Tav. X.,
fig.1.2.).
Diversa (massimamente per la relativa proporzione de’diametri an-
tero-posteriore e bilaterale) dalla forma precedente è quella de’ crani
trovati nelle tombe del periodo di bronzo, e pertinenti , come io cre-
do, ai Celli. Questa conformazione è quella che anche oggigiorno di-
stingue la famiglia celtica , e rappresenta la forma ovale del Prichard,
o la caucasea del Blumenbach (fig. 3.4.), se non che ne’ crani antichi
trovasi più lungo che or non sia il diametro antera posteriore, più
stretto il bilaterale e l'occipite più sporgente, il perchè gli anlropologi
inglesi e scandinavi hanno adottato per essi il nome di Cimbo-cefali ,
per indicarne la figura simile a quella di una navicella (kV£»i , cy tu-
ba, barca); onde io credo con molta verosimiglianza, che essi rappre-
sentino il tipo celtico primitivo , innanzi che le nuove dimore e la
nuova civiltà alla quale indi i Celti furono chiamali non avessero mo-
dificato a poco a poco quella parte del loro scheletro, e non ne avessero
eziandio alterata in parte, col lor connubio, la natia purezza, gli Ibe-
ri, i Latini ed i Germani (t).
(1) Per la parte antropologica delle popolazioni prim itive dell’Europa oc-
cidentale contai, la Memoria del prof. Etchricht, di Copenaga « Sugli avanzi
sepolcrali delle antiche razze della Danimarca e contrade vicine » , quella
dell’Estorf: « Intorno agli antichi monumenti celtici dell’ Annover », e quel-
le del Retzius « Sui crani de’primi incoli della Francia », « « Sui crani delle
antiche tombe d’Inghilterra c d Irlanda». Ved. anche Lalanne, ne’Comptes-
Rendus de l’Academie des Sciences de Paris (1845); Serre» ("ibid. 1845)
pc’crani trovati a Meudon, ed altri rinvenuti in altri punti delta Francia
fibid. 1855). Interessantissime sono le Ricerche sui primi abitatori della
Scandinavia del prof. Nillson, di Lund , il classico lavoro del Doli. Wilson,
e i Crania Britannica de' Dottori Davis c Thurnam.
Di
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5 *
t » V '•
«I -
rr.'rttìl! *
ato*'w*Broi-,<> In fspagna . o solcala
•df l*-* UrilUatncbe. Aglllberi priinlUvà »
*•**■•* quo • >ciii li-ovali nella criple o sepol» s
. >6 ikh> bH* Il uoslro giudizio, ( loro co* *
j; .m’- Hi intiera evidente.- Enel vero 11
,-*Y - *. ■•'1 -• urti parla eziandio quello del.iguri,
+ . «■ dodo Suste popolazioni iberiche ddU
?r raift.» 0 Ibcri che si allargarono perla
Ad fi. <iaoo tino a quelle del Tevere , r»-
.> ..id»-:- h- •«' virili raerolli da quelle antichissimo
* • • j* «a : ••rem .orti e lardili , con 1‘ occipite ntu-
de >.m *ervire di tipo alla forma brachiceCita orto-
• mu por altro "Mere interamente identici alla pi- ■
. j :ib itìooiiolbca del Ulumenbach, uod ive*-
• . mni. nè bighe e profonde le orbile , uè
e» ■ *i nei li, t jppaienza, per cosi dire, quadrata del *
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. niii! iole d u illustre etnologo britanno (Ta». X-, '
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trova. i ► pruado di ènansot o pertinenti, cotne io cn>-
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•lingue (a famiglia r atea , e rappresili., b torma ovaio del iVidiard, .
o la caucasia del lìiumeabacli (fijj. 3.4.). se non che ne' crani aulìchi
trovasi piu lungo elio or non ria il diametro autero posteriore, più
Strallo il bilaterale e l’occipite più sporgente, il perchè gli nn tropo! ogt
ii ><IM o scandinavi hanno adottato per e • mie di lembo -cefali ,
pac indicai».. la figura simile a quella di lina navicella , q/m- .
S b*- • ' n* credo con molla verosimiglianza, che essi rapprc-
■ « 'éUcj primilivo , iuuan/ì che la nuovo dimore « U
» »;s< - nA Indi i Celti fw ^locbiainali non avessero ma» ir.
' dUh'js ' vj* tvjMblla pari# da» h-t scheletro, enei» no avesse
eawn •*«.-. «r. li parlo, eoi ter < »c ... wif, la natii purezza, gli!
ri, > lag* » ed . Gerruoni (1).
’ ft f'er la parie antropologie* dette popolazioni f rifiutine dell' E*
* einnUfle contai, la Memoria del prof, Eeehheh^ di Cqanaga «Sanili.
• V mpuloali delle antiche razze deUa Danimarca e ruoli , ghetta
_ d<M. iìttur[ : « Intoni... agti antichi uiomimenli celtici dell •.Wr<r., tf uW-
,, le A il /hit. «uà e boi crani de primi incob della (rancia », < « Sui crani rbllr
«iiticiic Uaubcd’lngli'llena •. u blanda*. Val. anche ialino 4 p..«-
Hendus de l'Acadeinie de» sciencc* de l'ari» ( lùtei, Sernct .filiid. TvJ' )
y*\ ir.i i f/,.ur. o Me ■,,* ■ cl a. tri i ’ - Francia
/fhUi, JSòò). intere ttantìetmu tono le Kieerche voi firmi, abitatori delta
5 j .'hnavn» del prof. KiUton, di Lnnd. il deaero U- ■ t otl Òdi H
• •.i Liia iirilanmca uFlMlori « i'han*e*>.
m
*
TAV. X
Cranio iberico ?
Cranio celtico.
Digiti.
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RAZZA AniANA-FAMlGUA CELTICA. 189
Con questi avanzi osteologie'!, e con le notizie raccolte dagli scritto-
ri noi possiamo dunque deiineare i caratteri fisici de’Celti , quali es-
si erano innanzi e dopo il cominciamento dell’ era volgare : teschio
ovale , fronte mediocremente alta e non molta larga , statura emi-
nente , complessione robusta , colorito incarnato , occhio azzurro,
capelli e peli biondi o rosseggianti. Ma tali caratteri non più tutti si
ravvisano oggi , non dico già nella Francia intera o nella intera Gran
Brettagna , ma in quelle stesse contrade di Francia e delle Isole Brit-
taniche , le quali si conservarono più lungo tempo indipendenti da
straniere dominazioni , e più lungamente mantennero la nazionalità
loro, come la Brettagna francese, la Scozia Settentrionale, il paese di
Galles e l'Isola d'Irlanda. Il connubio de'Celti con popoli di altre stirpi
(oltre la influenza prolungata del nuovo clima ) ne ha alterato cosi le
forme primigenie, che gli odierni abitatori delle Gallie, della Spagna
e delle Isole Brittannicbe presentano io parte anche i caratteri fisici
di que’ popoli che si stabilirono in mezzo ad essi ; onde vedi, in Fran-
cia, il tipo celtico qui congiunto all’ iberico ed al latino, là al germa-
nico , altrove al greco che fu dominante nella colonia focese di Mas-
silia , od al semitico dal quale derivarono gli abitatori delle città fe-
nicie di Nemauso ( Nimes] e di Alessia ; in Inghilterra , commisto al
tipo iberico , o al latino , o al teutonico nella maggior parte ; ed in
Ispagna associato all’ iberico , ed in parte al Ialino , al germanico ed
al semitico , tanto per le colonie fenicie e le incursioni cartaginesi ,
quanto per la invasione e dominio che vi esercitarono per lungo tem-
po gli Arabi maomettani.
Vissero lungamente i Celti nella fiera loro indipendenza fino a
che i Romani non gli scacciassero d’ Italia , e non ne occupassero
le proprie contrade, riducendole in provincia latina. Volgendosi
i Romani nelle Gallie posero stanze primamente in Provenza ove
fondarono la colonia d ’Aquae Sextiae, l’anno di Roma 629. Di là mos-
sero verso i Pirenei , e vi collocarono la potente colonia di Narbo-
Slariius, Narbona, la Roma delle Gallie, la rivale di Massilia. Nè val-
sero a respingere i Romani le barbare orde de’Cimbri-Teutoni e degli
Ambro-Teuloni , che il loro braccio congiunsero a quello de’ Galli :
nè valse la totale disfatta del console Cepione , perciocché l’ arpinale
Mario assali e disfece presso l’Acque Sestie il poderoso esercito degli
Ambro-Teutoni , e discendendo in Italia , nelle pianure presso Ver-
celli annientò la potenza de’Cimbri che arditamente si erano spinti
fin sulla sponda sinistra dell’Eridano, minacciando distruzione e bar-
barie al popolo latino.
Ma la Gallia indipendente era lacerata dalle intestine dissenzioni
degli Edui e degli Arverni e Sequani, i quali invitarono in lor soccor-
so le tribù germaniche degli Svevi che, oppressi gli Edui, furono an-
cor più crudeli con gli alleati Arverni e Sequani. A liberarsi da tanti
nemici le fazioni opposte della Gallia , ravvicinate dalla sventura , in-
vocarono l'aiuto degli Elveli e de’Romani ; i primi cari al partito degli
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1.1 URO SECONDO
190
Edui comandati da Dnmmoricc fautore de’ capi de* clan ; i secondi al
partito popolare, o della elezione rappresentato da’Druidi. Erano in
forse i (tulliani se dovessero volgere le legioni contro lo svevo Ario-
visto, o spingerle contro gli Elveti che, abbandonate le contrade na-
tive, aveano in pensiere di stabilirsi ad occidente nel paese de’Santo-
ni ( Saintes ) ; ina l'invitto Cesare attaccò prima gli Elveti e li respin-
se nelle native montagne ; quindi le genti di Ariovislo, di cui pochi
scamparono dal ferro nemico per perire, fuggendo, nel Reno. Allora
i Galli nuovamente si collegarono contro i Romani , i quali uscirono
sempre vincitori da’ combattimenti, e fermarono di ridurre, come nel
vero ridussero , tutta la Gallia in loro soggezione.
Più fortunati de’Galli non furono i Celti ebe erano passali nelle Spa-
gne c componevano, insieme co’ primi incoli dcll’lbcria, la nazione dei
Ccltiberi. E perchè i Fenici commerciando con la Spagna aveano sco-
perta l’ inesauribile ricchezza delle sue miniere , e vi aveano fondato
colonie assai , i Cartaginesi non vollero perduto per sé un paese co-
tanto fertile, e ne designarono la conquista co’soldati di Amilcare. Non
ressero i Ccltiberi a’ primi impeli dell’esercito africano, c i più valo-
rosi , ed Indoriate, e il maggior numero de' suoi cinquantamila com-
battenti furono uccisi dagli invasori , che 6oltomisero in un baleno
tutta la costa occidentale della penisola battuta dall’ Oceano. Ma per
quelle vicende che sogliono accompagnare le guerre, disfatto e spento
in una battaglia il capitano cartaginese, assunse il comando il suo ge-
nero Asdrubale che sottomise al suo giogo molti capi di barbari, e fon-
dò la nuova Cartagine ( Cariogena ) cui meditava di render emula di
Cartagine antica c di Roma. Lui spento, videsi a capo dell’ armata pu-
nica in Ispagna il giovanettoAnnibale, die ridusse all’obbedienza i Cel-
tiberi dell'interno (Olcadi, Carpctani e Vaccei), ed assali e prese Sa-
gunto alleata di Roma.
Arse allora e divampò ostinata guerra fra le due rivali Cartagine e
Roma: guerra chcdovea decidere quale de’due continenti dovesse al-
l' altro prevalere, e dare legge e norma alla nascente civiltà.
Volle fortuna anche questa volta vincitrici le aquile romane, e non
ostante tutta l’arte di guerra maravigliosamente spiegala da quel prode
de’ prodi Annibaie, che per ben diciotto anni fu lieto delle italiche
contrade, gli Scipioni meglio di lui assecondali e sostenuti dalla costan-
za di chi reggeva le sorti del Campidoglio, l’ebbero finalmente battu-
to e vinto. Con che anche la Spagna fra l' Ebro e i Cirenei , l’ antica
Castiglia con parte della nuova e dcll’Aragona, e la Spagna ulteriore,
il Portogallo, Leone, Andalusia, venne tutta in potere di Roma trion-
fante.
Ma non soffrendo i Ccltiberi di esser retti alla foggia di provincia
romana, provocali dalle crudeltà di Lucullo e di Galba , si unirono
con gioia a Viriate che tentava di emancepparli. Nulla furono per
essi le disfatte toccate successivamente da cinque pretori e dal Con-
sole Serviliano che concluse un trattalo fra il popolo romano e VI-
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 191
rialo ; perciocché , ucciso questo per comando dei Senato di Roma,
e concentrata la guerra nella sola Numqnzia , capitale degli Arvachi,
dove s’ erano raccolte le tribù de’ Belli scacciati da Segeda , dopo gli
eroici sforzi di un valor disperato cadde pure Numanzia in potere dei
Latini , e con essa tutta l’ampia penisola spagnuola senti il giogo che
le imponeva il Campidoglio.
1 Celti di Brettagna oscuramente vivendo nelle terre loro circonda-
te dal mare non ebbero parte a' gran movimenti delle nazioni confi-
nanti co’Romani, e furono gli ultimi della loro famiglia che sentisse-
ro il peso del dominio di Roma. L’ Irlanda pertanto si resse sempre
con proprie leggi , ed ebbe serie non interrotta di re nazionali ; e la
Scozia fu tanto gelosa della sua libertà , che a liberarsi dalle minacce
de'Pitti e de’Caledoni (scozzesi), i Romani innalzarono una mu-
raglia che separava dalla barbara la Brettagna da essi tenuta. Quel-
la gran parte poi dell’ Inghilterra che fu invasa dalle armi latine vi-
dcsi eretta a romana provincia, e governata secondo il senno e le isti-
tuzioni dei vincitori.
Or ecco i Galli, i Ccltiberi e i Brittanni ridotti in potere di Roma :
ecco la civiltà italica ingentilire i barbari dell’Europa occidentale. I
rozzi suoni della celtica favella sono sostituiti nel foro , nelle magi-
strature, negli offici, dall’armoniosa lingua del Lazio. Qui però cessa
l’autonomia della celtica famiglia, e d’ora innanzi i destini di questi
popoli sono associati a que’ di Roma, e poi de'Germani, di cui diven-
nero conquista. Ma prima di seguire le vicende delle dominazioni
germaniche nelle diverse province delle Gallie , piaccia al lettore di
rivolgere per poco la sua attenzione sulle credenze religiose , e sullo
stato civile delle celtiche popolazioni , quand’elle non erano ancora
soggiaciute nè al dominio latino, nè al teutonico.
I Celti erano, a' tempi di Cesare e già ben molto anche prima di
Cesare, popoli stanziali, che viveano in grandi villaggi, de’ quali al-
cuni sì vasti , che pel numero degli abitanti poteano bene chiamarsi
città. Possedevano comode abitazioni, semplicemente ornate. Fonde-
vano, e lavoravano in mille guise i metalli, e il legno, l’osso e l’avo-
rio dalle lor mani prendevano le forme più delicate. Non ignoravano
l’arte di fare il vetro e le terre cotte, nè il mestiere di filare la lana e
ridurla a stoffe discretamente fine. Coniavano monete per i bisogni
del commercio esteriore, e ne aveano d’oro, d’argento, di rame, d’oro
argento e rame ; tonde, quadrate, radiate, battute in basso od alto ri-
lievo , e talune eziandio con leggende ( forsé cellibere ) non ancora ,
ch’io sappia, deciferate.
Pria che le tribù cimriche recassero nelle Gallie ed io Brettagna la
religione da esse professata (1), gli altri Celli adoravano obbietti mate-
(1) Sulla religione de’ Druidi, oltre Cesare, ved. Thierry Histoire des Gau-
lois ; Michelet, Histoire de France ; la Storia d’Italia del Medio Evo di C.
Troya, lib. IV.; Pictel, negli Schiarimenti al I. libro della Storia cit. del
Michelet ; Keferstein, Ansie Idea iiber die keltischen Alterthum ; Diefen-
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MURO SECONDO
192
riali, fenomeni e forze della natura, come laghi, fontane, alberi, venti,
e sopra ogni altro il terribile Kirk (1). In appresso ad ognuno di que-
sti obbietti e di questi fenomeni, non che ad ogni luogo e ad ogni tri-
bù, fu preposto un Genio che li governasse, e Tarano (2) fu lo spirito
del tuono, Vosegio divinità de’Vosgi (3) , Pennino delle Alpi , Ar-
duino delle Antenne (4). Gli Ar verni avevano il loro genio (5): Bibra-
cte era Diva e Città degli Edui (6), Aventia degli Elveti (7), Ncmauso
(Nlraes) degli Arecomici, etc.
Sotto il nome di Belo o Beleno il Sole facea nascere le piante salu-
tari, e presiedeva alla medicina (8), Euso od Eso alla guerra (9), Teu-
tate al commercio ed aU’industria; ed alla poesia e all’ eloquenza so-
vrastava Ogmio, armato della scure e dell’arco, c straseinantesi dietro
uomini legati per l’oreccbie con catene d'oro e d'ambra che gli usciva-
no dalla bocca (10).
Feroci credevansi cotesti Numi de’Celti, e più feroci erano i sagrifi-
cì che loro si offrivano , imperciocché non solamente gli uomini feri-
vansi con la spada nelle reni per pigliare co’ riti d'orrida scienza gli
auguri dai moti del volto e dai gemiti del dolore , ma le vittime rac-
chiuse in grandi e mostruose macchine intessute di vinchi , vive non
di rado s’ ardcano.
I Druidi ammansirono le sanguinose superstizioni degli altri Celli,
cd insegnarono la materia e lo spirito essere eterni , c la sostanza del-
l'Universo rimanere inalterabile nella perpetua variazione de’fenomeni,
ne’ quali domina a vicenda ('influenza deli’ acqua c del fuoco (11). A
queste dottrine accoppiarono il dogma della metempsicosi, credendo
che le anime dopo morte andassero errando nell’ aere , e passassero
da un corpo ad un altro corpo umano (12).
bacii, Celtica. Sprachliche Documento zur Gescliichte dcr Keltcn. Stuttgart,
1839, t. I.
(1) Maxim. Tyr. Semi. 18 — Seneca, QuKstion-nat. Lib. V. c. 17 —
Strabonc, Lib. I V — P. Orosio, Lib. V. cap. 16—Greg. Turen., de Glor.
confcss. cap. S.
(2) Lucano, I.
(3) Inscript. Grut. p. 93.
(I) Ibid.
(5) Rcines. App. S.
(0) Inscript. apud Scriptores rcrum francic. I. 23.
(7) Gruferò, p. 1 1O.
(8) Ausonii Carmina IL — Tertull. Apoi. cap. 23.
(9) In un basso rilievo rinvenuto sotto la chiesa di Nostra Signora di
Parigi, nel 1711 , vedesi Eso seminudo , coronato di foglie con una scure in
mano, e il ginocchio sinistro appoggiato sopra un albero che egli recide.
(10) Ogham era chiamata la scrittura sacra degli Irlandesi. Ved.Tolland,
O'ilatloran, Beaufort, nelle Collcctanea de rebus hibcmicis.
(II) Cesare, B. G. VI. 13 — Diodoro, V . — Valerio Massimo II. 9.
(12) Strab. loc. cit. — Cesare, loc. cit, — Mela, III. 2 — Amm. Marcel.
XV, 9 — Val. Mas. loc. cit.
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RAZZA ARIANA-FAMIGLIA CELTICA. 193
Sceglieano i Druidi per lor dimora il bosco più dito di querce , nè
mai senza la fronda di esse celebravano verun sacrificio. Tutto che na-
sceva intorno alla quercia stimavano mandato dal Cielo, ed un segno
impresso da Teuta, o da’ minori Iddìi sull’ albero sacro (1).
Monumenti del druidismo rimangono tuttora ne'paesi dove il culto
ne fu professato , e consistono in grandi pietre che furono presso i
Celti e l’ara e il simbolo della divinità.
I feroci costumi del Celta raddolciva il canto del bardo che sublima-
va le imprese de’ capi de’ clan, e lodava i valorosi che fortemente pu-
gnando caddero nelle battaglie (2). Vivono ancora oggi nelle mon-
tagne di Scozia e d’Irlanda vecchie canzoni composte da’bardi in onore
de’ loro eroi, e le raccolte pubblicatene dal Machperson e Smith, ve-
stite di eleganti forme italiane da Cesarotti e Leoni , fanno aperto
quanto alletto e quanto slancio di poesia governasse i canti popolari
ersi e gaelici.
Caduto il mondo romano , ed invasa da’ Germani la meriggia e la
occidentale Europa, i Celti soggetti a’ Romani furono preda delle orde
conquistatrici, che distruggevauo dappertutto col potere di Roma an-
che gli effetti della romana civiltà. Le lotte che si agitarono fra i Celti
e i nuovi Barbari diedero origine alle moderne nazioni francese, ingle-
se e spagnuola, il perchè noi , volendo accompagnare lo svolgimento
di queste dall’ elemento celtico-latino , ci occuperemo brevemente di
ognuna di esse in particolare.
(1) Cesare, loc. cit. — Plin. XVI. ii — Virgil. jEneid. I. VI. — ■ Così
Lucano espone nel I. libro della sua Farsedia la somma delle dottrine drui-
diche : il poeta parla a’ Druidi (t. 5 62 e seg.).
Solis nosse Deos, et coeli numina vobis ,
Aut solis nescire datum : nemora alta remotis
Incolitis lucis. Vobis auctoribus, umbra?
Non tacitas Èrebi sedes, ditisque profundi
Pallida regna petunt : regit idem spiritus artus
Orbe alio : long® (canitis si cognita) vita?
Mors media est. Certe populi, quos despicit Arctos ,
Felices errore suo, quos ille timorum
Maximus, haud urget leti metus ; inde ruendi
In ferrum mens prona viris, animaeque capaces
Mortis : et ignavum reditur* parcere vita.
(2) Tolland, loc. cit. — Logon, The Scotish Gail, t. II. p. 215 — Cesarotti,
Dissertazione intorno a’Caledont, premessa alla sua traduz. di Ossian —
Il canto accompagnatasi col suono d'uno strumento detto chrotta da Venan-
sio Fortunato ; onde nacque forse la rotta cara a'menestrelli del Medio Evo
e simile alla lira ellenica.
Nicomkci, Ra::c umane — Voi. I. 13
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MORO SECOSDO
§ 1. Francesi.
Reggevi) Onorio figlio del gran Teodosio lo scettro d'occidente, quan-
do i Germani, irrompendo nelle Gallie, provarono allontani a che de-
bole filo si atlencssc la vita di un impero cosi vasto. Primi a pas-
sare il Reno e devastare la Gallia orientale furono i Borgognoni che
si traevano con sé gli Alemanni , e posero stanza nelle terre che
sono fra la Mosella ed il Rodano , mentre gli Alemanni si allargarono
per la Elvezia orientale. I Vandali e gli Alani che li seguirono, dopo
tre anni di saccheggi e distruzione, superati i Pirenei, dilagarono per
la penisola spagnuola. Dalla destra del Reno , ove fecero capo con-
tro i Vandali c gli Alani , varcalo il fiume , estesero i Franchi i loro
quartieri net Belgio; i Visigoti popolarono l’Aquitania e la Narbone-
se loro concessa con trattato da Onorio, e le città dell'Armorica for-
marono una lega , e provvidero alla propria difesa. L'autorità di
Roma sempreppiu sremava , anche ne’paesi eh’ erano rimasti affe-
zionati a quel dominio, c i destini delle Gallie erano tutti nelle mani
de’ Barbari , dopo che l’ultima scintilla del romano valore s'ebbe
spenta con Ezio, il quale avea respinto, con l’aiuto de’Barbari stessi,
il nembo degli Unni die minacciava distruggere le intere Gallie, come
avea fatto di Metz, di Tongrcs, c del paese centrale fino alla Loira.
I Franchi intanto dilatavano le loro frontiere nella seconda Belgica,
ed insignoritisi di Tournay , di Cambray , di Feruaua e di Colonia ,
aveano fatta di ognuna di esse la residenza di un re , i quali tutti si
dicevano discendere da un Meroveo , cioè eroe del mare. Clodoveo,
re dc'Franchi Salici che regnava in Tournay , associatosi Regnacario
re di Cambray, diede battaglia al conte romano Siagrio , il quale
disfatto , le città che ancora tenevano per Roma si arresero a’ Franchi
vincitori. Sperimentarono quindi la forza delle armi di Clodoveo gli
Alemanni che il riconobbero per capo, non che le città dell'Armorica,
e gli altri soldati barbari i quali aveano Gno allora seguito nelle Gallie
lo stendardo romano ; e cosi il suo regno in poco d’ora dilatossi fino
all’oceano, alla Loira che il dividea da’ Visigoti, alle montagne in-
torno a Tongrcs che lo partivano da’ Borgognoni , ed al Reno che lo
separava dalle tribù dei Franchi indipendenti.
Ma tutto parca poco all’ambizioso capo de'Salici, ond'ei volle an-
cora disfarsi de’Visigoti a’quali diede battaglia ne’ piani di Vouglé, de-
vastandone il paese dopo la vittoria. Trovato poi modo ad infierire, tolse
la vita ed il trono a’rimanenli re franchi di cui distrusse fiu gii ultimi
rampolli , e per tal modo la Gallia nel volgere di pochi anni da Onorio
passò a Clodoveo, da romana divenne germanica. Aggrandì Clotario
figliuolo di Clodoveo la dominazione sua nelle Gallie con la Provenza
che fu ceduta dagli Ostrogoti, e con la Borgogna sottomessa con le ar-
mi ; ma Clotario morto, la Gallia fu divisa un’altra volta ne'quattro re-
gni di Auslrasia, Neustria , Borgogna cd Aquitania , abitati i due pri—
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 1 95
ini da' soli Franchi, e gli altri delti romani, imperciocché sebbene vi
stessero e Galli o Borgognoni e Visigoti, non altra favella vi si parlava
se non la romana. Riuniti questi regni, e nuovamente smembrati fra i
successori de’ figli di Clotario , videsi finalmente la Francia ( come si
chiamò di poi la Gallia) governata da’rc della Ncustria, accanto a’quali
sorgeva la potenza di Carlo Martello, che diè rolla a’MussuImani che,
aveano invasa ed occupata quasi tutta l’Aquitania e la Provenza. Con
Carlo Martello incominciò la dinastia Carolingia , della quale Carlo
Magno fu l’Eroe, poiché non solo avvinse ai suo trono le francesi pro-
vince, ma estese le conquiste in Germania ed in Italia, e fu coronato
imperatore di occidente. Lodovico il Pio divise fra i suoi figli l’ere-
ditato reame che di nuovo riunissi nelle mani di Carlo il Calvo , col
regno del quale surse veramente la monarchia francese , « o l’ indi-
pendenza della nazione , poiché allora fu creata la lìngua che oggi
parlasi in Francia , e allora questa separassi dagli Alemanni e dagli
Italiani (1) ».
L’ invasione de’ Normanni , che dopo avere scorazzalo per la Fran-
cia posero stanza nel paese che per essi fu detto Normandia , segnò
una nuova divisione che poi crebbe e moltiplicò grandemente con
l’autorità che si usurparono i Conti, i quali da magistrati amovibili che
erano, furono da esso Carlo riconosciuti come ereditari. Sorsero al-
lora gravi e continuate discordie, e fiere guerre intestine : la dignità
reale non era più riconosciuta nel fatto , se non da’ soli vassalli che
abitavano le terre tenute in governo dal sovrano, ed invece cresceva
la possanza de’Conti di Capeto che riuscirono finalmente ad occupare
il trono, e a farsi proclamare Monarchi de’Francesi.
Conveniva, a fine di ridurre la Francia all'unità nazionale, abbat-
tere l’autorità de’Conti ornai fatta strapotente ; e a tanta impresa vol-
sero l’animo Carlo VII. e Luigi XI. che lasciò assoluto il reame nelle
manide’suoi imbelli successori, rilevato poi di nuovo da Enrico IV.
e da quella vasta mente del ministro di Luigi XIII., Cardinale di Ili-
chelieu, e sublimato dal quattordicesimo Luigi, il cui regno consolidò
la monarchia , la quale sotto Luigi XVI. fu distrutta dalla Repubblica
che rinnovò la faccia della Gallia e dell’Europa. Ma l’Europa non tol-
lerò l’ onta per lungo tempo , e il Bonaparle , maraviglia de’ secoli,
fu schiacciato da’ popoli eh’ egli avea soggiogati , e il trono francese
rioccupato da un discendente de’Capeti , e l'estensione del territorio,
con leggere variazioni , ristretta a' suoi antichi confini che si conser-
vano tuttora dopo le nuove fa'si alle quali è andata soggetta la Francia,
sia quando chiamò , nel 1830 , a suo supremo reggitore Luigi Filippo
di Orleans ; sia nel 1848, allorché, discacciato l’Orleanese , ravvivò
nuovamente io statuto repubblicano , all’ ombra del quale si è go-
vernata fino al 1852, quando la volontà nazionale acclamò imperatore
il figlio di un fratello di Napoleone Bonapartc.
(1) Simondi, Storia della caduta dcU’Impcro Romano.
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196
LIBRO SECONDO
Seguiremo ancora in questa rapida esposizione storica, le principali
vicende degli altri popoli celtici che abitavano le Gallie, e che, cessato
il dominio romano si sobbarcarono alle potenze germaniche. I quali
popoli, cioè gli Svizzeri ed i Belgi , noi comprendiamo nella medesi-
ma classe de’ Francesi , considerate le origini comune onde gli uni e
gli altri derivarono.
A. Svizzeri.
E facendoci dapprima a parlare degli Svizzeri, diremo, che dopo le
invasioni de’ primi Germani vennero in Elvezia anche i Franchi ,
ma le terre occidentali di quel paese appartennero per lungo tempo
alla Borgogna , mentre le orientali facevano parte della Germania ol-
irà il Reno, e la Rezia veniva occupata dagli Ostrogoti che governava-
no l’ Balia.
Furono le provincie elvetiche aggregate all’ Impero Germanico da
Corrado II. di Franconia nel 1030, dopo la quale epoca la storia
della Svizzera non più si scompagna da quella degli stati Alemanni.
Nell’ interregno che segui alla elezione imperiale di Alfonso X. di
Castiglia , il feudalismo s’ ingiganti nell’ Elvezia , e le oppressioni dei
signori maturarono lo scoppio di quella ribellione, la quale diede alla
Svizzera l’ indipendenza e la libertà. Tre paesi , Schwitz ,. Uri ed
Unlerwalden , niegarono riconoscere I’ autorità de’ loro feudatari
e la dipendenza dall' Impero Germanico ; nè Alberto imperatore ,
nè Leopoldo suo figlio Duca d’Austria poterono ridurli all’ob-
bedienza , perciocché l’ intrepido coraggio di Guglielmo Teli da l’ un
canto , e dall’ altro le vittorie che i cantoni riportarono nel paese di
Schwitz, assicurarono la loro emancipazione. Tosto a’ tre primi can-
toni si aggiunsero gli altri di Lucerna , di Berna e di Zurigo , e cosi
più forti di numero poterono affrontare e porre in rotta l’audace Car-
lo di Borgogna e l’Imperatore Massimiliano in sullo scorcio del seco-
lo XV. Successivamente sotto la elvetica bandiera si riunirono Glaro-
na, Zugo, Soletta , Friborgo, Sciaffusa e Basilea, e per ultimo il terri-
torio di Appenzel, che compi il numero depredici cantoni confederati,
della cui alleanza si gloriarono i Grigioni colla Valtellina , il Valiese ,
Berna , Mulhausen, Sangallo, Neufchàtel ed il vescovo di Basilea , e
ne impetrarono la protezione Vaud, Baden, Lugano, Locamo, Men-
drisio , Valmaggia , la Turgovia , il Rcinlbal e l’ antica contea di Sar-
gans.
Napoleone Bonaparle che proclamò in Elvezia una novella costitu-
zione , aggiunse a’ tredici cantoni primitivi anche quelli di Argovia,
Sangallo, Turgovia, Vaud, Ticino e de’ Grigioni , che ne elevarono il
numero a diciannove , e a suo talento vi risecò ed aggiunse territori,
ma il congresso dj Vienna ridonò alla Svizzera le sue antiche conti-
nazioni, e dopo quell’epoca, Ginevra, Neufchàtel e il Vailese, eretti a
cantoni, ne accrebbero il numero fino a venlidue.
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RAZZA ARIANA-FAM1GLIA CELTICA.
197
B. Belgi.
La porzione delle Gallie temila dalle tribù celtiche de'Belgi, al ca-
dere del mondo romano, fu occupata da’ Franchi che ne fecero parte
del regno d’Austrasia insieme alle altre province che forman oggi la
monarchia olandese, i cui destini furono associati per lungo tempo
alle province del Belgio attuale. E però, come l’Olanda, anche i
belgici paesi sottostettero al feudale reggimento infìno a che il Duca
di Borgogna, Filippo il Buono, non gli ebbe ridotti in sua soggezione
da cui passarono in dominio di Massimiliano d’Austria padre del
quinto Carlo. Il mal governo di Filippo H. che spinse alla rivolta , e
quindi, dopo lunghe e fiere lotte, alla completa emancipazione le
provincie settentrionali de’Paesi Bassi, non ruppe il legame dei Belgi
colla spagnuola Monarchia; ma l’autorità su que’popoli fu ceduta
dalla Spagna all’ Imperatore d'Alemagna, all’infuora dello scarso ter-
ritorio che i Francesi vi aveano conquistato , e che estesero di poi
maggiormente verso la (ine del secolo decorso, aggregando alla Fran-
cia il Vescovado di Liegi. Nelle nuove divisioni territoriali del 1815 il
Belgio riunito all'Olanda compose con essa la Monarchia Neerlandese,
ma i moti nazionali del 1830 separarono di nuovo dall'Olanda le Bel-
giche province che ora formano il ricco e industrioso regno del Belgio.
Raro è oggi il vedere nelle Gallie que’caratteri naturali ond’erano
ornati i Celti che ci furono descritti dagli autori dell’antichità , im-
perciocché i vari popoli che si tramutarono in quel suolo v’impressero
ancora i loro tipi nazionali , che alterarono grandemente le forme
proprie de’Celti primitivi. E però fosco il capello, scura la tinta delle
carni e l'occhio castagno ravvisi nelle contrade meridionali , dove i
Galli furono commisti con gli Iberi, co’Greci, co’Fenici e con gli
Italiani. La statura piuttosto eminente, la chioma generalmente bion-
da, l’occhio quasi sempre cilestrino, la carnagione bianca incontri, è
vero, frequente in Normandia, ma una fronte spaziosa, i pomelli delle
gote un po’sporgenti rivelano ivi a prima vista il connubio dei Celti
co’Germani : connubio che si scorge ancora più specchiato ne’ Belgi
e negli Svizzeri, ne’quali si rende eziandio evidente il predominio
del tipo germanico sul celtico, mentre in Brettagna quesl’ullimo offre
i suoi caratteri meno alterati da straniera mescolanza , beuchè vera-
mente sieno mollo variati da quello eh' essi erano a’tempi di Cesare.
Altrettanto distinti quanto i caratteri fisici sono i caratteri morali
delle varie province della Francia, perciocché nelle meridionali os-
servi la vivacità, il gesto espressivo, lo slancio fantastico e passionato
de’Greci e degli Italiani; nella Brettagna la caparbietà, e l'indomabile
resistenza, e l'opposizione intrepida de'Celli: in Normandia la gravità
e l’industria operosa dell’Alemanno, laddove nel centro della Francia
il complesso di caratteri cosi disparati forma il vincolo di unione per
mezzo del quale ogni provincia riconosce il ligame che la congiuuge
a tutto il resto di quella grande e nobile nazione (1).
(1) Un illustre ateneo di Francia osserva come noi, ma sotto un altro
198
unno seco mio
Ma parlando più particolarmente delle qualità di natura e del carat-
tere proprio de’Franccsi, ben si sa, clic molte sono te doti della men-
te e dell’animo e pregevolissime, le quali da niuno potrebbero es-
sere loro disdette: perspicacità e prontezza d'intelletto, chiarezza
d’idee, attitudine grandissima ad appropriarsi i trovati altrui , uni-
versaleggiarli , ed esporli con facile e leggiadra elocuzione. Trovi in
essi brio, vivacità , coraggio , impelo c nobiltà di sentimenti , ma-
gnanimità ad intraprendere cose grandi , audacia di osar le difficili
e prontezza e celerità nell' eseguirle, indole viva tuttora dell’antica
stirpe de’Celti; ma , come questi, eziandio I Fraucesi di oggidì sono
incapaci a durare ne’ propositi ; il menomo ostacolo gli stanca, si ab-
bandonano, si perdono di animo, e mancano generalmente di quella
tenacità di volere, che solo può darla vinta a chi più la dura. Nel
che veramente i Romani furono superiori a tutti i popoli antichi e
moderni, ed a questo carattere di fermezza, non che alla loro mode-
razione e sapienza, dovettero certamente la conquista e il dominio
del Mondo.
Ella è quistione presso gli eruditi se l’odierno parlar francese ri-
tragga del celtico e del Ialino ad un tempo, o se sia una semplice dif-
tormazione, per influenza teutonica, della lingua del Lazio che favel-
la vasi nelle Gallie, la quale, benché si fosse preteso esservi stala non
molto comune, abbiamo argomenti assai a poter credere, che vi si
fosse resa di un uso presso a poco universale. E nel vero compiace-
vasi Marziale che da tutti in Vienna si leggessero le sue poesie (1). In
aspetto, la stessa opposizione di caratteri, nel popolo francese. « Nous cro-
yons étre une nation , et nous sommes deux nations sur la mème terre
deux nations ennemies dans leurs souvenirs, inconciliables dans leurs prò
jets: l’une a autrefois conquis l’autrc; et ses desseins, ses voeux éternels
sont le rajeunissement de cette vieille conquètc énervée par le temps, par
le courage des vaincus, et par la raison humainc. La raison, qui fait rou-
gir le maitre de l’abaissement où il tient son csclavc, a détaché graduelle-
ment de ce peuple tout ce qu’il y avait d'àmesgénéreuses et d’esprits droits;
ces transfuges vers la meillcure cause en ont été Ics plus nobles soutiens;
et nous , Cls des vaincus, ce sont de pareils chefs que nous voyons encore
à notre téle. Mais le reste, aussi étranger à nos alfections et à nos moeurs,
que s’il était venu d’hier parmi nous, aussi sourd à nos paroles de libcrté
et de paix que si notre langagc lui était inconnu, commc le langagc de nos
ai'eux l’était aux siens , le reste suit sa route sans s’occuper de la nótre.
Quand nous essayons pian sur pian pour un établissement commun, quand
nous nous eflbrcons de perdre la mémoirc , et d'embrasser dans une vaste
union tout ce qili vit sur le sol de la France, ils se lèvent pour nous dé-
mentir, et, ralliés à l’écart, ils se rient enlre eux de nos désappointements
continuels. » — Thierry. Dix ans d’étudcs historiques. Vili.
(1) Fertur haberc meos, si vera est fama , libellos
Inter delicias pulchra Vienna suas.
Me legit omnis ibi senior, juvenisque, puerque,
Et coram tetrico casta puella viro.
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RAZZA ARIA* A— FAMIGLIA CELTICA.
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latino scriveva S. Girolamo alle nobili donne gallicane, come S. Ilario
e S. Avito alle loro sorelle, e Sulpizio Severo alla suocera; c Sidonio
raccomandava alle donne di Gallia la lettura delle opere di S. Agosti-
no (1). In oltre i Romani rendevano giustizia nella lingua loro, e nei
tribunali, ne’ pretori, nelle basiliche altro sermone non favellavasi
che il latino. Intanto egli è pure credibile , che nelle campague lon-
tane dai centri di civiltà , i contadini avessero conservato il proprio
idioma celtico , il quale non era neanco interamente obliato dagli
uomini collocati in alte dignità ; perciocché il provenzale Cornelio
Galba, console e pretore, adoperava il vocabolo celtico casnar, invece
di assectalor puellae, di che lo rimprovera Quintiliano ( 2), e quell’Anto-
nio Primo, la vittoria dei quale assicurò l’imperio a Vespasiano, chia-
mavasi originariamente Ikc (3), parola gallica conservatasi in tutti i
dialetti celtici e nel francese. Settimio Severo nel 230 ordinò che si
ammettessero i fedecommessi non solo in greco ed in latino, ma an-
cora in lingua gallicana (4), nella quale una Druidessa parlava all’im-
peratore Alessandro Severo ; e Sidonio Apollinare , vescovo di der-
ilioni, rende grazie al cognato Ecdicio, perchè avea saputo far deporre
alla nobiltà arverna la rozzezza della lingua nativa (a;.
Il connubio che si andò stringendo a mano a mano fra il latino
comune nelle Gallie , il celtico parlato da’ contadini e certamente in-
teso da tutta quanta la popolazione gallica , ed il teutonico usato dai
Franchi invasori , diede origine dappoi al romano rustico ed al frau-
co , de’ quali esistono le pruove materiali ne' famosi giuramenti di
Lodovico re di Germania e di Carlo il Calvo suo fratello e de'loro vas-
salli; i primi scritti in lingua frauca, ovvero nel latino alterato da vo-
ci e costruzioni germaniche , e gli altri scritti nel dialetto abituale o
rustico, il quale da’critici è considerato come un saggio della lingua
che parlavasi al mezzodi della Loira , e che più tardi si disse lingua
d’oc , provenzale o limosino, dialetti entrambi ingentiliti da gai verseg-
giatori e da piacevoli novellieri. Essendo venuti meno i poeti pro-
venzali che aveano fiorito nel mezzogiorno della Frauda sino alla lioe
del secolo XIII., ed essendosi riunito alla coruna il feudo di Tolosa,
e caduta la Provenza in retaggio di una famiglia principesca del nor-
ie , la lingua provenzale discadde e rimase un dialetto popolare , ma
quella del settentrione arricchita ognor più dal latino e dal provenza-
le si elevò a lingua nazionale , che dal nome del dialetto si disse
(1) Lib. II. epist. 9.
(2) lustitut. Orai. Lib. V. cap. 3.
(3) Seeton in Vitell. c. 48 ad calcem.
(1) Fidci comm issa quocumqtic sermone relinqui postimi , non taluni Ia-
lina, vel grecai , sedi etiam punica, vel gallicana, ve l alterius cujusque g'en-
lis lingua. Digest. Lib. A XXII.
(5) Quoti sermonis celtici squamavi dcjH)situra nobilitas, nunr oratorio
sigio, nane eliam comunalibus modis iinbucbulur. Lib. HI. epist. 3.
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LIBRO SECONDO
francese i e che oggi, ingentilita e perfezionala, rivaleggia in pro-
prietà ed in chiarezza co' più nobili parlari di Europa.
§ 3. Inglesi.
Dei tre paesi che compongono il Regno Unito della Gran Bretta-
gna , cioè l’ Irlanda , la Scozia e l'Inghilterra, fu solamente quest’ ul-
tima e parte della seconda soggiogata da’RomaDi , i quali ebbero sem-
pre a contenere le incursioni de' Caledonl ( scozzesi ) a danno delle
legioni poste a difesa dei territori conquistati. Quando i Romani ab-
bandonarono quelle provincie, I Pitti e i loro connazionali Scoli, fatti
più audaci , devastavano le campagne nemiche , e dannavano a morte
i prigionieri che cadevano in loro mani ; onde i Brittanni, per comune
difesa, scelsero un di loro di razza logra, di nome Vortigerno ( Guor-
teyrn o Gwrteyrn secondo l’ ortografia cimrica )*, e lo salutarono ca-
po della nazione. Ad opporre nemici non men fieri a’ fierissimi abita-
tori di Caledonia, Vortigerno raccolse i due fratelli avventurieri Hen-
gist ed Horsa ( a. 449 ) che erano seguiti da navi con genti di varie
tribù che si dicevano Sassoni , che è quanto a dire uomini da' lunghi
coltelli (1), ed erano partiti dalle coste dell’Oceano a settentrione del-
l'Elba. Combatterono questi Barbari con valore contro i Caledonl, ma
chiamati nell'isola altri guerrieri di loro stirpe, la fecero tosto lor pre-
da, e ne spartirono avidamente le spoglie. Cominciò allora fra i Bril—
tanni ed i Sassoni una lotta feroce che fini coU’inlera sommissione di
una parte di quelli, ed llengist, da semplice capo di guerra , si fece
signore della provincia o regno di Kent, che in lingua sassone si disse
Kent-icara-rice (455).
Ella, un altro capo sassone, 22 anni di poi, approdando con molti
armati nella meriggia parte del territorio di Kent, respinse i Brittanni
verso il nord , e vi fondò la colonia che fu il regno de’ Sassoni del
sud (Sud-seaxna-rice). Un terzo regno, che fu quel de’Sassoni occiden-
tali (Wesl-seaxna-rice , ovvero West-seax) , surse lunghesso la co-
stiera meridionale ad occidente de’ Sassoni del sud , e fu tenuto da
Kerdic che De fece il conquisto diciotto anni dopo lo stabilimento dei
Sassoni meridionali. I successori di Kerdic ne estesero i confini a dan-
no degli indigeni fin verso la Saverna , mentre altri Sassoni, occu-
pando la Brettagna dal lato orientale , si stabilirono sulla sinistra
sponda del Tamigi , e vi fondarono il regno che s’ intitolò Sassonia
orientale ( East-seaxna-rice, o Est-seax).
« L'emigrazione di coloro che stanziavano attorno alle paludi del-
ti) Sax, seax, sachs, una breve spada; hand-sax un pugnale ; ram-sax
una spada. (Glos. Wachter). Forse l’etimologia de Sassoni , & achsen, po-
trebbe anch’ essere quella di Saxna , o Saka (Sakasunas figli de Sakas), fa-
mósi Saei o Daci, che erano la medesima cosa de’uoli, e che s allargarono
fin sull t sponde del Baltico.
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BAZZA ARIANA-FAMIGLIA CELTICA. 201
l'Elba e nelle Isole vicine, ispirò il desiderio di cercar nuove terre, ed
insegnò le vie della Brettagna a popoli posti più da lungi verso oriente,
presso le rive del Baltico , e che dicevansi Anghels , o Angli ( Engla-
Anglen). Dopo aver tentato piccole e parziali invasioni sulla costa nord-
est della Brettagna, la popolazione degli Angli si mise, quant’essa era,
in viaggio, guidata da un capo di guerra , Ida , e da’ suoi dodici figli,
ed approdò colle sue molte navi fra le foci del Forth e della Tweed
(542-547).
« Per riuscir meglio contro i Brittanni fecero alleanza col popolo
de’ Pitti , e insieme uniti si avanzarono dall’ est alt’ ovest , riempien-
do di tale spavento i nativi , che non seppero dare al re degli
Angli altro nome , se non quello di uomo del fuoco ( Flamdd-
wyn) (1) ».
Vittoriosi quindi si sparsero su tutto il territorio fra il Forth e
l’Humber , ma non imposero nuovi nomi alle contrade occupate , e
conservarono le antiche denominazioni geografiche : si appellarono
uomini del nord dell’Humber, uomini del Deifr, uomini del Brynich,
ovvero, secondo l’ortografia latina, Nortumbri , Deiri, Bernici. Solo
chiamossi paese degli Angli quella parte della costiera orientale ( Est-
tangla-land, in latino Orienlales Angli, Estanglia) ove gli Angli stessi,
pria della loro totale invasione, aveano fondato una piccola colonia
a settentrione de’ Sassoni orientali.
L’antica popolazione de’ Corani , stabilita molti secoli innanzi nel
mezzogiorno dell’ilumber, si uni volentieri agli invasori Anglo-Sasso-
ni, ed il territorio fra ITIumber e il Tamigi si chiamò allora di Merk
( Myrcan , Mircna-rice) o Mercia, forse a cagione della natura dal suo-
lo in gran parte paludoso, o forse ancora a motivo della vicinanza dei
Brittanni liberi di cui il regno di Murcia formava la frontiera , o la
Marca, secondo il parlar de’ Germani.
Parte de’Brittanni, che nelle terre conquistate non soffrivano l’onta
di straniera soggezione , rifuggirono fra quelli della loro stirpe rima-
sti independenti in Cornovaglia; parte, solcato il mare, si volsero al-
la Gallia, e si stabilirono successivamente nella contrada più occiden-
tale deH’Armorica (territorio degli Osismi e de’Veneti) ove fondarono
insieme co’Celti delle Gallie che li raccolsero , una specie di stato li-
bero che si mantenne lontano dall’ influenza romana , e conservò il
nome di Brettagna , mentre l’ Isola stessa di questo nome perdeva il
proprio.e chiamavasi Terra de’Sassoni e degli Angli, ovvero solamente
Inghilterra ( Engel-seaxna-land, terra degli Angli e de’ Sassoni — op-
pure — Engla-land , terra degli Angli, e per corruzione England).
Nelle terre dunque conquistate dagli Anglo-Sassoni in Brettagna
si formarono sette regni, oltre quello di Murcia, tre più estesi al set-
tentrione abitati dagli Angli , e quattro più piccoli meglio popolati
a mezzodi tenuti da’ Sassoni, i Brittanni liberi all’occidente Don occu-
(1) Aug. Thierry, Conquéte de l’Angleterre, Lib. I.
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202 ' unno secondo
parano più clic il paese di Galles , scompartito in tre piccoli regni , e
la punta di Cornovaglia che formavano un quarto. 1 Pitti e gli Scoli
continuarono a dividersi il possesso della Caledonia fino a che, venuti
a guerra fra di loro, gli Scoti furono trionfanti, e tutto il paese ebbesi
da essi il nome di Scozia.
Durò il governo dell'Eptarchia anglo-sassone fino all’anno 827, al-
lorché tutti gli Anglo-Sassoni riconobbero l’ autorità sovrana di Eg-
berlo, il quale costrinse anche i Brittanni a sottomettersi alla sua do-
minazione. Godeva Egberto da cinque anni della pace e di una sovra-
nità indivisa, quando comparvero i Danesi ( partiti anch'essi dalle Isole
del Mar Baltico , o dalle coste della Norvegia ) sulla costiera australe
dell’Isola , e sbarcarono a Charmoutli dove , scontrato Egberto , lo
sconfissero; nè salparono co’ loro vascelli, se non quando gli ebbero
carichi di quante ricchezze poterono depredare. Altri Danesi vennero
di poi ad llengston, ma Egberto fe'vendelta sovr’essi, e mori dopo tre
anni , lasciando il suo retaggio al figlio Etetulfo, regnando il quale e
il successore Etebaldo, tentarono i Danesi novelli sbarchi nella Bret-
tagna , ma respinti vigorosamente ne deposero per allora il pensiero.
Non molto dopo Ivar Lodbrog venne in Norlumberlandia , e menò
grande strage tanto in questo, quanto nel regno di Murcia e di Estan-
glia che furono divisi fra i guerrieri che l’avcano seguitato. Attaccò
di poi il regno di West-sei tenuto da Etelredo , e dopo questi da Al-
fredo che, vinto in guerra, cercò ed ebbe lo scampo nella fuga. E qui
narra la storia di Alfredo che visse per dieci mesi in un umile caso-
lare di un contadino, la sconfitta che toccarono i Danesi assedianti gli
Inglesi nel forte di Kenwitz nella contea di Devon , il presentarsi
inaspettato di Alfredo in mezzo a’suoi, Io stratagemma del quale ser-
vissi per esplorare il campo nemico , e la battaglia eh’ e’ diede a’ Da-
nesi , i quali andarono la maggior parte uccisi , e gli altri accettarono
le condizioni di pace dettate dal vincitore. Nè manco prospere furono
le guerre combattute da Alfredo contro llasling venuto con grossa
ipano di gente ad invader l’ Isola , talché dopo le ultime infelici
pruove i Danesi atti a portare le armi e che erano rimasti in Bretta-
gna ne partirono con Uasting, e i regni che e’ dianzi tenevano occu-
pali riunironsi a quello di West-sei governato da Alfredo che negli
ultimi anni di sua vita strinse nelle sue mani il governo di tutta l'In-
ghilterra.
Morto Alfredo, non durò molto a lungo la pace; poiché riuscì li-
lialmente al danese Canuto (Knul) di conquistar la Brettagna e di far-
sene proclamare sovrano (1017) : breve e non goduto onore, imper-
ciocché i Normanni scacciarono tosto i Danesi dall’Isola, e posero su
quel trono l' ultimo rampollo della dinastia degli Aligli, Edoardo il
confessore (1042) , al quale fluito senza prole succedette Guglielmo
il Conquistatore con cui cominciò a regnare sul suolo inglese la stirpe
normanna. Da’Normanni passò lo scettro alla Casa d’Angiò, ed allora
francesi province , per eredità o per matrimonio , furono riunite al-
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 203
l’inglese monarchia, e fu soggiogata l’ Irlanda stata fino a quel tempo
indipendente sotto il governo de’proprl sovrani. Tacciamo di Giovanni
senno terra, delle contese fra i rami di Lancastro e di York, di Enri-
co VI. e di Edoardo IV. e V., di Riccardo III. assassino di quest’ul-
timo, e della sua morte che pose fine alla stirpe de'Plantageneti (1),
e cominciò l’esaltamento di quella de’Tudor in persona di Enri-
co VII., il quale, sposando la figlia di Edoardo IV., riuni i diritti delle
due case rivali. Tacciamo dementativi di Giacomo IV. sull’Ingliilterra
e sull’Irlanda, e della vittoria di Enrico Vili, sullo scozzese. Taccia-
mo di Maria Stuarda e della sua line infelice, delle fiere lotte soste-
nute dalla Brettagna contro la Spagna, il Portogallo, la Francia e l 'Ir-
landa , e della estinzione de’Tudor e di Giacomo VI. che, ereditando
il solio inglese, riunì sotto il suo scettro i Ire regni di Brettagna, di
Scozia c d’Irlanda. Il suo successore Carlo I. fu vittima degli intrighi
di Cromwello che giunse a governare, sotto il titolo di protettore,
l’Inghilterra; ma lui morto, benché le redini dello stato fossero pas-
sate nelle mani del figlio Riccardo, fu richiamato lo Stuardo Carlo li.
che avéa chiesto asilo alla Francia, e dopo di lui il suo minor fratello
Giacomo il. il quale scacciato poi dalflsola fu acclamato sovrano
Guglielmo d'Orange sposo di Maria primogenita di quello. L’avveni-
mento al trono, dopo Guglielmo, di Anna secondogenita di Giacomo
e sposa di Giorgio di Danimarca, chiamò sul trono inglese la dinastia
annovarese la quale continua a regnare fino al presente sulle Isole
Britanniche.
L’Irlanda fu aggregata all’Inghilterra da Enrico II, e interamente
soggiogata da Giacomo IV, e poi da Cromwello, ma prima della loro
soggezione agli Inglesi, vissero gl'irlandesi con proprie leggi sotto re
nazionali. Frequenti furono dal IX. secolo in poi le irruzioni scan-
dinave su quell’isola: lunghe ed accanite le lotte, e gli Irlandesi ora
vinti ed ora vincitori. Regnando Dermont, Roterigo suo competitore
investine sostenuto da molti suoi partegiani. In aiuto del legittimo
sovrano corse Enrico 11. d'Inghilterra, e il rimise al potere; ma le
armi inglesi non più si allontanarono, e dopo la morte di Dermont,
l'Irlanda fu dichiarata possesso di Enrico, e Adriano IV. Pontefice
sanzionò l’occupazione con la bolla della solenne investitura.
Teneano i Pitti e gli Scoti la Brettagna settentrionale che indi fu detta
Scozia dall'impero che i secondi s’ebbero sui primi. Famosi sono i
nomi di Brudi II. e di Malcom III. che ridussero que’barbari Celti a
civiltà. Dodici pretendenti si disputarono il trono di Scozia dopo la
morte di Alessandro III., ma eletta finalmente a reggere i destini scoz-
zesi la dinastia degli Stuardi, Giacomo VI. di questa famiglia ereditò
ancora il trono d’Inghilterra , alla quale indi rimase congiunta per
(1) Dinastia de’ Ite d’ Inghilterra di origine francese, delta così dal conte
di Anjou Goffredo V. soprannominato Plantagenet, da che soleva portare
un ramo di ginestra fitto nel suo berretto.
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LIBRO SECONDO
' 204
sempre la Scozia, con l'esclusione della linea maschile degli Stuardi
dalla regai successione.
Invano ora nelle Isole Brilanniche si cercherebbero i caratteri fi-
sici de’Celli che mossero ad abitare quelle terre già in parie prima
popolate dagli Iheri ; ed è veramente singolare , secondo osservano
ancora gli scrittori di quella nazione, che il colore delle pelle ivi do-
minante differisca notevolmente da quello delle razze che sono con-
corse a formare il popolo presente. Biondi erano i capelli , bianca la
pelle, alta la statura delle antiche tribù celtiche, e non altrimenti ci
si dipingono gli antichi Sassoni , Danesi, Normanni che successiva-
mente si tramutarono in quel paese; e pur nondimanco bruno è oggi
il colore de’montanari scozzesi (e non sappiamo in ciò quanto vi con-
tribuisca il sangue iberico); bruni e piatti i capelli, gli occhi grigi e
le gote alquanto proeminenti. Vi ha in qualche luogo e in alcune valli
dell’alto paese abitanti con chioma rossastra, ma ciò solamente in al-
cune circoscritte località, nelle quali d’altra parte nulla induce a sup-
porre una straniera colonizzazione. Raro ueanco è il vedere nella
massa del popolo un uomo con neri e ricci capelli e con occhi anche
neri che spiccano di mezzo agli occhi grigi degli altri Scozzesi ; ma
elleno sono eccezioni singolari , come quelle che offrono, in mezzo
allo stesso popolo alcuni altri individui di carnagione bianchissima ,
e di pelo biondo o rossastro.
Evvi una varietà indefinibile fra l’Inglese e lo Scozzese, e sembra
che la proeminenza delle gote sia propria soltanto della Scozia. I mon-
tanari inglesi raramente sono grandi, ma sempre ben fatti, con capelli
generalmente bruni , e fisonomia simile a quella de’ montanari scoz-
zesi. Verso York e Lancaslro, ove non fa sentirsi l'influsso delle abi-
tudini manifattrici, gli Inglesi sono piu grandi , ma piu grossolani di
quei del mezzogiorno , soprattutto nella contea di Lancastro dove è
molto più osservabile eziandio l’ azzurro dell’ occhio. Gli uomini di
Cumberlandia non si distinguono punto dagli inglesi del mezzodi.
Infinita è la varietà della fisonomia nel paese di Galles: naso ordi-
nariamente profilalo ; statura media, e le membra cosi grosse e car-
nose , che dicesi la milizia del Caermarthensire per formar le sue li-
nee richiedere uno spazio maggiore di quello che occupano le mi-
lizie delle altre contee. La statura è più elevala nel nord , ma le for-
me ne sono piuttosto minute e belle.
In quella parte poi dell’Inghilterra che fu stabilmente occupata dai
Sassoni e dagli Angli , il tipo teutonico è ancora osservabilissimo, ed
ivi tuttora si ravvisano le bionde chiome e gli occhi azzurri e il bian-
co incarnato de’Germani di Tacito; ma nel basso popolo i caratteri si
perdono ogni di più (se pur mai vi furono predominatili) , e non ri-
mangono interi che nelle sole classi elevate della società, discendenza
diretta dei conquistatori Anglo-Sassoni.
Più uniforme è nella Irlanda il carattere fisico de’ suoi abitatori :
capelli bruni o neri ; neri soprattutto in una parte del sud , ma l’ oc-
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 205
chio sempre grigio o cilestrino ; sopracciglio basso, follo e nero, viso
lungo, naso piccolo volgente all’ insù , statura generalmente elevata,
ma la bocca aperta dà un’ aria di stupidità all’ insieme della (bono-
mia (1).
In mezzo a tante invasioni , e tanti cangiamenti politici e religio-
si a’ quali andarono soggette le popolazioni della Gran Bretagna , in
mezzo a'crescenti progressi di una civiltà che ivi è diffusa più che al-
trove, (in nelle infime classi del pòpolo, il carattere morale de' Celti,
e singolarmente la tenacità per le antiche abitudini, si sono conservate
in tutta la forza, nella maggior parte degli indigeni di quel paese, e in
quelle contrade soprattutto che meno soffersero di straniero mescola-
mento. Sono piene le istorie di questi popoli degli eroici sforzi fatti
dalla Scozia per emanciparsi dal servaggio dell’Inghilterra ; e l’Irlanda
s’ agita ancora nelle memorie del passato e richiede ad Albione l’ in-
dipendenza e la libertà, od almanco i suoi antichi privilegi (2). Ben-
ché affezionata al cattolicismo conserva essa ancora lontane rimem-
branze del suo druidismo (3), che non sono spente neanco del lutto in
Iscozia , dove é men vivo Taffettà a’ tempi che più ora non sono (4).
(1 ) Price, An Essay on thè phyisiognomy and physiology of thè present
inhabi tants of Britain , with reference to their origin as Goths and Celts.
London 1829.
(2) Tutti conoscono la vita di Daniele O’ Connell, e il coraggio onde sep-
pe difendere costantemente innanzi al Parlamento Brittannico i diritti e i
privilegi della sua patria.
(3) Il culto di Bai celebravasi da’ Druidi, secondo Pictet, con fuochi di
gioia accesi in sui monti — Questo culto ha lasciato tracce profonde nelle
tradizioni popolari. Un redattore del Gentleman’ magazine, 1793, dice che
trovandosi in Irlanda la vigilia di S. Giovanni, gli si assicurò che a mez-
zanotte e’ vedrebbe accendere i fuochi in onore del Sole. I preparativi della
festa sono eoȓ descritti da Riches. What watching, ichat wattling, what tin-
kling upon pannes and clandlesticks , what strewing of hearbes, what cla-
more, and other ceremonies are used. -—Spencer dice, che T Irlandese, ac-
cendendo il fuoco, fa sempre una preghiera. A Neiocastle i cuochi accen-
dono i fuochi alla S. Giovanni. A Londra ed altrove gli spazzacamini fan
danze e processioni in abiti grotteschi— Michelet, Schiarim. al Lib. 1° della
sua storia di Francia.
(4) 1 montanari di Scozia passavano pel fuoco in onore di Bai, e crede-
vano un dovere religioso quello di recarsi in mano il fuoco camminando
intorno a’ loro campi ed ai toro armenti. Oggi ancora questi stessi monta-
nari fan passare il fanciullo pel fuoco, talvolta in una specie di sacco ove
mettono pane e formaggio — L’ uso di far correre la croce di fuoco durava
ancora nel 1743 in Caledonia. Un capo di clan uccideva una capra con la
propria spada; immergeva nel sangue l’estremità di una croce di legno mez-
zo bruciato, e la dava, con l’indicazione del luogo di riunione, ad un uo-
mo del clan che correva e passavala in mano di un altro. Questo simbolo
minacciava ferro e fuoco a coloro che non si recassero al luogo di convegno.
Longan, II, 140.
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tifino sEcosno
206
Pur non ostante si apparente cterogenerilà negli elementi etnici
della Gran Brettagna, il popolo inglese tuttavolla rappresenta una com-
patta unità e un sol pensiere, costantemente volto a raggiungere un
maggior benessere possibile morale e materiale. Vero è che da siffatt i
tendenza dello spirilo deriva in essi un carattere che fa parerli quasi
esclusivamente intesi a conseguire ciò che riguardi la sola utilità pro-
pria, ma non pertanto eglino chiusi non sono a più alti e nobili sen-
timenti, e niuno può loro negare ardimento a grandi imprese, slan-
cio per azioni magnanime, costanza indomita a durare ne’ propositi.
Meno si appagano delle speculazioni intellettuali, che de’fatli sensibili
dell’esperienza, onde gli stessi loro filosofi di maggior grido, Bacone,
Loke, gli Scozzesi , poco o nulla confidano sulle deduzioni della lo-
gica, ma sempre sulle risultanze che possono essere fornite dalla os-
servazione. Di qui la loro poco attitudine alle scienze speculative , e
la rara felicità nel trattare le applicate. A questa cagione medesima
tiene la povertà loro nelle arti belle ( le quali sono la manifestazione
estrinseca di un’idea , esemplare di bellezza, che informa ed agita la
mente dell’artista), e la loro eccellenza nelle meccaniche, le quali non
sono mai scompagnate da una diretta utilità materiale. Di qui pari-
menti, non ostante l’ amor grande per la patria loro, il facile trasmu-
tarsi dal luogo natio se sia loro per venirne alcun vantaggio , il per-
ché vedi l’ universo mondo popolato di loro colonie , le quali , in
forza del loro ardimento e della loro costante fermezza , sono state c
sono le più prospere di quante mai se ne conlioo fra le antiche e fra
le moderne.
Gli Etnologi clic lian tenuto lo studio delle lingue per base delle
loro classificazioni considerano gli Inglesi quale ramo della famiglia
germanica, a motivo dell'idioma favellato in Inghilterra, che è il nor-
manno francese innestato sul ceppo antico dell'anglo-sassone. Ma noi
abbiamo creduto dover ritenere fra le nazioni celtiche anche l’ in-
glese , sia perchè la sua prima origine celtica è storicamente provata,
e l' idioma celtico è ancor vivo ne’ dialetti della Scozia , del Paese di
Galles e dell’ Isola d' Irlanda , come eziandio perchè , se la liugua
degli Anglo-Sassoni trionfò de’dialelti indigeni, non si spense al certo
la nazione de’ soggiogati , la quale cooperò da una parte { ma per [lo-
co) alla formazione dell’ idioma inglese, e dall’altra contribuì efficace-
mente alla costituzione della nazionalità brittannica, nella quale si fu-
sero insieme gli elementi celtici, i romani, i teutonici ed i normanno-
francesi (1).
( 1 ) La lingua inglese è un prodotta dell’ accozzamento delle varie lingue
de’ popoli che si tramutarono successivamente in Inghilterra. Poco havvi di
celtico antico e di latino; molto più di francese,, moltissimo poi di teutoni-
co. singolarmente dell'antico parlare de’Sassoni. È evidente l'analogia dell’in-
glese e delle lingue germaniche nella formazione del genitivo, nella termina-
zione de nomi astratti , o che denotino stato , qualità , condizione ; ne'diir.i-
nutivi e superlativi ; nella terminazione di alcuni pronomi , nella declina-
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA CELTICA. 207
È oscuro il procedimento col quale surse la lingua inglese, poiché
manchiamo di documenti che potessero indicarci le successive tra-
sformazioni de’vari alloqui favellati in Inghilterra in un solo che diven-
ne il nazionale. Sappiamo solamente, che il più antico inglese che si co-
nosca è una modificazione, o semplificazione dell’ idioma de’Sassoni,
come la Cronica Sassone p. es., o la traduzione del romanzo di Bruto
di Wace fatta da Layamon , il proclama di Enrico III. indirizzato al
popolo di Hunlingdonshire, nel 1258, e un canto trionfale composto
probabilmente in Londra sulla vittoria riportata a Lewes nel 1261, e
sulla cattività di Riccardo conte di Cornovaglia (1). Sappiamo altresì,
che dopo la conquista de'Normanni, il francese era il sermone parla-
to nelle alte classi della società , ed era vietato dagli statuti del colle-
gio di Oriel, in Oxford, di usare altra favella se non la francese dopo
il latino che era stato sempre considerato la lingua dotta anche d’ In-
ghilterra. In francese erano scritti i consigli della Corporazione di
Londra, i processi verbali del Parlamento egli alti giudiziari.
Quando gli scrittori posteriori cominciarono a dettar opere in vera
lingua nazionale, era già avvenuta la fusione di tutti i linguaggi adope-
rati precedentemente, il perchè l’idioma nel quale John Mandeville
scrisse i suoi Viaggi, e Chaucer il suo Astrolabio, e nel quale Wicliffe
tradusse le Sacre Scritture, e Trevisa il Polycronicon, non era più il ser-
mone della cronaca sassone e di Layamon, ma una lingua molto diversa,
più ricca di voci , più nobile e che prestavasi francamente alle varie
espressioni del pensiero.
§ 3. Spagnuoli.
I Vandali, gli Alani e gli Svevi, precipitando nelle Spagne, portaro-
no lo spavento c la strage in ogni luogo di quelle provincie che furo-
no spartite fra i vincitori , appena rimanendo al romano presidio po-
chi brani delia Spagna Tarraconese. Ma non goderono a lungo que’Bar-
bari del loro conquisto, posciachè Ataulfo Visigoto accettò le proposte
di eollegarsi con Onorio Auguslò , e di andare in Ispagna per discac-
ciarne i novelli invasori. Lunghe c micidiali guerre sostennero i Vi-
sigoti innanzi di ridurre in loro soggezione gli Svevi e gli Alani, poiché
i Vandali che abitavano la Belica, indi detta Andalusia, ritornarono in
potenza, ma poco dopo, sgomberata la Spagna, maggiori destini con-
cessero loro il dominio sull’Africa e sopra Cartagine.
zione de’pronomi relativi, ne’nomi numerali, oltre alla similitudine radicale
di tante e tante voci che son comuni all’uno e agli altri linguaggi — L'af-
finità col francese, massimamente nella struttura intima della lingua, è me-
no sensibile, ma non pertanto si riconosce chiaramente nell’ uso de’ segna-
casi, in quello de’ verbi ausiliari, e nella identità di moltissimi vocaboli che
esistono in entrambi gli idiomi. ■
(I) Hallam, Hi sto ire de la littérature de l’Europe pendant le Moyen-Age,
trad. p. Jlorgliers. Paris, 1859, t. 1. p. 46-48,
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208 I.1BRO SECONDO
Lasciamo di menzionare la lunga serie de're Visigoti, e le guerre in-
tese ad estenderne e conservarne le conquiste, e l'invasione degli Arabi
che piantarono in poco d’ ora su tutta la Spagna lo stendardo di Mao-
metto, ma ricordiamo solamente per quali vie e dopo tanto rimescola-
mento di popoli e di razze, la nazione Spagnuola sorgesse conquistan-
do la propria autonomia, cosi in Ispagna , come nel Regno indipen-
dente del Portogallo.
Al tempo della prima invasione degli Arabi , alcuni capi Visigoti
ricoverarono fra le montagne inacessibili delle Asturie, dove vivendo
in povertà ed in pericoli riconquistarono finalmente con otto secoli di
guerre la patria perduta in soli tre anni. Indarno mossero contr’ essi
l’arabo Alabor, i califfi Yssem ed Alhacan, il valoroso Almanzor , gli
eserciti agguerriti di Jussef-Ben-Jeflìn e tutti gli altri capi de'Mori che
si succedettero nel dominio della Penisola , conciosiachè i Visigoti ,
allargando sempreppiù i loro confini, ripresero man mano i territori
di Cordova, di Oviedo, della Galizia, di Leone, della Casliglia, i quali
vennero insieme con altri incorporati ne’ due regni di Casliglia e di
Aragona , all’ infuori della Lusitania che fu eretta a contea indipen-
dente da Alfonso VI. iu favore di Enrico di Borgogna.
Riunita la Casliglia all'Aragona , la conquista del regno di Navarra
pose fine, nel 1516, al dominio arabo nella Spagna, la quale sotto Carlo
V. sovrano ad un tempo de’ Paesi Bassi e dell'Austria ebbe non po-
ca autorità sui destini di tutta l'Europa. Assai minore fu la sua flori-
dezza ( quantunque fosse il regno più ricco di tutti gli altri regni uniti
insieme della cristianità) sotto il governo di Filippo 11., e meno ancora
sotto quelli di Filippo III. e IV., e sotto Carlo IL, che chiamò a succe-
dergli il Duca d’Angiò che fu poi Filippo V. secondogenito del Delfi-
no di Francia. Le pretese dell’Austria spinsero gli Spagnuoli ad una
guerra sanguinosa che si disse della successione, e mancò poco non per-
dessero la Catalogna, come per sempre perdettero Gibilterra. Il regno
di Carlo IV. fu agitato dalla guerra che dopo la rivoluzione francese
dilagò per tutta l’Europa. Il re fu fuggitivo, c sul suo trono si assise un
fratello del Bonaparte. Ma la Spagna non fu soggiogala : lo slancio al-
la resistenza era vivo in tutte le montagne, e posò sol quando, ecclis-
sata la napoleonica stella , fece ritorno in Iberia la dinastia eh’ erano
stata discacciata.
Il Portogallo fatto indipendente sotto il Duca di Borgogna, tal con-
scrvossi fino a Don Pietro 1. che pose termine alla prima dinastia , e
sotto Giovanni di Braganza e suoi successori iufino ad Enrico il car-
dinale. Filippo li. di Spagna riuni al suo regno anche quello di Por-
togallo, il quale dopo 60 anni ne fu nuovamente distaccato, e dato in
governo a Don Giovanni IV. di Braganza , la discendenza del quale
governa tuttora la nazione portoghese.
Il tipo fisico dello Spagnuolo sembra essere stalo, sebbene in par-
te , modificalo da’ vari popoli che ne invasero la patria , volendone
giudicare da’ Baschi odierni , che rappresentano il tipo iberico primi-
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RAZZA ARIANA. — FAMIGLIA CELTICA.
209
tivo. La statura di esso non eccede la mezzanità; giusta ne è la com-
plessione, brunetto il colore della pelle, fosco e spesso ricciuto il capel-
lo, gli occhi quasi sempre neri ed espressivi. Ampia e spesso elevata
è la sua fronte, giusto e profilato il naso, folta e nera la barba, no-
bile e dignitoso il portamento, gravi e severi i modi, animato e conciso
il discorso. Altero e vanitoso non cura punto i perigli quando il suo
nome può essere obbietto o di lode o di-scherno, e il vedi incontrare
la furia del toro con quella stessa calma con cui solcava, guidato dal-
l’ardito Ligure, le vaste onde dell’Oceano, e scopriva un mondo fino
allora inconosciuto. Popolo d’immaginazione fervida e di pensieri
generosi, ma tenace nelle sue abitudini, spesso indolente, ed alle
superstizioni proclive.
Il carattere dello Spagnuolo è altresì vario secondo le varie pro-
vince. Attivi , intraprendenti , amanti del viver libero sono i Catala-
ni, presso i quali nondimanco ravvisi una certa rozzezza ne'coslumi.
Nel regno di Murcia non si ama che P ozio e il bel tempo ( Muriilo ) ;
nefl’Andalusia e nella Granata l’industria e la pompa delle ricchez-
ze. La Galizia e la vecchia Castiglia prediligono i conventi e le fun-
zioni religiose; le Asturie il lavorio de’ campi troppo sterili al nutri-
mento de’ loro abitatori. 1 montanari delle due Castiglie conducono
vita pastorale appresso il merino che pasce le contrade dall’Estrema-
dura alla Navarra ed all’ Aragona.
Il Portoghese è incostante ne’ suoi proponimenti, ma franco, ardi-
to, propenso alla cultura intellettuale, e facile ad apprendere scienze,
lettere ed arti.
Sotto la romana dominazione la lingua latina era fatta comune an-
che in Ispagna, come l'era nelle Gallie c nella Brettagna. I Germani
che passarono ad abitare l’iberia Confusero il loro idioma col latino
favellato dalle classi elevate, c con l'iberico, e col celtiberico parlato
dalla moltitudine. Il nuovo elemento arabo v’aggiunse ancora molte
voci, sicché lo spagnuolo e il portoghese ch’indi ne nacquero, ger-
mogliati sopra un tondo si vario, conservano un’ impronta loro pro-
pria, ed una fisonomia tutta particolare (1).
(1) È la lingua portoghese un dialetto della spagnuola, ovvero un’ idio-
ma surto indipendente dal sermone di Castiglia? Sismondi non osa decidere,
ma pare che propenda a crederlo di origine propria, opinando, che i con-
quistatori teutonici del Portogallo non parlassero la medesima lingua di
que’di Spagna; e che forse nelle province d’occidente i sudditi romani si
trovassero in maggior numero dopo la conquista dc’Itarbari, poiché la lin-
gua portoghese è rimasta più prossima al latino, che non la c astigiana
( De la littérature du midi de ('Europe, etc. XXXV, inilio).
Non possono però disconoscersi le strettissime affinità fra le due lingue ,
e i passaggi delle voci dall' una all’aUra di esse. Generalmente il portoghese
pare essere una contrazione dello spagnuolo, cui si sottrae quasi sempre la
consonante di mezzo ; onde dolor in castigliano diviene dor in portoghese ;
*
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MURO SECONDO
210
Quando la lingua castigliana sorgesse alla dignità di lingua scritta,
non l’abbiamo dichiaralo da verun documento; ma sembra che in-
nanzi al poema del Cid fosse già stata adoperata in versi ed in prosa.
Con qifesto poema essa raggiunse una ricchezza fino allora incono-
sciula- e nei secoli seguenti, cioè nel XIII e XIV già prestavasi
francamente a’ vari generi di letteratura (1).
Si citano eziandio poemi portoghesi non meno antichi di que'di Ca-
stiglia , e veramente si conoscono alcuni frammenti che risalgono al
secolo Xll (2), e non poche poesie liriche del genere de' Trovatori ,
le quali appartengono al secolo seguente (3) , allorché non era com-
parsa ancora alcuna poesia erotica in lingua castigliana.
CAPITOLO VH.
FAMIGLIA GERMANICA.
Dall'Asia passando in Europa i Germani posero stanza dapprima
in sulle terre dattorno alla Palude Meolica ed al Bosforo Cimmerio ,
quindi da un lato piegarono al Danubio, e seguendo il corso di que-
sto e poi del Reno giunsero fino all’Oceano settentrionale; dall’altro si
volsero all’odierna Pomerania, e quivi stabiliti conquistarono le isole
vicine e la parte meriggia della Penisola Scandinava (4) , mentre gli
ultimi venuti fissarono dimora fra il Boriatene ed il Tanai, e poi in-
verso il Prutli e l’Aluta e il Tibisco allato al Danubio. Vero è che
non si hanno autentiche memorie che provino storicamente la ve-
nuta de’Gcrmani dall'Asia, ma in un poeta persiano , Mirkhond , si
trova fatta menzione di una Diermania, che era il vecchio nome della
contrada di Khawaresm (paese di Cbavilahj (5) , e da Erodoto [6) si rac-
cielos diviene eros; mayor, mòr; nello, no; dello, do, eie. — Sembra che
t Portoghesi abbiano avversione per alcune lettere cui tolgono, o convertono
in altre lettere: Alfonso diviene Alfonso; Alboquerque, Aboquerque, per la
sottrazione del 1 : blando diviene brando; piaya, praia, pel cambiamento
del 1 in r; Il cangiasi in eh (llegar, chegar; lleno, cheo); f prende il po-
sto dell' h (hidalgo, fidalgoj; m è sempre sostituita ad n nella fine delle pa-
role , e le sillabe nasali in ion si cangiano in sillabe nasali in aò : nation ,
nacao; navegacion, navega?ao, eie.
(’l) Andres, Origine e progresso di ogni letteratura, t. II. p. 158.
(2) Hallam, Op. e t. cit. p. 41.
(3) Ilagnouard , nel Journal des savans. Agosto, 1825.
(t) Munch , Del norske Folks Disforia, Iraduz. ted. di Clausen, p. 61.
(a) Ved. anche Kemusat , Histoire de la ville de Kotan , trad. dal libro
cinese Pin-i-tian. Paris, 1820.
(C) Lib. I.
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Il A ZZA ARlANA-rAHIGMA GERMANICA. 211
coglie , che fra i Persiani annoveravansi ancora i Germani (trivio.)
D'altra parte è noto, che gli ultimi Germani venuti, cioè i Daco-Geti,
o Goti , furono condotti nel 508 avanti G. C. da Dario Islaspc nel-
la Scizia di Europa, d’onde si sparsero fino al Tihisco. E, relativa-
mente a questi ultimi, venne fatto al Klaproth (1) c Rèmusat (2), stu-
diando sui libri sinici, di trovarne traccia in que’ popoli che gli scrit-
tori cinesi chiamano Yueti (Getae? ) , o Yue-chi, secondo Lassen (3),
Khouti (Gotlti?), Sai (Sacae?), e che abitavano anche l'Asia di mezzo,
a’tempi della dinastia degli Ilan, che regnò sulla Cina dal 163 a. G. C.
fino al 196deH’EraCristiana. Alcuni ragguagli sulla origine de’Germani
si trovano pure ne’ loro canti nazionali , e massimamente nelle Saghe
scandinaviche ; nè ancora nel secolo XI. era estinta interamente in
Alemagna la rimembranza dalie antiche sedi de’ primi padri della na-
zione ; conciosiachè nel Libgesang auf ilen tidigen Anno si trovino i
seguenti versi :
Deren Geschlechte dere quam wilin ere
Von Armenie der lierin.
Man sagit daz dar in Halvin noch sin
Die der Diiitscliin sprechin
Ingegin India vili verro.
« La loro tribù ( i Bavaresi ) qui venne un tempo dalla nobile Ar-
menia. Si dice che sull’Alpi, là verso l’India siavi ancura un popolo
il quale parla teutonico (4) ».
Le popolazioni germaniche erano divise da Plinio in cinque, c da
Tacilo in tre generi, o gruppi di tribù che erano, seguendo l’ultimo dei
due scrittori uominali, gli Ingavones, al nord, prossimi all’oceano (da
eigion, mare ) , gli Ilermiones ( heltr, alto ) , nel centro , c gli Islaevoncs
(ist-icon, abitanti nell’ovest) nelle contrade occidentali.
Agli Ingevoni , oltre i Cauci nobile tribù fra le foci dell’Ems c del
Weser, e i Teutoni sul seno codano , appartenevano i Frisi , cui To-
lomeo collocava sulle coste dell’oceano germanico presso la foce del-
I’ Ems ; gli Angrivani sulle due rive del Weser , ed i Sassoni con gli
Siigli dall’Elba al Chaluso (5), probabilmente il Travve, con le tre isu-
le di Nordstraud, l olir e Silt.
Gli Ermioni erano:
(1) Tableaux historiques de l’Asie. Pari*, 1826, j>. 16I-IS6.
(2) Nouveaux mélanges asiatiques. Paris, 1829, II. 215-256.
(3) Geschichte der lndo-Skythischen Konige. Yed. anche Hitler, Erd-
kumle, Asien, t. I. p.453 e passim — Humboldt, Asie centrale, li. p. ISO.
(4) Schiller, Thesaurus Antiq. Teuton. P. I. seri, u II. p. 15.
(5) Tacilo, Germ. iO — Tolomeo II. Il , 15, chiama gli Angli Angili, e
gli annovera fra gli Succi : tm Si ivtii sol (uaoytbav ibviv ji«yisr*|jUv iari ro
xe x wv riv A yyitìSàt, of eia tv avaroXtxok^oi xw* Axyyojìdpòvv «y*r*r*ov-
«pk rflfs fAfixp 1 2 3 4 5 fà» |Atbov roO AX^tus «'otAfxoiJ.
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I.lfiBO SECONDO
2i2
1 Sicambri (forse i Gambrivi di Tacito (1) ed i Gamabriunì di Stra-
bono (2) ) prossimi al Reno in vicinanza di Neuwied.
1 Marsi, menzionati da Tacilo fra i Gambrivi (3); antica e rinoma-
ta tribù verso Munslcr ( Bogadium), fra’ quali era il tempio di Tan-
fana.
E l’uno e l’ altro nome non più si udirono dopo il tempo di Tolo-
meo , ma entrambe le tribù si resero formidabili contro Roma sotto
il nome di Franchi e di Sali (4).
Gli VIA , a mezzogiorno de’ Sicambri.
Gli l'sipi, i Tencteri, i Tubanti che abitavano, dopo la disfatta di Va-
ro, sulle due sponde della Lippa (5). Queste tribù si confusero poscia
in un sol uome che fu quello di Alemanni (6), o degli uomini per ec-
cellenza.
Gli Ampsicart , nel Reno inferiore , che di poi fecero parte de»
Franchi.
I Ch amavi, che si unirono anche a’Franchi; ed i Bracieri, divisi tn
grandi e piccoli, sulle rive dell'Ems, ove li descrissero Tacito (7) e To-
lomeo : 8).
I Challi (confusi poscia anch’essi co’Franchi) clic Cesare trovò pres-
so le fonti del Weser, c Druso e Germanico fra il Meno ed il Lalin ,
e che poi occuparono le montagne della Turingia e le terre Decuma-
l«(9); i Maniaci dappresso al monte Tauno , nelle calde sorgenti ,
Ueissén brilnnen (10) ; i Calluari, che denotano col nome loro l'affini-
tà che aveano co’Cliatli; gli Ermunduri, nelle montagne a settentrio-
ne della Boemia, e sulle rive superiori dell'Elba (11).
I Cherusci, che ottennero maggior fama, si allargavano fino al We-
(1) Germ. II.
(2) r*|i*^aouyoi, Strab. } II.
(3) Annal. /. cap. 56.
(4) I Franchi, ossia no uomini liberi (nome generale e comune tanto alle
due tribù de’ Sicambri e de’ Marsi, guanto a molle altre con esse confede-
rate ), si dividevano in Franchi inferiori o Salici, abitanti sul basso Beno,
e però chiamati da Sidonio Apollinare « Palo die il !;e Sicambri , » ed in
Franchi superiori, o Ripuari, stanziati sulle rive superiori del Reno, e se-
parati dagli altri per la sola tribù de’ Brutleri, o Bricteri. Avevano leggi e
consuetudini diverse ; onde le leggi saliche, c le leges Ripuariorum, » che i
Ripuari conservarono anche quando furono sottomessi a’ Sali — Il vocabolo
franco (frak, o frank) significa intrepido, fiero : tranci a feritati' dicti; cosi
leggesi in antichissimi glossari — Nel tedesco odierno frcch significa ardito,
temerario ; in olandese vrang, vuol dire aspro, fiero.
(5) Tacilo, Ann. I. 60.
(6) Zeus*, Die Deutschen und dicNachbarslamme. Mùnchen, 1S57,p.90.
(7) Annali, 1. 60.
(8} Lib. II. cap. XI..
(9) German. 58.
(10) Mat[iaci in Germania, fontes culidi trans Rheitum. Plinio XXXI. 2.
(11) Tacilo, Gerin. 41.
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RAZZA ARIANA-FAM1GLIA GERMANICA .
213
ser ed att'Elba: la selva Bacena , oggi della Buconia , d’ infinita gran-
dezza , li separava dagli Svevi. Co’ Cherusci sono ancora menzionate
le minori tribù de'Fosi, de’ Dulgibini , de’ Chauli, d e'Casuari e de’Lon-
gofiardi, fieri di esser pochi ed ardimentosi (1), a mezzogiorno di Am-
burgo e verso Saltzwedel.
I Marcomanni, gloriosi e potenti (2), che sedevano dapprima fra il
Reno, il Meno e il Danubio; poi, vinti da Druso, migrarono nel paese
dc’Boi, o Boemia. Erano essi la prima tribù del regno svecico fonda-
lo da Marobodo, e come Svevi furono descritti dagli autori latini. La
foresta Ercinia separavali da’Quadi nel sud-est della Boemia dove ora
si fa il nome di Moravia ed Austria , e donde le colonie romane d’in
riva al Danubio traevano i grani.
i Ligi, a levante de’ precedenti, e divisi fra molte genti, come gli
^4 rii gli Elveconi, i Manimi, gli Elisi i Notiamoli (3).
I Bastami, che molti autori tenevano per Galli, ma che Plinio, Ta-
cito (4) e Strabone (5j riconobbero per Germani, dalla lingua, religio-
ne e costumi. Dalle loro antiche sedi che probabilmente erano intor-
no alle rive superiori della Vistola , in vicinanza de’ Ligi, mossero il
passo , come nota Zeuss , verso l’ Lussino dove furono descritti come
un nuovo popolo da Sciamo da Olio (G).
Gli Istevoni , ne’ quali si comprendono probabilmente i Vindili di
Plinio, abitavano nelle costiere marine presso le foci della Vistola , e
nelle parti occidentali del Baltico indi occupate da altre genti straniere
al sangue teutonico.
Facevano parte degli Istevoni:
I Burgundioni, che dalle due rive della Vistola e dal basso corso del-
l’Oder si portarono parte nell’isola che denominarono Burgundaholm
( Bornholm ) , parte verso il centro della Germania , d’ onde corsero
frequente nelle Gallie.
1 Gulloni eziandio sulle due rive e sulle foci della Vistola. Il loro
nome si associa al fiume Gutlalo il quale si crede dal Voigt essere it
Pregel, che corre da Koenisbcrg al golfo di Danzica (7).
(1) Longobardo s paucitas nobilitai, quoti plurimi» tic vale ut issimi» natto-
nibu» cincti, non per obsequium, sed praliis et pmriclitando luti sunt — In-
cito. Germ. -IO.
(2) Precipua Marcomanorum gloria riresque, atque ipsa etiam sede », pul-
si s olim Boi s, virtute parta — Tacito. Gcrm. 42.
(3) Lqgiorum nomai in piare s cicitales diffusimi. Valentissima s nomi-
nasse su/jiciet, Arias, Helveconas, Marnino» , Etysios, Naharralos.— Tac.
Germ. io.
(4) Peucini, quos quidam Basiamo s vocant, sermone, culla, sede ac do-
micilia ut Germani agunt. — Germ. 46.
(5) Lib. VII.
(6) Ojrot Ss 8fi*ss, Bssrjfvxt s éeenXoìsf. Scgm. Ch. v. HO.
(7) Geschiclhe Preusscus \on dea altcstcn Zcilcu. Konisberg , IS27. 1.
p. 40.
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214
LIBRO SECOVDO
I Varini di Plinio , o i Fami di Giornande c di Fredegario , collo-
cati dal Voigt nel Mecklcnburgo c nella Pomcrania svedese . dove
hanno conservato i loro nomi nazionali al fiume Warnow, al Warne-
munde e ad altre località.
I Semnoni al nord, fra l’Elba e l’Oder, grande nazione fra lo sveve,
e l’ultima della Germania occidentale. Forse a questo genere di Ger-
mani appartenevano anche i Vandali loro vicini , ma quelli die con
tal nome si resero formidabili nella decadenza del romano imperio
furono, se ben congettura lo Zeuss , le tribù Ligie di Tacito , che noi
abbiamo noverate fra gli inculi della Germania centrale.
Altro popolo famoso che elevossi a gran potenza sulle rovine del
dominio di Roma, furono gli Ertili che apparvero, come asserisce Lu-
den (1), la prima volta in sulle rive del Tanai, onde Zosimo 2), Ue-
sippo e Zonara (3j danno ad essi il nome di gente scitica ; ma creile
lo Zeuss che questi fossero i 4 , *paSiO'oi di Tolomeo che erano stabiliti
sulle costiere meridionali del Baltico ( 4 ) , di che sembra aversi una
pruova in que’ versi di Sidonio Apollinare:
Hic glaucis Herulus gcnis vagatur
Imos Oceani colens recessus,
Algoso propc concolor profundo.
Sotto il nome d’ Illevioni ( Hillevionum gens ) erano da Plinio com-
prese le tribù che abitavano le terre scandinave; ma Tacito vi addita-
va due soli popoli, i Suioni (5) cd i Sitoni (6), i primi forse Germa-
ni, i secondi di stirpe finnica, i quali, invasa da’Teutoni la Scandina-
via, rifuggirono al settentrione della penisola, ove gli scrittori poste-
riori gli indicarono col nome di Iotuni, Finni e Lapponi.
Nella enumerazione che fa Tolomeo (7) delle nazioni abitatrici della
Scanzia , i Chedini (ad occidente), i Favoni e Firesi ( ad oriente ) , ed
i Lenoni ( nel centro ) è dubbio se fossero Finni , o Germani ; ma i
Guli e i Daucioni probabilmente sono i Goti di Gollandia e i Dani di
ceppo teutonico, come i Suioni di Tacito sono forse gli Sviar del Me-
dio Evo , e i nativi di Swea, o Svezia , gli Svedesi, mentre i Norvegl
ripetono la loro appellazione dalle loro dimore poste più verso il set-
tentrione (8).
(1) Hist. d’Allemagnc. I. 518-519.
( 2 ) Lib. SUI.
(3) Ann. p. 651 — Edit. paris. Byzantinorum. (a. 1686).
[A) Op. cit. p. 47 9.
(5) Suionum bine civilales, ipso in Oceano, praler viros armaque, clat-
sibus valent. — Germ. 44.
(0) Suionibus Sitonum gcntcs continuantur Hic Succia finis . —
lbid. 45.
( 7 ) l.ib. II. cap. XI.
(8) Da Nord-wegr, il cammino del nord.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA GERMANICA. 215
Non credo che oggi abbia seguitatori il detto memorabile di Gior-
nande, che la Scanzia fosse « officina genlium , aut certe vagina nalio-
num (1), » poiché Sono certamente favolose, per non dir altro, quelle
origini settentrionali della umanità. Nondimanco l’opinione di Gior-
nande ebbe assai credito fra gli autori che ci precederono , e molto
vi si affaticò intorno a sostenerla con la sua eloquenza il Itailly (2) ,
non iscoratp dall’autorità di Leìbnizio, che riconobbe alle sembianze
la favola (3).
Rinomatissimi fra tutti i Germani erano i Goti , Ceti o Dad, ultimi
a venire in Europa, condottivi, come innanzi è detto, da Dario figliuo-
lo d’Istaspe, nell’anno 508 a. G. C. Passato il Danubio inondarono la
Tracia fino all’Ebro , e furono respinti da Minucio Felice ; ma saliro-
no a maggior potenza quando lìerebisto ristoronnc la gloria , e li
condusse vittoriosi a distruggere il regno dei Boi di Crisatiro , a de-
vastare la Tracia, la Macedonia e l'Illirio, e ad impadronirsi d’ Olbia
sul Boriitene, o Nieper, non che d’altre città del Ponto Eussino. Mor-
to Berebisto, il regno de’Daco-Geti si divise in più principati: i Sar-
mati li ricacciarono fino al Tibisco, e quelli che avevano passato il Da-
nubio furono respinti dalle legioni di Tiberio. Ma formidabile contro
i Romani surse Decebalo, e Tacito scriveva il suo libro sulla Germania
allorché appunto fioriva nella maggior sua gloria quell’ uomo , a cui
l'Imperio pagava un tributo.
Ma nè Tacito, nè Plinio, nè altri scrittori credevano i Goti, o Geli
della medesima stirpe de’ Germani ; anzi Tacito narra essere divisa la
Germania da’ Daci , o Geli , o Goti a monlilms ac mutuo melu ». Cosi
anche Plinio , il quale enumerando i suoi cinque generi de’ Germani,
chiama i Peucini, o Bastami , ultimi di essi , « contermini Dacie » , i
quali nou erano perciò appartenenti ad alcuno de’ generi in che da
lui scompartivansi i Germani (4).
I Goti si chiamavano prima Geti, od anche Daci, come si raccoglie
da mollissime testimonianze (5). Il primo che adoperasse l'appellazione
di Gotti, o Goti per nominare i Daco-Geli fu l’ autore della Cronaca
(1) De Getarum sive Gothorum origine et rebus gestis. Cap. IV.
(2) Lettre huitièmc sur Ics Sciences, p. 258. Pari», 1778.
(3) Neccio an unquam Gothi fuerint in Scandinavia, nec salis pcrsuadenr
testimonio Jornandis — Epist. ad Jobum Ludolfum, in App. Leibnitii, V.
P. I. p. 105. Genevce, 1768.
(4) Anche netta Descrizione de 'messi di Teodosio per la misura delta terra
riferita da Dicucii ( ed. Letronne I. VII. 10 ) , la Dacia è distinta dalla
Germania : Germania et Gothia finiuntur ab oriente lluminc Wistla.
(5) Si dissero anche Saci, ed Haci, e cosi nominati sononel Ramayana,
Adie, mila, cap. LV. «Di nuovo Ella ( la vacca Sabati) produsse i fieri
Saci, misti insieme cogli Varani. Da questi Saci, commisti cogli Yavani, fu
inondata la terra. Erano scorridori robustissimi, condensati in frotte co-
me fibre di loto ; portavano bipenni e lunghe spade , avevan armi e arma-
dure d’oro ». Gorresio, Ramayana, t. VI. p. ISO.
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216
LIBBO SECONDO
detta Pascale, od Alessandrina fin dall’anno 106, quando essi guerreg-
giavano con Traiano (1). Sparziano, al tempo dell'imperatore Cara cal-
la, dice « quod Golhi Getae dicerentur » (2j, e Casaubono, commenta-
tore di Sparziano: « Getae dicebanlur lune qui postea Golhi, vel Gotti ».
Flaminio Vopisco, nella vita di Probo, nomina i Goti solamente come
« Geticos populos » , e Pomponio Leto, nella vita di Claudio , dice di
essi: « Getae Uli qui et nunc Gotta». Altrettanto scrive S. Girolamo che
chiamò la lingua de’Goti « barbaram Getarum linguam » , e Procopio
che non distingue punto i Goti da’Geti, a proposito de’ quali aggiun-
ge : r«ri*4v yotf e 6 voi $*»; toOi rórSoui «ìv*i (3). Talppeltin, storico di
Transilvania, tenea per ferma siffatta verità : « Golhi, ut mea feri opi-
mo, stml velerei Daci. . . . Golhi vidi ab Humus, Bcdlhici maris parlet
petierunt. Reliquiae autem ipsorum Gothorum usque diem in Dacia, pri-
stina orbali nobilitate, vivimus obscuri (4) ». Eckel parimenti scrive :
« Gothi, sire Getae, jam tempore Caracallae romana* provincias infesta-
bant ;5) ». Questa medesima dottrina non cessarono di travagliarsi a
dimostrar vera dotti svedesi, e soprattutto il dottissimo Ugone Grozio.
Che tutti i popoli germanici ora mentovati appartenessero ad una
sola famiglia etnica è dimostrato non solamente dalla storia, ma dal-
l’affiRità eziandio degli idiomi favellati in Alemagna e nc’paesi scandi-
navi. Esiste peraltro una varietà ben conosciuta fra le lingue di cep-
po germanico , e questa varietà è in corrispondenza con le divisioni
notate fra que’popoli da’romani scrittori, e singolarmente da Plinio e
da Tacito ; conciosiachè il linguaggio neerlandese , o basso alemanno,
uno de’ quattro in cui dividesi la lingua teutonica, è parlato lungo le
costiere marine, dal Reno all'Elba, che era il paese di quel genere di
Germani che Plinio e Tacito nominavano Ingevoni ; il tedesco, deri-
vato dall’antico alemanno, è favellato in tutto il resto della Germania
che era tenuto dagli Ermioni e dagli lstcvoni, eccetto le contrade con-
quistate e possedute dagli Slavi ; e lo scandinavo, generato dall’antico
norso , è il sermone cosi d’ Islanda come della Danimarca , Svezia e
Norvegia , ossia di quei paesi che si tenevano dagli lllevioni, cioè dai
Daucioni , da’Guti eda’Suioni.
I Daco-Geti, o Goti che formavano un altro ramo de’Germani, pos-
sedevano anch’essi un proprio idioma , il gotico , il quale si congiun-
ge e rannoda alle lingue degli altri Teutoni, e che noi conosciamo pel
papiro d’ Arezzo (6) , per l’altro disteso in Ravenna nel 551 , e pos-
seduto dall’ Annunziata di Napoli , oggi esistente nella R. Bibliote-
ca Borbonica (7) , pel codice argenteo degli Evangeli custodito iq
(1) Chron. pascli, p. 255. Edit. paris. 16SS, intcr Byzantinos.
(2) In Caracallam, rap. X.
(3) Prucop. Bell. Gotti.
(àj Origines et occasus Transylvanorum. Lwjd. 1667. p. 24.
(5) Doctrina ntimmorum. VH. 316.
(ti) Marini, Papiri, num. 118, e fai;. XI V.
(7) ld. lbid. num. 119, e tav. XVII.
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BAZZA AKLANA-FAMIGMA GERMANICA. 217
L’psal (1), por l’Omelia e il Calendario de’Goti trovali ne' manoscritti
dell’Ambrosiana decottissimi Mai e Castiglioni (2), per una versione
delle Epistole di S. Paolo (3), e per l'Omelia gotica pubblicata fra gli
scrittori vaticani dal celebratissimo Mai (4). « Però il gotico, siccome
riflette il Biondelli , essendo fra tutti i dialetti germanici il più ricco
di forme grammaticali , e quindi il più atto a rappresentare con leg-
gere modificazioni e senza inversione di periodi le più dilicate grada-
zioni delle idee, ci attesta incontrastabilmente, che la nazione la quale
Io parlava era per lo meno suscettiva di un distinto perfezionamento
intellettuale ; il che è maggiormente dimostrato dallo scorgere come
dovesse essere indispensabile un certo grado d’ incivilimento per in-
tendere quelle sottili distinzioni che Ulfila nella versione delle epi-
stole di S. Paolo proponeva a’ suoi fedeli. In secondo luogo , quella
ricchezza di flessioni e di forme grammaticali confrontate con la tes-
situra più semplice de' dialetti germanici posteriori , ci mostra chia-
ramente come di mano in mauo che le nazioni si frammischiano ad
altre, vanno perdendo le forme proprie della loro lingua senza assu-
mere le straniere. Cosi p. es. i Tedeschi con sole sei flessioni decli-
nano attualmente tutti i loro nomi sostantivi, mentre nell'antica loro
lingua , cioè nella lingua dei Franchi e degli Alemanni , per quanto
risulta da’monumentì superstiti, ne troviamo 23, e nella gotica Iacopo
Grimm ne noverò perfino 40 (5) ».
Questa famiglia teutonica, siccome la descrissero gli antichi scrit-
tori, era di membra valide e robuste, di statura eminente e di bian-
chissima carnagione , con occhio azzurro e capelli biondi , o rosseg-
gienti. Cosi Cesare dice i Germani osservabili : « ingenti magnitudine
corporum (6) », e Tacito descrive le loro membra come « magna et
tantum ad impetum valida (7) ». Pomponio Mela lasciò scritto di essi:
« Qui habitanl Germaniam immanes sunt animis alque corporibus 8) » ;
ed Erodiano: « m» r fidavi» <*«(»« r* n.Columella egualmente
(1) Francisci Junii , Quatuor J. Ch. Evangcliorum ex codice argenteo
versiones Gothica et Anglo-Saxonica. Dordrecht, 1665, in 4.
(2) lllphihe partium ined. in Ambros. palimps. ab A. Maio rcpert. Spe-
cimen conjunctis curis ejusd. Maii et Casùllioim editum. Mediotani, 1819.
(3) Castiglione, Gothica; versionis Epist. Pauli ad Rom. , ad Corinti). ad
Ephcs. qua) supersunt. Ibid. 1855 — Epist. Pauli ad Gal., ad Phil., ad
Coloss. etc. qua; supersunt. Ibid. 1855.
(4) Homilia gothica, in Scrippt. Vaticanis, t. I. P. ultima.
(5) Atlante linguistico — Da ciò taluni hanno creduto, che il moderno
alemanno fosse idioma meticcio, composto di celtico e di gotico. Ved. Kefer-
ste in, Ansichten ii ber die keltischenAltcrthumer. Halle, 1846-1851 Einleit.
1. XXX Vili.
(6) De Bello Gallico. I. 59.
(7) Germ. 4.
(8) De situ orbis. III. 3.
(9) VI. 7.
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218
Mimo SECONDO
allude alla loro alta statura allorché scrive: « Germaniam decorava na-
tura allissimorum /tornili um exercilibus (1) » , e Velleio eziaudio con
quelle parole : «juventus immensa corporibus (2) ».
Tacilo in oltre favella de’loro « trucrs et cocrulos oculos, rutilai co-
mas (3)», ed Ammiano Marcellino delle loro « comas rutilanles (1) ».
l'ariano altresì del colore degli ocelli e de'capelli de'Gcriuaoi, Gra-
zio in quel verso:
Noe fera cacrulca domuit (Romani) Germania pube (3) ,
Giovenale ne’ versi che seguono :
Caerula quis stupuit Germani lumina, ilavam
Caesariem, et madido torquentem cornila cirrlio?
Nempe quod haec illis natura est omnibus una (Gl,
ed Ovidio nel IV. de Ponto (7) :
Hic ego cui recitem nisi flavis scripta Coralli*
Quasque alias gentes barbarus lstcr liabett
Strabone dice di essi : rsp[i*voi (xixfòy « jjXljirroyris roi KsiTixo-j filari,
TÌtovnity rr )5 «ypiorr.rm x*i ov (itys-Vris , x*i rr,s (;xyAori)n>5 (8), C Calpurnio
Fiacco : Rutili mnl Gcnnanorum vultus et flava proceritas (9) ». Silio
Italico chiama i Untavi: « auricomus /laviti Ilatavus (10) », Sidonio Apol-
linare i Sicambri : « flavi Sicambri 11) », e Claudiauo altresì :
Agniina quin etiam flavis abiccta Sicambris (12);
ed altrove :
Ilavam sparsero Sicambri
Caesariem (13) ;
( I ) De re rustica SS.
(2) II. 106.
(Iti Loc.cit. io stesso nella vita di Agricola (II.): Rutila! Caledoniam ha-
bilantium cornee, magni artus ejermanicam origine in asseverali!.
[H) XX VII. 2.
(iij Epodon. XVI. 7.
(G) Satvr. XIII. v. 161 e seg.
(7) IL 37.
(8) Lib. VII. edit. cit. p. 415.
(!)) Sedia 2.
(10) Lib. III. v. 60S.
(11) In Panegyr. Avit. Augusti, 42.
(12) De Bello Gotico.
(13) In IV. Consul. liouorii.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA GERMANICA.
219
cd in altro luogo ancora.
illinc flavcntc Sicambri
Cacsarie (1).
il medesimo Sidonio descrive i Franchi di chioma bionda e d’ occhio
azzurrino, e parlando nello stesso luogo dello sposalizio di una donna
loro, cosi canta :
fors ripa; colle propinquo
Barbaricus resonabat hymen. Sciticisque choracis
Nubcbat flavo similis novo nupta marito (2).
Manilio poi, comparando i Germani a’Galli, scrive:
Flava per ingentes surgit Germania partns ,
Gallia vicino minus est infecta robore (3) ;
ma Galeno , nel suo comentario ad Ippòcrate , non chiama i Ger-
mani biondi nel vero senso della parola , sibbene di un colore ten-
dente al rossastro : oùrws yoùv n»ii riftojiàfovJi To-k r t ffixvo'h 5*v8oA5, kju roi
ys òvvi vvrxi &ùv r/s e'SaXot xaLsfv, ùi.'/i «•oppo'ts (4).
Ne’crani trovati nelle antiche tombe della Germania notasi poi l’am-
piezza della fronte , la sporgenza del sopracciglio , una depressione
nella radice del naso, ed una lieve prominenza nelle arcate zigomati-
che : caratteri, i quali congiunti agli altri che si desumono dalle descri-
zioni che ci ha lasciato l' antichità sulle forme fisiche de’ prischi Ger-
mani , ci permettono delineare un compiuto abbozzo di essi , il quale
rassomiglia interamente, all'infuora di poche eccezioni, agli odierni in-
dividui della famiglia teutonica; cioè: — Statura ordinariamente ele-
vata ; membra valide e robuste; forma del cranio ovale; fronte ampia
con le arcate sopraciliari alquanto rilevate ; pomelli delle gote un
po’ sporgenti; naso lievemente depresso nella sua base , c carnoso sul
dorso; colorito della carnagione ordinariamente vermiglio; occhi az-
zurri; capelli gialleggianti o rosseggianti, ma non comuni indistinta-
mente a tutti i Tedeschi ; imperciocché se lo sono fra gli Scandinavi
e i nativi d' Islanda , negli altri , come s'infosca leggermente il colore
della cute, cosi parimenti quello della chioma apparisce di uu bion-
do scuro c quasi castagnino, essendo rare fra gli odierni le vere chio-
me flave, o rutilanti degli antichi Germani (5).
(1) In Panegyric. Stiliconis.
(2) In Panegvric. Majorini. 2Ò9.
(3) Astron. IV. 7/3-7 U.
(4) Comm. in Hippocr. Ttsfi
(5) # lo ho veduto i» una gran tata piena di gente in Francoforle sul
Meno, all’ in fuori di due o tre individui che erano inglesi, non esservi un
sol uomo che non avesse i capelli di colore oscuro. Mi ha dello il cav. Ban-
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unito SECONDO
220
Questi adoravano, a' tempi di Cesare, il Sole, la Luna ed altri ob-
bietti materiali , ma quando Tacilo scriveva il libro intorno alle loro
costumanze, erasi già diffusa fra di essi la religione di Odino ; Odino
che Dell’Edda vien cantato come Iddio del Cielo e del Sole, della guer-
ra e della pace; il perché Tacito e gli autori del Medio Evo lo giudi-
carono simile quando al Mercurio, e quando al Marte de'Romani (1).
Friggo, o Freja, moglie di Odino, rappresentava i simboli della Terra
e degli Amori; ma Toro, il nume del fulmine, variamente secondo le
varie tradizioni dell’Edda, è creduto padre, o figliuolo di Odino. Heim-
dallo , chiamalo anche Riggo , era il primo de’ consiglieri di Odino.
Gli uomini prodi e possenti , se uccisi nelle battaglie, o se periti per
qualche violento caso, erano accolti nel suo divino palazzo di Vahal-
la, ove gli eroi godeano sempre della rinascente felicità di combattere
fra loro , e bevere la cervogia e l' idromele nelle capaci tazze degli
umani crani (2).
Gran Diva tenevasi la terra, ovvero Erta, presso i sette popoli della
sveva confederazione (3), e il suo culto esercitavasi in un bosco di un
isola del Rabico, Rugen. Ivi dedicavasi alla Dea un carro coperto di
un drappo, nè mai tocco se non dal sacerdote interprete de'segni del-
la venuta di Erta fra i mortali. Quando egli credeva giunta la Diva,
mostrava il carro ai popoli tirato in giro da due vacche, ed allora ta-
ceano le armi e regnava la pace in mezzo al giubilo universale. Ma
come il sacerdote scorgeva la Dea già sazia del conversare con gli uo-
mini, tosto il carro, il drappo e la stessa Erta, quasi volesse purgarsi
delle terrene sordidezze, si tuffavano in un lago da' servi a ciò depu-
tati, e che miseramente vi si lasciavano perire.
sen, che egli area cercato inrano fra i Tedeschi le chiome dorate e gli occhi
azzurri degli antichi Germani, e non area potuto rincenir mai gli originali
de 1 ritratti che gli antichi accano fatto de’ suoi compatrioti , fino a che non
visitò la Scandinavia , dove trovossi veramente in mezzo a’Germani di Ta-
cito » — Prichard, Histoire nat. de l’homme trad. p. Roulin. I. 267 — Co-
me un altro carattere proprio della famiglia germanica si cita ancora un
tal quale risalto delle carni a’iati del labbro inferiore, che si pretende osser-
vabile eziandio nelle figure della scuola fiamminga, nella Madonna di Ru-
bens del Museo di Dresda, n e’Satiri e Ninfe della medesima collezione, in
una suonatrice di liuto di Mieris, etc. — De Gobineau, Essai sur l’ mega-
liti des races humaines. Paris, 1853, J. 189.
(1) Deorum maxime Mercurium colunt. . . . Martem, concessis anima-
libus, placant. Tacito, Germ. 49 — Paolo Diacono cori scrive ( De gestis
Longobardorum , /. 9 ) : Wodan sane quem adjecta lilera Gicodan dixe-
runt , ipse est qui apud Romanos Mercurius dicitur, et ab universis Ger-
mania. gentibus ut Deus adoratur.
(2) Gli onori del Vahalla erano promessi a’ soli uomini di alta schiatta.
I poveri, i captivi, gli schiavi cadevano in imo luogo, fra le glaciali tenebre
del Niflheimz.
(3) Ertham idest Matrem Terram colunt— Tac. Germ. 40.
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RAZZA ARIANA- FAMIGLIA GERMANICA. 22 1
L’IsiJe venerata da una parte degli Svevi (1). non sembra fosse sta-
ta allra divinità se non Erta , della quale celebravano la provenienza
forestiera, come appunto i Romani facevano per Iside cui soleaoo of-
ferire alle none di marzo un navigio per denotarne la venuta dalle
sponde del gran fiume dell’Egitto (2).
I Naharvali in olire adoravano i dueAlci giovani iddìi, che, secondo 1 2 3 4 * 6 7
l'interpetrazionc romana, aveano riscontro ne’Dioscuri Castore e Pol-
luce (3). Ma nè in effigie, nè in simulacri onoravano le loro Divinità,
nè era uso presso di essi innalzar templi agli Dei, poiché non d’altro
s'ha menzione che dell'unico tempio di Tanfana (4). I riti religiosi com-
pivansi nel folto de boschi, dove l’ ara del nume spesso baguavasi del
sangue di vittime umane (5).
Presso i Daco-Geti i dogmi religiosi erano stati nobilitati da Zi moki
che narrasi in Egitto imparasse la scienza degli astri, e dallo stato del
cielo sapesse predire gli eventi (6). Egli insegnò essere veramente
l’anima incorruttibile, e la morte non nuocere che al solo corpo; sciol-
to lo spirito da’suoi legami godere in eterno più beati giorni; avergli
cosi rivelato Vesta, e si credessero pure i detti della gran madre co-
mune. I dogmi di Zamolxi sulla immortalità dell'anima ravvivò De-
ceneo vissuto a'tempi di Siila: nuovi e minori numi propose alla ve-
nerazione de'Goli, e nuove are dedicò ne’sacri luoghi. Dava i responsi
del cielo al popolo, e fu giudicato mirabile uomo.
Parrebbe che a’tempi di Tacito i Germani avessero ignorato l’ uso
della scrittura , ma sembra più probabile , che se non l’ adoperavano
negli usi comuni della vita, l’ avessero non pertanto destinala pe’ soli
monumenti de’ quali rimangono gli avanzi nelle pietre runiche , il cui
alfabeto si compone di sedici lettere a foggia di bastoncelli , o dardi,
ognuno de'qualì ha un significato riferibile all’antica mitologia (7),
(1) Pan Suecorum et Iridi sacrificai — Ibid. 9.
(2) Lattanzio, Institut. 1. 27 — Kalend. antiq. apad. Orellium, Inscript.
lat. II. p. 380. Ed. 2. a
(3) Deos interpretatione romana Castorem Pollucemque memorant. E *
vis numi ni : nomea Aids — Tac. ibid. 43.
(4) Nec cohibere parietibur Deos, ncque in ullam ìtumani oris speciem
adsimilare ex magnitudine caslestium arbitrantur. Lucos ac nemora conse-
crant, deorumque nominibus appellane secretavi itlud, quod sola reverentia
vident — Tac. ibid. 9.
(3) Positive testimonianze attestano l'uso di sacrifici umani presso gli
Eruli, i Sassoni, i Frisoni, i Turingi, i Franchi, e perfino fra i Daco-Geti,
o Goti — W. Mailer, Geschichte und System der altdeutschen Religion.
Gbttingen, 1853, in 8. p. 75-79.
(6) Di Zamolxi, v. Ellanico di Lesbo, presso Suida sotto la voce
e Diodoro Siculo, /. XCIV., e più ampiamente Strabone lib. VII. Pare a
Munck ( trad. di Clausen, p. Ì3 ) il nome di Zamolxi sapere di slavo , e
rannodarsi alla voce szalmas, caschetto, elmo.
(7) G. Grimm, Uebet deutsche Runen. Gbttingen, 1821 — Kirchhoff,
Das gothische Runenalphabet. Berlin, 1854.
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I.IBRO SECONDO
222
Con tale imperfetto alfabeto io non credo si fosse scritto il libro del-
l’ Edda, come alcuno ha preteso (1) ; anzi , poiché i più grandi eroi
dell'Edda, Ermanarico, Attila, Teodorico, vissero fra il IV. e VI. se-
colo cristiano, cioè a’tempi di Ullìla c dopo, cosi ho per fermo, che il
libro sacro degli Scandinavi fosse scritto quando già era diffuso l’alfa-
beto uitilano da Ermanarico introdotto negli altri paesi germanici da
lui conquistati. Vero è che anche prima di Ullila prestavasi la lingua
germanica alle grazie della poesia, avendola Ovidio impiegata a scri-
vere un poemetto in lode di Augusto ; ma se ciò dimostra l’ abbon-
dante ricchezza della favella, non ne chiarisce punto dell'alfabeto col
quale poteva essere scritta, e bene Ovidio poteva adoperare l’alfabeto
romano per i suoi versi gotici , ed esprimere i suoni germanici con
lettere romane siccome usiamo di fare noi Europei con quasi tutte le
lingue del mondo.
Tali quali noi gli abbiamo ora descritti erano i Germani a’tempi di
Cesare e di Tacito , e innanzi che precipitassero sul romano imperio
e ricevessero dai vinti i benefìci di più miti costumi. Accompagnare
lo svolgimento della civiltà presso tutte le tribù ebe componeano la
famiglia teutonica sarebbe opera lontana dall’ obbietto delle nostre
investigazioni, e per la mancanza di documenti per molte di esse cer-
tamente impossibile. Il perché limiteremo le nostre indagini a' soli
gruppi de’ Germani corrispondenti alle distinzioni glossologiche già
stabilite , e, cominciando da' tempi di Tacito , getteremo un rapido
sguardo sui Goti, sugli Scandinavi, sui Germani che parlano il basso
alemanno, ossiano i Neerlandesi , e per ultimo sui Tedeschi propria-
mente detti favellanti il moderno teutonico derivato dall’antico branci-
co, o dall'alto alemanno.
§ /. Goti.
Si estendeva già la signoria di Decebalo dalle rive del Tibisco a
quelle del Boriatene dove era Olbia, quando i Romani venuti a guerra
con esso furono disfatti, ed ucciso Oppio sabiuo. Più fortunato Traia-
no con le sue legioni vince Decebalo e i Goti, c riduce la parte della
Dacia conquistala in provincia romana, popolandola di colonie di Ro-
mani e d’ altri popoli soggetti all’imperio. I Daci , o Geli che rimase-
ro liberi nel loro vasto ed antico paese dal Frulli (ino al Tira , dopo
l’abbandono fatto della Dacia dall’imperatore Aureliano, si ricongiun-
sero a'Ioro concittadini liberati dal giogo romano, e tutti si chiamaro-
no Goti, per un lieve mutamento di pronunzia. Molli Barbari e Ro-
mani pertanto, obbedendo alla volontà di Aureliano, si ritirarono di
qua dal Danubio; molti Romani rimasero pure oltra di quel fiume nel-
l’ odierna Yalacbia , ove odesi tuttora un linguaggio provegnente dal
latino.
Ermanarico il Grande della famiglia degli Amali, il quale tenne sodo
(1) Schilmenmann, nella prefazione all' Edda Islandese. Stellino, 1776.
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RAZZA ARIANA FAMIGLIA GERMANICA. 223
il suo scettro tanto i Goti orientali, quanto gli occidentali, cioè gli
Ostrogoti e i Visigoti, estese le sue conquiste nella Germania occi-
dentale con tutte le regioni dalla palude Meolica fino al Baltico (1).
Allora tutti i Romani ed i Barbari, che erano rimasti nella Dacia slata
romana , si uniroho con lui , e formarono co’suoi un sol popolo.
Alla morte di Ermanarico dileguossi il suo regno: gli Ostrogoti obbe-
dirono a’ principi Amali, e i Visigoti a parecchi de’ loro Pilofori, od
ottimati, e principalmente a quelli della razza gloriosa de’Balti. «Non
so quali resistenze si fossero dagli Ostrogoti opposte all’unnico nem-
bo , ma essi caddero tutti nelle sue mani, e gli Amali tremarono in-
nanzi al re Belamiro, contro il quale nondimeno ardi levarsi Vini—
tario, nipote di Ermanarico il Grande. Belamiro l’uccise ; credè tut-
tavia dover nobilitare la sua vittoria sposando Valodaraarca , nipote
di esso Vinilario. Più lunga riuscì la difesa de'Visigoti, che rizza-
rono il gran muro contro gli Unni; ma fu invano, ed altra speranza
non balenò lor nella mente, che di passare il Danubio, chiedendo
uo asilo a Valente Augusto nelle provincie dell'Imperio. Cosi fecero
solto la scorta de’Balti e di molti loro Pilofori, non che d’Ulfila sa-
lutalo lor vescovo. Trasportarono seco enorme copia di ricchezze; le
donne soprattutto possedevano un cumulo incredibile di monili e di
tappeti , e li prodigarono sovente per ottenere la protezione degli
avari e codardi officiali dell’Imperatore, che non tralasciavano di
vessar coq sempre crescenti soprusi la visigotica gente fino a che
questa non aspirò alla vendetta. E l’ebbe sanguinosa e terribile, met-
tendo in fuga le legioni, e bruciando vivo in un tugurio di Tracia lo
stesso Imperatore Valente • (2).
I Visigoti devastarono per lungo tempo l’Imperio, combattuti so-
vente con vario successo, ed il più delle volle comperati dall’oro
dell’ Augusto d’Oriente. Arcadio dovè temerli fra le stesse mura di
Bizanzio, ed Onorio, che pazzamente ne aveva attizzata l’ira, li vide,
chiuso in Ravenna, traversare sotto gli occhi propri le infelici contra-
de d’Italia , ed espugnar Roma il dì 24 Agosto del 410, l'anno 1163
dopo la fondazione di quest’ augusta città. Ma non più di sei giorni
di saccheggiamento Alarico lor duce permise a que’ barbari, e su-
bito rimosso il piede da quel sacro suolo movea per la Sicilia e poi
per l’Africa, quando colto d’improvvisa morte in quel di Cosenza ,
lasciò le ossa sepolte co’suoi tesori sotto le acque del fiume Busento,
perchè niuno sapesse il luogo dove si posava il terrore de’ Romani, e
(1) « In Isvezia fondarono una nuova Ostrogozia ed una nuova Vestro-
gosia , diverte affatto da quelle che fiorirono sul Danubio e sul Ponto E ug-
girlo. Fi recarono tutte le loro istituzioni, ed alla unieersalità delle loro
conquiste in Danimarca ed in Isvezia dettero il nome comune di Dacia, che
durò per molti secoli negli atti pubblici ed officiali dell’uno e dell’altro re-
gno ». Troya, Fasti Gelici o Gotici, anno .37 6.
(2) C. Troya, Storia d’Italia del Medio Evo.
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Mimo SECONDO
il suo riposo non fosse turbalo da postume vendette (1). Allora i Vi-
sigoti raccolsero i loro voli sopra un cognato di Alarico, Ataulfo, il
quale , dopo nuovi saccheggi, abbandona l’Italia per patti conchiusi
con Onorio , e va nella Spagna e nelle Gallie per combattere i ne-
mici di Roma, Vandali, Svevi ed Alani. Finito Ataulfo dopo Ire an-
ni per morte violenta gli successe Sigerico, e dopo sette giorni
Vallia, che guerreggiando corse la Iberia fino al mare. Di tanta vit-
toria menò trionfo Onorio in Campidoglio, ed a Vallia assegnò t'A-
quitania, e per sede Tolosa. Ma non molto durarono in potenza i Vi-
sigoti al di quà della Loira : ben più lungo fu il loro dominio nella
Spagna che signoreggiarono fino all’anno 711,quandogli Arabi, con-
quistata la penisola, v’ annientarono il nome e il dominio visigotico.
Gli Ostrogoti intanto, divelti dalle lor sedi danubiane, e trasportati
nelle vaste solitudini d’oltra il Boristene fiuo al Taoai, gemeano sot-
to l’unnico peso, per liberarsi del quale, insieme co’Gepidi , cogli
Eruti ed altri popoli , proruppero alla battaglia dei Nelard ; e poiché
l’ebbero vinta , ottennero nuova sede nella Pannonia lungo il Danu-
bio dagli Imperatori. Da uno de’ tre fratelli Amali che aveano com-
battuto sui Netard nacque Teodorico, il quale fu allevato in Costan-
tinopoli, poi guerreggiò in favore deH’Imperio, indi pervenne al con-
solato. Venne poi In Italia d’onde scacciò gli Eruli, e fu fatto lieto
della penisola da Zenone Augusto. Non fu lungo in Italia il dominio
della gente Ostrogota. Scorso appena un quarto di secolo dopo la
morte di Teodorico, Belisario in prima, e per ultimo Narsele, com-
pirono la ruina dell'ostrogotica monarchia con la quasi totale distruzio-
ne di quella stirpe; laonde in poco piu di due secoli dopo Ermanarico
scomparvero dalla storia i Daco-Geti , le reliquie de’ quali, scam-
pale alle stragi fattene dagli Unni, da'Greci, e da’ Saraceni , si me-
scolarono e confusero co’ loro vincitori.
§. 2. Scandinavi.
A. Svedesi.
* x
La storia certa della Svezia non comincia che nel IX secolo cri-
stiano, quando appare un re Olao sì potente da invadere la vicina Da-
nimarca. Erano gli Svedesi e i Norvegi in quell'epoca divisi, ma colla
unione di Colmar (1397), essendo stala eletta a regina di Svezia Mar-
gherita figlia del danese Valdemaro III sposata ad Akon IV re de’Nor-
veyi , fifrono riuniti in uno i tre regni prima disgiunti di Svezia, Nor-
vegia e Danimarca. Ma non tardò guari, e nuovamente Danimarca e
Norvegia si separarono dalla Svezia della quale fu nominalo re Canu-
tion, maresciallo del Regno. Durò la Svezia ora con trista, ed ora con
lieta fortuna fiuo al regno di Gustavo IV che perde la Finlandia , la
l'omcrania e parte della Lapponia. Deposto dal trono, fu eletto in sua
vece lo zio dianzi reggente del regno, Duca di Sumjermania , col no-
ti) domande, De Rebus geticis, XXX.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA GERMANICA. 225
me di Carlo XIII. Questi adottò il Principe Cristiano Augusto, il qua-
le morto nel 1810, la dieta di Onebro gli scelse a successore il mare-
sciallo francese Bernadotte, Principe di Pontecorvo. Favorevoli de-
stini concessero a costui , col trattato di Kiel del 1814 , eziandio
la sovranità della Norvegia , la quale oggi , benché riunita sotto un
medesimo scettro, è amministrata a parte , e indipendente dal regno
di Svezia.
B. Norvegi.
Molte piccole monarchie si dividevano in antico la Norvegia, riunite
poscia in una sola da Harald-Harfagher (dalla bella chioma ) verso la
fine del IX. secolo di G. C. Emigrarono allora per l’Orcadi, l'Ebridi
le Seltland molti principi assoggettati, e fra questi Gang-Rolf, o Roti,
che riuniti i suoi compagni esautorati, ed allestita una flotta, corsero
insieme pirateggiando sull'Oceano, e sbarcati in sulle coste della Gallia
vi conquistarono il paese che da loro cbiamossi Normandia. Altri in
maggior numero sf volsero all’ Islanda , poco dianzi scoperta dall’av-
venturiere Naddod , e vi fondarono una saggia Repubblica. Sotto
Margherita figlia di Valdemaro Ili. di Danimarca , la Norvegia si con-
giunse alla Svezia ed alla Danimarca , della quale ha seguito i destini
fino all’ anno 1814 , quando ne fu distaccata e congiunta col regno
svedese.
; • t k . * *.
C. Danesi. ;/■
La Penisola danese, o Jutland, fu negli antichi tempi occupata dalla
tribù celtica de’Cimbri che ne uscirono per invadere una parte delle
Gallie e della Brettagna. Dubbie ed incerte sono le notizie che si han-
no di questo paese fino all’epoca del conquisto fattone da Olao II. nel
IX. secolo di G. C. Glorioso fu il regno di Valdemaro , meno per la
conquista di Rugen , che per la savia legislazione che introdusse fra i
suoi popoli. Col maritaggio della figlia di Valdemaro con Akon di
Norvegia la Danimarca fu riunita agli altri regni scandinavi; ma nel
1448, chiamato sul trono Cristiano I. di Oldenburgo, alla monarchia
danese si aggiunsero i Ducati di Schleswig-IIolstein. Il trattato di
Kiel obhligò la Danimarca a cedere alla Svezia la Norvegia , che era
stata ad essa congiunta fin dal 1397.
Gli Scandinavi , fra tutti i Teutoni, conservano più distinti i carat-
teri fisici de’ loro antichi padri. E benché generalmente que’ caratteri
sieno quasi uniformi dappertutto, in Isvezia non pertanto la fisica co-
stituzione de’ nativi , e massime delle genti del popolo , differisce di
provincia in provincia, in Vestrogozia, e quasi in tutto il regno di Go-
zia domina il capello biondo, l’occhio azzurro, la statura mezzana, il
taglio svelto della persona, ed una franchezza e dolcezza di fisonomia
con una certa esaltazione di sentimento, almeno nel bei sesso. Più ver-
Nicolocci , Rane umane — Voi. I. 15
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LIBRO SECONDO
226
so il norie , i capelli si infoscano , gli occhi s’infossano , lo sguardo
sembra feroce, la persona eminente e quasi gigantesca. Vero modello
di questa forma è il Dalerarliano , ma se ne trovano già i primi tipi
nella Vestmannia e nella Uplandia. 1 nativi della Nericia fra la Svezia
propria e la Gozia han l’aria tetra e taciturna ; nel loro volto si mostra
lealtà congiunta a fierezza , diffidenza a tenacità (1).
« Il nativo della Norvegia a molto spirilo e vivacità congiunge un
carattere ardito ed energico. Nobile è il suo portamento, agile il cam-
minare, netto l’abbigliamento. Nell’interno delle proprie case le don-
ne si vestono di una semplice gonnella con una camicia stretta al col-
lo guernita di un colletto, osservabile si per la finezza, che per la bian-
chezza della tela. Questa maniera di vestirsi fa risaltare il loro taglio di
vita svelto ed elevato, la loro bella capigliatura, e il loro colorito di gia-
cinto e di rosa ; ma se tali apparenze di civetteria fanno arditi i desi-
deri dello straniero, un aspetto severo, e talvolta anche un gesto un
po' rozzo gli insegnano a primo sguardo che qui il pudore sta a cu-
stode vigilante della nativa ed ingenua semplicità (2) ».
Il Danese è franco e leale; ha modi cortesi e quasi cavallereschi. É
robusto, complessionato, di belle forme con chioma bionda ed occhio
cilestrino. È il vero tipo de’Germani descritti da Tacito , chè vera-
mente in niun altro popolo alemanno si sono conservati sì puri quei
caratteri primitivi della famiglia teutonica , quanto ne’ nativi della
Penisola ed Arcipelago danese.
Antichissima è la scandinava letteratura consacrata a lodare gli Id-
dìi egli Eroi. La poesia soprattutto riveslesi nell’ Edda (3) della sua
pompa e della sua maestà ; e ben sarei per dire che alcuni canti di
quell'antica collezione sostengono il confronto co’ più grandi poemi
delle letterature moderne (4). L’amore per le scienze e lettere si è con-
servato sempre acceso fra questi popoli che, singolarmente negli ultimi
tempi, hanno contribuito più di ogni altro all' ingrandimento delle
scienze naturali.
La lingua scandinavica è, come si sa, un dialetto dell’alemanna.
Un tempo in que’ paesi parlavasi il n orto che è il sermone sacro del-
l’Edda, al quale fu poi sostituito il norvegio, o l’islandese nel quale gli
Scaldi componevano le loro Saghe. Anche questo dialetto cadde in
(1) Malle-Brun, Mélanges scientifiques et littéraircs. Paris, 1828. 225.
(2) Ibid. p. 521.
(3) JL’Edda, dal verbo oda, insegnare, si divide in due parli che sono,
l’Èdda di Scemund, e l'Edda di Snorre. La prima è una collezione di 58
poemi mitologici e storici; la seconda una raccolta di diversi trattati desti-
nati gli uni a render piu intelligibile e più popolare la mitologia degli an-
tichi Scandinavi, gli altri a spiegare i passi più difficili degli scrittori anti-
chi , e soprattutto le parti più oscure della poesia eddica raccolta da Sae-
mund Frodoe.
(4) Ved. fra gli altri il poema di Gudruna, ed il canto di Hamder .
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RAZZA ARIANA-FAMIGLIA GERMANICA. 227
disuso nel XV. secolo , e conservossi e si conserva tuttora nella sola
Islanda, mentre in Isvezia e Norvegia favellasi lo svedese , in Dani-
marca il danese, lingue assai affini fra di loro, le quali alla forza ed alla
regolarità dell’alemanno coogiuDgono molta chiarezza e concisione (1).
§. 3. Neeriandesi.
I Neeriandesi, f cui antichi padri erano i Batavi, i Frisi ed altre mi-
nori tribù, vinti da'Romani sopportarono il giogo latino fino al V.
secolo dell’Era Cristiana, quando caddero in potere de’Franchi che gli
incorporarono al regno di Austrasia. Il reggimento feudale creò in quei
paesi molte signorie, che dal Duca di Borgogna, Filippo il Buono, furono
riunite, e passarono, dopo di lui, nel dominio di Massimiliano d’Au-
stria , figliuolo di Federigo II. e padre di Carlo V. -Filippo II. suo
erede concesse a Guglielmo d’Orange il governo delle province di
Olanda , Zelanda , Frisia ed Utrecht , e delle rimanenti a Margherita
d’Austria , Duchessadi Parma e sua sorella. La dispotica autorità che
Filippo volle esercitarvi fu cagione perchè Guglielmo istigato da’Neer-
lamiesi tentasse la emancipazione di que’ popoli dalla casa di Spagna,
ed in effetti fa proclamalo Statoldero delle Provincie di Olanda e di
Zelanda. Altre cinque provincia si unirono alle emanceppate, e compo-
sero uno stalo che si chiamò delle Sette Provincie Unite. Lunghe e fie-
re lotte sostenute contro la Spagna fruttarono alla giovine Repubblica
il conquisto di parte del Brabante, delle Fiandre, di Limborgo e del-
la Gueldria meridionale con la città di Maestricht spettante al Vesco-
vado di Liegi. Si chiamarono questi « Paesi della Generalità ». Divenuto
re d’ Inghilterra lo Statoldero Guglielmo III. consolidossi ancor più
la libertà e l’ indipendenza de’ Neeriandesi. Scoppiata la rivoluzione
francese del 1789, gli eserciti repubblicani ottennero dall’Olanda la
cessione de’Paesi della Generalità, all’infuora del Brabante Olande-
se. La Neerlandia fu eretta in Repubblica Batava con un Direttorio a
somiglianza di quello di Francia. Più tardi Napoleone trasformolla
in Regno del quale diede l'investitura al fratello Luigi ; ma non tardò
guari, e dichiarò trasferita la corona nel primogenito di quello ancor
fanciullo , e per ultimo riunilla all’Impero Francese. Il Congresso di
Vienna restituì l’Olanda accresciuta del Belgio a Guglielmo Federigo
d’Orange; ma I moti nazionali scoppiati in Brusselle nel 1830 sepa-
rarono questo Regno dalla Neerlandia, che ora è uno stato floridissi-
mo governato dalla casa d’Orange.
II Neerlandese è un popolo industrioso e molto dedito al commer-
cio, ed ha popolato di sue colonie vaste terre in Africa , in America,
in Oceania. Coltiva onorevolmente le spienze , le lettere e le arti , e
l'istruzione è comune a tutte le sue classi.
La lingua neerlandese è un dialetto derivato dall’ antico sassone,
(1) Eichhoff, Parallèle entre les langues de l’Europe et de l’Asie, p. 30.
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LIBHO SECONDO
228
o basso alemanno. È la lingua nazionale e letteraria, quantunque fos-
sero ivi anche in uso il fiammingo al sud della Mosa , ed il frisone
all’est della Swiderzée : dialetti entrambi inculti, e generati parimenti
dall'antico sassone.
§. 4. Alemanni, o Tedeschi.
Ad eccezione de’ Neerlandesi e degli Scandinavi tutti gli altri Ger-
mani di Tacito sono incoli dell’Alemagna attuale scompartita in molti
stali indipendenti , i quali furono quasi tutti conquistati da Carlo Ma-
gno cbe rese la Germania provincia dell’ Impero Franco. Crollato ra-
pidamente l’ edilìzio innalzato da Carlo , l’Alemagna separassi dalla
Francia, e Luigi di Baviera ne fu il primo Imperatore, e dopo la morte
del IV. Luigi senza successione Corrado Duca di Franconia. Molti stati
tedeschi si emanciparono allora da quella soggezione, e furono cagione
delle tante dissenzioni che lacerarono miseramente quel paese. In-
vano Federigo li. tentò di porre freno alle rapaci estorsioni che i capi
di quegli stati, sotto il nome di alti diritti, esercitavano ; poiché dopo
la sua morte il disordine e l’anarchia giunsero al colmo, e non si ot-
tenne di porvi riparo , se non pubblicandosi da Carlo IV. di Lussen-
burgo la famosa costituzione dellimpero Germanico mediante la Bolla
d’Oro.
Consisteva quest’atto politico nella Confederazione dagli stati ale-
manni, della quale era capo l’Imperatore. La dignità imperatoria in
principio era elettiva, e nove Elettori aveano in origine il diritto di
eleggere all'Impero, che in processo di tempo appartenne ereditaria-
mente a casa d' Austria. L’Imperatore non possedeva che i soli stali
propri, ma godeva di grandi prerogative. Per rendere l’amministra-
zione più facile, dividevasi l’Impero in nove grandi Circoli, o Provin-
ce cbe racchiudevano tutti gli altri stati soggetti a’ Principi indipen-
denti , e le cinquantuno città imperiali che erano nel fatto altrettante
Repubbliche.
Grandi cangiamenti produsse nell’ Impero la pace di Luneville che
confermò alla Francia la cessione della sinistra sponda del Beno. Quasi
tutti gli stati ecclesiastici alla destra di questo fiume furono secolariz-
zati; le città imperiali soppresse, eccetto sei, e questi paesi dati in com-
penso a’ principi secolari che aveano perduto territori sulla riva sini-
stra. Furono aboliti alcuni Elettorali, altri creali. Dopo la pace di Pre-
sburgo l'Impero Germanico fu disciolto , e gran parte degli stati cbe
il componeano si riunirono , sotto il patrocinio della Francia , per
formare la confederazione Renana, alla quale altri pure ve ne aggiun-
sero i trattati di Tilsit e di Vienna. Gli avvenimenti del 1814, che
rimutarono la faccia dell’Europa , diedero ancora nuova forma alla
Confederazione, la quale, benché riordinata ne'movimenti politici del
1848 , non ha conservata veruna delle riforme che vi si vollero in-
trodurre.
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BAZZA ARIANA- FAMIGLIA GERMANICA, 229
I Tedeschi odierni ritengono tuttora, ne’ costumi loro, di quell’an-
tica semplicità clic Tacilo ammirava no’ barbari Germani , onde poco
gli alletta la vanità delle pompe esteriori , e tutti i loro piaceri con-
centrano nelle gioie della vita interna e casalinga ,T). Non perciò
sono inGngardi ed amanti dell’ ozio , o del dolce far niente , anzi
industri e laboriosissimi sono , e ne’ propositi loro saldi , costanti ,
tenaci , si che mai non li scoraggia la difficoltà dell’ impresa , né la
lunghezza dell' opera. Fervida e polente è la facoltà della loro im-
maginativa, ma perchè di rado ei sogliono temperarla, quantun-
que il loro ingegno sia altamente ideale ed ontologico, nelle stesse
speculazioni dell’ intelletto , spesso divagano in astruserie ed astrai-
taggini.
Fin da clic il soffio della civiltà romana viviGcò gli spiriti degli in-
culli Teutoni cominciò in essi l’amore delle buone discipline, e ad
attestarne i progressi ch’eglino fecero in queste in poco tempo, non
poche poesie rimangono piene sovente di grandezza , di affetto e di
freschezza , come si addice all’epopea, all’elegia ed al idillio ; sia che
vogliasi por mente al poema eroico de’ Niebelungen , sia che si consi-
derino le canzoni degli erranti Slinnesinger che cantavano l’ amore
( Die Mintie ). Altri monumenti poetici non meno pregevoli perdura-
no ne’loro vecchi apologhi si dottamente illustrati da Jacopo Grimm.
Ora in Alemagna diffusissima è la istruzione letteraria. Ogni stato,
grande o piccolo, gareggia nella protezione de' buoni studi, i quali a
tanta altezza sono ivi saliti , da rapirne la gloria a tutte le altre ua-
zioni di Europa , niuna delle quali certamente pareggia la germani-
ca nella profondità del sapere, nella pellegrinità delle dottrine, e nella
varia e moltiplice erudizione.
La odierna lingua de’Tedeschi è l’antico idioma alemanno legger-
mente varialo da quel che esso era nella corte de'Re Franchi o ne’Nte-
belungen. lfa perduto , è vero, qualche cosa nella varietà delle desi-
nenze die lo avvicinavano più al greco ed all’indiano, e nella restri-
zione delle sue coniugazioni, ma ha acquistato invece energia e con-
cisione. Sopra tutte le lingue moderne ha il gran pregio della esatta
derivazione de’ vocaboli , della loro quasi illimitata composizione , e
soprattutto dell’accento tonico, il quale poggiando invariabilmente so-
pra ogni sillaba radicale, imprime al tedesco un tipo intellettuale, che
niuno fra i moderni eloqui possiede nel medesimo grado.
(1) L’ affetto alla famiglia ed il carattere potato e rifiatino del Tedctco
sono bellamente esposti ne’ due seguenti versi del Golhe ( Vier Jahreszeiten,
p. 43).
e Fremile , treibet nur Atlcs mit Ernst und Licbe ; die Beiden
« Stchen dem Deutschen so schon, den ach! so Vicles enstclt.
16 *
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230
I mito SECONDO
CAPITOLO Vili.
FAMIGLIA SLAVA.
Disgiuntasi l'aldina dal ceppo ariano, e penetrando nella Sarmazia
asiatica al di là del Volga , e quindi nella Sarmazia di Europa fra la
Vistola ed il Volga, la Famiglia Slava tenne dietro alle migrazioni dei
popoli teutoni, eman mano che questi si inoltravano avventurosi nella
Europa occidentale e nella nordica, una sua colonia, incalzata da nuo-
vi stuoli d'immigranti, spingendosi a guisa di piramide fin dappresso
alle sorgenti dell’Elba, toccava col suo apice il cuore della Germauia
di Tacito. Altri Slavi si allargarono fra il Dniepcr, la Duna, il Niemen
ed il Bug, e moltissime tribù stanziarono Della odierna Russia, ove ora
si distinguono col nome di Russi, Russini e Russi Bianchi. Ma già fin
da tempi assai remoti gli Eneli, i Liburni, gli Illirici con altre minori
tribù avevano occupato quanto è il paese fra il Danubio e l' Adria-
tico mare, ed ivi, abbandonando la vita agreste ed errabonda, acqui-
starono un costume più sedentario e civile, per l’esempio certamente
de’ vicini popoli pelasgici , Fileni ed Italiani.
Gli antichi Don conobbero gli Slavi con questo nome, che è ricor-
dato la prima volta nella storia per la conquista fattane (la Ermanari-
co ; e pare che fossero allora gli Slavi o Sla vini una principale tribù
de’ Sarmati insieme co’ Venedi c con gli Anti (1). Come il nome del
Sarmata cadesse in disuso, e invece sorgesse a denotare lutti i popoli
sarmatici quello degli Slavi, niuno scrittore ch’io mi sappia ne rende
ragione ; e molto meno si sa come a quella tribù sarmatica più pos-
sente, cioè gli Slavi, Siavini o Sloveni, s’incorporassero tutte le altre
(1) Lo Schaffarick crede il nome primitivo degli Slavi essere sialo quello
di Servi, che poi cangiarono con l’altro di Vendi o Viridi che portavano i
Celli e i Germani co’quali si confusero. Dal nome di Servi, alterato da'Bi-
tini e dagli Scili, venne quello di Sarmati o Sauromali che passò nei Greci
e ne' Latini. Anche il nome di Vendi ebbe le sue alterazioni , e fu detto
Ind, llind, llcndu, Ani, Enel, Veneta, Vind e \'en do. Una circostanza
di grande importanza , e che darebbe peso alla opinione dello Schaffarick ,
è che la lingua de’ Vendi del Baltico, tal quale esiste ancora oggi presso i Let-
toni ed i Lituani, ha, fra tutti i parlari di Europa, maggiore analogia con
l’antico sanscrito.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA SLAVA.
231
che troviamo nominate presso Erodoto (1), Plinto (2), Strabono (3),
Diodoro Siculo (4), Annoiano Marcellino (5). Ragguagli meno incerti
possediamo intorno agli Slavi della costiera adriatica, de’quali ci ser-
barono ricordanza Livio (6) , Plinio (7) , Strabone (8) , Tolomeo (9),
Festo (10), ed altri molli, ma tali scrittori, e i posteriori che pur de-
scrissero i costumi delle tribù slave, non ci hanno lasciato memoria dei
caratteri fisici di cosi numerosa famiglia di popoli.se ne eccettui Proco-
pio, il quale parlando degli Anti e Sclavini, dice : « come i due popoli
usassero il medesimo idioma che è barbarissimo , ed avessero grande
rassomiglianza nelle forme esteriori, perciocché gli uni e gli altri
erano di alta statura e issai robusti e dello stesso colore ; e i loro ca-
pelli nè foschi, nè chiari, ma tendenti piuttosto al rosso (11) a. Io
pertanto sono di credere che ta chioma rosso-fosca e la robustezza
delle membra fosse comune eziandio agli altri Slavi, perchè sono ca-
ratteri , che durano tuttora nel maggior numero degli individui ap-
partenenti a questa famiglia, ne’ quali altresi la statura è svelta
ed eminente , la fronte ampia , il naso raramente profilato , ma
spesso corto e carnoso , i pomelli delle gote alquanto promi-
nenti , gli occhi piccoli e profondi , e generalmente non molto
folta la barba (12).
Per quanto possiamo raccogliere dagli scrittori antichi erano gli Slavi
gente rozza , povera e crudele. Gli stessi Illiri e i Liburni , che pur
erano i piu civilizzati, per proprio mestiere erano usi all’arte de’pirati,
e correvano il mare infestando di ladrocini i vicini paesi (13). Non
avevano i Sarmati fisse dimore, ma vagando di luogo in luogo, reca-
vano con sè carri coperti in cui traevano la vita (14). Pochi, dice
Strabone (1S) , si davano all’ agricoltura , ma più potenti erano quelli
che rimasero nello stato guerriero , e non abbandonarono l’ errante
loro vita. Erano ligi alla moglie, nè mai giudicavano degna di nozze
una donna , s’ ella non avesse ucciso un inimico. Molti erano senza
(1) Lib. 1.
(2) Lib. VI. cap. 7.
(3i Lib. VII.
’i Lib. II. 45.
(5 Op. cit.
(ti Lib. X. cap. 2. '
(7 Lib. III. 13. 14. 21.
8) Lib. 111. VI. VII.
(f Lib. 11.
; IO) Alle taci « Pel igni » e « Dannili ».
(11 De Bello Gothico.
; 12' Schaffarick, Slavische AlterthUmcr t. 1. p. 35.
: 1 3) lltirii, Liburnique, genici (era, et magna ex parte latrocinio mari-
timi. i infama. Lido, X. 2.
(14) Sarmatre in plaustro aquoque vivente! . Tacito, Germ. 46.
(15 ) Lib. VII.
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232
L1BH0 SECONDO
vesiimenta , o De avevano tali che poco bene si assettassero alla per-
sona (1) ; qualche tribù copri vasi con nere vesti , ed era quella che i
Greci appellavano de’ MelaDcleni. Nutrivansi del latte e della carne
de' loro armenti, e componevano col latte e col sangue una bevanda ad
essi gradita (2).
Non avevano idea di scrittura e di arti belle; ma noDdimanco i Ve-
nedi del Baltico assicurarono l’ imperatore di Costantinopoli essere la
musica la più dolce loro occupazione , e che invece delle armi non
portavano che liuti ed arpe da essi costrutti , ed anche oggidì sono
strumenti comuni a tutti gli Slavi la cornamusa e il goudok.
Oltre a’ Dei maggiori, fra cui primo era Perun (3), innanzi al quale
ardeva un continuo fuoco alimentato con legna di rovere, e sempre
vivo mantenuto da un sacerdote, adoravano gli Slavi gli Iddii de’ bo-
schi, uomini dal mezzo in su, con le corna, orecchie e barba da ca-
prone, e dal mezzo in giù simili a questi animali. I fiumi e i laghi
aveano le loro divinità inferiori chiamate Rusalka, alle quali si offri-
vano sacrifizi conformi all’ indole dolce ed umana onde supponevansi
dotate. Uscivano esse dall'acqua in aspetto di donne sfavillanti di bel-
lezza e di grazia, e tentavano di sedurre coloro che le miravano ; gli
incauti , affascinati da’ loro sguardi , si annegavano, e davano cosi la
loro anima in balia dello spirilo maligno.
Secondo i dialetti che favellano, si dividono gli Slavi in quattro Sotto-
famiglie, ognuna delle quali comprende altre suddivisioni, giusta
(1) Tali descrive i Russi l’arabo Achman, spedilo dal Califfo Muktidir
di Bagdad al re de’Bulgari.
(2) Etlac concretum cum sanguine potai equino. Virgil., Georg. III.
v. 465.
(3) Altri Dei maggiori erano Radegast, Tchislobog, Zembog, Witislaw,
Krasopani, Swiatowid, ossia il Sole, di cui si trasse, non ha guari, dal
fiume Zbruez, presso la foce del fiumicello Gnita, sotto il villaggio di Linz-
kcivie, una statua in pietra alta sei braccia che il rappresenta con quattro
facce rivolte alle quattro parti del mondo, e da tutti e quattro i lati adorno
d’intagli.
Si è creduto che avessero anche divinità simili a quelle de’ Greci e dei
Latini, onde il Dio Jessa risponderebbe al Giove Pelasgico ; Lacton a Plu-
tone ; Nia a Cerere ; Marzana a Venere ; Zievonia a Diaria ; Lelio e Poteto
o Castore e Polluce. Marte si crede essere stato Liadu ; Venere essersi
detta anche Djedijielia, e la tempesta divinizzata, Pogoda. Volosse era il
Dio degli armenti, Lado dell'amore. Kupal presiedeva a’ frutti; Koliada alla
pace ed alle solennità. — Ved. G. Duglosso , Histor. Polon. Lib. 1: ed.
1711 — Masch « Sulle divinità degli Obotriti rinvenute in Prilwitz, che si
suppone edificata sulle rovine dell’antica Rhetra ». — Fremei, De Diis So-
raberum , tn G. Uoffmann, Scrippt. Lusat. Collect. 1719 — T. G. Stre-
doteski, Sacra Moravia; historia. Solislar. 1710— P. Stranski, Resp.Bohem.
Lugd. Batav. 1654 — Guanim, Descriptio Sarm. Europ. 1581
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RAZZA AR1ARA-FAM1GLIA SLAVA.
233
le varietà pullulate da ciascun dialetto principale, e come si raccoglie
dallo specchietto che qui sotto ne presentiamo.
Ì Illirici.
Croati.
Bosniaci.
Serbi.
Dalmati.
Montenegrini.
Bulgari.
Ì a. Grandi Russi, o Moscoviti,
b. Piccoli Russi, o Russini,
Rusniaci e Cosacchi,
c. Russi Bianchi.
f Boemi.
3*. Sotto-famiglia Tsecca< Slovacbi.
( Polacchi.
[ 4‘. Sotto-famiglia Unica j 0 Ulichi .
1/3
.2 <
co
a
£
2*. Sotto-famiglia Russai
ARTICOLO I.
SOTTO-FAMIGLIA ILLIRICA.
Comprendiamo nella Sotto-famiglia Illirica tutti gli Slavi stabiliti
dalle rive del Danubio e del Mar Mero fino al Golfo Adriatico, i qnali
da vari scrittori sono stati divisi in più gruppi secondo i loro diversi
dialetti ; onde il Dobrowski (1) ne ha formato tre divisioni ( Illirici,
Croati e Sloveni); il Biondelli (2) due, rimenando gli Sloveni fra gli Il-
lirici ; due anche l’ Eichhoff (3) ( Serbi e Camici ) ; tre il Kopitar (4)
(Croato-Serbi, Sloveni e Bulgari) ; tre anche lo Scbaffarik (5) e Pri-
(1) Geschichte der Bòhmischer Sprache und altero Literatur. Prag.
4808.
(2) Atlante linguistico cit.
(3) Op. cit.
(4) Nel Wiener Jahrbiicher, a. 1822.
(5) Slawische Altherthtimer cit. — Slovansky Narodopis ( Etnologia
slava). Prose, 1849.
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234
LIBRO SECONDO
chard (1) (Serbi, Croati eVeodi); cinque il d'Omalius d’Halloy (2), cioè
Bulgari, Serbi, Camici, Vendi e Sloveni. Noi li riterremo tutti sotto
il nome comune d'illirici, opinando essere gli svariati dialetti di que-
sta Sotto-famiglia strettamente aflìoi fra di loro; 1. perché le differenze
che li distinguono non sono maggiori di quelle che separano i vari
dialetti delle altre lingue, p.es. gli italici, i francesi, etc. (3); 2. perchè
queste diverse popolazioni slave s' intendono facilmente, non ostante
la diversità de’ loro vernacoli provinciali ; 3. perchè infine le glorie
letterarie di una di esse popolazioni formano il comune patrimonio
di tutte.
Gli Illirici sodo di persona più grande che snella : largo il capo e
grosso; la fronte quadra e sporgente; la carnagione brunetta, i capelli
castagni, gli occhi nereggianti. Sono rozzi, è vero, nelle loro manie-
re, ma intelligenti, laboriosi e perseveranti; valorosi, intrepidi, riso-
luti.
Non dispiacerà, io credo, al lettorese io qui trascriva alcune parti-
celle di una scrittura del Tommaseo nella quale , sebbene ei ragioni
del solo popolo serbo, non pertanto le sue riflessioni possono esse re
estese a tutte l’altre popolazioni per noi comprese nella Sotto famiglia
Illirica.
« Questa è consolazione grande, dice il Tommaseo(4), fra tanti dubbi
dolorosi, vedere che in quelle parti della nazione slava, cui non cor-
ruppero i costumi stranieri , la famiglia conservi intatti i suoi dolci e
santi ligami.
« Nei canti di Serbia (5) la madre è nome sacro: la madre è come
il grado per cui la venerazione e l’amore ascendono dalle terrene al-
le cose celesti. Gentile il proverbio che ritorna frequente e nei canti
e nel parlare dei Serbi, che per dire taluno eh’ è lieto ovver misero,
dicono: lieto a lui la madre / misera la madre sua! Egli e la madre son
uno : la madre lontana, o morta, in esso vive, gioisce, o piange in es-
so ; come il sangue materno nelle vene di lui ; cosi ricorre ne’ suoi
pensieri l’amore materno.
« La sorella è altresi nome caro, e siccome ne’canti, cosi ne’costu-
mi di Serbia , la donna è , più che taluno non creda , onorata. Nel-
le società corrotte , ove le cerimonie tengon luogo del sentimento , e
le parole dispensan dall' opera , la donna è nelle apparenze adorata ,
disprezzata ne’ fatti. 1 popoli semplici e costumati non adoran la don-
na appunto perciò che la onorano. E perchè la onorano, non la vo-
ti) Researches cit. HI. HI.
(2) Des races humaines, ou Éléments d’ethnographic. Paris, 4845.
(3) Schaffarick, Slawische Altherthttmer, e Storia della lingua e lettera-
tura slava. Ofen , 4826. — Miklosich , Vergleichende Formenlehre der
slawischen Sprache. Wien, 4856.
(4) De’ canti del popolo dalmata, nel Giornale Euganeo. Maggio, 4844.
(5) La Serbia, secondo l’autore, è la sorgente da cui derivano i costumi
e i canti del popolo di Dalmazia.
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RAZZA ARIANA-FAM1GLIA SLAVA. 235
gliono essi neghittosa , annoiata , occupata inettamente a sole sue va-
nità; ma la fanno partecipe aU’autorità ed ai travagli: ubbidire le in-
segnano acciocch'ella apprenda a comandare; acciocché ella apprenda
a gioire fortemente , le insegnano fortemente a patire.
• Gli affetti domestici nel popolo serbico si distendono potenti ai
cugini e ai cognati, che tutti fino ad ora vivevano sotto il medesimo
tetto, e della famiglia facevano una tribù.... L’amicizia era anch’cssa
santificata; ed un quasi sacramento dinanzi agli altari univa i colleghi
fino alla morte. Di soli i popoli germanici narra la storia il somiglian-
te; ma negli Slavi è ancora più religioso quel rito ; ed è tanto più af-
fettuoso , che non vi si sottintendeva cosi frequente il bisogno degli
aiuti guerreschi in questi popoli, meno guerreggiatori degli antichi
Germani, tuttoché non meno guerrieri.
« L’ospitalità stessa è altra loro dote eminente. Il Serbo non acco-
glie soltanto l’ospite suo, ma l’attende, e col desiderio lo chiama.
Inaspettato non gli giunge il suo ospite mai, e prima che nella casa
egli l’ha ricevuto nel cuore.
« Amano i Serbi lo straniero ospite , e par che lo venerino come
inviato dal Cielo: lo straniero nemico, più che odiare, disprezzano:
E che non immeritamente lo sentano , questo appunto ci è prova ,
che odiare non sanno. Il disprezzo loro è piuttosto non curanza del-
l’odio altrui, che orgoglio provocatore. Tanto solo si tengono lontani
dall’ingiusto, quanto basta a non esser vili. Provocati, rispondono,
vincono' e passano ».
E poiché abbiamo parlato de’ canti de’Serbi soggiungeremo, che
tutti gli Illirici son dotati di poetico ingegno, onde ebbe a chiamarli
il Boué: « Italiani della gran famiglia slava». Del quale ingegno fanno
fede i poemi raccolti dal padre Miosic e ripubblicati dal padre Mlezzi;
i canti riuniti da Vuc Stefanovic co) nome di serbi , e riprodotti dal
Tommaseo nel 1842, col nome d’illirici, dal Pellegrini con quello di
slavi ; i canti bulgari editi nel 1844 dal Bogojew, ed i bosniaci, nel
1845, dal Juki$. Questi parti dell’ingegno popolare formano il monu-
mento poetico più vivo, più bello, più originale di quelle popolazioni.
Ne’ paragrafi seguenti sarà fatta menzione di ciascuna delle suddi-
visioni illiriche in particolare.
§. 1. Illirici.
Gli Illirici, cosi comunemente detti, ma più propriamente Sloveni
o Vendi , posseggono il territorio che si comprendo fra l'Adriatico ,
l’ Isonzo, la Drava superiore e la Croazia, e che porta il nome di Sti-
ria, Istria , Carniola, Corinzia. II dialetto che ivi si parla è più duro e
più gutturale di quello degli altri Illirici , soprattutto nella città di
Trieste e sue adiacenze, dove è mescolato a molte voci teutoniche.
Sono popolo industre e commerciante , il quale coltiva eziandio con
successo le scienze, le lettere c le arti.
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unno SECONDO
§. 2. Croati.
Vivono i Croali frammisti ad Alemanni ne’comilati di Agram, Kreuz
e Warasdin , ebe compongono il Regno di Croazia appartenente al -
l’austriaca monarchia, e in vari punti dell’ Ungheria settentrionale
dove hanno fondato parecchie colonie. Parlano un dialelto interme-
dio a quello de’SIovacbi e quello de'Serbi , e che conserva tuttora
alcune antiche forme non più oggi adoperate negli altri dialetti illi-
rici, siccome il duale e le terminazioni de’casi, come sono usali nella
traduzione cirilliana della Bibbia.
§. 5. Bosniaci.
Sono abitatori della Bosnia o Bossina , la quale i Serbi denominano
Vlacchia, e i Dalmati Morolacchia o Morlaccbia, quasi Valachia ma-
rittima. a Coraggioso e prudente popolo, non feroce, affettuoso, fer-
mo, generoso e risparmiatore, non ambizioso , sincero ( e solo il so-
spetto dell’altrui perfidia può tentarlo a perfidia ). Amante la patria,
la famiglia, riconoscente, ospitale. Dopo spento il nome serbico, con-
servò la Bossina il suo e l’arme propria: una luna c una stella. Sino
alla metà del secolo XV. Stefano Tommasevic, re illustre di Bossina ,
ebbe splendida corte. Ma nel 1463 la fu provincia turca , della quale
però la Porta , serbando a se l’alto Dominio , lasciava a’più possenti
del paese il governo (1) ».
§. 4. Serbi.
Quasi in nulla diversi da’ vicini Bosniaci sono i Serbi. Il lor ser-
mone e quella della Bossina sono i più dolci fra lutti gli illirici. Nel
Medio Evo formavano uno stalo possente ; ora il paese è una provin-
cia tributaria dell’Impero Ottomano.
§. 5. Dalmati.
Sono sparsi per tutta l’Erzegovina, ossia Dalmazia Ottomana, e per
il littorale adriatico da Catlaro a Zara con risole vicine. Parlano un
dialelto illirico assai dolce e poetico, bene adatto all’indole mite c
pacifica del popolo. Hanno grande altitudine al navigare , c formano
la parte piu ragguardevole dei marinieri austriaci.
§. G. Montenegrini.
La popolazione del Montenegro conserva da lungo tempo la sua
indipendenza , quantunque pretenda la Sublime Porla di esercitarvi
il supremo Dominio. Feroci e senza civiltà, « in essi hai la vita sol-
fi) Tommaseo, Canti popolari. Venezia, ! Si 1-12, toni. IV. p. 17.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA SLAVA. 237
raggia accanto ad alcuni usi della ingentilita , e l’ indole slava conta-
minata da menzogna e da frode (1) ». Dura ancora presso di essi il
costume per cui si espiano e compensano i delitti con danaro ed al-
tre cose convenute.
Cosi i Bosniaci . come i Serbi , i Dalmati e i Montenegrini sono fra
sè vincolali assai strettamente da’ loro idiomi, i quali si vogliono de-
rivati tutti dal serbico, ond’ eglino stessi que’popoli non hanno altra
appellazione, presso alcuni etnologi, se non quella comune di Serbi.
Poco differiscono questi idiomi da quelli degli altri Illirici , per lo
che i Panslavisti non ammettono veruna differenza fra gli Illirici, sia
dal lato della nazionalità , sia da quello della lingua. Si distinguono
però in questo, che i Serbi ( Bosniaci, Serbi, Dalmati, Montenegrini)
seguono il rito della Chiesa Greca, e scrivono la lingua loro con l’al-
fabeto cirilliano, mentre che gli altri Illirici hanno abbracciato il rito
della Chiesa Romana, e si servono, nella scrittura, dell’alfabeto latino.
§. 7. Bulgari.
Sono quasi i soli abitatori dell’ antica Mesia , Tracia e Macedonia,
cbe sono tutta la Bulgaria e parte della moderna Romelia fino a quel-
la linea sinuosa, la quale toccando la riva settentrionale del golfo di
Tessalonica e Vasiliko sul Mar Nero, contorni ed abbracci Rupa, Ar-
da, Kermeoti, Adrianopoli, Tirnovo e Brodivo (2).
Generalmente non hanno istruzione, e sono dediti soltanto alla col-
tivazione delle campagne. Non pare che meritino la fama che li quali-
fica per la parte più laboriosa della famiglia slava. Assai più debbo-
no essere lodati per la loro pazienza, pacatezza c moderazione, che li
rendono meno inchinevoli alle turbolenze ed allo scompiglio. Favel-
lano un dialetto molto dolce , il quale si presta facilmente alle sem
plici espressioni delle loro canzoni popolari. L’ antico bulgaro (che è
la lingua della traduzione della Bibbia fatta da Cirillo) divenne l’idio-
ma ecclesiastico della chiesa Greco-Russa in Servia, Romelia, Russia,
ed occupa nella filologia slava lo stesso posto che il gotico nella sto-
ria delle lingue germaniche.
ARTICOLO IL
SOTTO-FAMIGLIA RUSSA.
I Russi, parte oggi importantissima della Famiglia Slava, sono sparsi
non solo nel vasto paese che chiamasi Russia , ma eziandio , benché
(1) Tommaseo, Ibid.
(2) Max. Mailer, The Languages of thè Seat of War in thè East. Lon-
don, 4854, p. 64.
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I.IBRO SECONDO ‘
238
in picco! Dumero , 'Delle immense estensioni asiatiche del colossale
impero moscovita. Grandi sono e ben fatti della persona, con capelli
di color castagno, e non di rado biondi, o rosseggianti: bianco e spes-
so incarnato hanno il colore della carnagione , ampia la fronte , lie-
vemente alti i pomelli delle gote , e quasi ovale il contorno del viso.
Secondo l' idioma eh’ ei favellano dividonsi in Grandi Russi , o
Moscoviti ( fVdihorusii ), Piccoli Russi ( Maloruski ), e Russi Bianchi
( Beloruski ).
Abitano i primi i governi di Mosconi Petersburg, Novgorod, Vo-
logda, Pskov, Tver, Yaroslav, Kdstroma, Vladimir, Nini Novgorod,
Smolensk, Kaluga, Tuia, Riazan, Penza, Simbirsk, Orel , Kursk, Vo-
ronez , Tambov , Saratov , la contrada de' Cosacchi del Don , egual-
mente che la maggior parte de’governi di Orenburg, Viatka , Perm ,
Kasan , e formano la popolazione delle colonie rosse in Siberia , nei
Kamscialka e nelle 'Coste nordico-occidentali dell’America. Il loro
idioma è il sermone culto e letterario , e la lingua officiale della
Russia.
1 Piccoli Russi, o Russini ( la lingua de’ quali più dolce e più dili-
cata di quella de’Grandi Russi forma quasi un anello di congiunzione
fra il moscovita e il parlar de’ Polacchi ) sono abitatori de’ governi di
Rullava, Karkov, Chernigov, Kiev , Volhynla , Podolia , di parte di
qUe’di Ekaterinoslav, Voronez, Cherson, Tauride e Bessarabia. e della
contrada de’Cosacchi del Marcierò. Sonò sparsi altresi per le provin-
ce di iiublin e Padlachia , nel regno di Polonia; ne’circoli di Leopold
Przemyls , Zloczov, Zolkiev, Tarnopol , Brzeznny , Sambor, Sanoek,
Slryi, Stanislavov, Kolomya, Chorvkot eòo parte di que’ di Rzeshov,
Novysandesz e Czernovitz nella Galizia, o Polonia Austriaca, e nei co-
mitati ungheresi di Beregb, Unghvar, Ugocza , Marmarosh , Zompila
e Szarosh.
A questa divisione della Sotto-famiglia Russa appartengono ezian-
dio i Rusniaci, o Ruteni della Galizia, Ungheria e Bukovina , i
quali favellano il maiorusso lievemente alterato da alcuni provincia-
lismi.
Hanno i Piccoli Russi una statura più elevata de’Grandi , i capelli
più oscuri ed ordinariamente increspati , gli occhi più foschi , il na-
so più ben fatto, il carattere più leggiero e spensierato (1).
Tali son pure le fattezze de’Gosaccbi, ori ile non parmi ragionevole
la opinione che li fa discendere da’ Maiorussi e da donne Circasse ,
o d’altre nazioni non slave dell’Impero Moscovita. Più che un popo-
lo distinto compongono i Cosacchi una casta militare assai valorosa,
lnr maggior numero sono sulle rive inferiori del Don, ma ve n’ha molti
ancora sulle basse rive del Nieper , del Bug e del Niester , non meno
che presso il Volga ed il Terek, e prendono il nome distintivo dal luo-
go dov’ ei sono stabiliti.
(1) Demidoff, Voyage dans la Russie meridionale ei la Crimée. Parti,
1840-42, 1 . II. p. no.
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RAZZA ARI ANA-FA.W1GI.IA SLAVA. 239
Occupano i Rossi Bianchi tutto il governo di Mohilev e quello di
Minsk con parte di que'di Witepsk, Grodno, Vilna e Bielostok. Il
loro dialetto è la lingua officiale di Lituania , ed è riboccante di e-
sprcssioni polacche.
Componeano Bussi, ne’tempi antichi, molte tribù indipendenti, che
indi riunironsi in due stati, l’uno al nord presso il Iago llmen, l’altro
a mezzodi con Kiev capitale. Più potente e più forte, comechè
formato da tutti i Grandi Russi , era il primo stato che fondò Novgo-
rod ; meno potente il secondo , che si denominò da’ Piccoli Russi , i
quali si dissero anche Poljaenen , dal paese piano che abitavano. Le
intestine dissenzioni fra gli Slavi di Novgorod, gli Tschudi ed i Kri-
vitschi presso Polocz facilitarono il conquisto del settentrione della
Russia a Ruric, che vi giunse co’Varegt dalla Scandinavia, nell’anno
862 dell’ Era Cristiana. Il valore di Oleg, rinominato nelle leggende
russiache, perchè congiunse co’Grandi i Piccoli Russi, la saggia am-
ministrazione di Olga , la bontà di Vladimiro , e le leggi promulgate
da Jaroslaf cominciarono a far prosperare que’Barbari , i quali poco
mancò non ricadessero nell’antica selvatichezza per le interne discor-
die ed il giogo deTartari da cui liberaronli il santo Alessandro New-
ski, Ivan 1. e Dmilry Donakoy, ma per sommetterli ad un Aero di-
spotismo che durò Ano a quando, estinta la dinastia scandinava ( dal
1462 al 1613 ) , fu proclamato czar di Moscovia Michele Fedrowitz
della famiglia Romanow, che vantava la discendenza da Ivan IV. per
linea femminile. Si ristabilirono sotto Michele e sotto il Aglio Alessio
la tranquillità e l’ordine nella Monarchia, ma salendo al trono Pietro
il Grande videsi d’un tratto elevata la Russia ad un alto grado di po-
tenza , e far valere il suo gran peso nella bilancia politica del mon-
do. I sovrani successori di Pietro, Caterina I., Pietro IL, Anna, Eli-
sabetta, con la quale si estinse la linea de’Romanow, Pietro III., Aglio
di Carlo Federico, Duca d’IIolstein Gottorp e di una Aglia di Pietro il
Grande, chiamato al solio da Elisabetta e quindi dopo sei mesi depo-
sto, Caterina II. sua moglie , Principessa d’ Anliait Zerbst, Paolo I.,
Alessandro e Niccola , tutti seguendo le orme del glorioso Pietro I.,
hanno sempreppiù spinto innanzi l’ incivilimento del popolo russo, il
quale se non ancora pareggia in cultura gli altri popoli di Europa, non
deve ad altro accagionarsene la differenza , se non se al breve tempo
dacché i Russi camminano verso la civiltà, al contatto de'popoli bar-
bari dell’ Asia boreale e centrale, ed alle leggi tiranniche onde i
servi son dannati alla gleba , e venduti col suolo sul quale ebbero la
sventura di nascere.
Ma quantunque rozza ancora e semibarbara la massa del popolo ,
ricca di proprio fondo, e piena di dilicatissimi suoni, chi sa ben pro-
nunziarla, è la lingua che esso favella. L’antico russo ha pochi voca-
caboli astratti, e da ciò nasce che quanto non ha corpo, o forma, e non
cade sotto i sensi manca di vocaboli propri. « La letteratura russa ha
seguito e riQesso, come quella di tutti gli altri popoli, la vita morale
LIBRO SECONDO
240
e politica della nazione, e per questa sola causa può sembrare a’nostri
occhi stazionaria ogni qualvolta la paragoniamo alla civiltà letteraria
europea. Nondimeno essa è rimasta quel cb’è rimasto il popolo russo,
semplice , ingenua e pura. Dal XII. secolo fino a' di nostri, dal mo-
mento in cui fu scrìtto il poema storico- eroico iutorno la guerra dei
principi Igor e Vsevolod contro i Polovtzi, la letteratura russa cambia,
rattempra , altera lingua e forma , giusta i suoi principi conquistato-
ri , vincitori , rivolgimenti politici e religiosi; ma tutte queste modi-
ficazioni non tendono mai ad impoverire il linguaggio, a corrompere
il gusto. I Russi hanno ancora certe loro antiche canzoni passate per
tradizione da un secolo all’altro, che sono la fedele immagine del gu-
sto e dei costumi della nazione. Esse appartengono al X. secolo , e
codeste prime scintille della fantasia poetica uscite fuora in mezzo al-
la più profonda ignoranza, annuziavano fin d’allora i frutti che l’al-
bero darebbe in tempi migliori. La brevità de’ pensieri , la forza delle
espressioni, il ritornello e le frequenti metafore danno a codeste can-
zoni un sapore orientale che conserva ancora buona parte delle poe-
sie odierne. A mo’d’esempio, non v’ha canzone russa in cui non s'in-
contri qualche paragone d’uccelli e di fiori, il che imprime a tutte le
poesie , anco alle più volgari, un fare orientale e poetico. Il colombo
dalle ali azzurrine è l’ uccello a cui essi paiono dare la preferenza
fra tutti gli altri ; è l' espressione del più tenero e del più sacro
amore (1) ».
ARTICOLO III.
SOTTO -FAMIGLIA TSBCCA.
In questa Sotto famiglia si comprendono tanto gli Slavi della Boe-
mia , Moravia e Slesia , quanto gii Slovachi ed i Polacchi. Gli idiomi
di questi popoli derivano dall’ antico boemo , e serbano col boemo
odierno tali grandi somiglianze da non potersi dubitare della loro prò-
vegnenza da un medesimo fonte glossologico.
§. /. Boemi.
HanDO i Boemi la grande statura e la forte complessione delle al-
tre genti della stessa famiglia; ma il capello è più sovente oscuro , e
l’occhio altresi, e la carnagione vicina al brunetto. Assai colti sono ed
industriosi, e vincono di gran lunga , nelle opere manuali , tutti gli
altri Slavi, e gli stessi Germani. La loro lingua, benché più aspra
delle sue sorelle, è più maschia ed energica , ed ha monumenti che
(I) M. Sartorio, nella Rivista Europea del 1839.
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RAZZA AR1ANA-FAMIGI.1A SLAVA. 241
risalgono fino al IX. secolo cristiano. Una collezione di poesie boe-
me del secolo XIII. fu scoperta dal dottissimo Hanka, nel 1817, a Koe-
niginhof , nelle quali trovano gli inteNigenti una delicatezza di sen-
timento ed una bellezza di espressione che le distinguono fra tutte le
altre poesie del Medio Evo. Oltre al prezioso manoscritto di Koeni-
ginbof, esistono ancora e prose e poesie anteriori al periodo in cui
visse Giovanni Huss , riformatore della religione, della lingua e delle
lettere del suo paese.
La Boemia, abbandonata da'Boi, tribù di celtica famiglia, fu occu-
pala da’Marcomanni, e quindi, nella metà del sesto secolo, dagli Tsec-
chi, i quali furono in principio governali da un principe appellato Pir-
zemysl, la dinastia del quale continuò a regnare per lungo volgere di
tempo. Ebbero i Boemi a difendersi contro i sovrani d’Aletnagna che
spesse volle li fecero loro tributari , ma Filippo di Svevia concesse il
titolo di re da trasmettersi in linea ereditaria a Pirzemysl Ottocaro, pa-
dre di quel Venceslao, che riunì sotto il suo scettro la Boemia e la Mo-
ravia, la quale, dopo essere stata alternativamente soggetta a'Duchi di
Polonia e di Boemia, toccò poi stabilmente a’ secondi. Il matrimonio
di Margherita, sorella superstite dell’ultimo Duca d’Austria, con Pir-
zemysl Ottocaro, figliuolo di Venceslao, congiunse alla Boemia e Mo-
ravia 1’ Austria , la Sliria , la Carniola , e in processo di tempo anche
la Carinzia. Spenta la boema dinastia , passò in Giovanni di Lussen-
burgo la sovrana autorità, e poi nel tiglio di lui Carlo, che con la re-
gia ebbe ancora la imperiale dignità, iteligiose discordie desolarono
questo paese nel secolo XV. Il famoso bussila Ziska più volte ruppe
gli eserciti di Sigismondo che fu poi imperatore, la figlia del quale ,
ereditiera del trono, portò in retaggio la Boemia ad Alberto d'Austria
che fin d'allora vi acquistò i suoi diritti. Ma l’ liussita Giorgio Podie-
brad ottenne in appresso da Federigo III. imperatore lo scettro boemo;
indi elettivamente Vladislao di Polonia e Mattia d'Ungheria. La mor-
te di Luigi , secondogenito di Vladislao , assoggettò nuovamente al-
l’Austria il regno boemo, e per tal modo se ne è perpetuata infino ad
oggi la unione coll’austriaca Monarchia.
Molto affini a' Boemi sono i Moravi , il cui idioma non è che una
varietà della lingua parlata da quelli. Il nome di Moravi credesi de-
rivato dal fiume omonimo.
§. 2. Slovaclù.
Gli Slovacbi stanziano a levante della Moravia, e nelle parti borea-
occidentali dell'Ungheria, ne'cui piani sembra che abitassero col no-
me di Sarmati Iazigi a’ tempi di Animiamo Marcellino, e d'onde i Ma-
giari, venuti di poi a stabilirvisi, li respinsero verso Moravia e le ter-
re sterili e montane de' Carpazi. Di statura uou vincono la mezzana,
ma sono complessionati, e di corporatura atti a reggere a grandi fati-
che. Hanno il colore della carnagione più che mezzanamente bianco,
Nemucci , Razze umane — Voi. 1. tu
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LIBRO SECONDO
la barba e i capelli biondi, gli occhi azzurri, e son d’aria in volto non
spiacenti, benché abbiano i tratti grossolanamente scolpiti. Avvenenti
sono le donne slovacbe nella prima gioventù , ma in poco d'ora ne
sfiorano ogni bellezza e i duri lavori a' quali sono condannate , e la
esposizione continua a’ raggi solari.
La loro lingua serba tuttora , nella sua grammatica , alcune forme
originali, non più esistenti nel moderno boemo.
§. 3. Polacchi.
1 Polacchi si allargano per tutto il vasto paese fra il Baltico, i Car-
rai i, il Bug, il Dnieper e la Varia che si scarica ncll’Oder, e sono di
persona più avvenente fra tutti gh Slavi. Hanno statura eminente,
membra robuste e proporzionate, fronte ampia, naso decente e profi-
lato, occhio quasi sempre azzurro, capelli morbidi, biondi e raramente
castagni, pelle delicata e bianca. Le donne vincono in bellezza quanto
v' ha di più leggiadro fra le Russe e fra le Germane, e lodate ne sono la
svelta persona , le forme vaghe e gentili , le piccole mani , gli occhi
grandi, l’aria soave del volto, e la dolcezza e l' affabilità delle maniere.
Gli uomini sono franchi, leali, prodi, generosi : il loro carattere caval-
leresco li distingue dagli altri Slavi , e li distingue altresì l'affetto che
serbano grandissimo all’ infelice patria loro.
I piu inciviliti degli Slavi , dopo i Boemi , sono i Polacchi. Non
coltivarono però la propria lingua prima del secolo XVI. , poiché
fino allora le opere migliori erano scritte nel sermone del Lazio.
Dopo quell’ epoca rapidamente crebbe la loro letteratura , e storici,
oratori e podi gareggiarono io arricchire e nobilitare l'idioma nazio-
nale.
I Polacchi si stabilirono in Polonia nel IV. secolo dell’era cristiana,
e si chiamavano innanzi Leckh o Ljikh, cioè a dire aliberi o nobili».
Erano divisi in tribù di cui, secondo Nestore, quella che si estese per
le pianure dell'l’krania si nominò Pdiane (Polacchi), cioè abitanti nel-
le pianure. Le tribù che occuparono la Massovia si appellarono Mas-
meshane , e quelle che stanziarono in Pomerauia, Pomeriane. Il no-
me di Polacchi prevalse su gli altri, e si rese comune a tutta la na-
zione.
Oscuri sono i tempi che trascorsero dalla prima venula degli Slavi
in Polonia (ino alla elezione di uu Piasi a capo de’ Vaivodi, i discen-
denti del quale regnarono per seicento trent'auni. Il tìglio di Micislao,
che dall’avo materno principe boemo ereditò il nome di Boleslao, ebbe-
si dall’Imperatore Ottone Ili. il titolo di re di Polonia, che rimase ere-
ditario (ino a Casimiro ultimo della dinastia, dopo il quale venne ab-
bracciato il governo elettivo nel 1370, e rimase per molli anni la co-
rona sul capo de’Jagelloui, che riunirono alla Polonia il proprio Gran-
ducato di Lituania. Passò nel 1577 l’autorità suprema nelle mani di
Enrico di Valois, e poco dopo in quelle di Stefano Balhori Principe di
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA SLAVA. 243
Transilvania, e poi di Sigismondo Wasa Principe ereditario di Svevia,
di Vladislao VII., di Giovanni Casimiro , e di Michele Wiesniowiki,
sotto il governo del quale e del suo predecessore, le guerre esterne tol-
sero al regno non poche provincie. Giovanni Sobieski nel 1674 rialzò
la grandezza della nazione ; riparò non solo i danni toccati alla sua
patria, ma alleatosi all’Austria, costrinse il Turco ad allontanarsi dal-
l’assediata capitale delllmpero Austriaco. Non durarono molto tem-
po i Polacchi in tanta gloria, conciosiaehè gli odi intestini , le divise
fazioni, le gelosie de’ potentati furono segnali della decadenza di quel
paese, il quale assalito da ogni lato, soggiacque, nel 1772, ad uno smem-
bramento che ne ristrinse grandemente i confini. Federigo II. impadro-
nissi della Prussia Polacca, e del distretto della Netze, divenendo cosi
padrone delle foci navigabili della Vistola; Caterina II. occupò una gran
parte del Ducato di Lituania e i Palatinati di Minsk, Witepsk, Misci-
laf, e M.® Teresa d’Austria il territorio di Zips, la Galizia e la Lodorai-
ria. Invano i Polacchi invocarono i trattati conchiusi e garenliti da
quelle stesse Potenze che poi li violarono; invano protestarono innanzi
a Dio, padrone de’popoli e de’re, contro l’ingiusta oppressione di cui
rimasero vittima, perciocché ad aggiungere maggiore sfregio alla loro
usurpazione , la Russia e la Prussia nel 1793 si incorporarono altre
terre finitime, e nell’anno 1795, dividendosi (Austria, Prussia e Rus-
sia ) gli ultimi avanzi della Polonia, cancellarono questo grande e no-
bile stato dal novero delle Nazioni di Europa.
ARTICOLO IV.
SOTTO- FAMIGLIA LETTICA •
Compongono questa Sotto Famiglia i nativi di Lituania, di Saroogi-
zia, di alcune parti della Prussia orientale , di Curlandia e di Li ve-
nia. —Ne'loro caratteri naturali non si allontano punto da’Russi; ma
la loro lingua deriva dal vecchio Pruczo o pruteno ( antico prussia-
no ) ora estinto, e spartisccsi, come il popolo che la parla, in due ra-
mi, il lituano, ed il letlico o lettone.
§. 1. Lituani.
I Lituani sono in tutta l’antica Lituania, nella Samogizia , ne’Ba-
liaggi appartenenti alla Prussia di Mernel, Tilsitt, Ragni!, Lobiau, In-
sterburg, ed obbediscono, tranne que’pochi de’Baliaggi prussiani, al-
l' Imperatore delle Russie. Poco sono inoltrati nelle vie della civiltà,
soprattutto in Samogizia, ove spesso una sola capanna è ricovero co-
mune dell' uomo e delle bestie ch’egli alleva.
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LIBRO SECONDO
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Non' va dimenticata una opinione invalsa presso uomini dottissimi,
che i Lituani fossero nazione fondata da’Romani sotto G. Cesare , od
esuli da Roma al tempo di Nerone, annoverando fra essi un Patemo-
m*. che quell'imperatore cacciò via dal Regno del Ponto. Il maggiore
storico delle cose di Lituania i'l) aggiunge, che nel 924 Palemone Li-
bone de’Colonnesi di Roma, Prospero Cesarino della stessa famiglia ,
Orsino ed Ettore de’ Rosa , ossia de’ Rosivi , non che Giuliano Dor-
sprungo , aventi le gentilizie divise del Centauro, in odio delle fa-
zioni d’Italia , s’ appartarono da essa , e giunsero nel Baltico alle foci
del Niemen. Ivi fondarono città estendendosi ancora nella Samogizia,
e diedero origine a tante famiglie nobilissime del paese, in grazia del-
le quali s’onorarono sempre i Lituani d'appartenere alla gente latina,
ed i loro scrittori di età iu età s' applaudirono , che la loro nazione
uscisse dal sangue italiano, sicché il Principato di Liluauia ebbe per
pubblico stemma, prima un Centauro, poi le Colonne (2).
Ma queste origini non hanno maggiore fondamento di quelle che si
riferiscono, secondo altri, ai Finni, od ai Goti, perciocché le ragioni
linguistiche dimostrano ben chiaramente, che i Lituani sono un ramo
della gran Famiglia Slava, se pure i caratteri fisici non volessero tenersi
in conto di pruova sufficiente della grande affinità fra i Lituani ed i
rimanenti popoli slavi.
§. 2. Lettoni, o Letichi.
1 Lettoni propriamente detti, o Latichi occupano la Curlandia e la
metà a libeccio della Livonia chiamata Lettonia. La lingua che favel-
lano è compenetrata di voci germaniche, e la vicinanza de’ popoli di
questa Famiglia ha fatto far loro progressi nella civiltà, e nel vero già
incominciano ad avere una letteratura propria nella lingua nazionale.
(1) Koialmoics, Hist. Lituania?. Dantisci, 1650, p. 51.
(2) Veritimilis puesumptio ostendit Lithuanos et Samogithas ette Latini
generis. — Joh. Duglossi, Hist. Polon. Lib. X. p. 113. 1772.
Noe Lithuani ex Italico sanguine oriundi sumus . — Micalonis Lithuani
Fragm. V. in princ.
Tradunt r eteree majores Samogitharum fuisse Italos. — Joh. Lasicii, De
Diis Samogitharum, in princ.
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RAZZA ARIANA— COLONIE EUROPEE.
245
APPENDICE
DELLE COLONIE EUROPEE.
Dalle Famiglie Ariane stabilite in Europa uscirono colonie per Asia,
Africa, America, Oceania e Nuova Olanda. L’accrescersi continuo del-
le popolazioni del Continente europeo , già incapace a tutte acco-
glierle e nutrirle, la facile via del mare, e quel vago desiderio di cer-
care miglior fortuna cangiando dimora , spingono tutto giorno pei
quattro venti nuove turbe d'immigranti che , in numero di tre in
quattrocento mila, (cifra assai moderata (1>) abbandonano iu ogni
anno l'Europa che si lascran dietro quasi tutti da’ porli inglesi ed
alemanni. Più avidi di avventure e di migrazioni , ne’ tempi andati,
furono la Spagna e il Portogallo. Vennero di poi Francia, Olanda, In-
ghilterra: oggidi questa nazione (e più gl’irlandesi) e l’Alemagna (br-
uiscono il maggior numero d’ individui che annualmente si recano a
colonizzazione qualche nuovo angolo della terra abitabile.
Posseggono colonie più o meno floride la Famiglia Celtica, la Ger-
manica e la Slava.
(1) Nel 4853 fu di presso a 600,000, secondo il rapporto officiale della
Commissione inglese per ('emigrazione, e giusta i dati forniti da’principali
porti d'imbarco del Continente, Udore, Anversa, Brema ed Amburgo.
L’ emigrazione annuale, dal 4847 al 485i, è stata la seguente per i soli
tedeschi ed inglesi :
Tedeschi e Scandinavi. inglesi. Totale.
1847 — 115,501
4818— 73,111
1849— 78,407
4800 — 66,146
1851 — 103,159
1852 — 167,161
238,270 355,771
248,089 321,200
299,498 377,901
280,849 316,995
355,966 459,125
368,764 535,925
Gli altri emigranti europei, ma in piccol numero, sono Olandesi, Svizzeri,.
Italiani (Piemontesi), Spagnuoli (Baschi), e Francesi. Gli Italiani e i Baschi
preferiscono l’America meridionale , le rive della Piata, e particolarmente
Montevideo. Gli Inglesi ( de’ quali nove decimi sono Irlandesi ) si spargono
per tutti i punti della terra, ma i Tedeschi si dirigono quasi tutti verso gli
Stati Uniti, ed anche quelli che vanno al Canada, passano quindi agli Stati
Uniti, nello Stato di Wisconsino.
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Isole Brittanniche. Francia. Portogallo. Spagna.
246
MURO SECONDO
Le colonie della Famiglia Celtica sono :
IN AMERICA.
IN OCEANIA
E NUOVA OLANDA.
Presuli e fon rate Isola di Cuba— Manilla — Isole di
sulle coste barba r»;- Porlo Rico — Isole Bissale* Isole di
scbe — Isole di Chi- della Vergine. Basbees e Babuya-
oea * oes — Magindanao
— Gruppo delle Ma-
Isole di Solor ,
Timor, Midoro, ole.
— Governo di Ma-
cao.
Isola di Goa e sue Isole del Capo Ver-
dipendenze — Sai- de — Costa di Ghi-
ceto — Bardez — nea — Bissa», eie.
Nuove Conquiste— Regno d’ Angola —
Città di Dainao — Botigliela e sue di-
di Diu. pendenze — Isola di
S. Tommaso , Prin-
cipe, etc.
Pondichery e Ka- Algeria — Isola Le piccole Anlillc Arcipelago delle
Ì rikal, sulla eosla di Santa Maria di Ma- ( Marlinicea, Guada- Marchesi.
Cioroinandcl-Chan- dagascar — Isole lupa, San Martino ,
dernagor, nel Ben Borbone. Maria Calando, De-
gala — Mali»; , sulla sirade e i Santi ) —
costa del Mniahar — parte della Guyana-
Ganjani, nel l’O rissa. Isole S. Pietroso Mi-
(|uelon presso Terra
Nuova.
I L' immenso paese Capo di Buona Basso ed alto Ca- Terra di Van Die-
solto il nome d’ In- Sperauza — Serra nadà, Nuovo Brun- men — Terre au-
dia britannica— Iso- Liona — Cambia — swich — Nuova Sco- strali occidentali e
la di Zeilan. Maurizio — Capo zia, o Acadia— Capo meridionali — Isole
Coasl Gasile — A- Bretone — Isole del Falkand— Isola Nor-
cri, etc.— S. Elena Principe Edoardo— tolk — Nuova Ze-
— Ascenzione — Se- Terra Nuova — Baia lauda,
chclles. d' Hudson e Terre
Artiche— Anlille in-
glesi— Le Bermudi*
—Le Lucaie — Guia-
na inglese— Hondu-
ras — Isole degli Sta-
li , nell' Arcipelago
l di Magellano.
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RAZZA. ARIANA— COLONIE EUROPEE-
247
Le colonie della Famiglia Germanica sono:
IN AFRICA.
IN AMERICA.
IN OCEANIA
( Forlì sulla cosla di
Surinara — S. Elisia-
Giava — Amboino —
OL*«u...] Ghiu,:a -
ehio — Curalo — S. Mar
lino*
Banda —Temale— Ma—
ca/.ar — Sa ma Ira — Ti-
(
tnor.
IU . f Possessioni sulla co-
Uammahca { sU (li Ghinea
Groctandia — Anlille.
Le colonie della Famiglia Slava sono:
IN ASIA.
IN AMERICA.
Russia | Tutta la Russia Asiatica.
L’America Russa.
Io queste colonie gli Europei sono i dominatori, ma pochi sono di 1
numero in comparazione degli indigeni che rimangono preponde-
ranti. Nella sola India Briltannica, la quale conta circa 120 milioni
di abitatori , sono appena 120 mila gli Europei che vi abbiano dimo-
ra. Fa eccezione l’America inglese settentrionale, la quale novera un
milione e mezzo di Europei con una popolazione di poco più di cento
mila indigeni.
lo alcune delle colonie emancipate dalle madripatrie si osserva la
stessa proporzione , che in quelle appartenenti ancora alle potenze di
Europa; vale a dire, che il numero degli Europei e loro discendenti è
inferiore ai numero degli indigeni che compongono la gran massa
delle popolazioni: in altre invece il numero maggiore è degli Europei,
e poco valutabile quello degli indigeni e di altre razze straniere. Que-
sto fatto è vero per le antiche colonie inglesi e francesi che oggi com-
pongono la polente Repubblica degli Stati Uniti ; mentre le popola-
zioni europee sottostanno dovunque nel numero agli indigeni nelle an-
tiche colonie appartenenti alla Spagna ed al Portogallo.
Non si può valutare esattamente il numero rispettivo degli Euro-
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248
I.IBIIO SECONDO
poi e loro discendenti in ciascuno stato surto dallo smembramento
de’ possessi spagnuoli c nel brasile , ma approssimativamente si
crede :
Che nel Messico, sopra una popolazione
di anime 7,000,000, sieno creoli
nel Brasile egualmente sopra . . . 5,000,000, sieno creoli
nelle Province del Rio della Piata. 2,035,000 «
nellaRepubbl.'deH’AmericaCentrale 1,900,000 «
della Nuova Granata 1,706,000 o
del Perù 1,500,000 «
di Bolivia . . .
di Venezuela .
del Chili . . .
dell’Equatore .
del Paraguay .
dell’Uraguay .
1.838,000
. 853,000
. 600,000
. 550,000
. 600,000
. 300,000
23,882,000
1,000,000
1,000,000
500,000.'
475.000
700.000
230.000
180,000?
230.000
150.000
120.000
60,000
100,000
4,745,000
Nelle antiche colonie spagnuole e portoghesi in America ora eman-
cipale il numero degli individui appartenenti alle Famiglie europee
si valuta essere approssimativamente di 4,745,000, mentre che quello
degli indigeni e de’ Negri importativi dall’ Africa e loro discendenze
pure , o meticce si calcola ascendere a 23,882,000. Ma la cifra degli
Europei si eleva ad una potenza molto più considerevole, se vi si ag-
giungano i coloni inglesi, alemanni, francesi espagnuoli stabiliti nella
Repubblica degli Stati Uniti del nord. De’ 31 stali ed altri minori ter-
ritori de’quali si compone questa Repubblica, e che hanno una popo-
lazione di oltre a 23 milioni e mezzo di abitatori, se ne logli tre mi-
lioni circa di Negri (tra liberi e schiavi), e forse un altro mezzo mi-
lione di Americani indigeni sparsi per tutta l’estensione dell’Unione,
i rimanenti 20 milioni appartengono a Famiglie Europee. Quasi tre
quinti di questi sono Inglesi ed Irlandesi, sei milioni Alemanni, e il ri-
manente Francesi, Olandesi, Spagnuoli, Italiani, Svizzeri. Gli Inglesi
sono i predominanti , e sono disseminati io tulli i punti della estesa
confederazione americana ; la loro lingua è la lingua del paese , delle
transazioni commerciali e del governo. Gli abitanti di origine ale-
manna sono concentrati di preferenza negli stali di l’cnsilvania, Ohio,
Indiana, Missuri e Michigan , poi in quelli di Nuova York , Nuova
Jersey , Mariland, Virginia, Maine, Kentucky, Tennessee , Illinese,
Jowa e Wisconsino. Gli emigrati francesi sono nella Uuigiana , nel
Missisipi, nell’lllinese c nel Missuri. Gli Olandesi furono i primi a co-
lonizzare lo stalo di Nuova York ; gli Spagnuoli popolano una parie
del Texas, della Florida c dell’Alta California, ove già ricche miniere
d'oro hanno oggi richiamato emigranti da (ulti i punii del globo.
Il numero totale degli individui di razza europea disseminali tanto
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RAZZA ARIANA— COLONIE EUROPEE.
249
negli stati indipendenti d’America , quanto in tutte le colonie sparse
per il rimanente del globo, può valutarsi essere di circa 28,196,600,
giusta le indicazioni fornite del prospetto che segue : indicazioni le
quali non tutte risultano da dati statistici esatti , ma in parte sono
congetturali, sebbene sembri che non molto si discostino dalla verità.
Colonie inglesi
— francesi
— spagnuole
— portoghesi
— olandesi
— danesi
— russe .
Stali Uniti dell’America del nord.
Antiche colonie spagnuole c portoghesi in America
ora indipendenti
1,886,600
0,050,000?
0,300,000
0,100,000
0 , 100,000
0,015,000
1,000,000
20 , 000,000
4,745,000
Totale 28.196,600
I Coloni europei , recando con sé lingua, arti, scienze e religioni
della madrepatria, han trapiantato l’Europa nell'Universo , e dovun-
que esista una loro colonia , tu ravvisi la civiltà europea che progre-
disce, migliora e si spande sui popoli rozzi e barbari de’quali è in con-
tatto. Chi disconosce la floridezza e la cultura degli Stati Uniti d’Ame-
rica, i quali sono maestri di civiltà a ben molte nazioni della vecchia
Europa? A chi visitando le città capitali de’singoli stati dell’America
indipendente e delle principali colonie dipendenti ancora dall’Euro-
pa, non sembra di vedere le ricche e popolose città d’Italia, di Fran-
cia, d’Inghilterra , di Germania? Non é soltanto l’America dove gli
Europei abbiano deposto e fatto germogliare i semi della civiltà della
loro madrepatria ; ma nella stessa Australia sorge la città invidiabile
di Sydney con le minori di Parramatta, Bathurst, Port-llunter, Port-
M acqua re; nelle Filippine Manilla; Batavia nell'Isola di Giava; Tiflis e
Toholsk nella Russia asiatica; e nella stessa Africa australe, soggiorno
degli Ottentotti e de’ Boscimani, s’innalza oggi la città del Capo po-
polata di 20 e più mila abitatori con un collegio, una società lettera-
ria ad una società filantropica pe’l riacquisto de’ fanciulli schiavi,
a’ quali si fanno imparare mestieri , c poscia si rendono alla libertà.
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SEZIONE SECONDA
RAMO SEMITICO.
Tra le Famiglie delle quali formiamo il secondo Ramo della Razza
Ariana, la Famiglia Siro-Araba, la Nilotica, la Libica, le connessioni
glossologiche sono meno evidenti, che in quelle del Ramo Indo-Euro-
peo già descritto nelle pagine antecedenti. Non è più quella specchiata
analogia negli elementi lessicologici, per la quale un sol tema radicale
informa tutti i vocaboli che esprimono le stesse idee ne’ diversi lin-
guaggi favellati dagli Indo-Europei, ma è un’afTmità meno apparente,
riconoscibile solamente nella quasi identità delle leggi ond' è gover-
nata la grammatica, parte essenziale e vitale di ciascun idioma.
Già l’ illustre Gesenius (1} non aveva dubitato di classificare nella
stessa linea del fenicio e del punico anche il libico antico, dal quale si
crede generato il berbero odierno , ma il Lepsius (2) riconobbe e
fece chiara la grande analogia che si asconde fra i parlari semitici ed
il copto (centro al quale convergono i sermoni tutti semitico-africa-
ni ) ; argomento messo in maggior luce dal Benfey che vi consacrò
un'opera speciale (3). Dopo questi primi saggi, altri filologi di merito
eminente si applicarono a svolgere ed ampliare semprcppiù siffatta
(1 ) Geschichte der hebraisclien Sprache und Schrift. Leipzig, 1816, p. i.
(2) Zwci sprachvergleichcnde Abhandlungen , I. Ueber die Anordung
und Verwandtschaft des Semitischen, lndischen, Aìthiopischen, Alt-Persi-
schen und Alt-vEgyptischen Alphabets ; li. Ueber den Ursprung und die
Verwandtschaft der Zahlwdrter in der Indo-gcrmanischen , Semitischen
und Koptischen Sprache. Berlin, 1856.
(3) Ueber das Verhàltniss der /Egyptischen Sprache zum Semitischen
Sprachstamm. Leipzig, 18ii.
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RAZZA ARIANA— RAMO SEMITICO.
251
lesi , intorno alla quale più attesamente studiarono il Bunsen (1),
Scbwartze (2), Meyer (3) de Rougé (4), Boltiger (5).
Che il ghez, fra gli idiomi -abissini , sia molto affine all’arabo, non
sembra essere soggetto e discussione , imperciocché tutte le parti-
colarità onde l’ arabo si distingue dagli altri parlari semitici , i plu-
rali spezzati , il meccanismo dei casi e delle vocali finali, certe for-
me verbali sono eziandio caratteri del gbez, il quale, per la sempli-
cità sua , ha l’aria di essere imparentato egualmente con l’ebraico,
tantoppiù che in quello s’incontrano molte radici, le quali apparten-
gono all'ebraico ed all’ arameo , e non figurano punto ne’ lessici ara-
bici (6). Queste medesime analogie si scorgono altresì nell’ amarico,
il quale sembra più affine al ghez che non agli altri alloqul semitici
da cui le allontana singolarmente la sua barbara pronunzia (7); e forse
non erra chi lo considera l’idioma proprio deTroglolidi, il x*|**p* Xagts
menzionato da Agatarchide (8). Al ghez parimenti sembrano avvici-
narsi altre favelle abissiniche, la lingua del Xigrè, i dialetti agavi ed il
salto ( lasciando da parte altre lingue (9) non ancora bene studiate ),
nel quale Ewald ha scoperto analogie semitiche , massimamente nella
terminazione della terza persona plurale del preterito (10).
Più remotamente affini alle lingue semitiche sono i sermoni etio-
pici più diffusi , il nuba o nobin'nga , ed il bega o beg’anie , il pri-
mo favellato, in tre diversi dialetti, da'Barabra della valle del Nilo da
Assuan fino a’Iimiti del Dar-Schaigie e in parte del settentrione del-
Kordifal; il secondo dagli Ababdes, Bishari e Suakini, in tutta la Nu-
bia orientale dal grado 23. al 15. di latitudine settentrionale (11). Que-
sti idiomi sembrano essere più analoghi al copto , sotto il rispetto
(1) ASgyptens Stelle in der Weltgeschichte. Hamburg, 1845. Lib. I.
p. XI. XIII. 538 e seg.— Outlines of thè philosophy of universa! history,
applied to language and religion. London, 1854, t. 1. p. 183 e seg. — t. II.
p. 58 e seg.
(2) Das alte vEgypten. Leipzig, 1843, p. 2. a p. 076, 1035, 2003, e seg. —
Koptische Grammatik. Berlin, 1850, p. 6-7.
(3) Hebràisches WurzelwOrterbnch. Manheim, 1845.
(4) Mémoire sur l’inscription du tombeau d’Àhmès. Paris, 1831, p. 195.
(5) Wurzelforschungen. Halle, 1852.
(6) Renan, Histoire générale et système comparé des langues sémitiques.
Paris, 1853, p. 507.
(7) Ludolf, Grammat. aethiopica. Francfort, 1696. — Gesenius, nell 'En-
ciclopedia di Ersch c Gruber, art. Amarische Sprache.
(8) Hudson, Gcographi gra>ci minores, t. I. p. 46.
(9) Come le lingue de’Danakil, degli Adaiel e del paese di Arar, o Hur-
rur. (d’Abbadic nel Journal asiatiq. avril 1839. Juillet-ao&t, 1845).
(10) Uebcr die Saho-Sprachc in /Ethiopien. Zeitschrift fur die Kunde des
Morgeulandes, 1844, t. V. p. 410 e seg.
(11) Lepsiusj Sur Ics trois idiomes les plus repandus en /Ethiopie, «eil’In-
stitut (Sciences historiques et philosophiques ), 1843, p. 98 e seg.
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LIBRO SECONDO
252
grammaticale, ma ne differiscono dal lato lessico (1), ed il Lepsius Ira
fatto vedere come possano servire di anello di congiunzione fra gli
eloqui semitici , il copto e gl’ indo-europei.
Relativamente al copto che rappresenta, sebbene alquanto modifi-
cato, l’antico idioma egiziano, la sintassi il ravvicina all’ ebraico , ed
in generale a tutte le lingue semitiche: somiglianza che tantoppiù si
rivela, quanloppiù si risale alle forme arcaiche della lingua de’Farao-
ni (2). L’ agglutinazione delle parole accessorie , l’ assimilazione delle
consonanti , la parte secondaria delle vocali , sono caratteri che sin-
golarmente rannodano la grammatica copta all’ ebraica. La coniuga-
zione stessa non è senza analogia fra le due lingue, e il presente copto,
come il secondo tempo delle lingue semitiche, si forma prefiggendo il
pronome alla radice verbale; gli altri lempi per mezzo di una compo-
sizione simile a quella adoperata dalle lingue aramee. Trovasi nel
copto anche l'uso di una forma causativa analoga alì'hiphil, e la voce
passiva è indicata, come negli idiomi semitici , da una modificazione
della vocale della radice (3). Più valutabile fra queste analogie è la
identità de'pronomi si nel copto che nelle lingue semitiche, i quali si
rassomigliano tanto nel modo di essere adoperati , quanto in tutte le
altre loro particolarità, siccome dal seguente confronto appare dimo-
strato.
Pronomi
Copio.
Ebraico.
Singolare.
1. c. ano*, ego.
2. m. anlhok, tu.
2. f. anlho, tu.
3. tri. anlhof, ille.
3. f. anlhos , illa.
anoki, ani (anti alti), ego.
allah , aita (Dial. anta ), tu.
alle, atti, tu.
hu, ille, o/" = ftu.
hi, illa, s = hi.
(1) Peraltro ci assicura il Rnugé, che molle parole dell’antico egizio si
spiegano assai bene con queste lingue. Mém. cit. p. 184.
(2) « Die Koptische Spraclic verrath ihre Grnndverwandtschaft mit deli
scmitischen Sprachen deutlich ; die alte Sprachc, die sich in der isf* *i’«-
U*ros am reinstcn erhalten liaben modi te, stand ihncn wahrscheinlich noch
nàlier ». Lepsius. Ueber die Anordnung ctc.' — Id. Lettre a M. le prof.
Koscllini , Sur l’alphabet hierogliphique egyptien. Annali dell’Istituto di
Corrispondenza archeologica, voi. IX. — Ve Rouge, loc. cit. p. 195.
(3) Renan, op. cit. p. 77.
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RAZZA ARIANA-RAMO SEMITICO.
253
Plurale.
1. c. anon, nos.
2. c. anlholen, vos.
3. m. anthooii, illi.
3. f. anthooii, illae.
anachnu ( am ), nos (kalalnu).
2. m. aiiem (antem) arab. :
antum, cali). : attuti, vos.
2. f. altea, vos.
hém , hémmah , illi { kallu ,
jikllu).
hén, hennah, illae)
La terza persona plurale è in caldaico fummo, himmon ; in arabo ed
etiopico humu, hmrnu.
Molto evidenti ancora sono le analogie grammaticali fra il berbero
e gli idiomi semitici ed il copto, nel quale trovano la loro spiegazione
alcuni nomi dell’antica lingua libica e numida (1) : tali sono i nomi
che comprendono la sillaba mas (Mossili , Massassili, Massinissa, Mas-
sica, Massugrada, etc. ), che significa in berbero figlio , egualmente
che in copto, ove trovasi in molti nomi propri, come A-mosis, lut-
mosis, e fors’anche Mo'ises (2).
Le analogie con le lingue semitiche si estendono quasi a tutto il
sistema grammaticale ; l’articolo berbero è simile all’ arabico, e forse
ancora più all’ebraico; i dimostrativi sono basati sopra elementi iden-
tici; i nomi declinati con alcuni principi comuni, specialmente quello
del regime; i principi generali d'inflessione, di eufonia e di lettere ra-
dicali somiglievoli (3). C però non havvi alcun dubbio nel classificare
anche i Berberi co’ Semitici, co' Copti , con gli Etiopici e con gli
Abissini ; ma solamente è osservabile essere maggiore la somiglianza
semitica negli idiomi abissini, che ne’ rimanenti, e questo fatto tiene
ad una nuova apposizione di elementi semitici sopra un fondo co-
mune a’Libici , agli Etiopici ed agli Egiziani (4).
(1) Gesenius, Geschichte d. hebraischen Sprache, p. 4. — Movers, Die
phamizische Alther. Berlin, 1849-1850, t. II. p. 565 e seg. — 409 e teg.
(2) Lepsius, Chronologie der Aigypter, t. I. p. 526, nota.
(3) Venture de Paradii, Grammaire et Dictionnaire de la langue berbè-
re. Paris, 1844. — Hodgson, Notes on Northen Africa, thè Sahara and
Soudan. New-York, 1844. — Newmann, On thè structure of thè berber
language, in Prichard, Researches, t. IV. 1844, Appendice li. — Judas,
Etude demonstrative de la langue phénicienne et de la langue libyque.
Paris, 1847.
(4) Non s’ignora come gli Arabi della costa dell’Yemen si fossero tramu-
tati, in diverse migrazioni, sul suolo abissino, ma l’epoca del loro passaggio
è difficile ad essere stabilita. Ludolf la faceva risalire al tempo di Giosuè
(Hist. .Ethiop. liti. HI. cap. II. — Comment. in hist. Aìthiop. ad h. I.);
de Sacy all’epoca di Salomone (Mém. de l’Acad. des Inscript. et Belles-
Lettres, t. 1.), ed altri scrittori al principio dell’era cristiana (Letronne,
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254
LIBRO SECONDO
Avuto riguardo al fondo primitivo della popolazione abissina, più
che al nuovo elemento sopraggiuntovi, noi crediamo di poterla collo-
care nella stessa Famiglia alla quale riuniamo gli Etiopi ( Nubi ) e gli
Egiziani. L’altra Famiglia alfine si compone de’discendenti odierni dei
Libici primitivi ( Berberi, Tuariki, eie.); e la terza abbraccia tutte le
popolazioni teracbiti, cananee, aramee, arabiche, le quali con vocabolo
generale sono appellate comunemente semitiche. Della descrizione di
ciascuna di queste tre Famiglie in particolare, noi ci occuperemo nelle
pagine che seguiranno.
CAPITOLO I.
FAMIGLIA SIRO ARABA.
L’immenso paese, il quale è bagnato dal Mediterraneo, dall’Eritreo
c dal Golfo Persico , limitato a tramontana dal monte Tauro , confi-
nante ad oriente con l’Armenia e la Persia, con l’Egitto ad occidente,
c che comprende l’Arabia, la Palestina, la Fenicia, la Siria, la Meso-
potamia, la Caldea, l’Assiria, era abitato, fin da tempo immemorabile,
da genti varie negli usi, nelle abitudini e nelle costumanze, ma vin-
colale di comun parentela ne’ linguaggi che esse favellano ; i quali ,
secondo la odierna filologia , si dividooo in quattro rami , che sono :
1. Ramo lerachite od ebraico; 2. Ramo cananeo o fenicio, col punico;
3. Ramoarameo (caldaico, siriaco, samaritano); 4. Ramo arabo, sud-
diviso in A. imiarila od etiopico, ed in B. ismaelita o maaddico.
1. Parlavano il primo linguaggio gl’ Israeliti, o Beni-Israel, i quali
essendo venuti dalia Caldea settentrionale al di qua dell’ Eufrate, nel
paese di Canaan, si dissero indi Ebrei, o genti venute dal di là
(oi «ifixx ,). Questo idioma rappresenta, più che il dialetto di una fra-
zione di Semiti , l’espressione comune di tutta la Famiglia Semitica,
il suo tipo più puro, la chiave di tutte l’altre favelle che vi si ricon-
giungono. Fu lingua volgare de’Beni-Israel fino a che non furono ca-
ptivi di Babilonia (VI. secolo a. G. C. ), ma dopo quell’epoca, dive-
nuto comune fra ossi il caldaico , l’ antica lingua rimase ai soli dotti
ed all’ aristocrazia. Si continuò a scrivere in ebraico fin presso la
fine del 11. secolo innanzi G. C. (e molle composizioni bibliche ap-
partengono a quel periodo), quindi più raramente fino al secolo
Materiali* pour l’histoire du christianisme en Égypte, en Nubie ctc. Paris,
/Sòi — Dillmann , Zeitschrift dcr deutschen morgenlamd. Gesellschaft.’
1853, t. VII.). Plinio parlava già, dietro l’autorità di Giuba, di Arabi in
Etiopia , come di cosa assai rimota, Hist. Nat. b'6. VI. cap. XXXII. 2.
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RAZZA ARIANA-FAMIGLIA S1R0-ARABA. 255
XII. dell’ era cristiana (1) ; ma da questo fino a! presente l’ ebraico
divenne l’ idioma letterario de’Giudei, i quali, oltre il caldaico, adot-
tarono come eloquio volgare anche I* arabo , lo spagnuolo e l’ ale-
manno. L’ arabo è favellato ancor oggi dagli Ebrei degli Siati Barba-
reschi : lo spagnuolo e il tedesco furono le lingue nazionali, nel Medio
Evo, di due grandi giudaiche frazioni che le recarono seco nelle di-
verse loro migrazioni. I Giudei dell' Europa centrale, essendo ori-
ginari dell'Alsazia e dell'Alemagna meridionale , han parlato fino ad
oggi un gergo misto di tedesco e di ebraico (Judenleuscli (2;), mentre
che quei di Costantinopoli , i quali vi giunsero dalla Spagua , favel-
lano anche al presente lo spaguuolo del secolo XV. (3).
Pacifico e patriarcale fu il governo de’ Beni-Israel finché mutala la
politica loro costituzione non sobbarcaronsi al volere di un solo.
Alla tenda del nomade terachita si sostituirono allora i nobili e son-
tuosi edilizi, alle semplici masserizie della vita pastorale tutto il lusso
e l’opulenza delle nazioni orientali; ma le intestine discordie non tar-
darono a dividere la nazione ne’ due regni d’Israele e di Giuda , e il
popolo ebreo , conquistato successivamente da Salmanassarre e Na-
bucco, fu fatto captivo, e condotto, ludibrio del vincitore, in Babilo-
nia. Nè più risurse la sua floridezza anche quando Ciro gli concesse
di ritornare libero in Palestina. Visse però quivi iodipendente finché
Pompeo no ’I ridusse all’obbedienza di Roma, o fino a che Tito , di-
strutta Gerusalemme, non lo disperse sulla faccia della terra.
Dagli Assiri, dagli Egiziani, e massimamente da’Fenici presero gli
Ebrei la pratlica delle arti utili e delle iudustrie, nelle quali mai non
raggiunsero l’eccellenza de’ popoli vicini; ma nella sfera intellettuale
Israele ottenne il primato, e niun popolo dell’antichità seppe elevarsi
a tanta grandezza, quanto l'ebraico nella sua letteratura,' o lo guardi
nella semplicità della storia, o lo consideri nella sublimità della poe-
sia ; e mentre i Greci ed i Latini si compiacevano della natura mate-
riale, mentre gli Indiani si invisceravano nelle astrattezze della loro
teosofia, l’Ebreo innalzava il suo concepimento all'unico Iddio creatore
dell'Universo, e ne rivelava agli uomini la grandezza e l'onnipotenza.
E per un privilegio singolare di questa stirpe, i capi d'opera della sua
letteratura, son divenuti oggimai la lettura universale, il libro per ec-
cellenza, nel quale milioni e milioni di uomini leggiamo la parola
santa , che é fondamento della nostra religione.
(1) A questo periodo appartengono la Mischna (scritta in Tiberiade nel
II. secolo dell’era cristiana ), la quale peraltro contiene assai parole caldai-
che ed anche greche e latine commiste all'ebraico ; i due Talmud, il primo
compilato in Palestina nel IV. secolo, e l’altro in Babilonia nel V. seeolo
dell ’ era volgare ; il libro Jetsira ; i Baraiethot ; il Seder-Olam ; gli Hala-
coth, Gucdcloth e Kctannoth; t Piyutim, eie. tutti redatti presso a poco nello
stile e nella lingua della Mischna.
(2) Jost, nell’ Enciclopedia di Ersch e Gruber, art. Judeuteusch.
(3) Renan, Op. cit. p. 436.
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LIBRO SECONDO
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2. It Cananeo , o Fenicio era I’ idioma di (ulte le popolazioni del
littorale e del Libano, da Ilamat ed Arado al norie, (ino aGerarc e *1
Mar Morto al mezzogiorno. 1 Fenici, cosi detti dai Greci, davano a sé
stessi il nome di Cbanaan (1), come si legge nelle loro medaglie (2). I
moderni critici ammettono per dimostrato, che il primo soggiorno dei
Fenici fosse stato sull’Eufrate inferiore, nel centro de’grandi stabilimenti
commerciali e marittimi del Golfo Persico, e che il loro passaggio sulle
coste del mediterraneo fosse stato anteriore all' arrivo de’ Beni-Israel
in Palestina, e contemporaneo all’invasione che i Pastori fecero del-
l'antico impero egiziano. Sopra questa coincidenza di date poggia la
opinione che gl'lcsos fossero Fenici, benché Manetone ed altri dopo
di lui li credano Arabi (3). Probabilmente erano Semiti, ma niuno osa
indicarne la patria, le peregrinazioni e il nome eli’ indi ritennero (4 .
Mcn probabile di tutte stimiamo la sentenza di coloro che li tengono
per gente scitica « discesa alla ventura dalle settentrionali regioni del-
l'Asia a cercare miglior fortuna in più felice paese (5) ».
Frano i Fenici, per alcuni rispetti , limitati nella cultura intellet-
tuale c nelle arti belle , ma nelle meccaniche ed industriali supera-
rono di lunga mano tulli gli altri popoli dell’antichità [6). Per le-
(1) Xyis , ovrv tXsyiro ó iV’yrjvvp, Ó8sv x«i il 4>oiv/xtl O’y vi Xlycrxi . ( Chw-
roboscus, apud Urkker, Anecdota grreca, 111. p. USI). XvS, ovraos f 4>o<vìxti
ixxXtito Tt> ióvisòv rxJrijs Xvxos. (Steph. Byzant. alla parola Xvi).
A’StXyùf Xvi toó «piitov nerovofixiiDcvroi i’oivixos. ^ l’hi lo Bybl. Sanconiato-
nis fragmenta, ed. Ordii, p. 40).
(2) Barthéltmy , nelle Mcm. de l'Acad des Inscript. et Belles Lettres
t. XXX, p. 416; Ekkel, Dot trina nummorum vetcrum, P. 1. 1. 111. p. 409.
(3) Eusebii, Chronicon, Mediai. ISIS, Lib. 1. cap. XXL p. I0S. — Giu-
seppe Flavia, Contra Apioncm, Lib. I. § 14.
(4) Eicald, Geschichte des Volkes Israel , 1. p. 446 e seg. — Bunsen,
Aigiptens Stelle in der Weltgeschichte. lib. 111. p. 5 e seg. — Kreuzer,
Kéligions de 1’ antiquitc, trad. de Guigniaut, t. II. P. 3. p. 854-835. —
Knobel, Die Vòlkertafel dcr Geuesis, p. 208 e seg. — Lengerke , Kenaan,
p. 36 e seg. — Berthau, Zur Geschichte der Israeliten , p. 229 e seg. —
Schwartze , Das alte jFgypten, passim, etc. — Uhlemann, Israeliten und
Hyksos in jEgypten. Leipzig. 1856 . — Knoetel, De pastoribus qui Hyc-sos
vocantur, deque regibus pyramidum auctoribus. Lipsia *, 1856.
(3) tìosellini , I Monumenti dell'Egitto e della Nubia. — Monumenti Stori-
ci, t. I. p. 175 — 178; 111. 65) che cita ed appoggia la opinione di Cham-
pollion giuniore.
(6) Fra le arti che avevano assicurato agli abitanti di Tiro e di Sidone
una riputazione che non renne mai meno fu la famosa tintura della por-
pora, ch’era un rosso ch’eglino traevano da alcune conchiglie (Mure* bran-
daris L. ; M. trunculus. Link; Janthina communis, L.) che raccoglievano
sulle coste della Siria, a Cipro, sulle coste del Peloponneso , nell' Isola di
Citerà , nella Caria , che forniva la porpora laconia , « in molte isole del-
l’ Egeo , sul littorale dell’Africa settentrionale , sulla costa iberica e nelle
Isole Canarie , che fornivano la celebre porpora getulica — La metallurgia
era un fonte principale delle loro ricchezze, e le miniere che scavarono di pre-
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RAZZA ARIANA-FAMIGL1A SIRO-ARARA. 257
loro estese relazioni commerciali , e con la fondazione di numerose
colonie , delle quali una di molto superò la stessa metropoli in pos-
sanza, propagarono le loro conoscenze da un capo all’altro del mondo
allora noto, e contribuirono eziandio efficacemente al progresso della
civiltà universale, diffondendo dappertutto la scrittura alfabetica, della
quale eglino i primi, e da lungo tempo già si servivano.
È però singolare come un popolo, cui l’antichità unanime attribui-
sce l’ invenzione dell’ alfabeto, non ci abbia lasciato verun’ opera let-
teraria , se ne eccettui qualche frammento autentico di Filone da
Biblos , più conosciuto sotto il nome di Sanconialone (1) , e del
Periplo di Annone. Questa lacuna è in parte ricolma da’monu-
menti epigrafici ( iscrizioni e medaglie ) trovati sul suolo di quasi
tutti i paesi ov’ ebbero i Fenici colonie , o scali commerciali , come a
Cipro, a Malta, in Sicilia, in Sardegna, a Marsiglia, in Ispagna, nella
Cirenaica e sopra tutte le coste di Barberia (2). Quantunque non
chiarito ancora bene, sembra fuori dubbio, che il fenicio (ed anche il
punico ) fosse strettamente affine all’ ebraico , e che più di que-
sto inclinasse all’ arameismo , col quale si andò a poco a poco as-
similando , sicché verso il V. secolo Cirillo e Teodoreto identifica-
ferenza furono quelle di Cipro, della Sitinia, della Tracia, della Sarde-
gna, dell' lberia, della Mauritania; nè tolamente traevano metalli dalle vi-
scere della terra , ma erano eccellenti in lavorarli , e dare ad essi le forme
più graziose e varie. Una enumerazione de' capilavori eseguiti per ordine
di Salomone, che ne volle ornato il suo tempio, da un artefice di Tiro chia-
mato Hiram si trova net 1° libro dei Re, cap. Vili. v. 13-50 — Sulle arti
de’ Fenici, cons. E. Gerhard, Uebcr die Kunst der Phaenizier. Berlin,
1848; Movers, Die Phaenizier, etc. ; Hoefer, Phaenicie, nell' Univers Pitto-
resque. Paris, 1832.
(1) Movers, Op. cit. 1. 121 e seg.; Creuzer, trad. cit. 11. 3. P. p. 839,
e seg.
(2) Le iscrizioni lapidarie e le leggende delle medaglie fenicie furono tutte
illustrate dal Gesenius netta sua classica opera pubblicata nel 1837 sotto il
titolo di Scriptum® linguaeque phaeniciae Monumenta , quotquot supersunt
edita et inedita, additisque de scriptura et lingua Phaenicum commentariis.
Lipsia;, 4., meno alcune iscrizioni di Sicilia che furono edite dal Castelli
di Torremuzza ( Siedi® et adjacentium insutarum veterum inscriptionum
nova collectio. Panonni, 1794), e che sembrano essere rimaste ignote al
gran filologo di Halla. Quelle scoperte dopo la pubblicazione dell’opera del
Gesenius sono state quasi tutte raccolte dall’ab. Bargès, nella sua Mémoire
sur trente-neuf nouvelles inscriptions puniques. Paris, 1852 — Sulla gran-
de Iscrizione di Sidone cons. lo stesso Bargès, Sur le Sarcophage et P In-
scription funéraire d’Eschmounazar, roi de Sidon. Paris, 1856; Eicald,
Erklàrung der grossen phonizischcn Inscrift von Sidon und einer zEgyptisch-
Aramaischen mit den zuverlassingen Abbildern beider. GBttingen, 1836 ;
Levy, Erklàrung der grossen sidonischen und anderer phonizischcn In-
schriften. Breslau, 1836.
Nicoldcci, JtdKt umanr — Voi. I. 17
i
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LIBRO SECONDO
vano espressamente l’uno e l’altro idioma (1). L’uso del fenicio conser-
vossi in Africa assai più lungamente che in Oriente, poiché Arnobio,
S. Agostino e Procopio ci attestano che, al lor tempo , i nativi della
costa d’Africa parlavano ancora il cartaginese (2); e S. Girolamo e Pri-
sciano fanno egualmente menzione del punico (3) come di lingua vi-
vente, la quale continuò ad essere parlata sulle coste settentrionali
d'Africa fino all’invasione mussulmana, quando l’arabo assorbì ne’suoi
clementi anche il punico, come aveva assorbito il siriaco, il caldaico
ed il samaritano.
3. Favellavano l’idioma arameo (suddiviso in caldaico, in siriaco ed
in samaritano) i Caldei , gli Assiri , i Siri e tutti gli altri Dativi del-
l ’ Aram naharim (Aramenia de’fiumi ), ossia Mesopotamia. Dell’antico
arameo non si conosce verun testo indigeno. Dubbio è tuttora se
fosse aramaica la lingua delle iscrizioni cuneiformi dette assirie,
e nulla si può dedurre dalle poche parole in caratteri semitici trovate
su’mattoni di Babilonia. Nè meno saprebbono essere considerali come
testi autentici le iscrizioni e i papiri aramaici trovati io Egitto (4) ,
benché sembri che debba fare eccezione la iscrizione del basso rilievo
di Carpentrasso relativa al culto di Osiride (5). Tuttocciòche può sa-
persi del vetusto caldaico lo dobbiamo a’ Giudei dell’epoca della cat-
tività di Babilonia , i quali composero in arameo opere importanti ,
anche intorno a’ subbielti religiosi, alcune delle quali sono giunte si-
no a noi, come i frammeuti caldaici del libro d’ Esdra e di quello di
Daniele, le traduzioni e le parafrasi caldaiche della Bibbia dette Tar-
gum, e i Talmud di Gerusalemme e di Babilonia, li caldaico rimase
lingua scritta fino al secolo X. dell'era nostra , quando fu sostituito
dall’arabo, e fini di vivere eziandio come lingua letteraria.
L’arameo ecclesiastico, coltivato nelle scuole di Edessa e di Nisibi
prese il nome di lingua siriaca; ed è rimasto fino a’ di nostri l’idioma
sacro di alcune cristianità orientali. Doviziosa di opere originali è la
lingua siriaca, e il suo più antico monumento è la versione della Bib-
bia che chiamasi Peschilo, e, dopo la Bibbia , il racconto del marti-
(1) ’OJfor.voi via i 3ù?ot xai Edyparifcioi xai 4u/vix«s rrj Sjpuy ©ovvi .
(Theodoretus, Qu»st. 19 in Judices). T»i yXaW) rfj x*y*yiri8t, n>0r’ «ari rji
^y'jjoaVj yjtoi rfj vtar* fljiXjttsrtvrjv. yxp Xj iXovji yu&jai \ 4>ot’yi*«s fi*-
lauri voi. (Cyrillus in Isatam; Opp. t. IV. p. 295).
(21 Cotu. Guenius, Monum. phaenic. p. 540 e teg.
(3) Lingua Pcenorum, qua dialitica vet hebraa umili! est et syra , non
habet genus neutrum. lnstit. grammatica} , lib. V. cap. II. p. 175 ( edit.
Krchl ).
(4) Con s. E. F. F. Beer, Inscriptioncs et papyri veteres semitici, quot-
quot in iEgypto reperti sunt, editi ed inediti , recensiti et ad originem he-
braio-judaicam relati. Pars. I. Lipsia, 1855.
(5) Lanci, Osservazioni sul bassorilievo fenico-egizio che si conserva a
Carpentrasso. Roma, 1825; Gesenius, Monum. pnarn. p. 59eseg.; 226
e teg.
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Il A ZZA ARIANA— FAMIGLIA SIRO-ARABA. 259
rio de’ santi Zebina , Laznro, Manila, ctc. scrilla da Isaia d'Arzun,
che ne fu testimonio oculare, circa l’anno 320 delle, v. (1). Decadde
verso il secolo X. la cultura di questa lingua, la quale non fu neanco
più usala come eloquio volgare ; se non che , a relazione di moderni
viaggiatori (2), in alcuni villaggi del monte Libano, e ne’ dintorni di
Mossul e di Mardiu si parla tuttavia quell' idioma , egualmente che
presso i Nestoriaui delle montagne di Djurlamerk , e intorno a’ laghi
Van ed Urumiyeh.
Il samaritano fu il sermone della tribù efraimita che divenne il nu-
cleo della dissidenza d'Israele. Una dinastia efraimita pose la sua re-
sidenza in Samaria, fatta edificare da Orari circa il 923 av. G. C., ma
Sicliem (Naplusa) ne rimase il centro religioso, ed anch'oggi li pres-
so, a piè del monte Garizim , si conservano gli avanzi di questa fra-
zione di Beni-lsrael, la quale, se non ha avuto il brillante destino di
Giuda, l'ha quasi agguagliato nelle sofferte persecuzioni c nella fede.
« Questo vetusto ramo della famiglia semitica è pressocchè vicino a
scomparire, e ne minacciano ogni di più la fragile esistenza la miseria
e il proselitismo di sette più possenti. Nel 1820 i Samaritani giunge-
vano ancora al numero di circa cinquecento. Robinson, che visitò Na-
plusa nel 1838 , non ne trovò più di cencinquanta, e nel memoriale
che indiressero nel 1842 al governo francese confessano essi stessi
di esser ridotti a quaranta famiglie (3) ».
Erano gli Aramei molto inoltrati nelle vie della civiltà, ed ancora
ci fanno maraviglia le rovine di Babilonia , di Ninive e di al-
tre splendide città dissotterate dall’ infaticabile zelo di P. E. Botta,
di Lajard , di Rawliuson (4). Un collegio di sacerdoti stabilito in
Babilonia raccolse osservazioni astronomiche , le quali risalivano ,
(1) Attenutimi, Bibliot orient. I. 17.
(2) Niebuhr, Description de l’ Arabie, p. HI ; Brown , Travels in Africa,
Egypt and Syria , p. 400-406; Volney, Vovage en Svric, t 1. p. 557.
(4. ed.); Travels in Siria and thè Holy Land. London, 1822, p. 22. — Una
grammatica della lingua tiriaca moderna è stata recentemente pubblicata
da Stoddard: A Grammar of thè Modem Syriac Language, as spoken in
Oroomiah, Persia, and in Koordistan. Newhaven, 1853, 8.
(3) Renan, p. 225. Barge's ("Les Samaritains de Naplouse, Paris, 1835 )
assicura che si trovano, oltre ai Sanuiritani di Naplusa, altri individui della
stessa setta dispersi in Palestina, in Egitto ed in Siria.
(4) Per te rovine di Babilonia, r ed. Ridi, Voyage aux ruines de Baby-
Ione, trad. p. Raimond. Paris, 1818; Baillie-Fraser , Travels in Koordi-
stan, Mesopotamia,etc. /dindon, 1840, in 4; Chesney, Expcdition to theEu-
prates and Tigris. London, 1830; Lajard, Discoveries in thè ruins of Ni-
neveh and Babylon, with travels in Armenia, Koordistan, etc. London,
1855 — Per quelle di Ninive ed altre città astirie, ved. Botta e Flandin, Mo-
numens de Ninive. Paris, 1849 e teg., 5 voi. in fot.; Lajard, opera succita-
ta, e The Monuments of Ninevch. London, 1849. .fot.; Nineveh and its re-
mains, Ibid.; Scoperte di Ninive, etc. trad. dal conte Malvasia Tortorelli.
Bologna , 1855, ir» 8; Bonomi , Nineveh and its Palaces. London , 1852.
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MURO SECONDO
260
ni dir di Simplicio (1), a 1903 anni innanzi Centrala di Alessandro il
macedone in quella città; e la maggior parte delle cognizioni possedute
da’ Greci sulla volta de' cieli erano attinte da astronomi caldei (2).
Le impronte fisiche di questi Semiti ci sono state conservate ne' mo-
numenti scoperti in Babilonia e nella vetusta Assiria, e paragonando-
le a quelle de'Semiti odierni , noi vi ravvisiamo la più grande rasso-
miglianza. Il cranio del quale offeriamo il disegno (cranio del piu
perfetto tipo ovale) fu trovato dal Lajard con altre ossa in una stanza
del palazzo Nord-ovest, in Nimrod, c la testa chequi riproduciamo è
copiata dalla tavola XXXVI. della splendida opera di P. £. Botta e
Flandin.
4. La lingua araba , divisa ne' suoi due rami ismaelita e ioctanide,
intesa e scritta ovunque s’adori Maometto c si legga il Corano , è il
sermone originario dei nativi di Arabia , c di una parte di que' del—
l’Ahissinia. Tutti gli Arabi , eccettuali quelli dell’ Yemen , si ranno-
dano al gruppo ismaelita, ma i più meridionali, con le popolazioni di
una porzione dell'Attissima, si dicono Joctanidi, suddivisi in Omircni
( in Arabia ) , ed in Etiopici ( in Abissinia ).
Credevasi già un tempo, che la lingua degli Omireni, fosse idioma
affatto estinto, del quale si dovessero cercare gli avanzi nell’ amarico
e nel ghez ; ma il Fresnel conobbe, che questo eloquio, ch’ei chiamò
ckkili ( dal nome del popolo che lo parla ) , c che le tribù vicine
chiamano mahri, o ghravi , è ancor vivo fra l’Adramante e l’ Oman,
soprattutto in Malirah , a Mirbat, a Zbefar (3). Le iscrizioni che nu-
merose si raccolsero , scritte in questa lingua , nella regione di Ma-
reb e di Sana , illustrarono vieppiù la storia dell’ Yemen e del suo
idioma (4) , del quale si rinvenite I’ alfabeto in alcuni codici vatica-
ni (5) e in due manoscritti della biblioteca di Berlino (6). Le estese
(1) Comment. in Aristot. de Cado, cap. II.
(2) Sulle cognizioni religiose e scientifiche de’ Caldei si consultino il lib.
X VII. della Storia di Diodoro di Sicilia, e Ideler, Uelter die Sternkunde
der Chalda’cr, nelle Mem. dell’ Accad. di Berlino 1814-1815.
(3) Journal Asiatique, giugno, luglio e dicembre, 1838. — Altri saggi di
questa lingua sono stati forniti dui Doti. Krapf nel Zeitschrift fur die \Vis-
senschaft der Sprache di lltefer, t. I. 1846.
(4 Le prime iscrizioni furono pubblicate dal Seetzen ( Fundgruben des
Orients, II. 282 e seg.). Di molte ne accrebbe il numero il riaggio di Well-
sted e Cruttenden ( J. II. Wellsled, Travels in Arabia. Ijondon, 1858, voi.
IL; Journal of thè R. (ìeogr. Society, voi. Vili. p. 476 ). Moltissime ne
raccolse l’Arnaud nel 1845, le quali furono edite dal Moki, e studiate dal
Fresaci (Journal asiatique, febbraio-marzo, aprile-maggio , settembre-otto-
bre 1845 ). lina nuova iscrizione trovò de Wrede netta ralle di Doan (Jour-
nal asiatiq. noe. 1845, p. 3!)6), ed un’ altra ne fu pubblicata nel Zeitschrift
fur die Kunde des Morgenlandcs , 1814, t. V. p. 203 e seg.
(3) Lanci , Su gli Omireni c le loro forme di scrivere trovate ne' codici
vaticani. Botila, 1828.
(6) Rwdiger, Zeitschrift fur die Kunde des Morgenlandcs, 1.p.152 e seg.
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t ■" 'Mmm
■ Fij.i Cranio assiro di Ninirod
rìoj .' Testa di un prigioniero sirio di Khorsabad
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA SIRO-ARABA.
26 i
ruine di Mareb e di Sana attestano , a’ giorni nostri , l’ antica civiltà
che pose piede nella meridionale Arabia, ma questa civiltà venne me-
no e si cstinse col dominio della lingua degli Omireni, la quale fu as-
sorbita, io un con gii altri dialetti arabici, dall’arabo de’Koresciti, fatto
sacro dal Corano, e divenuto la lingua santa dovunque s’abbia la fede
nell’islam. L’arabo s' introdusse eziandio come lingua volgare ove
giunse la religione di Maometto, ma non vi spense del tutto gli idiomi
nativi, da* quali anzi, compenetrati di arabico, si originarono lingue
novelle, come il neo-persiano, l' hindi, l’indostano, il turco, il raa-
laio. Molle voci arabiche furono accolte anche in Africa da’ Berberi
e nella parte orientale di quel Continente (1), a Madagascar, in molti
paesi del Sudan (2), presso i Negri del Senegai c della Ghinea (3); né
la stessa Europa sfuggì a quella universale influenza dell’arabismo
in quelle contrade ove gli Arabi ebbero stanza, imperciocché molte pa-
role trassero dall’arabo gli Spagnuoli ed i Portoghesi (1), e nelle altre
lingue romane arabiche sono le parole indicanti molte cose scienti-
fiche, ed oggetti manifatturati (5).
Lingua sconosciuta fuori Arabia era l’ arabo innanzi a Maometto ,
ma sembra nondimeno che fosse stato alquanto coltivata, se sono ara-
biche, come pare certo, le iscrizioni che si leggono sulle rocce di certe
valli del Sinai (6) , le quali trovava scritte in caratteri sconosciuti ai
suoi tempi Cosma Indicopleuste Gn dal 535 dell’era volgare. Lette-
ratura ante-islamica non è però mai esistita, e i pochi versi riferibili
a quell'epoca erano conservati a memoria, ma non consacrati invaria-
bilmente dalla scrittura (7).
(1) E ir ahi e Krapf, nel Zeitschrift der M. Gesellscbaft, 1856, t. I.p. 44.
e seg.; I. 111. p. 511 e seg., e nel Journal of thè American Orientai Society,
vai. IV p. 449 e seg.; Escayrac de Lauture, Le Désert et le Soudan. Pa-
rie, 1855, p. 247-248, 465 e seg.
(2) Pcrron, Voyage au Ouaday par le cheykh Mohammcd Ibn-Omar El-
Tounsy, p. 71 e seg.
(3) Bulletta de laSociétó de géographie, marzo e aprile, 1854, p. 271 e seg.
(4) Ved. Vestigios da tingoa arabica em Portugal, o Lexicon etymologi-
co das palavras e nomes portuguezcs que lem origem arabica , por J. de
Sousa , annutado por J. de Santo-Antonio Moura. Lisboa, 1850, in 4.
(5) Pilian . Glossairc des mots franfais lirés de l’arabe, du persan et du
ture. Paris, 1847.
(6) E. E. F. tìeer , Inscriptiones veteres literis et lingua hucusquc in-
cognitis ad niontem Sinai magno numero servata-. Lipsia, 1840 Fase. I. ;
Credner , nWi’Heidelb. Jahrbucher , 1841, p. 908 c seg. ; Tuch , nel Zeit-
schrift der M. Gesellschaft, t. III. 1849 p. 129 e seg.; Bunsen, Outlines cit.
I. 251 c seg.
(7) Io non posso accettare l’opinione , che gli Arabi possedessero poemi
contemporanei di Mose c di Salomone , od anche, poemi scritti innanzi a
Maometto. 1 Moallakàt sembrano essere più antichi del Corano pel fondo
del racconto, ma non per la esposizione, o la forma.
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LIIIIIO SECONDO
Fra pii Arabi dell’antichità non si fa parola clic de’Nabalei de'Sabei
e degli Omireui. 1 Nabatei erano popolo dato al commercio e potentis-
simo : famosa era l'etra loro capitale , cbe serviva di scalo a tutte lo
merci destinate per Tiro e per Sidone.
Nuli’ altro sappiamo de’ Sabei , se non che eglino esportavano dal
loro paese l’incenso (il Itbonah degli Ebrei, forse la bosvellia Ihurifera
del Colebrooke), la mirra (una delle specie del genere „4myris descritta
dall’Ebrenberg ), e il balsamo della Mecca ( bahamodendron gileaderue
di Kuntlij, sostanze che formavano obbietto d’importante commercio
con I’ Egitto, la Persia e l’India, non cbe co’Greci ed i Romani, onde
fu dato a quella contrada il nome di Arabia Felice, che per la prima
volta s’incontra presso Diodoro Siculo e Strabone (1).
Degli Omireni solo si conosce, che guidati dal loro principe Arrieo,
secondo narra Diodoro (2) poggiato sull’autorità di Clesia (3), si as-
sociarono alla spedizione falla da Nino sul Tigri, trionfarono de’ Ba-
bilonesi , e carichi di bottino rientrarono nell'Arabia meridionale.
Indarno fra i popoli della Famiglia Siro-Araba noi ora cercheremmo
i Siri, i Fenici, gli Assiri e le rimanenti popolazioni aborigene delle
contrade fra il Tigri e l’ Eufrate. Le invasioni degli Arabi, e quelle dei
Persiani, de'Curdi e de'Turcomanui han rimescolato da capo a fondo
e popolo e lingua e religione. E dubbio tullora se i Drusi, i Maroniti,
gli Ansari, ricoverati sulle falde del monte Libano, sicno discendenti
degli antichi Siri rimasti incontaminati in mezzo al generale sovver-
timento de’ loro connazionali, sebbene abbiano perduta la lingua pro-
pria , ed adottato I’ arabo che è l’ idioma di quelle contrade. 1 Drusi
hanno molte attinenze , dal lato fisico , con la stirpe giudaica (4). « I
Maroniti son belli e grandi, hanno franco e fiero lo sguardo, il sorriso
dolce e spirituale, gli occhi azzurri, il naso aquilino, la barba bionda,
il gesto nobile, la voce grave e gutturale (o) ». Gli Ansari, nelle for-
me fisiche non sottostanno punto a’ Maroniti , ma sono più barbari
de’Drusi, e molto più rozzi de’ Maroniti, i quali sono cristiani siriaci
( monotcliti j , mentre i Drusi e gli Ansari sono idolatri , o almeno
poca fede hanno nel Corano. « Il culto del cane , in onore presso gli
antichi Siri, e che sembra aver dato il nome al fiume del cane « Nahr
el-kelb » poco lungi dall’antica Berilo, si è conservalo tuttora intatto
presso alcune famiglie di Ansari (6J ».
(1) Lib. XVI. p. 1124 ediz. cit. sì h :xv - x^xl »v rjSxiyLOVsixi-
rrj fjisyh rou
(2) Lib. IL cap. 2. 3.
(3) Ctesia 1 Gnidii Operum reliquia; , ed Bcehr, Fragracnta assyriaca ,
p. 421.
(4) Lamarline, Voyage en Orient: « Peuplade du Libali ». — G. Wa-
shington Chasseaud , The Druses of thè Lcbauon. Their Manners.Customs,
and History. London, 1S5S.
(5j Lamarline, loc. cit.
(6) LI. Ibid.
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RAZZA ARIANA -FA Silfi LI A SIRO- ARABA. 263
1 pochi cristiani giacobili che vivono dispersi a Mossul e ne’villaggi
e monti circostanti, ed altri cristiani nestoriani stabiliti sul Tigri supe-
riore , e soprattutto nella valle di Ilakkariyah , e presso i laghi Van
ed Urumiyeh , sono forse le sole reliquie de’ prischi Caldei dell' Assi-
ria, Mesopotainia e Babilonia, ricoverati in que’luoghi, fuggendo la
nimistà e le persecuzioni del maomettano vincitore (1). 1 Missionari
c i viaggiatori che gli hanno visitati nelle proprie contrade assicura-
no che ancor oggi essi parlioo un corrotto dialetto arameo, commisto
a voci persiane, curdiche ed arabiche. Li dicono superiori d’ intelli-
genza a’ cristiani e maomettani dell’Anatolia , della Siria e della Me-
sopotamia , e ne lodano il coraggio , l'onestà , il carattere fermo ed
immutabile. « Mentre i Curdi (cosi L’Ainswortb, che li mette in con-
fronto con gli altri indigeni del Curdistan ) distingue il capello nero,
l’occhio piccolo, la bocca larga, il naso prominente , e ( simili in ciò
agli Afgani) la militare aQetlazione e l’altiera insolenza del portamento,
il Caldeo , del quale è mollo più caratteristica la fisonomia, ha una
bella complessione, un occhio grigio, una barba rossa, un'aria aperta
e vigorosa e larghe spalle; e poniamo quasi sempre l’andatura ne sia
grossolana , di rado si osserva una espressione selvaggia nella sua fl-
sonornia (2) ».
Del popolo ebreo vivono tuttora i discendenti sparsi sopra tutti 1
punti delia terra, serbanti ancora le impronte originarie ed il carat-
tere proprio della loro stirpe ; e di questi e degli Arabi propriamente
detti noi faremo parola ne’ due paragraG che seguiranno; ma in-
nanzi di passare alla loro descrizione speciale, io richiamerò l’ atten-
zione del lettore sopra un popolo misterioso , che già dal tempo di
Abramo viveva nelle terre a settentrione del Giordano, e ai tempi di
Giobbe nelle contrade montane di Seir o Edom, a mezzogiorno di quel
medesimo Gume. Di essi più volte si fa menzione nella Sacra Scrittura,
ed ora sono chiamati Horreani, o meglio Chorreani ( Geo. XIV. 5 ) ,
ed ora Emitn ( Deuleron. II. 11.12). Gli Ammoniti li dicevano
Zomzommim, ed erano anche appellali NefUim, Refaim, Zuzim , Ena-
kim. Viveano in mezzo a rocce , ed abitavano caverne come i Tro-
glotidi: erano ordinati in tribù, ed ogni tribù aveva un capo, e forma-
vano corporazioni indipendenti; erravano perennemente, e depreda-
vano ciò che potevano, non facendosi scrupolo dell’assassinio: era-
no miserabilissimi , e i viaggiatori ne temevano la ferocia. A poco a
fioco scomparvero innanzi agli Ebrei, e non se n’ebbe di poi piu noti-
zia. Probabilmente si assimilarono a’Ggli di Abramo per mezzo de’Ggli
d’Esau, che abitavano in mezzo ad essi, e che dal lato di madre (Ooli-
bama ) erano imparentali con quelle genti. Sembra che alcuni di essi
rifuggiti si fossero tra i Filistiui, Semiti anch’essi (3), e che Golia (il
(1) Lajard, Nineveh and its remains. London, 4849, 1. 1. p. 38.
(2) Visit to thè Chaldxans , nel Journal of thè R. Geograf. Society v. II.
(3) L'origine semitica de’Filistini non pare affatto dubbia dall’ esame
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LIBRO SECONDO
coi nome significa l’esiliato, il rifugiato ) appartenesse a quel popolo.
Erano Semiti, o d’altra stirpe? — Ecco quanto non può con certezza
dichiararsi , ma io propendo volentieri a crederli Semiti , perciocché
non mai si.dice di essi nella Sacra Scrittura, che parlassero una lin-
gua inintelligibile al popolo ebreo (1).
§. 4. Ebrei odierni , o Giudei.
Vivente sotto climi svariati , in mezzo a nazioni di razze e costumi
diversi , il Giudeo conserva ancora il suo tipo nazionale di fisonomia
che lo distingue dagli altri popoli fra i quali ei conduce la sua esisten-
za. Il suo volto è di un ovale regolare con fronte elevata , piuttosto
stretta ed alquanto proeminente ; gli occhi sono grandi, vivi e pene-
tranti ; la statura mezzana e raramente alta. Dal clima in cui vivono
improntano sempre il colore della pelle, degli occhi e de'capelli che so-
no folti , morbidi c distesi. In Italia sono brunetti con occhi e capelli
castagni; più bruni in Portogallo e nelle coste settentrionali dell’Africa.
Nel settentrione dell’Europa la tinta della carnagione è incarnata con
capelli biondi ed occhi cilestrini, e se ne vedono anche in Alemagna
con pelo che volge al rosso. Nell’Asia centrale non si distinguono, pel
colore, da' naturali di quel paese, ed altrettanto si osserva nell' India,
nella Cina , nell’Africa orientale ed in America ; onde possiamo as-
sicurare, malgrado la obbiezione di alcuni, che la carnagione di que-
sto popolo tende ad assomigliarsi a quella di qualunque nazione con
cui la sua residenza sia stata sufficientemente prolungata, mentre non
olire in verun modo una spiegazione molto adeguata di questa asso-
miglianza l' introduzione di una piccola parte di sangue estraneo nel-
le sue vene; il che addiviene anche rarissimamente, essendo uso giu-
daico di non contrarre mai nozze con gente straniera alla sua stirpe.
È circostanza per altro assai particolare, che nel Mattecheri (in Cocin-
cina) esista una colonia diGiudei giunti comparativamente da non lun-
go tempo in quel paese, i quali si chiamano Giudei di Gerusalemme,
ossia Giudei Bianchi -, ma che essi non sieno stati anneriti ancora dal
caldo e dalla luce tropicale , è pruova che il tempo , in questi casi,
sia una condizione assolutamente necessaria.
filologico delle poche parole che noi tappiamo della lingua loro. Taluni li cre-
dono cretesi, o cipriotti, e tra questi l’Uitzig che vorrebbe rannodarli a'Pe-
lasgi ( Urgeschichte und Mythologie dcr Philisber ). Secondo la mia opi-
nione, sarebbero coloni semitici di un’isola del Mediterraneo, i quali, scac-
ciati da’ Pelasgi, ritornarono in un cantone della Palestina d’onde espul-
sero gli Avveeni, popolo probabilmente cananeo ( Deutcron. II. 23).
(1) Distinti critici odierni li credono di stirpe non semitica, e come i rap-
presentanti di quella prima umanità selvaggia, che le razze civilizzate in-
contrarono dovunque si stabilirono. Vcd. Bcrthau , Zur Geschichte der
Israeliten , p. 438 e se g. ; Ewald, Geschichte der Volkes Israel, 1. 1. p. 274
• teg.; Lengerke, Kcnaan, p. 478 e seg.
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RAZZA ARIANA-FAHIGL1A SIRO- ARABA . 265
Sottoposti a costante persecuzione , respinti fuori delle nostre so-
cietà intolleranti, eglino mai non han perduto, nè la dignità, nè l’ an-
tica energia dell'animo loro. Attivi, perspicaci, industriosi, son sem-
pre i primi in mezzo alle grandi operazioni commerciali ; e quella
forza di spirito, e quella perseveranza di azione che ha formato altra
volta la grandezza della loro nazione , eglino l' hanno volta all' unico
talento di tesoreggiare, che ha fatto loro acquistare una terribile pre-
ponderanza ; poiché il potere dell'ero, che tutto cambia ed a tutto co-
manda, si trova oggi in gran parte raccolto nelle mani degli spregiali
e dispersi avanzi de’ figli di Giacobbe.
Un altro carattere generico pel quale veramente l'Ebreo si distingue
da qualunque altro popolo è il suo isolamento, ciò è quel non so qual
marchio indelebile, risultato di una proscrizione di venti secoli, quella
non so qual cosa che tosto ti dice in un Giudeo: « io non sono uno di
voi ». Egli sempre conserva questo carattere in tutte le circostanze in
mezzo alle quali si trova collocato, nè mai la sua posizione ha cancel-
lato in lui quella concentrazione io sè stesso, quella solitudine del cuore
e dello spirito, quel sentimento di uno stato senza esempio nella storia,
senza parentela in mezzo a’popoli, senza relazione con gli altri uomini.
1 Giudei , che sono più numerosi oggi che no 'I fossero al tempo
della loro maggior floridezza , formano un complesso di più di quat-
tro milioni di anime sperperate e divise in quasi tutte le contrade della
terra. Approssimativamente essi sono cosi ripartiti , senza contare le
altre frazioni dell'Africa orientale e dell’Asia centrale e meridionale :
Siria e ’l resto della Turchia Asiatica .... 500,000
Turchia Europea 250,000
Algeri e Stati Barbareschi 600,000
Asia orientale. 80,000
America 100,000
Oceania 300,000 ?
Europa 2,356,400
4,186,400
La loro ripartizione in Europa è presso a poco la seguente.
Russia e Polonia . 1,200,000
Austria 600,000
Prussia 200,000
Confederazione Germanica 175,000
Svezia 900
Danimarca 6,000
Inghilterra 13,000
Belgio , 1,500
Olanda 50,000
Francia 70,000
Italia 40,000
2,356,400
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LIBRO SECONDO
§. 2. Arabi.
I caratteri Gsici degli Arabi sono stati descritti quasi con le mede-
sime parole da tutti coloro che gli han visitati nelle contrade native ,
e tutti unanimi ne lodano la bellezza delle forme e la espressione della
fisonomia. Hanno essi il viso alquanto allungato, la fronte alta e pro-
tuberante in sulla sommità, il naso aquilino e senza depressione dove
le sue ossa si congiungono con l’osso frontale, la bocca mediocre or-
nata di sottili labbra e denti eguali, bene impiantati e bianchissimi, il
mento un poco rientrante , gli occhi neri , profondi , mobilissimi , i
sopraccigli bene inarcati , le membra gracili e poco muscolose , la
barba generalmente nera e ricciuta come i capelli , o tale anche ren-
duta con arte quando pure no ’l sia per natura.
Que’che vivono erranti ne’ deserti pascolando gli armenti , e che
si dicono Beduini, sono più magri più adusti degli altri, e come se fos-
sero disseccati dal sole. Il colore della carnagione hanno molto scu-
ro , e talora anche nero tendente un poco al giallastro , come in ge-
nerale volge a questa tinta la pelle degli Arabi che sono sulla costa
dell’Yemen. Que'che sono in Nubia, secondo Burkhardt, diversificano
poco nel colore da’ veri Nubi ; dal che taluni opinavano , che questo
infoscamento della cute forse un effetto dell’ unione degli Arabi coi
Nubi ; ma nè Burkhardt, nè Ruppel lo ammettono (poiché si sa come
gli Arabi sieno schivi di contrarre alleanze con estranei alia loro na-
zione) , ed invece sono di credere , che il fatto debba tenere , come
sembra più ragionevole , alla sola influenza del clima. E nel vero la
tinta degli Arabi viventi nelle contrade poste al norie, massimamente
nelle regioni elevate, è quasi bianca, o poco più fosca di quella degli
Europei del mezzogiorno , come si osserva negli Arabi della Barbe-
ria, ed in quelli che vivono negli elevati piani presso Mascate, nella
contrada montana dell’Yemen (1), nella catena che limita la costa
dcU'Hedjaz, nel paese d’Asyr, egualmente che presso Tayef, al levante
della Mecca , dove regna una fredda temperatura già conosciuta dal
geografo Edrisi (2), mentrechè gli Arabi del Sudan, quelli delle pia-
nure lungo le costiere del Mar Rosso, quelli della valle del Giordano,
e quelli dell’ Haveran , paese al di là del Giordano , hanno la pelle
molto scura, e quasi simile a quella del Negro.
I teschi degli Arabi, secondo il Larrey, offrono il tipo più perfetto
del cranio umano. « La loro forma ( egli dice ) è presso a poco sfe-
rica, e la volta della scallola ossea ha una grande elevazione.
« La perfettibilità che noi abbiamo riconosciuta in tutti gli organi
della vita interna e in lutti quelli della vita di relazione, annunzia in
(1) Bruce, l’ravels to Abyssinia , t. 1. p. 2ì6.
(2) Jumard, Etudes géographiques et historiques sur l’Arabie. Paris,
1850, p. li e 52,
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA SIR0-AHABA. 267
essi una intelligenza proporzionata a quella fisica suscettibilità vera-
mente superiore a quella de’ popoli del settentrione della terra.
« Noi abbiamo osservalo in Egitto , che i giovani Arabi dell’uno e
dell’altro sesso imitavano con sorprendente facilità tutti i lavori de’no-
stri artieri e de’ nostri operai, ed apprendevano egualmente la nostra
lingua con molla rapidità.
« Indipendentemente da quella elevazione della volta del cranio e
della sua forma quasi sferica , la superficie delle mascelle è molto
estesa, e trovasi in una linea quasi retta, o perpendicolare. Le orbite
sono più larghe di quello che si osservi generalmente ne’ crani degli
Europei , ed un poco meno inclinate ali’indietro ; le arcate alveolari
poco prominenti e guernite di denti bianchissimi e regolari , e massi-
mamente i canini, i quali poco sporgono in fuori, il che conferma l'as-
serto de’ viaggiatori , i quali , avendo osservato il regime alimentare
degli Arabi, dicono che eli! poco e raramente mangiano carne. Noi ci
siamo parimenti convinti , che le ossa della testa sono più sottili di
quelle degli altri popoli, supponendo loro le stesse dimensioni. A me
sono parute anche più dense, e questo è indicato ancora dalla mag-
gior trasparenza che ci presenta questa scattola ossea.
« Dippiù nelle altre parti del corpo abbiamo osservato :
« 1. Che le circonvoluzioni del cervello, la massa del quale è pro-
porzionata alla capacità del cranio , sono più moltiplici , i solchi che
le separano più profondi, e le sostanze che formano quell’ organo più
dense e più ferme che non sieno nelle altre razze.
« 2. Il sistema nervoso che parte dalla midolla allungata e dalla
midolla spinale ci è sembrato essere composto di nervi più densi, che
ne’ popoli d’Europa in universale.
« 3. Il cuore e il sistema vascolare arterioso presentano una rego-
larità ed uno sviluppo perfetto.
« 4. I sensi degli Arabi sono squisiti e di una singolare perfettibi-
lità: la loro vista si estende molto lontano; ascoltano a grandi distan-
ze , e percepiscono gli odori più sottili. Questa perfezione fa notarsi
ancora in tutti gli organi della vita interiore.
« 5. Fortemente sviluppalo è il sistema muscolare, o locomotore, e
traspare sensibilmente al di sotto della pelle : le sue fibre sono di un
rosso cupo , dense ed elastiche , onde si spiega la forza e l’agilità di
questo popolo.
« Queste idee generali sono il risultato delle mie ricerche e delle
osservazioni comparative da me fatte presso molte nazioni delle varie
parli del Mondo (1) ». Cosi egli.
Gli Arabi sursero a un tratto dalla loro oscurità quando il mondo
romano erasi ecclissalo, e le invasioni de’popoli del settentrione avea-
no ricoperto di tenebre l’Europa civile. Egli era scritto senza dubbio nei
(1) Comptes-rcudus de l’Academie des Sciences de Paris , t. VI. ]>. 771
e seg.
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LIBRO SECONDO
rnaravigliosi destini dell' Universo , che i cristiani nesloriani istruis-
sero ancora gli Arabi prima che questi entrassero nella dotta e so-
fistica Alessandria , poiché gli Arabi furono iniziati nella letteratura
da'Siri, che lo erano stali a loro volta da’Nestoriani, perseguitati per
delitto di eresia. La celebre scuola stabilita da costoro in Edessa ,
nella Mesopotamia, e , quando quella fu distrutta, il non mcn rino-
mato istituto di Dschondisapur, nel Kusistan, misero le radici a quella
nobile pianta, che fruttar doveva l’occidentale incivilimento, i cui semi
raccolti dagli Arabi nelle loro prime incursioni fatte in Asia furono
da questi fecondati, e trapiantati dovunque stendevasi la loro vasta
dominazione. Bagdad, Bassora, Cufa, Balk, lspahan , Samarcanda,
Alessandria, la città di Fez nel Marocco, Cordova, Granata , Siviglia,
Valenza furono, dal secolo nono al quindicesimo, i più dotti convegni
del Medio-Evo, e l’Europa sarà sempre riconoscente verso questi en-
tusiastici seguaci dell’islam, se la face del sapere allora non fu spenta,
e la barbarie non avviluppò tutto l’orbe.
E pur di tanto splendore non rimane oggidì che la memoria! Piu
non vedi in quelle contrade che brillarono di luce si viva , se non
terrore, ignoranza, schiavitù ; « ed intanto le non furono conquistate,
nò lo straniero le spogliò di ricchezze , nè annientò le loro popola-
zioni, nè distrusse le loro istituzioni, i loro costumi e il loro spirito
nazionale ! Il veleno era già dentro, il quale sviluppandosi da sé stesso
ha tutto annientato » (1).
CAPITOLO II.
FAMIGLIA NILOTICA.
La Famiglia Nilotica abbraccia le popolazioni indigene stabilite lungo
il corso del Nilo dalle foci alle sorgenti , le quali popolazioni erano ,
in antico, gli Egiziani da Siene al Mediterraneo , c gli Etiopi dalla
stessa Siene fino alle catene montane dell’Africa centrale creduta uu
tempo l’estremità meridionale di quel Continente.
L’appellazione di Etiopi non comprendeva un sol popolo come gli
Egiziani, ma tutti gli abitanti a mezzogiorno dell’Egitto; onde Etiopi
erano anche i Nubi o Nobalae ( che poi diedero il proprio nome al-
l’Etiopia), i quali occupavano la Libia sulla occidentale riva del Nilo
da Meroe all’Egitto, i Megabari e i Blcmmi che tenevano la riva orien-
tale, e gli Assumiti e le altre nazioni abissine, che richiamarono l’at-
tenzione dell’ Europa nel Medio Evo , allorché difesero valocosa-
menle la fede di Cristo contro l’islamismo dappertutto trionfante.
(1) Sismondi, De la lilte'ralure du midi de l’Ettrope. Edit. de Bruxelles,
1837, t. I. p. 47.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA SIRO-AKABA. 2G9
V'ha chi crede che tutti i Nilotici discendessero dal ceppo abissino,
c che, popolata dapprima I’ Etiopia , si fossero sparsi a mano a mano
sulle due sponde del Nilo Ano alle rive del Mare Mediterraneo. Que-
sta opinione, che fu pure comune a Diodoro di Sicilia , è tuttora in
gran favore presso alcuni scrittori delle cose egizie, e Champollion
giuniore non esita a corroborarla di tutte le pruovc che gli fornisce
la sua esperienza e la sua vasta erudizione : « Le prime tribù che po-
polarono l’Egitto ( cosi egli ), cioè la valle del Nilo fra la cateratta di
Siene ed il mare , vennero dall’Abissinia , o dal Sennar. Gli antichi
Egizi appartenevano ad una razza di uomini adatto simile a’Kenmi o
Barabra, abitatori odierni della Nubia (1) ».
Secondo questi ed altri scrittori, anche la civiltà etiopica si riversò
nella bassa valle del Nilo, e Meroe fu il centro da cui la luce dell’Etio-
pia si irraggiava sulle terre dell’ Egitto (2) ; ma volendo accordare ad
indagini piu recenti tutta l'autorità della quale sono meritevoli, sem-
braci necessario di dover rinunziare alla supposizione tenuta fino ades-
so di un'antica civiltà etiopica , perciocché in tutta I' Etiopia non si
è trovata traccia , non pure di una cultura originaria dalla quale per
avventura avesse potuto derivare l'egizia, ma neanche di altra di tempo
mcn rimolo che potesse risalire a nazionalità etiopica. In Meroe niente
si è rinvenuto che si potesse credere più antico del VI. secolo avanti la
nascita di G. C. , e tutto quello che nel resto dell’ Etiopia si trova di
tempi anteriori a que’di Meroe, è piuttosto puramente egizio, di ar-
tefici egizi, fabbricato in istile egizio, e coperto d’iscrizioni egizie in-
cognite al popolo etiopico, eretto in gran parte per ordine di Faraoni
egizi, e continuato solamente dopo Taraka, nei VII. secolo a. G. C.,
<la re indipendeuti, che pure erano di stirpe egizia, e dominavano sugli
Etiopi, come a caso oggi i Turchi dominano sopra i popoli arabi (3).
Nundimanco la celebrità degli Etiopi crebbe al colmo , ed oscurò
quella degli Egizi, quando i popoli pastorali, nel principio della XVIII.
dinastia , furono scacciali dal Basso Egitto , non perchè etiopici fos-
sero veramente i trionfatori degli Icsos , ma perchè tali parvero a
costoro i lor nemici che discendevano con tutte le loro forze dall'Etio-
pia dove si erano rifuggiti i Faraoni facendovi di molte conquiste (4 1.
Durante l’ epoca della invasione de’ Pastori , che durò ben 500 anni ,
(1) Citalo da Champollion-Figeac, nell’opera «Égypte ancienne» che fa
parte rfe/f’L'nivers Pittoresque. Paris, 1847, p. 27.
( i ) Heeren, De la politiquc et du commerce des peuples de l’antiquité,
trad. frane, t. IV. sez. I. p. 2.
(3) Lepsius, nel Bullettàio dell'Istituto di Corrispondenza archeologica
pel 1843 , pag. 42.
(I) Le prime conquiste in Etiopia, secondo il Lepsius ( Briefe auf V.gy-
pten, .Ethyopien, u. der Halbinsel des Sinai gescliriehen in den J. 1842-
1845. Berlin 1852. p. 259 ) risalgono a Sesortesen III. re della XII. dina-
stia, che eresse le fortificazioni di Semleh, e divenne più tardi dicinilà
topica.
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Mimo SECONDO
l’ Etiopia divenne un centro di potenza e di civiltà per I’ Egitto deca-
duto dalla sua splendidezza, e I’ arte egizia, che spgui la corte nazio-
nale , brillò di tutto il suo splendore in Etiopia (ino a’ monti Barkal,
ove surse piu lardi Napala, residenza di Tarata.
Il dominio egizio sull'Etiopia si indebolì grandemente sotto il terzo
Ramscte capo dalla XX. dinastia , ed invece crebbe la potenza del-
l'Etiopia, che distaccossi allora dall’Egitto, rimanendo sempremai go-
vernata da sovrani di stirpe egiziana, lina invasione etiopica nella
bassa valle del Nilo è riportala al tempo della XXII. dinastia, ma dopo
soli cinquantasei anni gli Etiopi rientrarono nella patria loro, ove ri-
coverarono ancora sotto Psammelico. immediato successore di Tarata,
250,000 guerrieri egizi, che furono bene accolti e provveduti di terre.
Mcroe non fu se non più lardi la residenza di sovrani etiopici, e forse
alcun secolo dopo Taraka, perciocché Erodoto, il quale viaggiava in
Egitto un secolo c mezzo dopo il regno di quel principe , non parla
più di Napala , brillante risedio di Taraka , ma della sola città di Me-
roe, posta molto più sopra, nell' Isola di Astahoras.
Ella è comune opiuiune fra i dotti, che i Nilotici, quali noi li co-
nosciamo dalla storia , da' monumenti e dalle descrizioni fossero po-
polo già alteralo da straniero mescolamento, e il cui sangue era mi-
sto con quel de'Negri e d’altre genti venute d’Arabia e persino dall’In-
dia. E veramente non può negarsi ogni fede all’ autorità di Giuba (ci-
tato da Plinio) , il quale asserisce , che gli Arabi vennero a popolare
l’Etiopia per tutto lo spazio che intercede fra Siene e l’ Isola di Me-
roe (1). Forse non è meno probabile, clic i llarabra, nella stessa Etio-
pia, fossero atlìui a' nativi dell'Asia meridionale , i quali i più antichi
poemi indiani chiamavano in sanscrito Vaivara , come si legge nel
Ramayana, dove è detto, che da Visvamitra furono annientati gli la-
vano j , i Kambodschas , i Varvara. Il suono di quest' ultima parola si
avvicina anche molto a quello di Barbara di cui si trova fatta men-
zione nell’Hitopadesa (2j. A questi e ad altri argomentisi appoggiano
il Wilkinson (5), per ammettere l’origine indiana degli Egizi, ed il
Lepsius, die sostieue la loro provenienza asiatica per tutta la valle del
Nilo (ino a Kliartum, e fors’aucbe per le popolazioni più meridionali.
( 1 ) Accolas Nili a Syene non Aelliiopum populos, uà Arabum esse dieit
(Juba) usque Meroen, Hist. nat. lib. VI. cap. XX IX.
(2) Hitopadesa. London, '1810 , p. 4. — Nazioni di questo nome , seeon-
do il Lassen (Zeitschrift fur die Kundc des Morgenlandes, III. p. 215.)
erano ancora sulle coste ad occidente delle foci dell’ Indo — Gli antichi co-
noscevano qià nel della di questo fiume un Barbaricum lndiac emporium
celcberrimum ( Ritter, Erilkundc, Afrika ). Sarebbero essi gli Etiopi del-
l’ liuto de’ quali dice Eusebio (Chronic. Can. II. 97. ed. Auchcr, Armeno-
latina): Anno Abrahae 405 / Elliiopes ab Indo flamine migrantes ve ne-
retti t , alque juxla /Egy plinti habitarerunt?
(3) Customs and manners of thè ancient Egyptians, t. I. p. 3.
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'/'A/.yji'f.
Manefru, re della V*oVJ‘ Dinastia egizia
/"«/.-Cranio egizio tratto da una catacomba dì Tebe
j
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BAZZA ARIANA— FAMIGLIA SIRO-ARABA. 271
lunghesso il corso del fiume azzurro (1). E nel vero è notissima l’an-
tica migrazione degli Arabi Cusiti prima, e quindi degli Omireoi che
passarono lo Stretto di Bab-el-Mandeb , e recarono alle popolazioni
dell’ rispianato abissino una parte della loro civiltà. Furono questi
gli Arabi che fondarono il regno di Axum ove fino ai tempi di Fru-
roenzio parlavasi il ghez , che è I’ antico etiopico delle versioni del
Vecchio Testamento e degli altri libri sacri della Chiesa abissina.
La vicinanza de' Negri ad occidente dell’Eliopia e dell’Egitto non
fu senza influenza sulla popolazione della valle del Nilo , e sebbene
fossero tenuti in Egitto, come lo sono oggidì , nella condizione di
servi e di schiavi, il lor numero di più in più crescente si fece sensi-
bile altresì nelle forme fisiche degli Egiziani , almeno nelle basse
classi del popolo , che aveano con essi strette relazioni, e maggior
ragioni di familiarità. Ella è osservazione molto notevole , cbe i più
antichi monumenti egizi presentassero una quasi identità di fìsono-
mia nelle persone che rappresentano, laddove le fisonomie de’ tempi
posteriori sembrano più varie , più diverse , quasiché accennassero
ad una fusione di popoli e di stirpi, benché in mezzo a questa varietà
si riscontri sempre il tipo egiziano , che noi crediamo rappresentato
perfettamente nella testa che riproduciamo copiata da un bassorilievo
della tomba di Manefru , sovrano del V. o VI. Dinastia (3000 anni
av. G. C.), e conservato nel R. Museo di Berlino.
Questo fatto che si nota ne’monumenli di cui si ricca è la valle del
Nilo , rendesi più chiaro con l’ osservazione diretta de’ crani disse-
polti dagli antichi ipogei di quel misterioso paese. Uno studio accu-
rato di questi teschi fu fatto dal celebre Blumenbach , ed egli trovò
che si potevano ridurre a tre tipi, l’uno molto somigliante al tipo del
Negro , l’ altro affatto simile al caucaseo , ed il terzo assolutamente
identico a quello di un Indiano del Bengala (2). In tre sole mummie
osservate da S. T. Somruering due craul somigliavano interamente
alla forma europea, ed un terzo propendeva per la forma africana ri-
conoscibile alla inserzione del muscolo temporale esteso a maggior
superficie che non soglia essere ne’ crani europei (3). I teschi delle
mummie di Saccarah, in gran numero osservate dal Larrey, parvero a
costui aver somiglianza col cranio abissino (4). Non cosi ha giudicato
un moderno etnologo americano, testé rapito da morte alla scienza, il
quale ha fatto un lungo studio sopra i crani provenienti da diverse
località dell'Egitto. Egli ha notalo nella parte ossea del capo delle
(1) Briefe cit. p. 220.
(2) Veci, nelle sue Decadi la tav. 1. della Decad. 1 e la tav. 2. della De-
cad. IV.
(3) « Formata africanam, alte progrediente vestigio insitionis museali
temporali s, repracsentat » De corp. hum. fab. I. §. 65.
(4) Sur la conformatici! physique des zEgypticns , nella Description de
l’AÌgypte , t. II. liv. 2. p. 3.
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272
LIBRO SET.OXDO
mummie una forma predominante, che è la forma vera egiziana, non
solamente perché è la più comune, ma anche perchè si uniforma con
le flsouomie effigiate ne’ monumenti di tutte le epoche, e con quella
degli odierni Fellah , veri discendenti degli Egizi primitivi . Questa
forma , nell’ insieme, è la caucasea del Blumenbach, e la simmetrica
od ovale del Prichard, ma i zigomi sono alquanto spessi ed estesi la-
teralmente, il che dà alla fisonomia un appianamento verso la radiee
del naso ; le mascelle sono un poco più sporgenti , che non sogliano
essere ne’ crani europei , e quella sporgenza è accompagnata da un
maggiore sviluppo osseo , soprattutto della mascella inferiore.
Insieme con questi teschi si rinvengono crani identicamente simili
a quelli degli Europei ; alcuni altri hanno le forme del cranio berbe-
ro; rarissimi sono i perfettamente negri, o di forma molto vicina alla
negra. La proporzione in cui si trovano questi crani nelle necropoli
egizie è notata dal Morlon nella tavola seguente (1).
Tavola etnografica di cento antichi crani egiziani.
LUOGHI
DE' SEPOLCRI
N.”
EGIZIANI
PELASCI
SEMITICI
MISTI
NEGROIDI
NEGRI
IDIOTI
Meni Pi
26
7
io
ì
ì
i
9
m
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4
1
i
»
9
2
1
I
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4
2
i
t
»
»
9
B
Tebe
55
30
10
4
4
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•
2
Ombos
3
3
»
»
9
H
>
a
Filile
4
2
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»
»
1
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4
4
9
9
9
ftt
1
m
—
100
40
29
6
S
8
n
2
Da queste osservazioni dell’illustre etnologo americano, non che da
quelle del Larrey, del Sòmmcriug, del Blumenbach, e dalle altre che
abbiamo potuto raccogliere noi medesimi dalle mummie appartenenti
a diverse località dell’ Egitto e della Nubia conservate ne’ vari musei
d'Italia da noi visitati , si può dedurre con molto fondamento di vero
(1) Crania jEgyptiaca ; or Observations on Egyptian Etnography deri-
ved froin Anatomy, llistory and thè Monumcnts. Philodelphia, Wìi, ia f.
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RAZZA ARIANA-FAHIGLIA NILOTICA. 273
che la gran massa del popolo egizio ed etiopico si conservò scevra di
estranea mischianza, e serbò sempre i suoi caratteri nazionali ; ma
che tuttavolta una porzion di popolo subì le leggi del connubio stra-
niero, c attemperò le sue forme a quelle dei sopravvenuti , i quali ,
dalle numeriche proporzioni che i lor crani conservano con i crani
puramente egizi, lasciano giudicare in che quantità concorressero alla
eostiluzione della nazione egiziana.
Questa varietà che abbiamo notata nelle fisonomie e ne’ teschi de-
gli Egiziani monumentali (poiché quanto agli Etiopi , gli scrittori del-
I antichità li confusero spesso co' veri Negri da’quali peraltro differiva-
no evidentissimamente) può raccogliersi ancora dalle descrizioni che
ei lasciarono gli antichi de'caratteri Osici de’nalivi della valle del Nilo.
Erodoto che avea viaggiato in Egitto, e che poteva parlare di quel
paese per propria scienza , narrando , nel II. libro della sua Storia,
della popolazione della Golchide, com’ella discendesse, giusta una vec-
chia tradizione , da una colonia venuta d' Egitto , forse con Sesostri
(Ramsete Meiamun , secondo re della XIX.* dinastia ), avvalora tale
congettura con l’osservazione che i Colchi erano di color nero e di ca-
pelli crespi (1). E parlando nello stesso libro (cap. 2.) delta nera co-
lomba che volando dalla Tebaide verso Dodona fondovvi l’oracolo ,
suppone, che con essa nera colomba volesse intendersi una donna egi-
ziana, che naturalmente essere dovea di quel colore.
II poeta Eschilo, nella sua tragedia « Le Supplici » (t*««*«s) cosi fa
parlare Danao che scuopre dalla sommità di un’ eminenza vicina alla
riva una barca di Egiziani :
'IterxSónov yjlp rijs S’ de/ 6 3*0*rf, òfi »
Ti irXoToy
rlp'Vovj! f ivSfn v^Voi ittXxyxifioti
V violi Xsvxiv in. «sttXroiidtov ISiiy.
(1) Cap. IV.— Anche Pindaro, nel IV. delle sue Odi Pitie chiama neri
i Colchi :
Jl v ,'t x xsX»-
vj’wmji K&xoiaiv /S(*v
Mijjay, A Mtf icxf’
Tly.il*, IV.
E fero ai negri Colchi, ad Età in faccia ,
Provar la forza delle argive braccia.
Treni, di Mezzanotte.
.Nkolocci, Razze umane — Voi. I. 18
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E più sotto il coro :
I.IBBO SECONDO
E£mWs isti pxjyov Aiy'Ucro-t yt'yos,
Mj'X'H' 8’ itrXijoroy xxl Uya «yòs t/S o’r» (1).
Filostrato seniore nel I. libro delle Immagioi §. VIU., dichiarando
un quadro rappresentante Meninone, ucciso da Pelicle appena giunto
dall’Egitto per soccorrere i Troiani, dice: «Nè diresti nero Menino-
ne , che in lui vedi brillare lucidissimo il nero colore. Guarda quanto
ampiamente giaccia prosteso a terra , e quanta sia la bellezza de’ suoi
arricciati capelli ».
In un dialogo di Luciano si descrive un giovane Egizio, che faceva
parte della ciurma di un vascello ancoralo nel porto del Pireo , « di
color nero, con labbra grosse e sporgenti, gambe sottili, capelli cre-
spi (2) » ; ed Ammiano Marcellino dice degli Egiziani in generale :
« AEgyptii plerique subfusculi sunt et atrati, magisque maestiores, gra-
cilenti et aridi».
In due antichi contratti di vendita dell’epoca deTolomei, le persone
che vi sono interessate, essendovi nominate dal loro aspetto e colore,
nel primo di essi il venditore Pamonlhes è chiamato i**x*rxp»s , cioè
di color bruno-cupo, e il compratore tuUxp®*, cioè giallo o del colore
del miele; e nel secondo, quest'ultimo epiteto è appropriato ancora al
compratore che chiamasi Osarmele (3).
Secondo le descrizioni de’ succitati scrittori, gli Egiziani dunque
erano di un color bruno che dava al nero , od anche neri affatto, e di
un colore tra il giallo ed il bruno. Ignoriamo quale propriamente fosse
il colore dominante, ma a giudicarne dalla dipinture superstiti , sem-
bra che fosse stato quello tra il giallo ed il bruno , che talora volgeva
anche al rossastro come da’ monumenti stessi si raccoglie.
(1) Io da quest'alto loco
Venir veggio un naviglio
« Spiccano a vederle
Fuor d’un bianco vestir le brune membra
De' remiganti.
È d’Egitto
La schiatta rea che a questi lidi or giunge
Con brune navi e bruna
Ciurma.
Tradus. di F. Belletti.
(2) 1. urìan. Navigatio seu Vota. Ecco le parole originali : Ooros Ss , «■po't
riè jxeWyxpBS xai «fóyuXòi tori S» xau Xtffrii ày»v toiy oxtXoiy, — xo’pn]
Si x*i ts rórur/s® ò «XÓxoiìos ovytompsftsyos o»x sXsoOsfóv $r,oiy «ifrdx «”y*t.
(3) Il facsimile di uno di questi documenti è in Berlino; l’originale del-
l'altro in Parigi. La traduzione del primo è stala fatta dal prof. Boeckh ,
e quella del secondo dal signor Sainl-Martin.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA NILOTICA. 275
Ciò che peraltro non fa prestare piena fede alle descrizioni che ci
vengono dagli antichi, è l’osservare come tutti concordassero nell’at-
tribuire agli Egizi una chioma nera e lanosa , mentre nelle mummie
i capelli son quasi sempre lisci e distesi, taifiata biondi, sempre abbon-
danti , e non dissimili da’ più belli di Europa ; il che mi fa credere,
che gli scrittori greci e latini avessero voluto generalizzare a tutti gli
Egiziani cièche era proprio forse di alcuni , o che veramente, invece
degli Egizi , avessero sempre descritti i veri Negri , che pur viveaoo
in certo numero in mezzo a loro nella condizione di servi o di schiavi.
Non pertanto ne’moderni Egiziani si sono conservate quelle mede-
sime varietà di carnagione che vi notavano gli scrittori dell’antichità;
e, per tacere di molli altri, io citerò in testimonio il Dott. Savarese, il
quale fu io Egitto con l'armata francese condottavi da Napoleone Bo-
naparte. « Rispetto al colore di tutto il popolo di Egitto, egli dice,
niente si può stabilire. Vi ha degli uomini bianchi, bruni, bronzini e
neri. Frn'Fellahs (agricoltori) ed i marinari del Nilo se ne trovano di
coloro che uguagliano per la loro tinta gli abitanti dell’interno del-
l'Africa (lj ».
La chioma quasi lanosa, ed una fisonomia più tendente al progna-
tismo si ravvisa ne’Copti i quali sono , almeno in parte , mescolanza
di Egiziani primitivi e di Negri, in proporzioni molto variabili. La loro
pelle, secondo il Volney , è di un colore giallognolo molto cupo , il
viso piano, gli ocelli grandi, il naso piatto e le labbra grosse. Larrcy
parimenti li descrive di viso pieno , con occhi allungali e tagliati a
mandorla , pomelli sporgenti, narici dilatate , labbra grosse, e capelli
e barba crespi e neri ».
Confrontando dunque i risultati che si possono dedurre da’ rag-
guagli storici , dalle osservazioni anatomiche e dalle descrizioni degli
autori antichi messe a riscontro con quelle di alcuni de'tempi moder-
ni, sembra che possa rimanere stabilito:
1. Che gli Egiziani e gli Etiopi sono una famiglia di popoli del cep-
po ariano dotali di caratteri tìsici particolari ;
2. Che le successive migrazioni d’ altre genti di stirpe araba ed in-
diana , non che l’atllusso di popoli negri che vivono ad occidente del
Nilo contemperarono quelle forme originarie , e modificarono il tipo
primitivo , che rimase , è vero, nella gran massa della popolazione,
ma in parte soffri variazioni che ravvicinarono da un lato al tipo in-
diano ed all’arabo, dall’altro al tipo negro ;
3. Che il tipo egizio è tanto più puro, quanto più i monumenti che
il rappresentano risalgono ad epoca remota ; e tanto più commisto,
quanto più i monumenti si riferiscono ad epoche più vicine;
4. Che le pruove di questa alterazione parziale del tipo primitivo
sono evidenti ne’ crani raccolti nelle necropoli di quel misterioso
paese;
(!) Memorie ed Opuscoli fisici e medici sull'Egitto. Napoli, 1808, p. 41.
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LIBRO SECONDO
276
5. Che anche ne’ moderni abitatori della valle del Nilo si notano
oggidì quelle medesime variazioni di fattezze e di colorito che vi os-
servarono gli antichi scrittori, benché le conquiste de’ Greci, de’Ro-
mani, degli Arabi e de’ Turchi, che successivamente si estesero sul-
l’Egitto, versassero in quelle contrade torrenti di nuove popolazioni le
quali mescolandosi agli indigeni, contribuirono sempreppiùa modifi-
carne ed a variarne i caratteri nazionali.
L’Egitto, poiché formato dal deposito delle acque del suo gran fiu-
me, non poteva essere popolato che a misura che i terreni si dissecca-
vano, laonde primo grande stalo di questa parte del Mondo fu la Te-
baide , e Tebe la prima capitale (1). Non fu se non più lardi , che il
delta del Nilo si copri di fertili campagne e di boschetti di datteri, e
vide sorgere Memfi, che divenne il centro dello stalo Egiziano infiuo
a che Saide , creata capitale , non richiamò dentro le sue mura , sotto
Psammelico, la più alta civiltà.
Pitagora, Solone , Licurgo , Erodoto , Platone cercarono in Egitto
quella sapienza della quale furono a’ Greci maestri. Lo stesso Moisè
fu erudito in tulle le scienze egiziane (2) , e l’ oracolo dichiarò gli
Egizi il piu savio fra tutti i popoli. Rettamente dunque Platone fa
dire , nel suo Timeo, da' Sacerdoti di Saide : « 0 Solone , Solone !
Voi altri Elleni restate sempre fanciulli; non vi ha un vecchio in Gre-
cia; le vostre anime sono sempre giovani: voi non avete alcuna no-
zione dell’antichità, niuna vecchia credenza, niuna scienza imbianchi-
ta dagli anni (3)».
Ma sventuratamente della scienza egiziana altro non ci avanza , se
non quel poco che i Greci ne tramandarono , o quanto si è potuto
raccogliere osservando e confrontando i raunuinenti rispettati dai
Barbari e dall' età.
Ignaro non era 1’ Egiziano dell’ astronomia, perciocché I’ orienta-
zione delle piramidi, la determinazione del tempo della inondazione
del Nilo e i famosi zodiaci scoperti in Esnè e in Denderali non pote-
vano esser opera di chi non fosse addottrinato nella difficile scienza
dei Cieli.
Il sistema d' irrigazione della valle del Nilo supponeva una cono-
scenza dell’idraulica. Gli smalti profusi nelle dipinture , i colori ser-
(1) Si crede comunemente Tebe ( Tapu ) fondata dal primo Sesorteeen, pri-
mo re della dinastia lebana, Xll. a di Alandone, 2, 300 anni ac. G. C.
(Lepsius, Briefe, p. 272); ma a noi sembra che questa città fosse già in
piedi fin da Menes, primo re della l. a dinastia. Più tardi forse potè essere
aggrandita ed abbellita, ma probabilmente essa esisteva innanzi a tutte le
altre capitali. Questa congettura acquista valore dalle parole di Erodoto
(Lib. 11. cap. I.), che l'Egitto anticamente non altrimenti si chiamasse che
dal nome di Tebe.
(2) « Et eruditus est Mogses otnni sapientia JEggptiorum» — Acta Apo-
atol. VII. 22.
(3) Timeo B. 22.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA NILOTICA. 277
bali» intatti per volgere di tanti e tanti secoli, i cadaveri tuttora con-
servati e maraviglia delle nostre scienze, che noi pure diciamo per-
fette, ne rendono testimonianza dell’eccellenza degli Egiziani in alcuni
rami della Chimica e dell’Anatomia.
La loro stessa religione era un derivato di conoscenze scientifiche
involute ne’ miti delle loro divinità. Amon-re, il Sole, era l’ ente su-
premo e primordiale che s’incarnava sulla terra sottole forme di es-
seri materiali. In Saide se ne adorava la sapienza sotto il nome di
Neit , e in Elefantina se ne venerava la bontà sotto quello di Cnef, il
serpente in sé ravvolto, che era simbolo di questa divinità» e denotava
lei essere la origine e la One di tutte le cose.
In Osiride e in Iside è rappresentalo it principio della fecondazio-
ne , deila fertilità e dell’abbondanza; in Tifone, loro nemico» il prin-
cipio delia distruzione, della sterilità c della morte.
L’ Ermete trismegisto , ossia Tot, Ogurava la sapienza divina rive-
lata alla casta sacerdotale , ed era il simbolo de' Tesraofori educatori
civili dell’Egitto.
La testa di ariete, e il disco con le corna di Giove Ammone non
erano che una forma di Osiride rappresentante l’ equinozio d'autun-
no, quando è al suo colmo l’accrescimento delle acque del Nilo, che
rendono fertili le terre sulle quali si spandono ; come il bue Api (Apis».
Osorapis, Serapis), altra forma di Osiride, rappresentava l’ utilità ap-
prestata dal bue all'agricoltura. Indicava l’ibis l'escrescenza annuale del
Nilo; lo scarabeo la potenza creatrice; il coccodrillo l’acqua potabile,,
etc. La palma era simbolo dell’ anno, a cagione delle foglie che an-
nualmente essa rinnova. La sciita era onorata por la sua efficacia nella
guarigione delle idropi cosi frequenti in terreni paludosi, ed il loto co-
me la pianta favorita delle divinità.
E se veneravasi ne'tcmpli tutto quello che alludesse alla escrescen-
za del Nilo, inesausta sorgente di abbondanza per l’Egitto, egli era na-
turale che anche per quel fiume si conservasse una religiosa riveren-
za, onorandosi fìnanco il navilio Baris, che rappresentava certamente
la navigazione che facevasi sopra le sue acque.
Nulla o quasi nulla ci rimane delle opere letterarie degli Egiziani, fr
i soli documenti die ci avanzino della lor letteratura sono scritti in
caratteri per noi incomprensibili, de’ quali, non ostante i pertinaci,
studi de’ moderni , nuli’ altro si è potuto interpctrare con certezza, se
non pochi nomi di re e di dinastie.
Ma ad attestare la magnificenza delle arti belle presso l’antico po-
polo egiziano sono rimasti non pochi monumenti innanzi a’ quali si è
arrestato il dente roditore de’ secoli. Reliquie di vasti templi e di
mausolei piramidali sono sparse sul suolo che vide fiorire la più anti-
ca civiltà dell’Universo. Dall’Isole di Phile e di Elefantina fino a Den-
derali il numero e le grandezza sterminata di questi monumenti ci
riempiono la mente di sorpresa e di maraviglia. Là si elevano i gruppi
de’templi di Soleb, d' Ipsambui dlbrim, di Derr, di Sebua, di Dekka ;
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LIBRO SECONDO
più lungi quelli di Phile, di Elefantina, d’Ombos, di Silsilis, d'Elitbya e
di Edfu sul quale si è costruito un nuovo villagio arabo. Questa linea
di monumenti continua sulle due rive del Nilo per Esné ad Ermutis fino
alle ruine dell’antica Tebe, la città dei Re, e termina verso il norie a
Denderah coi tempio d’Iside sulla volta del quale è scolpito il famoso
zodiaco. Se si discende il fiume questi monumenti scompaiono di più
in più , ma viene allora il paese de’ canali , la cui sistematica costru-
zione eccita ancora la nostra ammirazione , e ci rivela (benché oggi
non sieno che rovine) l'antica loro importanza.
Nelle vicinanze della bifurcazione del fiume, presso la vetustaMemfi,
sonvi altri monumenti, i monumenti della morte. Ivi s’inualzano fra
Gizeh ed il Cairo, sopra un’area di otto miglia , le piramidi giganti
che si elevano lungo il Nilo a 400 e più piedi di altezza; talora aggrup-
pate, tal altra isolate. Esse sorgono sul campo de’ morti, sulle rocce
piene di tombe che si estendono da lungi pel deserto di Libia (1).
E pure di tanti monumenti non rimangon ora che mute rovine ,
perocché il tempo ha spazzato con le sue fredde ali in quelle contrade
ogni memoria della vetusta e veneranda grandezza ! — Degli Etiopi
non s’intese più il nome cancellato da quello di nazioni più possenti
che annullarono gli Etiopici primitivi. Gli Abissini , da gente ignota
che erano, si elevarono a gran rinomanza di arditezza e di bravura. —
Durano tuttavia gli Egiziani, ma decaduti dalla loro possanza ed im-
mersi in ignoranza e barbarie. Noi descriveremo in poche parole tanto
gli Egiziani odierni , quanto i Nubi abitatori di quella parte dell’Etio-
pia ch’or chiamasi Nubia , egli Abissini incoli della rimanente parte
della medesima Etiopia che ora porta il nome di Abissinia.
§. 1. Egiziani.
Poco è da aggiungere a quello che abbiamo detto sui caratteri fisici
degli Egiziani moderni. I più diretti discendenti degli Egizi monu-
mentali sono la classe de’l a voratori, che nel paese si chiamano Fellah.
Ilan viso tondo con le guance proeminenli, le labbra grossette e gli oc-
chi tagliati a mandorla : i loro capelli sono lisci , abbondanti , quasi
sempre neri ; scura la carnagione , c tanto più bruna , quanto più
esposta a’ raggi del sole.
I Copti sono anch’essi discendenti degli antichi Egiziani, ma, come
abbiamo detto, con proporzione variabile di sangue negro. Eglino sono
quasi tutti cristiani delle sette giacobita, eutichiana, monosolita, mo-
notelita, condannate dal concilio di Calcedonia del 451. Alcuni sono
anche cattolici, ed il loro numero complessivo non eccede i 150,000,
di cui 10,000 circa risiedono in Cairo.
Vero è che non lutti i Copti presentano tracce di sangue negro allo
stesso grado : ma quei che più si avvicinano al tipo negro hanno le
(1) Rilter, Erdkunde, cit. p. II. uz. 3. §. 29.
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TAV X/V.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA NILOTICA. 279
guance proeminenti, le labbra grosse, il naso leggermente schiacciato,,
e gli occhi un poco incavati nell’orbita, con barba scarseggiante, nera
e crespa come i capegli. Quelli poi che meno risentono della influen-
za del connubio de' Negri hanno caratteri Osici quasi allo intutto so-
miglianti a quelli de’ Fellah». « Eglino sono (cosi li descrive un attento
osservatore) di una taglia superiore alla media con forme nettamento
rilevate, e di un colore rosso-scuro : larga hanno la fronte, tondo il
mento , le gote mediocremente piene , il naso diritto , le ali nasali
molto sinuose , gli occhi grandi e bruni , la bocca stretta , le labbra
grosse, i denti bianchi, le orecchie atte e molto distaccate, i soprac-
cigli e la barba estremamente neri.
« Nulla è più notevole che il contrasto fra le forme gracili e magre
degli Arabi, e le grandi e belle proporzioni de’Copti. All’esterno spa-
ruto e misero dei primi oppongono questi un’aria di maestà e di
potenza ; alla rozzezza de’ loro tratti un’ affabilità sostenuta; al loro
aspetto inquieto e pensieroso una figura aperta ed intelligente (1) ».
§. 2. Nubi.
I Nubi odierni si distinguono con varie appellazioni secondo i luo-
ghi ne’quali soggiornano. Ritengono ancora il nome di Nubi o Bara-
bra gli abitanti nella valle del Nilo. Le popolazioni erranti che sono
fra il Nilo ed il Mare Eritreo si chiamano Ababdes, Bishari e Suakini.
Gli Ababdes sono allogati nella regione settentrionale che dal Deserto
si estende fino a Cosseir, e verso il parallelo di Derr confinano co’ Bi-
shari , i quali da questo punto si allargano fino alle frontiere del-
FAbissinia, e sono assai numerosi verso il monte Offa, che è a quin-
dici giornate di distanza da Assuar. I Suakini sono ancora più ad ostro,
e giungono fino a Suakin sul Mar Rosso. Noi descriveremo separata-
mente i Nubi del Nilo e quelli viventi fuori la valle di questo fiume,
e diremo per ultimo de' Nubi del Kordofan fra la Nubia e il Dar-fur
(sebbene più vicini a’ tipi sudanici, che a’ veri popoli della Nubia), c
de’ Nubi del Sennaar fra l'Abissinia ed il Kordofan.
A. Barabra , © Nubi della valle del Nilo.
I Nubi o Barabra si dividono in tre gruppi ( di cui ognuno ha il
proprio dialetto), iu Nuba.inKennù e in Dongolesi. I Nuba soprattutto
sembrano essere molto affini ai Negri Koldagi coi quali, a quauto pa-
re , bau comunanza ancora di linguaggio. Forse a questo gruppo di
Nubi si saranno potuti mescolare i Nobati che Diocleziano fe’ venire ,
egli è già quindici secoli, sul Nilo, traendoli probabilmente dal Kor-
dofan.
(1) Aper$u du Sayd. — Memoires sur les fièvres pestilenlielles , p. Af.
Pugnet. Pari t, ISOi.
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280
■ nino SECONDO
I due altri gruppi di Nubi sono così descritti dal Doti. E. Rùppel:
«un viso ovale, un naso leggermente curvo, labbra grosse, un mento
rientrante, una barba scarsa, occhi vivi, una capigliatura ricciuta, un
taglio di vita perfetto, una statura mezzana, una pelle del colore del
bronzo. Generalmente si trovano i medesimi caratteri presso gliAbab-
des, i Bishari, in una parte de’ nativi della provincia di Schendi, e in
parte ancora negli Abissini (1)».
Una più particolare descrizione di questi Nubi ci fornisce il Che-
rubini , che fu compagno di Champollion giuniore nella spedizione
scientifica all'Egitto. «Svelti e magri della persona sono i Barabra, e le
membra loro ben proporzionale, ma d’ordinario gracili e sottili. Na-
turalmente morbida hanno la pelle che spalmano di un unguento che
la rende quasi vellutata sotto il tatto. In generale hanno rara la barba; e
1* uno e l’ altro sesso fanno uso , per le altre parti del corpo , di una
polvere depilatoria. Tutto il succhio sembra in essi portarsi verso la
testa , la cui folta capigliatura , senza essere lanosa, pare destinata a
proteggere naturalmente I’ uomo di que’ climi da’ raggi verticali del
solede’lropici ; ed elli ne attivano lo sviluppo, e la rendono più com-
patta ungendola di grasso con essenza di gnrofalo, il cui forte odore è
un preservativo contro gli insettti. È impossibile disconoscere in que-
sta zazzera, tante volte riprodotta ne’monumenti dell’antichità, la tra-
dizione diretta che ne ha perpetuata la forma esattamente simile fra le
popolazioni agricole di quelle contrade. Il colore della pelle nelle donne
barabra , men bruno di quello dell’uomo, presenta una gradazione
giallastra che le antiche pitture hanno espressa, per vero assai arbitra-
riamente, con una tinta tagliente , lontana dalla verità, ma che meglio
serviva a distinguere i sessi. Medesimamente le donne delle rive del
Nilo generalmente fanno uso, come nei tempi antichi, di una specie di
collirio, o antimonio polverizzato che chiamasi koèl , con cui si an-
neriscono le ciglia , e prolungano apparentemente I’ apertura dell’ oc-
chio, genere di beltà sempre in voga in quelle regioni. Elleno usano an-
cora di tingersi le unghie delle mani e fregiarsi d’arabeschi le braccia,
e tal fiata anche il mento per mezzo deH’Aetfnd. Gli altri ornamenti con-
sistono in monili, armille ed anelli alle mani, alle gambe, c raramente
ancora alle narici. 1 fanciulli sono generalmente nudi; le donne impu-
beri, vai quanto dire che non sono ancora giunte all’età di 10 a 12 an-
ni, portano, unico vestimento, un perizoma iraftdn) dal quale pen-
dono nastrini di cuoio, o trecce di filo ornate di conchiglie. Le super-
stizioni che sono succedute , nella valle del Nilo, a' lumi di civiltà,
(tanno messo in uso i talismani, gli amuleti ed altri obbietti che si por-
tano sospesi al collo conservali in un sacchetto di cuoio (2)». Cosi egli.
1 Barabra sono agricoltori , e coltivano con cura quella loro lauda
( I ) Reisen in Nubien , Kordofan und der petràischen Arabien , vorzu-
glich in geographisch-statistischrr Hinsicht. Frank f. a M. 1829.
(2) Nubie, nWf’Univers Pittoresque.
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*
ilio noto
>w »Hrt gruppi di Nubi *ono coll dmeritli dai Itoli. E. Ràppri*
i* . «.) tu*'*, imi nero (irw ( labbra grosse, un iDfoV*
, -rasi*. .«» hr-ta . >w, occhi viri, una espilatili» ricciuto,
Orna. un* sutura MOHM, OH pèlle dd colore M
t .. .** 4 >rbii trovano i madesóni caratteri prnsso gli Atui>
« - .* *». farle ((«'natiti della produci» di Scheodi, e te
AR^tni 1)a.
rmu-rrìrione di quarti Nubi ci (ornino! il Ckr-
,V« fa r «r-p-gno di CharoHHo» «iunior* ndla spedatone
. • ■ ! , ***. « .Varili e ma^ri della persona sono i Barabra, « *>
,, lorr, yi uponn opale, ma d'ordinario gracili e lottili. N»
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« allastra cjae h aO'u be pillare hanub «.pressa, per vero assai arhip ;
risomi, le. con ima tinta tagliente . lontana dalia verità, ma che tues?'
servi»* s 4nti»«uerr i sussi. Medesimamente le donne delle rive
f iti» pcisedmutile fanno uso, reme nai b u.pl antichi, di una specie d»
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•... . Ai beltà sempre in voga te quell* re^ioui. Elleuo usano a*.
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« mi IW sea»* tt mento per mezzo ddrterir,» 1 . Gli altri ornamenti co®-
ristorni W. mondi, ansulte ed anelli alle mani, alle gambe, e raramente
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beri, vai quanto dir* dio non sono ancora giurile alivi* di 10 a 12 «n
tii, portano , unico vest oonlo. un perito®» , rotola) dal quale pen-
dono n «strini di cuoio, o Irrite* di filo ornale di ronchigli*. Lo super- f
Milioni che nono 'HI* 'ab- -H Nilo, » turni «li civiltà,
hanno mosso in uso I Uhi «««ut, gli amuleti ed altri obbietti eh* si por-
tano sospesi al coito cctwen»!i io né mccbetiodi cuoio t' ». fJ>si #
1 iiarabra sono agricoltori , e coltivano con cura qudla loro i*nd
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Donna Bishara
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RAZZA A RI ARA-FAMIGLI A NILOTICA.
281
di terra fertilizzata dalle inondazioni del Nilo. Onesto genere di vita
gli ha condotti alle idee di proprietà e di legge. Talora intraprendono
grandi viaggi, e discendono soprattutto nei Basso Egitto, al Cairo, do-
ve sono tenuti in conto de’migliori facchini per la probità e fidatezza.
B. Nubi fuori la valle del NUo.
(Ababdes, Suahni, Bishari ).
Gli Ababdes, e con essi ancora i Suakini e le tribù affini, che con
nome generale si chiamano Adareb, sono di un colore molto scuro e
quasi nero, ma non hanno del Negro nè l'aspetto, nè la conformazio-
ne delle membra, la quale molto rassomiglia a quella de’nativi di Eu-
ropa. Hanno gli occhi grandi ed espressivi, le labbra grassette, il naso
un po’ largo nella base, come è comune presso i Copti. I loro capelli
son neri e naturalmente arricciati, e quando sono intrecciati cadono
con bel garbo intorno al collo , come vedesi in molte figure effigiate
ne’ monumenti egiziani. Per non recar guasto all’acconciatura della
chioma , usano la notte , anche perchè il grasso di cui la impregnano
non brutti loro il corpo, e la sabbia sulla quale dormono per consue-
to non la impolveri , di posare il capo sur un piccolo capezzale di
legno, che ha una incavatura in forma di mezza luna, sulla quale ada-
giano la testa.
Quasi tutti son nudi fino alla eintura, intorno alla quale attaccano
un grembiule che scende loro fino alle ginocchia. Non s’ incontrano
mai senza scudo, senza lancia , e senza una piccola scimitarra a due
tagli ricurva. Abbandonati ad una vita errante non hanno villaggi,
nè terreni a coltura. Vivono nel Deserto in mezzo a rupi, sotto ten-
de di pelli di cammello che trasportano da un pascolo all’altro,
seguendo i loro armenti. Acqua, latte e mais formano i loro principali
alimenti; una pipa di tabacco è per essi oggetto di lusso ; un pezzo di
montone , spesse volte crudo e condito dì cheiyteila ( specie di pepe
fortissimo ), il più squisito manicaretto.
I Bishari , o Bis’ ari’ba , i veri successori, ( come opina il Lepsius )
degli Etiopi di Meroe, han pure la pelle bruna e quasi simile al co-
lore della fuliggine, ma le fattezze regolari e piacenti. Lodati soprat-
tutto sono gli occhi e I denti delle loro donne. Negli usi e costumi non
differiscono punto dagli Ababdes, e da'Suakini. Come questi si nutri-
scono di mais , di latte e di carne cruda , ed uomini e donne sono
pressoché nudi , ricoperti soltanto dalla cintola a mezza coscia da
una specie di grembiule. Ancb’essi vivono sotto tende, occupati ad
allevare gli armenti. Per armatura hanno una lancia, una sciabola a
due tagli , un pugnale, ed uno scudo di cuoio.
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282
LIBRO SECONDO
C. Nubi del Kordofan.
La mancanza di uniformità nella fisonomia de' Nubi del Kordofan ,
o meglio Kordifai , denota la lor frequente mescolanza con popoli di
altre razze; e nel vero vivono con essi, oltre agli Arabi divisi in molte
tribù, anche i Negri delle contrade poste più nell'Interno. I capelli di
questi Nubi per lo più sono lanosi, le labbra discretamente grosse, ma il
naso ben proporzionato , il colore della pelle somigliante a quello dei
Barabra, degli Ababdes, de’Bishari; anzi ne’fanciulli appena nati, non
essendo ancora molto fosco, si ha cura di annerirlo con lavande di un
decotto vegetale. Un uso singolare deforma le donzelle in età giovanile,
ed è quello di portare tutto il giorno i fanciulli aggrappati sulle an-
che, onde segue, a lungo andare, che la colonna vertebrale s' incurvi
e formi un angolo ottuso col bacioo , per modo cbe le parti posteriori
divengono più sporgenti di quello che naturalmente non sarebbono.
Tale difformità non s’incontra nelle Nubie kordofane recate ancor fan-
ciulle in Egitto o in Dongola , ma è generale in tutte quelle che si
conducono schiave presso lo straniero dopo il loro quattordicesimo
anno.
Gli uomini lanciano giavellotti de’quali avvelenata è la punta ; la-
vorano sciabole curve, e scudi di cuoio. Seminano durra, dokhn,
simsim: hanno mandrie di pecore, di capre , di porci e d’asini, ma
non cammelli e cavalli : godono di una certa independenza , e menano
una vita contenta (1).
D. Nubi del Sennaar.
Oltre alle genti arabe e sudaniche , esiste ancora nel Sennaar una
nazione appartenente alla stessa famiglia de’ Nubi, ed è chiamata da-
gli indigeni El-kal-Fatitolcm. Hanno i capelli piatti e non di rado cre-
spi; il colore della pelle somigliante a quello de’ Barabra; i lineamenti
del volto regolari, e l’altre forme del corpo belle anzi che no.
§. 3. Abissini .
Come in Egitto ed in Nubia, cosi parimenti in Abissinia l’invasione
di razze straniere ha modificato i caratteri naturali de’suoi antichi abita-
tori, onde non è sempre facile distinguere il tipo originario da quello
che surse per l’immistione di altri popoli, e singolarmente dc’Negri (2).
(1) Ruppel, op. cit. cap. XYII. XIX.
(2) Altrettanto osserva anche il Piche ring, Op. cit. p. 228. « I bave seen
but few genuine Abgssinians, and these few have not presented among
themselvcs a very uniform personal appearance. In a generai way thè race
may be taid to posses European features in cumbination with crisped or
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA NILOTICA. 283
Il Ruppe), diligentissimo osservatore, distingue in Abissinia due tipi
di flsonomia. All’uno, eli’ ei chiama europeo , appartengono quelli
che hanno fattezze nostrane, e rassomigliano a’Beduini d’Arabia: han-
no ovale la forma del volto , profilalo il naso, la bocca mezzana con
labbra moderatamente grosse e non rovesciate , gli occhi neri , i ca-
pelli un po’ ricciuti , la statura mezzana. In questa classe si contano
gli abitatori delle alte montagne di Samen e dei piani che circon-
dano il lago Tzana, gli Agavi, i Bilen, gli Avavi, gli Uarasi, i Canati
e le popolazioni littorane intorno a Mussava che appellansi Saho , e
sono sparse in parecchie tribù la più grande delle quali , detta Aasaor-
ta, si reputa discesa da un lione (1).
« Le donne di questa classe son belle, piene di grazia e di delica-
tezza. Un volto regolare e dolcemente malinconico, occhi grandi, un
naso profilato, denti di bianchezza senza pari, un corpo ben propor-
zionato, un taglio di vita svelto e garbato, un andar facile, nobile ed
elegante ha valuto ad esse una riputazione di bellezza ben meritata ,
onde sono ricercate in Egitto da’Turchi che le fanno educare con mol-
ta cura negli harem (2)».
Il secondo tipo che Ruppe! chiama etiopico si avvicina molto ai
Copti , e si distingue principalmente pel naso men profilato e un
po' piatto in tutta la sua lunghezza , le labbra grosse , i capelli ne-
ri , folti e si crespi che si tengono ritti sulla testa. A questo tipo ap-
partengono i nativi della provincia di Hamasen e di altri cantoni vi-
cini alle frontiere settentrionali dell’Abissinia.
Gli Abissini appariscono e scompariscono nella storia , senza che
sia possibile coordinare i loro fatti nazionali. Raccontano le loro tra-
dizioni di una Saba regina che visitò Salomone , e n’ ebbe un figlio ,
Menilek , dal quale comincia la dinastia de’ re Abissini rovesciata da
Tolomeo Evergete. I Romani non ebbero la ventura di sottomettere
questi popoli, ma ne svegliarono l’assopito valore, sicché e’ si fecero in-
dipendenti, conquistarono anche parte dell’Arabia, e diedero legge al
paese degli Omireni. Nel lV.secolo dell'era nostra abbracciarono la re-
ligione cristiana, dalla quale ebbero forza a lottare ostinatamente con-
tro gli Arabi maomettani, e poi contro gli Arabi e i Turchi, alterna-
mente vincitori e vinti. Ma mentre gli Abissini, secondati da’Porlo-
gbesi , resistevano alle armi mussulmane, le selvagge tribù de’ Galla
fecero irruzione ad occidente e mezzodi del lor paese , ed ora fatte di
più in più audaci minacciano completa distruzione al regno abissino,
dove ancora si osserva la religione di Cristo, benché alterata da mol-
te superstizioni introdottevi da’vicini islamiti ed idolatri.
frizzled hair. The complcxion howercr, though it is often verg Ughi, does
not appear ever lo become florid. »
(1) A. d’Abbadit, negli Annali della Propagazione della Fede, Lettera
del 1. agosto 1832 a lord Clifford.
(2) Galinier e Ferrei, Relation du Voyage en Abyssinio.
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284
LIBRO SECONDO
Non lettere, non scienze, non arti belle si debbono ora più cercare
in quella vecchia terra dell' Etiopia. Le continue guerre e le invasioni
di popoli selvaggi ban distrutto Gn le memorie di un passato splendi*
dissimo , ed oggi appena gli Abissini coltivano le proprie campagne ,
lavorano alcune stoffe grossolane, e qualche metallo , e vasellami di
forme eleganti.
CAPITOLO HI.
FAMIGLIA LIBICA, O BERBERA.
Dalle sponde del Nilo inoltriamoci ora ad occidente Gno alle rive
dell’Atlantico, ed esaminiamo le nazioni che da tempo immemorabile
posero stanza nelle contrade del Magbreb , sia nel Teli, o alte terre
abitabili lungo il Mediterraneo, sia nel Sahara, o Deserto che va a mez-
zodì Gno al Sudan, e pel quale sono sparse oasi ( uahh ) , isole [gezyrah)
valli (uàdi), una striscia delle quali contorna il contine meridionale
del Teli, e chiamasi Beldd-el-Geryd, o paese de' datteri.
I popoli aborigeni di questa regione, se prestasi fede ad Erodoto ed
ai Greci che scrissero dopo di lui , parlavano, come oggi, una sola
lingua (1) , ed erano chiamati comunemente barbari, donde il nome
odierno di Berberi o Bereberi ; ma la loro appellazione propria era
quella di Libi, tante volte menzionata da Erodoto, da Scilace, daStra-
bone e da Plinio, e Libia chiamavasi quella parte d’Africa dov'essi era-
no stabiliti (2).
Le tribù di Libt che occupavano la costa, movendo dall’ Egitto ,
erano gli Achimarcbidi, i Giligamni, e poi gli Absili, che dalla colonia
(1) Anche Leone Africano (in Ramusio, Delle navigazioni e viaggi, etc.
ediz. del Giunti del 1563, I. p. 2.), parlando de' linguaggi d’Africa, dice
« che i popoli bianchi che t)i tono ti conformano in una lingua , la quale
comunemente è da loro detta Aguel Amazig, che vuol dire lingua nobile , «
gli Arabi d’ Africa la chiamano lingua barbaresca, che è la lingua africana
natia; e questa lingua è diverta o differente dalle altre lingue, tuttavia pur
ti trovano in essa alcuni vocaboli della lingua araba ; di maniera che alcu-
ni gli tengono ed usano per testimonianza, che gli Africani tieno ditcesi dal-
l'origine de’Sabei, popolo dell’Arabia Felice ».
II d’Avezac ha inserito nel voi. XIII. 2. serie, p. 223 del Bulletin
de la Société de géographie de Paris un’utile notizia sui documenti raccolti
fino ad oggi per la lingua berbera ; ed è fuori dubbio , che il suo dominio si
estenda dall’ Egitto all’Oceano Atlantico, dal Mediterraneo fino al Sahara,
ed anche fino a Tombuctù e al lago Tschado.
(2) Africam Grati Libyam appellavere, qua mare ante eamLibycum in-
tipient cEgypto finitur. Plinio, Hist. Nat. lib. III. cap. I.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA LIBICA. 285
greca di Cirene furono respinti dal liltorale verso l'interno. Venivano
quindi gli Auschisi, gli Psilli e i Nasamoni , e dopo questi i Bizact ,
fra i quali erano i Maxi, i Gindani , i Lotofagi di Erodoto ed i Macli
che allargavansi intorno al golfo sul quale sursc regina Cartagine. Più
verso occidente erravano altre tribù , fra le quali primeggiavano i
Massill ed i Massaissill, detti poi Nomadi dai Greci, e dai Latini Nu-
midi. I Maurosi , che i Romani chiamavano Mauri, occupavano il ri-
manente della costiera fino allo stretto , e formavano l’ ultimo anello
di quella lunga catena di popoli libici , o berberi che pria delle genti
straniere popolavano tutto il liltorale meridionale del Mediterraneo.
Le numerose tribù de’Getuli ad occidente , e i Garamanti ad oriente
tenevano il rispianato atlantico dai confini della Mauritania alle Sirti,
e da quei delle tribù littorane fino al Deserto (1).
Vero è che Sallustio, ragionando dei primi abitatori dell’Africa set-
tentrionale , stabilisce una distinzione reale fra i Libi ed i Getuli (2) ;
ma dalla sua medesima narrazione si raccoglie , cbe la distinzione era
meramente arbitraria , conciosiachè i due popoli, avendo i medesimi
caratteri fisici e le medesime abitudini , non ne formavano natural-
mente che un solo; ed un solo in effetti lo considera Slrabone quando
insieme confonde Getuli e Libi. Dicasi altrettanto de’ Mauri e de’ Nu-
midi , cui Sallustio e Pomponio Mela han creduto di origine diversa,
ma che Strabone parimenti riduceva al gran ceppo libico (3), donde
anche gli autori arabi , e fra gli altri Scbeab-ed-Din (4) , derivarono i
nativi di tutto il bacino dell’Africa settentrionale , senza citare la più
antica autorità di Erodoto allegata più sopra.
De’ popoli che fecero irruzione nel paese de’Libi, i Fenici occuparo-
no le sole costiere , e non stesero molto addentro la loro influenza.
Le prime e le piu grandi città fenicie sorgevano nella parte orientale
del liltorale, e quivi più che altrove le genti avveniticce e le indigene
mescolarono il sangue loro, e confusero i loro tipi nazionali da Car-
tagine al paese de’ Massaissili , e fino alle montagne della Getulia ,
nell’odierno beiiiccato di Tunisi.
(1) Cori in Virgilio si ricorda a Didime regina di Cartagine:
Hinc Getulae urbes , genus insuperabile bello.
Et Numidae infrani cingunt, et inhospita Syrtis ;
Hinc deserta siti regio, lateque furentes
Barerei.
Eneid. lib. IV. v. 40 e seg.
(2) De bello Jugurthino, cap. XVIII. « Africani initio habuere G iettili et
Libyes ».
(3) Lib. X VII. p. 1181 — OtVovai Ss ivrx'jAx Maupoésioi (ASV issò tóv 'EX-
Aijvsjv Xsyófitv oi A'.pJxòv iAvof xìyx , x*i S'jSjtipAOV , Mainai 8’ iitò ri Po(ìxi'»v,
r« inrtX'wpf'MV.
(4) Le livre des Perles, recueillies de l’abrégé de l’histoire dessiécles—
Ved. Notices et Manuscripts de la Bibliotèque du Roi, t. II. p. 134. 163.
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LIBRO SECONDO
286
La colonia dorica degli Elleni parlila da Tera , oggidì Santorino ,
isola bellissima fra le molte del mare Egeo, fondò Cirene fra le Sirti
e P Egitto , ad allargossi sulle coste e nel continente ; ma inesorabile
co’Barbari, ne sfuggiva con orrore il consorzio, e le due razze si man-
tennero integre , nè il sangue greco ingentilì i Bereberi.
Non cosi de’Romani, che, piantate ('aquile sulle torri di Cartagine,
loro apersero il volo per la Numidia e la Mauritania, e fondarono co-
lonie sulle coste e nell’interno, ove trasfusero il genio della grandezza
ed onnipotenza di Roma. Superbi avanzi di strade, città, monumenti
ad ogni passo dissepolti nella reggenza di Tunisi e nel territorio alge-
rino attestano a’moderni quanta civiltà latina si fosse trapiantala sulle
terre africane. V'ha chi asserisce, che i Romani inviarono sole colonie
militari a popolare il loro conquisto, ma chi ignora i sei mila coloni
d’ogni classe di popolo condottivi da C. Gracco (1)? Chi le genti spe-
ditevi da Claudio, Vespasiano e Trajano? Una popolazione romana si
tramutò allora sotto il cielo africano, e piantatasi nel cuore degli in-
digeni fuse insieme conquistatori e vinti, e al tipo latino attemperò la
razza de’ Libi.
Meno profonde tracce lasciarono sulla terra d’Africa i popoli van-
dalici, che vi giunsero dalla Spagna, e soggiogarono per breve tempo
la Mauritania e la Numidia.
Gli Arabi, i quali, secondo antiche tradizioni conservatesi nella loro
letteratura , aveano fondata ne' prischi tempi una colonia nella parte
orientale del Maghrcb (2), bandendo l’islamismo irruppero ancora su
tutta la Libia. Imposero agli indigeni la novella religione del Corano,
ma poco si unirono c mescolarono col popolo vinto , che visse a lato
del conquistatore senza confondcrvisi, improntandone soltanto alcune
parole, apprendendone molte arti, adottandone il carattere della scrit-
tura.
I Turchi apparvero nel Teli come difensori dell’islamismo africano,
e ritolto all’Arabo lo scettro dominatore, signoreggiarono per la costie-
ra fino ad Orano , e nell’ interno Ano a Costantina. Il ior tipo, nella
città, mescolato col popolo natio , si è perpetuato nella casta de’ Cu-
loghi.
Ma quali sono elleno mai le modificazioni fisiche de’Berberi per ef-
fetto delle irruzioni di tante stirpi sull'Africa settentrionale? Sarà egli
vero, come asseriscono alcuni viaggiatori, che qualche tribù de’monti
Auresi rappresenti tuttora la famiglia germanica ne’ pretesi discen-
(1) Appiano, lib Vili, eap. lòfi — In un frammento di T. Lido ti leg-
ge: C. tiracchus, Tiberii frater , tribunus plebit, continuato in alleruman-
num tribunatu, legibus agrarie latis, effecit ut complures colonia: in Italia,
et una in solo deserta Carthaginis, quo ipse triumvir creatus coloniam de-
duxit.
(2) Shehab-ed-D(n cit. p. 155. 154. — Le tradizioni degli Arabi sopra
altre loro migrazioni antislamicbe in Barberia non hanno alcun valore
storico, e sembrano trarre la loro orìgine da favole rabbiniche.
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RAZZA ARIANA-FAH1GI.IA UBICA. 287
denti de’ soldati di Genserico? Sarà egli vero che Cartagine e Roma
abbian lasciato (ino ad oggi i loro tipi nazionali negli abitatori delle
Sirti, della Numidia e della Mauritania? Non è vero se vogliasi guar-
dare a’ caratteri fisici generali de’ popoli libici o berberi , ma è fuori
dubbio , che una tal quale variazione è osservabile nell’ insieme
delle forme fra i Berberi del levante e quelli dell’ occidente, ove non
giunse la dominazione di tutte le razze. «Questa osservazione , dice
il Duprat, divien piu facile se si paragonino, come noi abbiamo fatto
qualche volta , i Berberi del circolo di Tunisi co'Berberi del Marocco
e dei dintorni. Veramente lo studio de’ loro volti non rivela diffe-
renze radicali, ciò che non è possibile, poiché tutti que’ popoli estinti
sono si vecchi nell’Africa del norte, che misti, dopo la loro caduta, agli
indigeni, hanno dovuto scomparire insensibilmente al contatto di ua
suolo , ove profonde sono tutte le influenze. Questa rivoluzione ha
potuto compiersi tantoppiù , in quanto che essi non han lasciato nel
Maghreb che una piccolissima parte di loro. Checché ne sia, può affer-
marsi, che la fisonomia del Berbero dell’occaso, e quella dei Ber-
beri dell’est non sono assolutamente identiche. L’ uno è il vero figlio
dell’Atlante , del Daran solitario e inaccessibile, il vecchio uomo del
Continente africano ; l’altro, più vicino a quelle Sirti ove la natura,
giusta il pensiere di Lucano , ha lasciato la riva indecisa e fluttuante
fra la terra e il mare, rivela sotto una luce oscura, ma pur sensibile,
un elemento straniero (1) ».
La parola stessa Berbero nell’ Africa del nord s’ applica soltanto al-
l’antico popolo dell’ occidente, mentre le famiglie dell’est si dicono
Cobiti o Cabaili, parola indeterminata, la quale significa tribù, e che si
è sostituita all’appellazione nazionale, come se volesse indicarsi, che il
loro sangue non è puro, e che una straniera mescolanza ne ha altera-
ta la natia purità. Noi però denoteremo col vocabolo berbero l'univer-
salità de’ popoli libici; ma riterremo particolarmente questa denomi-
nazione per le tribù al ponente del Maghreb , nel territorio maroc-
chino. Le rimanenti popolazioni indigene , appartenenti tutte alla
medesima famiglia libica, prendono i nomi di Cabili o Cabaili nell’At-
lante settentrionale dalle Sirti ai confini del Marocco ; di Scelluchi ,
nelle montagne a mezzogiorno di questo impero ; di Zuavi, nella reg-
genza di Tunisi, e di Adems in quella di Tripoli. Tuariki , Tipponi e
Mauri si dicono i Berberi che spaziano nell' immenso piano del Saha-
ra ; e Magrebini , Ammoniani , Augilani , Fezzanesi quelli che sono
nelle catene orientale e settentrionale delle Oasi. Le antiche testimo-
nianze, e le indagini de’moderni han messo fuori dubbio l'opinione,
che i Berberi, col nome di Guanchi, popolato avessero le Isole Cana-
rie , onde all’ etnologo incombe il dovere di descrivere fra i Libi an-
che i prischi abitatori delle isole Fortunate.
(1) Duprat, Essai historique sur les races anciennes et modernes de
l’Afrique septentrionale. Paris, 4846, p. 250.
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288
LIBRO SECONDO
Le nazioni dunque , o le agglomerazioni di tribù delle quali noi
parleremo particolarmente sono le qui appresso.
.2
72 >
a
«
tu
Berberi.
Scelluchi.
Cabili, Zuavi ed Adems.
Berberi del Deserto.
Berberi delle Oasi.
Guanchi.
Tuariki.
Tipponi.
Mauri.
Magrebini.
Siwani , o Ammoniani.
Augilani.
Fezzanesi.
§. 1. Berberi.
I Berberi, detti pure Amazirghi (1), secondo furono descritti da Sal-
lustio (2), da Procopio (3) e da Strabone, erano uomini robusti e leg-
gieri, somiglianti agli Arabi nella fisonomia (4) , ausali a’ disagi del
vivere, che pascevansi di Qere e d'erba a guisa di armenti. Non avendo
dimore fisse , ovunque la notte sorprendevali sostavansi. Non cono-
scevano pane, nè vino; ma pochi grani di frumento e d’orzo bastavano
a nutrirli (5J. « Come il Libio dell’antichità, anche il Berbero de'giorni
(1) Amazirghi (T-amazirgh, o Amazirgli-TV è il vero notile de' Berberi,
e lignifica nobile, dominatore. Questo nome i Latini pronunziavano Masyes,
Masiges , Mazici, etc. ed i Greci IVlaJvss.
(2) Jugurth. 17. 18. — Genus hominum salubri torpore , velox , patiens
laborum ; plerosque scnectus dissolvit, nisi qui ferro aut bestiis interiere ;
nam morbus haud siepe quemquam superat. — È più lungi — Asperi, inculti -
que ; qui cibus erat caro ferina atque humi pabulum uli peeoribus. Hi nc-
que moribus , ncque lege , ncque imperio cujusquam regebantur ; vagì, pa-
lante», qua nox coegerat, sedei habebant.
(3) Lib. II.
(4) È notevole come Strabone accenni a tale somiglianza, molto innanzi
l’invasione araba nell’ Africa settentrionale.
(3) Olxovsi [stv «v iryiyijpafs xaXó^yis, xsiiiùrt ri **‘ Sspoos tbpx, «al iXXiw nò
eiy.«xv:i xpóyiw, ovrs iqXiov irbis Ss, obrs xXXy orsouv àyayxatiy
xaxiù t’^iarauàyoi ' KaOsvduuai Ss isti rfjs yrjs xdStoy oc svSaifxoyss xùtoU, ir odr»
rvlxoc, \M*Odrp<i'yyóy:ss‘ Vyiitix Ss afiaiv O’j {v|x{igra^aXXsiy rais apats vójros, iXX i
rpijSróioy re xS/Av xal X'rowa rpax'Jy ss xaipòv à*ravra ivS’.Sxmovrxr ETxoosc Si
oOra aproy, ovts o7yoy, oórs iXXo O'Mv xyxdòy , iXXx tòv ofroy r, rjts dXvpas ss xa t
xpOàs odrs c iovrss oi:t s’s àX«\>pa r\ aX^ira óyoyrss, oóSsy àXXosórspov r\ ti iXXx JSu
esàfouoi.
Procopio, De Bello Vandalico, lib. II. cap. 6.
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RAZZA ARI ASA- FAMIGLI A UBICA. 289
nostri è singolare per la sua austera (bonomia, e l’andatura fiera e non
curante. Tutto è grossolano e accidentato in quell’aspra organizzazio-
ne ove i muscoli s’ingagliardiscono potentemente , ove la forza si ri-
vela sotto una forma grossolanamente energica. Non cercate mica in
quelle linee spezzate que'contorni armonici e soavi che appartengono
a certe razze, e che l’arte antica ha si bene espressi ne’suoi voluttuosi
concepimenti. Non avvicinate mai alla sfera ( la forma più perfetta e
divina , secondo la geometria religiosa de’ Greci ) quel corpo rozza-
mente modellato che offre dappertutto asprezze ed angoli (1) ».
Anche oggidì, come in antico, sono sobri, frugali, temperali ed in-
duriti al lavoro. Gli abitanti nei piani coltivano le campagne; i mon-
tanari allevano con molta cura il bestiame, e da questo e dalla cac-
ciagione traggono il loro sustentamento al vivere.
Tutti i Berberi si radono i capelli sulla fronte, ma lasciano crescere
quelli di dietro il capo; non portan barba, ma piccoli mostacchi, e al
mento un pizzo. Vestono di una semplice camiciuola di lana senza
maniche stretta alla cintura, e di larghi pantaloni.
L’Imperatore del Marocco non ha che una debole autorità su que-
ste tribù berbere che obbediscono a capi sovente ereditari, i quali so-
no anche marabutti , cumulando in sè i poteri civile , militare e re-
ligioso.
§. 2. Scelluchi (2).
Gli Scelluchi sono i nativi delle montagne a mezzogiorno e ad
oriente del Marocco, ne’paesi di Dara, di Haha, di Susa ed altri luoghi
al di qua e al di là dell’Atlante. Vivono allo stesso modo de’ Berberi,
ma le loro abitazioni sono più fortificate, e quasi tutte riciute di fore-
ste, Ci si dipingono forti , robusti , ben formati ed intelligenti. Il ca-
pitano Washington, che ce ne ha dato esatto ragguaglio , li descrive
di statura non molto elevata, di bianca carnagione, e di fìsonomia so-
migliante a’ Berberi. Semplicissimo è il nutrimento di cui fanno uso,
e si compone quasi esclusivamente di miele e d'orzo che preparano
in diverse maniere.
Jakson (3) e Marsden (4) credevano l'idioma scelluco assolutamente
diverso da que' parlati dagli altri Berberi, ma Venture (5), Yaler (6) ,
(1) Duprat. p. 257.
(2) Quello nome ti tcrive indifferentemente Chellocks, Chelleuh (Re non),
Scelloks (Didier), Shelluhs (Jackson), Schellouhs ( Drummond liay).
(3) Account of thè empire of Marocco , and thè district of Suse and Ta-
filelt. London, 1811, p. 568,
(4) Lettere, in Hornemann, Voyag. edit. Langlés, li. p. 403.
io) Notice sur la langue berbère, in Langlès, Mèra, sur ics Oasis,p.4/j
e Gramm. et Dictionnaire cit.
(6) Mithridates, III. Th. I. Abth. p. 42.
Nicocucci, nozze umane — Voi. 1. 19
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LIBRO SECONDO
290
Washington (1), Renou (2), Newmann (3) han dimostrato con tutti i
buoni argomenti di linguistica la stretta affinità di questa lingua con
le rimanenti indigene dell’Atlante.
§. 3. Cobiti, o Cabaili.
I Cabili che vivono in tutta la catena del piccolo Atlante compon-
gono un insieme di tribù indipendenti e suddivise a lor volta in fra-
zioni e villaggi egualmente liberi. Si contano tante Cabailie quanti
sono i gruppi distinti di montagne , ed ognuna di quelle costituisce
una federazione nominale nella quale figurano, come tante unità in-
dipendenti , le varie tribù che vi appartengono ricche o povere che
sieno, deboli o potenti, religiose o guerriere.
Sono gli uomini più lavoratori e più liberi di tutti quanti gli Stati
Magrebini. Hanno la fisonomia allatto simile a quella degli altri Ber-
beri. « 11 loro angolo facciale c lo stesso che presso di noi , la spesi
sezza del cranio non diversa da quella del nostro , egualmente che le
proporzioni della scattola ossea ; ma le arcate sopracciliari sono cosi
rilevate , che dalla loro sporgenza risulta un notevole abbassamento
verso la base della fronte all’origine del naso, le cui ossa proprie, un
po’ corte e diritte, sporgono innanzi, senza che per altro formassero,
nella loro lunghezza , una curva molto sensibile (4) ».
Così un intelligente scrittore descrive alcune tribù di Cabili da lui
vedute nel territorio algerino : « Tuttocciò che il dotto Prescott ci ha
narrato de’coslumi primitivi degli antichi Aztechi, tuttocciò che Wal-
ter-Scott ci ha raccontato de’vecchi clan di Scozia, e Fenimore Coo-
per dc’grandi capi dell’America selvaggia, non è più curioso di quello
che potrebbe vedersi nelle regioni inesplorate della Cabilia dal porto
di Bugia fino a’ Bitumi, e dalle porte di ferro fioo a Setif. Quali erano
i Cabili ne’ secoli andati , tali sono anche oggidì : razza primitiva,
della quale ignorasi fiinanco l’ origine; razza non malleabile della qua-
le gli Arabi non han potuto alterare la natura , e sulla quale si
spezzano, come sopra una catena di ferro, gli sforzi dell’Europa.
Da mezzo delle loro foreste , dalia cima delle loro colline riguardano
con maschia indipendenza le popolazioni straniere che li circondano.
Se alcun bisogno materiale, se alcun calcolo di negozio , o alcuna
bellicosa intrapresa li conduca in mezzo di questi, vi passano e non vi
si confondono, a somiglianza di quei fiumi che traversano i laghi, con-
servando la forma particolare delle loro correnti. In qualunque città
(1) Journal of thè (ìeographical Society of London.
(•2) Annuaire des Voyages et de la Géographic, 18-43.
(3) On thè Structurc of thè berber language, in Prichard, Researches,
t. IV. 3 ediz.
(4) Bory de S. Vincent. Sur l’anthropologie de l’Afrique francaise ; n«t
Comptes-ltendus de l’Acad. des Sciences, 1845, p. 18t2.
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RAZZA ARIANA-FAMIGLIA LIBICA.
291
il Cabilo comparisca, si riconosce sempre alla sua robusta costituzione,
■** all’agilità delle sue membra, alla fierezza del suo occhio nero. Mentre-
che l’Arabo, per soddisfare all'Interesse del momeuto, si prostra ano-
stri piedi, e con umili proteste invoca la nostra benevolenza, couserva
il Cabilo una maschia attitudine , e se è obbligato a sottomettersi a
una forza superiore, si sottomette e non degrada, con vili adulazioni,
la propria dignità. Montanaro come l’aquila, e libero come l’aria, la
cinta dei monti fa la sua forza . la libertà forma il suo orgoglio. Pa-
ziente e laborioso , indurito di buon ora alle fatiche di ogni genere
ed ai rigori del suo clima, è ad un tempo agricoltore e guerriero; se-
mina il suo campo e lo difende ; forgia il vomero del suo aratro, u la
lama della sua sciabla.Ogni tribù è come un piccol mondo a parte che,
al bisogno , basterebbe a sé stesso col suo lavoro agrario e la sua in-
dustria. Le donne tessono la lana ed il lino ; gli uomini scavano le
miniere, disgrossano il legname, e fan mobiglie ed utensili di ogni
sorta. La terra che occupano fornisce loro io copia cereali di che nu-
trirli, e prodotti che trasportano su’ vari mercati. Qui trovasi l’aran-
cio, il carrubo ed altri alberi fruttiferi che producono abbondante ri-
colto; là molta copia di arnie da miele; altrove pascoli ove s’ingrassa
il numeroso bestiame. Ciascuna tribù elegge il proprio sceicco per con-
durla alla guerra, rappresentarla nelle relazioni co'vicini, giudicare le
sue controversie, amministrar la giustizia. La legge non è scritta. Lo
sceicco e il marabutto ne sono, come un tempo i logmahr in Irlanda,
gli organi viventi. 1 vecchi l’hanno appresa da’loro padri; e se un capo
lemerario osasse violarla, l’ultimo degli uomini della comunanza po-
trebbe dirgli : « Fermati ! Tu sei sceicco , ma io sono sceicco al pari
di te (1) ».
Parecchi viaggiatori hanno osservato ne’ versanti de’ monti Auresì
/ Mons Aurarius degli antichi ) si nel territorio algerino, che in quello
eli Tunisi, alcune tribù Cabile di bianca tinta, di pelo castagno e d’oc-
chio azzurrino, ed han giudicato da queste semplici apparenze , che
la razza germanica de'Vandali di Genserico si fosse perpetuata in quel-
le bionde tribù del piccolo Atlante (2); ina l’esame comparativo delle
lingue ivi favellate , ha dimostrato fino all’evidenza l’identità di lin-
guaggio fra i pretesi discendenti de’Vandali, e gli aborigeni dell’Afri-
ca settentrionale. L’etnologo non trova a maravigliarsi di tale diffe-
renza fra le tribù di uoa medesima Razza, o Famiglia di popoli ; ma in-
vece vi ravvisa sempreppiu confermala la osservazione, fatta già sopra
altre Razze, ebe la influenza del clima, la maniera di vivere , il modo
di nutrirsi, modificano indefinitamente le forme fisiche dell’ uomo , e
(1) X. Marmier, Lettres sur l’ Algerie.
(2) Veti, fra gli altri; Brace , Travels in lo Abyssiuia. Edimburg, ISO.'i —
TU. Show, Travels, or Observations relating to several parts ofBarbary and
Levant, cap. Vili. p. 120 — Guyon, ne’ Comptes-ltondus de l’Acad. des
Sciences de Paris, 1815, e Bory de S. Vincent, ibid.
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UDRÒ SECONDO
che un tipo unico, sottoposto a tali variazioni per lunga serie di gene-
razioni, lia originato a poco a poco le varietà numerose che oggidì si
sono individuate, e si caratterizzano come Razze diverse.
§. 4. Berberi delle Oasi.
Si dividono i Berberi delle Oasi in abitanti delle Oasi orientali, e in
abitanti delle Oasi settentrionali, i primi sono i Magrebini , i secondi
i Siwani o Ammoniani , gli Augilani ed i Fezzanesi.
a. 1 Magrebini , abitatori della grande e piccola Oasi della catena
orientale, percorrono abitualmente il deserto libico, recando per tutta
toro provvisione una focaccia di pane secco, ed un otre pieno di acqua.
Allevano cavalli e cammelli che vendono alle carovane, e sono temuti
ila tutti gli Africani pel loro brigandaggio.
A' tempi di Erodoto la grande Oasi era popolata da una colonia di
Samiani, die Strattone vantava per ricchissima e potentissima (1).
b. L’Oasi di Siwah , tenuta da’Sttcam o Ammoniani, è celebre nella
storia per l’Oracolo del Nume di Tebe, la sua gerarchia, i suoi tem-
pli, la 6ua fontana periodica del sole, e pe’ boschi di palmizi e d'aranci
che spandevano grata frescura in mezzo al Deserto. I suoi abitanti,
berberi di origine, dimentichi ora della passata grandezza, percorrono
periodicamente il Deserto dall’ una all’ altra Oasi, ed esercitano il me-
stiere di mercatanti e di conduttori di carovane.
c. Gli Augilani , o Berberi di Augila celebrata per l’ aroma de’ suoi
datteri, sono in continua peregrinazione , e s’ incaricano di tutti gli
affari de’Fezzanesi nelle piazze di Egitto.
d. Sono i Fezzanesi i più audaci mercatanti di tutta l’Africa setten-
trionale. Non mangiano altro che datteri e farinata; raramente car-
ne , o saltarelle abbrustolite. Vivono in capanne miserabili e senza
industria, poiché traggono di fuori quanto serve a’ loro bisogni.
§. 5. Berberi del Deserto.
I Berberi del Deserto sono intrepidi e instancabili viaggiatori. La
loro naturale attività, l'abitudine delle peregrinazioni , e le relazioni
co'Negri dell’interno svolgono in essi l’attitudine alla locomozione, a-
bituandoli a tutte le miserie della vita delle carovane. Sono mollo so-
cievoli e intelligenti, ed hanno abitudini di precisione che non si tro-
vano nel Teli, dove importano i (or tessuti di lana.
I più conosciuti fra i Berberi del Deserto sono i Tipponi, i Tuariki
ed i Mauri.
a. I Tipponi, divisi io sei orde, di cui una è detta deTroglotidi (2),
(1) Lib. III.
(2) Un paesaggio di Erodoto ( Lib. IV) fa presumere, che questi Troglo-
tidi del Deserto fossero i medesimi dell’Egitto, perseguitati e scacciati dai
Garamanti.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA LIBICA. 293
abitano a mezzogiorno della catena settentrionale delle Oasi. Eglino
sono si svelti e leggieri, che per questo appunto le tribù vicine li chia-
mano uccèlli. Depredano le carovane quando possono , e sono le loro
guide e i loro agenti fra il Burnù ed il Fezzan. Belle sono e ben fatte
le loro donne, con occhio vivo e naso aquilino. Il colorilo della pelle
hanno molto bruno , l' espressione del volto afTettuo9a , il contegno
modesto e disinvolto.
b. I Tuariki, più numerosi e potenti de’Tipponi, compongono la mag-
gior parte degli incoli del Deserto , e s’ avanzano al S. (>. dal Fezzan.
al Burnù, a mezzogiorno fino al Sudan, ad occidente fino al Marocco.
Molle loro colonie sono nel Fezzan ( in Sokna > , io Augii» ed in Si-
wah. Sono tutti dati alla vita nomade , e son le guide delle carovane-
e i sensali de'mercatanti (1), essendo in possesso di quasi tutti i punti,
commerciali dell'Africa del Norie da Aghadez e Gadamès fino al Fez-
zan, Augila e Siwab. Generalmente hanno il naso aquilino, gli occhi-
grandi, la fronte piuttosto alta ed una bella bocca. Il eoloritodeU» lo-
ro carnagione, secondo il clima , è giallastro o quasi nero » ma non
mai accompagnato da’capelli lanosi de’ veri Negri 2).
c. 1 Mauri del Deserto sono orde erranti diverse dalle tribù beduine
ed arabe di questo nome viventi nel Teli (3). Si dividono in molle-
tribù ( 600 secondo Marraol) , e tutte date alla rapina e al brigaodag-
gio. I Saharavani si dirigono sul paese di Marocco e di Fez; gli Aze-
nagbi ad occidente fino all’Oceano ; i Gedumah, Ai fu , Ludamar-Birm
a mezzogiorno sul Senegai e sul Niger fino a Tombuctù. Fosti lira gli
Arabi ed i Negri hanno adottato i vizi delle due razze, senza posse-
derne alcuna virtù. U ardore del clima in cui vivono . congiunto alla
vita errante e vagabonda , eccita la loro sensibilità Gno alle passioni-
più sregolate, ne intorpidisce la immaginazione, e li rende duri, in-
domabili, crudeli (4).
§. 6. Guancia.
Se crediamo a’ racconti di Giuba conservatici da Plinio il seniore,,
a’tempi di quel principe non v’erano ancora abitanti, oalmeno in gran-
numero, nelle Isole Fortunate (5). Probabilmente dopo Giuba comin-
(1) Plinio, Lib. V, cap. V — De Barro», Africa, Dccad. I. Lib. 11L cap .
8 — ffornemann, Reniteli, etc.
(2) Exploration scientifique de l’ Algerie, 11. 343.
(3) Quetti Mauri del Teli sono i discendenti degli Arabi che conquista-
rono la Spagna donde poi furono discacciati. V’ha chi li crede colonie
semitiche successivamente venute dalla Fenicia, dalla Palestina e dall’Ara-
bia innanzi che i Romani stendessero in Africa la loro dominazione.
(4) Ritter, Erdkunde, Afrika. IV. Parte, sez. 2. § 38.
(5) « Juba de Fortunati s ita inquisivit — Primam v ocari Ombrion nul-
lis tedi fido rum vestigiis : habere in montibus stagnum, arboree similes fe-
rula;, ex quibus aquee exprimantur, ex nigris amara, ex candidioribus potai
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294
MURO SICCONDO
ciarono ad accorrervi coloni berberi dalla vicina costa d’Africa, c nel
1444 il veneziano Cadnmosto le trovò così popolale, che nella sola
Gran Canaria erano stimati ascendere pii indigeni a nove mila , e a
quindici mila nell'Isola di TenerifTa (1 .
1 Guanchi che vi abitavano , e che perirono quasi lutti sotto i mali
trattamenti degli Europei, erano, dice il Cadamoslo, maravigliosamente
agili « c gran corridori e saltatori per essere avvezzi in que'brichi di
quelle isole piene di montagne , c saltavano di sasso in sasso discalzi
come caprioli, e facevano salti clic non sono da credere (2) ».
Viveano feudalmente divisi in due caste degli achimenceyr , nobili
e possessori , e degli achicaxuas , plebei. Adoravano in Achtiharahan,
benefattore dell' umanità, il Genio del Bene , e in Guayolla , il Genio
del Male; avevano fede in una vita avvenire dove premi e gastighi at-
tendevano il giusto e lo scellerato. Con cerimonie santificavano il ma-
trimonio i3). Imbalsamavano i corpi degli estinti, e li riponeano in ca-
verne scavate nel masso e attentamente racchiuse, dove fino al di
d’oggi si sono conservali e donde sono state tolte le mummie e gli
altri ossami che fanno parte delle collezioni antropologiche di Europa.
Erano i Guanchi (se vogliamo credere al ritratto che ne fa il Yiana
ne) suo Poema sulla conquista delle Canarie ) begli uomini, di aspetto
selvaggio e dì buona carnagione; avevano il naso alquanto slargato, la
barba ben fornita e i capelli prolissi. Nelle donne massimamente era
grazia e nobiltà nel portamento c gran bellezza di capigliatura. Cosi
Yiana descrive la principessa Dacil, figlia del Bencomo:
Tiene douaire , gracia , gentileza ,
Freutc espaciosa, grave, a quien circuye
Largo cabello mas que el sol dorado.
( Canto III.)
jucunda. Alterata insulam Junoniam appellar i, in ea tcdìculam esse tantum
lapide extructam. Ab eo in ricino eodem nomine minorem. Deinde Capra-
riatn tacerti s grandibus refertam. In conspectu eorum esse Nivariam, quee
hoc nomea accepit a perpetua néve, nebulosam. Proximam ei Canariam
vocari, a multiludine canuta ingentis magnitudini : ex quibus perducti
suntJubx duo : apparentque ibi vestigio cedificiorum». Hist. Natur. Lib. VI.
cap. XXXII.
(1) Pare probabile che i Genovesi fossero giunti nelle Isole Canarie il
129 i, nella spedizione fatta da Teodorico Doria e Ugolino Vivaldi per la
costa occidentale d’Africa. Ma documenti di certa data pongono la scoperta
di quelle Isole nel 1341, secondo la notizia che mercatanti fiorentini in Si-
viglia raccolsero da Nicoloso da Recco, uno degli scopritori. Ved. il mano-
scritto di Boccaccio pubblicato da S. Ciampi di Firenze nel 1827, ove sta
una Relazione della scoperta delle Canarie e d’altre isole dell'Oceano nuo-
vamente ritrovate nel 1341.
(2) In Ramusio t. I.p . 6.
(3) Don Joseph de Viera y Clavijo, Noticias de la historia generai de las
islas de Canaria. Madrid, 1773 — Fray Pedro de Quesada, Diversos frag-
meutos para la historia de las islas de Canaria.
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RAZZA ARIANA— FAMIGLIA LIBICA.
295
Le sue gole erano colorite di un vivo incarnato) e alcune macchie di
nascita erano sparse sopra il suo bel viso :
Cual bello rosiclcr las dos megillas
Y come à aielo darò las estrellavan
Algunas pecas come Qores de oro.
(Ibid.)
Profilato era il suo naso, graziosa la bocca, le cui grosse labbra so-
migliavano il più puro corallo, e s’aprivano al minimo sorriso per mo-
strare lo smalto da’ bei denti che ricoprivano.
Afìlada nariz proporcionada ,
Graciosa boca , cuyos gruesos labios
Pareeen hechos de coral purìsimo ,
Donde à sa tiempo la templada risa
Cubre y descubre los eburueos diente»,
Cual ricas perlas ò diamante» (mas.
(Ibid.)
Biondi erano i capelli di Rosatva, azzurri gli occhi (ojos zarcos) e
dolcemente malinconico lo sguardo ; ma la bruna Guacimara, figliuola
del mencey di Anaga avea fattezze veramente perfette :
Nivelada nariz , boca pequena
Minerò de preciosas margaritas,
Cual de coral cercada de dos labios
Gruesos y cortos de color purpureo.
(c. IV.)
Il tipo fisico degli odierni abitatori delle Canarie sembra essere al-
terato da quel ebe erano gli antichi Guanchi per la mescolanza di co-
loni europei ; ma non pertanto il tipo africano vi predomina ancora,
e si conosce a primo aspetto ne’ pastori delle montagne, tra le popo-
lazioni agricole delle alte vallate, e non di rado nelle famiglie de’ cit-
tadini: a Uomini più o meno bianchi con fronte prominente c alquanto
Stretta; occhi grandi, vivi, aperti, di color carico, talvolta verdastri;
capelli folti, un pò crespi, di colore tra il nero e il bruno rosso; naso
dritto, narici dilatate, labbra grosse, bocca grande, denti bianchi e ben
disposti. Il corpo è secco , robusto , muscoloso; la statura mediocre
in alcune isole, in altre più che media (1) ».
(1) Wtbb e Berthelot. Histoire naturelle des Iles Canaries, t. L p. SS 5.
Non to veramente donde avene potuto avere origine la strana opinione ,
che i Guanchi antichi fossero stati un popolo di giganti; opinione che viene
mentita dall’esame degli scheletri rinvenuti nelle necropoli di quelle Isole,
come può osservarsi nella V. Decade, fig. 2., del Blumenbach, e nella splen-
dida opera Sulle Isole Canarie de’sigg. Webb e Berthelot. Alle osservazioni
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296
LIBRO SECONDO
La lingua che parlavano i Guanchi si è perduta coll'annientamento
di quel popolo; ma alcune voci cbe si sono conservate accidentalmen-
te, ed altre ricerche dovute a dotti stimabili han messo fuori dubbio
la provenienza libica degli aborigeni delle Isole Fortunate. Noi ci
contenteremo di offrire qui sotto al lettore due specchietti compara-
tivi di alcuni vocaboli guanchi e delle corrispondenti parole berbere,
i quali abbiamo tratti dalla Geografia dell’ Africa del dottissimo Carlo
Rider, e dalla Storia Naturale delle Isole Canarie de’ signori Webb e
Bertbelot.
T X L I A N 0.
Luogo di supplizio
BERBERO SCELLUCO.
Tigotan ( plur. }
Talmogaren
GUANCO.
Acnum , a Lanciarono
Ahemon
Tigot, in Canaria
Montagna {Athraar .
» Ava ....
Valle profonda | Douwainan
Orto (Tetezretl..
Alinogaren
Tamogilin
Kabeheira
Adeyhaman
Fichi verdi Akcrmuse .
Farina (Forzo abbrustolilo. Ahoren . .
Farina d’orzo nell’olio. . . . Azamittan .
/ Tezezreit Tezzezes
AToinzeen I Temasen , a Lanciarotta
(TrifTa, a Lanciarotta
I (Triticum presso i Romani k Trilla, ( l’isola del grano?)
I Trichen, a Teneriffa
Taginast I Tagtnasle
Carian Cananas, in Canaria
A horen Aboren ( hordeu m ? )
Azamittan Azomatan
Ara Ara
Titìkhci Tibaxan , in Canaria
Ana Ana ( g. anado . in ispa-
* gnuolo , armento)
Tamouren . . Tamaccn
Ach °( tac ) { Achemen , a Cornerà
Argat I C.hamaio ( Webb e Bor-
di quetli insignì uomini io aggiungerò anche quelle del eh. cav. Dott. A. Gar *■
biglietti, il quale coti mi scrive da Torino intorno alla pretesa gigantesca sta-
tura de Guanchi. « Dirò adunque, rispetto a’ Guanchi (così egli), che se io
debbo giudicare della loro statura unicamente dallo esame di quelle ossa dei
medesimi che io possiedo, e che in questo momento ho sott’occhio, ben lungi
dal reputarli giganti, io non posso invece trarre altra induzione, se non que-
sta, che, cioè, la loro statura non eccede punto i limiti della statura ordinaria
e comune degli uomini diEuropa. Queste ossa sono state prese nell'anno ISì i
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RAZZA ARIANA— FAMIGLI A LIRICA.
297
Nomi ili mimerò in lingua canariese, 1. secondo la relazione del
Genovese Nicoloso da Recco , pilota della spedizione portoghese del
1341; 2. giusta la lista fattane dal Gaiindo nel 1630 sopra antiche tra-
dizioni. Noi vi poniamo a riscontro i corrispondenti numerali in lin-
gua berbera e nel dialetto scelluco.
LISTA DI NfCOLOSO
DA REGGO.
LISTA DI GALINDO.
BERBERO.
SCELLUCO.
1
Nail
Been (Ben?)
Ouan
Yean
2
Smolli
Lini
Thenal
Sin
3
Amelolli
Amia!
Kerad
Crai
t
Acodetli
Arila
Qoue
Kust
5
Samuselii
Cunsa
Summus
Summosl
0
Sasrtli
Suinous
Sedia
Sut
7
Salti
Sai
Sei
Seti
8
Tumalli
Set
Tem
Tempi
9
A ld a- ino rana
( murava )
Acot
Dia
Tzau
II)
Murava
Marago
Meraoua
Marioli
nell’Isola di Teneriffa.inun’antica grotta sepolcrale de’Guanchi,dalsig. Co-
mandante la Corvetta reale l'Aquila, la quale aveva a bordo S.A.R. il Prin-
cipe Eugenio di Savoja-Carignano , che nel suo viaggio alla volta del Bra-
sile pose, di passaggio, il piede in quell’isola. Il pre fato signor Comandante
dell’ Aquila regalò queste ossa a S. E. il signor Conte Filiberto Avogadro
di Collobiano Senatore del Regno, il quale, alla sua volta, sapendo come io
mi dilettassi di studi antropologici , cortesemente me ne faceva dono. Sono
esse, due femori, una tibia, un omero, un cubito, un osso occipitale, non pe-
rò intiero, due pezzi di osso parietale, e alcuni denti molari. Argomentando
dai dati anatomici, esse appartengono ad uomo piuttosto attempato, e rag-
guagliate con altre ossa recenti , proporzionatamente al loro volume , sono
esse assai leggiere. Or bene, poste quelle ossa aparaggio con altre simili ossa
di scheletri nostrani di uomini adulti, no» si può scorgere assolutamente
differenza di sorta alcuna, ni nelle loro dimensioni, ȏ in altro. Che se poi
prendiamo per base le proporzioni di que’ pochi frammenti delle ossa cra-
niali e dei denti molari ; e ci proviamo di ricostruire col pensiero l’ intiero
teschio, non si arriva ad altro che alla formazione di un cranio di ordina-
ria e comune dimensione propria ad uomo adulto ».
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LIBRO TERZO
RAZZA MEL AMICA.
Riunendo in una sola Razza che appelliamo Metanica tutti i popoli
africani (all' infuori delle tre Famiglie Semitiche della Razza Ariana),
e le Tribù Negre dell’Oceania e dell’Australia, abbiamo creduto di for-
mare un gruppo etnico , il quale poggiasse le sue fondamenta sopra
alcune particolarità del cranio che sono comuni a tutti i popoli che
noi comprendiamo in questa varietà dell’ umana generazione. E nel
vero , studiando con diligenza le conformazioni craniali si dei Negri
africani, come di quelli dell’Oceania e dell’Australia, fra le molte di-
vergenze che pur vi si osservano , è certamente notevole il prognati-
smo più o men risentito che non mai si scompagna da qualsiasi teschio
della Razza della quale facciamo ragionamento. In questi crani pro-
gnati le ossa del volto , specialmente delle mascelle , sono proiettate
innanzi, e l’occipite indietro, e ('effetto ne è accresciuto dall’essere i
denti non radicati verticalmente negli alveoli, ma fissi obliquamente,
di maniera tale ebe que'dinanzi di entrambe le mascelle, incontrandosi
fra loro, non serbano una medesima direzione, ma formano un angolo
più o meno ottuso. Corrispondentemente a questa proiezione anteriore
delle ossa mascellari , la fronte è meno elevata , non già perchè vi sia
una corrispondente diminuzione nella capacità del cranio , ma per la
prolungazione indietro dell’occipite che rende la fronte retrocedente,
e come a dire quasi depressa.
Alla forma del cranio si accompagnano alcune altre particolarità
che debbono essere poste in linea secondaria , perciocché non sola-
mente variano secondo i diversi rami della Razza, ma eziandio secondo
le Nazioni e Tribù che si comprendono in uno stesso Ramo di popoli.
Tali sono il colore della carnagione , la forma dei capelli , la confor-
mazione del naso e delle labbra e la complessione generale della per-
sona.
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300
LIBRO TERZO
Non in tutti i Metani-ini è identico il colore della pelle, che gene-
ralmente è nero ( e da esso noi abbiamo traila la denominazione della
Razza), ma in alcuni è di una tinta di carbone; in altri di un fosco vol-
gente al giallo o all'azzurro, in altri di un colore che tende al rossastro.
1 capelli ancora qui sono a piccole ciocche , brevi , crespi , e quasi
lanosi ; là morbidi , sottili e distesi ; altrove lunghi , ispidi e ricciu-
ti. La barba è folta in alcuni e prolissa, rara in altri e spunta appena
sul labbro superiore e sul mento. Medesimamente per il corpo, que-
sti hanno peli abbondanti e quasi dappertutto , quelli non ne hanno
affitto, o pochi soltanto uelle vergogna e sotto le ascelle.
Il naso è quasi sempre schiacciato, con la base depressa, e le narici
ampie e dilatale: non però di manco v'ha di coloro che hanno il naso
di forma europea. Cosi parimenti delle labbra, che in molli sono tu-
mide, grosse e volte all’ infuora , in altri piccole, sottili, e forse più
sottili che non sia ne’ popoli di Europa.
Rispetto all’insieme della persona, io non credo che v’abbiano uomi-
ni più ben formati , più alti e di membra più robuste di alcuni Negri
della costa orientale d’Africa; e pur nondimeno in quell’ Africa stessa
v’ba tribù tapine, di membra gracili e di aspetto miserevole e gramo.
Cosi pure in Oceania ed in Australia dove gli uomini ( fatte poche ec-
cezioni ) non hanno gran taglio di persona, anzi i Papuani sono quasi
tutti mediocri di altezza , e degli Australiani alcuni son piccoli e
di aspetto quasi malaticcio, altri ben formati, e di non spiacente fiso-
noniia.
In tanta varietà di caratteri esteriori che ad ogni piè sospinto l’et-
nologo incontra e fra i Negri d'Africa, e fra quelli d’Australia e delle
Isole del Grande Oceano , è sommamente malagevole scompartire in
gruppi naturali tutti i popoli ond’è formata la Varietà della quale fac-
ciamo discorso, massimamente perchè la filologia de'Melaniani è tutto-
ra tanto imperfetta, che poco può fondarsi sulla stessa per una sud-
divisione ragionata di questa Razza. Poggiati sopra basi, che forse ul-
teriori conoscenze linguistiche non faranno ritenere molto solide, noi
dividiamo la Razza Metanica in due Rami, che nominiano, 1. Africano;
2. Oceanico. Il primo abbraccia tutte le nazioni d’Africa dal Gran De-
serto fino al Capo di Buona Speranza, e dai confini della Nubia e del-
l’Abissinia fino alle coste occidentali di quel Continente ; al secondo
appartengono tutti i Negri nativi dell’Oceania, compresi i naturali
dell’ Australia o Nuova Olanda.
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SEZIONE PRIMA
RAMO AFRICANO.
Le maggiori varietà che il tipo metanico suol presentare si osserva-
no riunite ne’vari gruppi ond'è formato il presente Ramo della Razza
Melaniana e pur non ostante la filologia riunisce fra loro con stretti
vincoli di affinità i singoli membri che lo compongono, conciosiacbè
e’ pare oggimai dimostrato, che i parlari della Nigrizia interna ( i quali
rivelano una lontana analogia co'sermoni di ceppo semitico) per mez-
zo del suahili si congiungano con gli idiomi cafri, soprattutto de’Ma-
kua e de’Monjous, e che le lingue de’Galla e nazioni affini s'imparen-
tino o derivino da quelle della Cafreria , le quali si distendono tanto
per la costiera occidentale dell' Africa, quanto per tutto il rimanente
di quel Continente, non escluse le contrade tenute dagli Ottentotti , il
cui linguaggio si crede dal Bunsen corruzione di una lingua cafra, co-
me il boscismano è un dialetto ancor più corrotto dell’ idioma otten-
totto. In questa opinione oggidì concorrono filologi di gran rino-
manza , fra’ quali a me basterà di citare il Pott (1) , il Gabelentz (2),
l’Ewald (3) il Krapf (4) , e innanzi a tutti il dottissimo geografo Carlo
Ri ter (5).
Il presente Ramo della Razza Metanica noi dividiamo in cinque grup-
pi di nazioni corrispondenti a cinque gruppi d’ idiomi in che credia-
mo si possano scompartire le lingue da esse favellate. Comprendiamo
nel primo gruppo le nazioni dell’Africa orientale a settentrione del—
(1) Verwandtschaftliches Verhaltniss der Sprachen vom Kaffer und
Kongo Stararne.
(2) Zeitschrift ftìr die Rande des Morgenlandes. t. 1, p. 237.
(3) Ueber die Saho-Sprache in Kthiopien. Zeitschrift d. Morgeni. I. V.
(\) Von der afrikanischen Ostkilste; Jbid. lom. IH.
(5j Nella sua Geografia dell'Africa.
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302
LIBRO TERZO
l'Equatore ; nel secondo le nazioni della Nigrizia centrale, che con
vocabolo, a parer nostro, piu proprio noi appelliamo Nazioni Sudani-
che. Tutte le nazioni della Ghinea settenirionale le comprendiamo nel
terzo gruppo ; nel quarto lutti i popoli della gran Famiglia Cafra. Fi-
nalmente nel quinto la Famiglia Ottentotta , la più meridionale fra
quante vivono sulla terra africana.
CAPITOLO I.
NAZIONI DELI.' AFRICA ORIENTALE A SETTENTRIONE DELL’ EQUATORE.
I popoli viventi nella parie orientale d’Africa a settentrione del-
l’Equatore si possono ridurre a tre gruppi favellanti tre idiomi affini,
e probabilmente derivali da un solo stipite , o da una sola e comune
scaturigine (1). Questi Ire gruppi comprendono : 1. I Galla in quasi
tutta l’Abissinia meridionale e nelle contrade che le si allargano in-
torno; 2. 1 Danakili sparsi per la costa abissina di Snmhara da Bab-el-
Mandeb fino ad Arkiko verso il nord ; 3. i Somauli nella costa di
Aden e in tutto il gran triangolo che forma quella parte dell’ Africa ,
compresivi gli Hurrur od Harrar, nel principato di questo nome, nel-
l’ interno del deserto de’ Somauli.
Nella tavola che segue si troveranno riferite alcune voci galla messe
in corrispondenza con le somiglianti de'Somauli c de’ Danakili (2).
(1) Frobervillt, Mémoire sur Ics langncs et le races de l’Afrique orien-
tale. Pari», 484<i.
(2) Dal Balbi, Alias ethnograpbique — Froberville, Mém. cit. Tut-
tchck, Dictionarv of thè Galla Language. Munich, 1842-45, in 8.°
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RAZZA MELANICA— NAZIONI AL NORD DELL’EQUATORE. 303
ITALIANO.
GALLA MERIDION.»
( ort. inglese )
S 0 M A C L 1.
( ori. inglese )
D A N A K I L I.
(ori. inglese)
Sole
addìi
ghur-rah
ayera
Luna
dje-a
tai-gab
alsa
Terra
luffa
<
arde, barroo
Acqua
bes-han
be-yoo
leb
Fuoco
ebiddeh
dob
gira
Padre
ab-bo
ab-bai
ab-ba
Madre
bo-le-sa
o-gu
yinna
Uomo
nama
niuga
a
Donna
sete
naak-la
a
Figlio
il-ma
wcel
«
Fratello
o-bo-la
wellal
«
Sorella
o-bo-le-lc
wel-la-she
c
Capo
ma-la
mud-dah
gul-bah
Capelli
re-feu-sa
le-mo
do-ger-ta
Occhio
hed-ja
ili
in-le
Naso
fun-yan
san
san-na
Bocca
af-fan
off
affa
Lingua
ar-rub-bah
ar-rab
ar-rub-bah
Uno
tolto
k'ou
ìnni-ke
Due
ium-ma
leb’ba
dum-meb
Tre
sei) «de
sud' dé
sud-de-o
Quattro
af-foor
al-four
fe-re
Cinque
shun
shan
kono-you
Sei
ja
l’éb
le-hé-ye
Selle
loor-bah
t' dubbah
mel-n^-ne
Otto
sed-dél
se-deid
ba-ba-ra
Note
sug-gul
sug-gil
se-ga-la
Dieci
koo-dun
lubbàn
Ihub-ban
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304
I.1BRO TERZO
S 1. Galla.
Sono i Galla una potente e numerosa nazione scompartita in più
orde che si allargano per le contrade occidentali , merigge ed orien-
tali dell’Abissinia , e che si sono rese celebri nella storia africana per
la conquista che fecero della più gran parte dell’ impero abissino.
Al loro giungere sull’Habesch non usavano affatto cavalli , e cor-
revano a piedi velocemenie , devastando le province nemiche. Nello
nuove dimore si ordinarono in bande di cavalieri , ed appresero
degli Abissini la coltivazione de' campi e costumi più miti. La loro
statura si attiene ordinariamente alla mezzanità; il colore ne è bru-
no , ma più nelle valli che nei monti ; i capelli neri , luoghi e non
ricciuti sempre, gli occhi grandi, il naso corto e poco schiacciato, le
labbra grosse, massimamente nella parte di mezzo (1). Osano vestirsi
di una pelle di capra la quale stringono a’reni, e s'ungono il capo di
grasso e di burro , ed alcuni eziandio si avvolgono intorno alla cin-
tura intestina di buoi. In guerra sono ferocissimi ; non risparmiano
al nemico la vita, e come segno di vittoria gli recidono le parti del
* sesso. .
Alcune tribù sono divenute seguaci dell’islam, ma il più gran nu-
mero è ancora devoto all’antico paganesimo africano. Adorano un
Essere Supremo che chiamano Wak, i cui sacerdoti o Kaltishas re-
cansi iu mano una sferza ed un sonaglio, e facendo gesti bizzarri, nei
quali il popolo vede alcun che di misterioso e di profetico , profferi-
scono suoni inarticolati e parole inintelligibili. Come gli sciamanui
della Siberia, e i sacerdoti di alcune più civilizzate nazioni, predico-
no l’avvenire, interpretano i sogni ed il volo degli uccelli , fanno
scongiuri , gittano sorti , praticano la medicina, e traggono presagi
dalla inspezione delle viscere delle vittime. Hanno cerimonie stabi-
lite pe' funerali, e credono ad una vita futura nella quale ad ognuno
sarà data retribuzione secondo le opere. Coltivano le terre ed alle-
vano animali: conoscono l’arte di lavorare i metalli, e sono molto
dati a colai genere d'industria.
Hanno sacri il numero sette ed il tre, e serbano venerazione ad un
albero sacro che chiamano WodanàJbi , està sulle rive dell'Havesh,
a mezzogiorno del Shoa. A quest’albero, al quale niuna donna si
può avvicinare, si va in pellegrinaggio da tutte le province, e gli si
indirizzano preghiere , voti ed offerte.
Secondo una loro tradizione, sarebbero stranieri al sangue afri-
cano, venuti nelle nuove dimore dall’altra sponda dei mari, guidati
da Ullabù , contemporaneo di Maometto. Galla in lingua loro signi-
fica appunto un invasore. Ma altra origine danno al nome Galla i loro
nemici. Dicono che Maometto mandasse ad Ullabù uu messaggiero per
— ■*.'*
(1) M. T. Lefebvre. Voyagc en Abyssinie, t. 111.
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TAV.XVJZf.
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RAZZA MELANICA— NAZIONI AL NORD DELL’EQUATORE. 305
impegnarlo ad associarsi alla sua opera. Ullabù rispose : « egli ha
detto no, gala», disse il messo al profeta. Che sia dunque maledetto,
rispose Maometto, e che questa parola ga-la sin d’oggi annunzi il
nome della razza, che non ha voluto credere alle rivelazioni dell’An-
gelo Gabriele ».
§. 2. Danakili.
Le orde erranti e pastorali de' Danakili si dividono in molte tribù ,
di cui la più importante, che è quella d e'Dumhoela, padroneggia la co-
sta da Belul ad Arena, e conta qualche migliaio di guerrieri. Le tribù
d e’Taiemela , e degli Hadarem , dominanti il piano di Sei , son forti
ognuna di 200 guerrieri. Presso questi al nord vivono i Belessua, sot-
tomessi a’ Taiamela ; a mezzogiorno , presso d’Ayth, le piccole tribù
degli Aduli e dei Modelo. Le altre si chiamano Adalltu, Aisamalhu, Re-
dolito, ìVeéma, Mushiek, Am-mominlo, Russamo.
Le donne di queste tribù quasi tutte vanno ignude, e fanno sol pom-
pa de’loro monili d’argento e d’avorio. Gravita sovr’esse il governo
delia famiglia, e sono sempre occupate in maciuare il grano, cuocere
il pane, attinger l'acqua, ed a provvedere a tutte le bisogne casalinghe
da buone massaie (1). Gli uomini guardano gli armenti, ed hanno
grande passione per la pipa. Si arricciano i capelli che ungono di gras-
so, ed aspergono di una specie di polvere bruna. Le loro tombe co-
prono di monumenti piramidali, la cui base non eccede mai la gran-
dezza di dieci piedi di diametro (2).
Si dicono maomettani, ma non hanno sacerdoti, nè meschite. Vivo-
no nella maggior possibile indipendenza, ed errano di pascolo in pa-
scolo insieme co’ loro cammelli, pronti sempre a prender parte a tutte
le questioni quando sperino trovarvi il lor prò. Per lo più sono poveri
e senz’armi, che se fossero tutti armali, saprebbono rendersi bentosto
formidabili.
§. 3. Somauli.
I caratteri fisici de' Somauli, ali’infuori del colore della pelle che
è molto bruno, e dei capelli che sono crespi e quasi lanosi , rassomi-
gliano molto alle fattezze dell'uomo europeo (3). Presso a poco simile
a quello degli Arabi è il loro vestiario, ma proscrivono il turbante ed
ogni altra copertura della testa che ritengono come segno di disonore.
Non re, nè altri capi hanno, ma vivono in completa libertà , e la re-
fi) Salt, A Voyage to Abyssinia, and Travcls into thè interior of that
Country exccuted under thè ordcrs of thè British Governement in thè years
1809-1810. London, 1814.
(2) Riiter, Erdkunde cit. P. !" tez. 5° § lì.
(3) Valentia, Travels, U pag. 577.
Nicolisci, Razze umane — Voi. t. 20
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306
LIBRO TERZO
ligione è il solo frcuo che ricordi loro i doveri verso il prossimo (1).
Padroni della sola grande strada commerciale che conduce daH’inlerno
dell’Africa nell'Arabia meridionale esercitano un commercio impor-
tante coi popoli dell’ interno , ed esportano molte mercatanzie per
proprio conto su propri navigli.
Gli Hurruri, o Uarrari, che sono una diramazione de'Somauli, han-
no come questi un’altitudine grandissima pel commercio; ma a diffe-
renza di tutte le altre affini tribù hanno stabili dimore ed anche città
l Barrar ) nelle quali vivono riuniti, e in cui si lavorano stoffe ed al-
trettali cose utili a’ bisogni della vita (2).
CAPITOLO II.
NAZIONI SUBAN1CHE.
Leone Africano, la cui descrizione dell'Africa centralo è molto più
esatta di quella de’geogratì che l’aveano preceduto, divide la Nigrizia
in quindici stati riuniti in quattro regni, in ciascuno de'quali era par-
lato un idioma particolare. Questi regni erano Gaoga , il Burnù , il
Guber e Tombolili) , o Tombuctù. Di Gaoga oggidì non è più parola,
e forse vi corrisponde geograficamente la contrada fra il Chari ed il
Nilo ; ma gli altri stati , benché scaduti dall’antica grandezza, conser-
vano ancora il proprio nome , e compongono gran parte di que’ che
diconsi principati del Sudan. Quattro fra questi son tenuti essere i più
possenti della Nigrizia , quel de’Felletani e del Burnù ad occidente ;
del Waday e del Dar-fur ad oriente. Noi non abbiamo conoscenze pre-
cise intorno a’ sermoni favellali in quella parte d’Africa, ma i. po-
chi ragguagli che possediamo di quelle lingue ci danno argomento a
credere, che quegli eloqui si rannodino ad un ceppo comune, e com-
pongano un sol gruppo scompartito in poche lingue matrici, suddivise
a loro volta in una grande moltitudine di dialetti.
1 Felletani sono estranei alla Nigrizia , e vi sono considerati come
stranieri e conquistatori, e perciò non parleremo di essi, che formano
parte di un’altro gruppo di Melaniani, de’quali più sotto sarà tenuto
ragionamento, siccome neanco faremo menzione de'Berbcri nomadi fra
il Deserto e la Nigrizia , nò degli Arabi Corescili , che in gran numero
sono sparsi nel Sudan, dove per altro nou godono di veruna conside-
razione politica, essendo quasi tutti soggetti e tributari de'vari principi,
o re che signoreggiano in quella parte d'Africa.
(1) Jehenne, ne/f’Annuaire des Voyages et de la Géographie, 1844 p. Si.
(2) Rochet <T Iféicourt, Second voyage sur les deux rives de la Mer
Rougc, dans le pays des Adels et le royaume de Chea, Paris 1847.
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RAZZA 51 FI. A NIC A— NAZIONI SCDANICIIE. 307
I nativi sudanici non tutti hanno le medesime fattezze, nè i medesi-
mi caratteri naturali . onde stimo necessario venirli descrivendo a
parte, secondo che sono più osservabili le differenze che ciascun grup-
po separano dall’altro.
§. 1. Nativi deUa valle del Niger.
A. Nativi di Tombuclù.
Tombuctu e il territorio che ne dipende son popolati da’Negri della
nazione Kissur, a’quali sono frammisti molti Mauri ed Arabi, che vi
esercitano il mestiere di trafficanti. « Gli uomini sono di ordinaria
statura, complessionati, ben fatti, svelti e di snodata andatura: hanno
il colore delle carni di un bel nero cupo , il naso un po’ più aquilino
di quello de’Mandinghi, le labbra sottili, e gli occhi niente dispiacenti.
Tra le donne a v vene di quelle che veramente dir si possono avve-
nenti ». Si ungono i crespi e neri capelli ed anche il corpo con bur-
ro; portano al naso anelli di metallo, e, chi non può, di nastrini di seta
colorata. Tutti amano tingersi in rosso con Yhenneh le unghie e le pal-
me delle mani , ed alcuni s’ incidono il viso con intagli dalle gote in
giù. Gli uni seguono il Corano, gli altri non adorano il Dio dell'IsIam,
non si circoncidono, nè hanno tempio , nè sabbato. A'morti rendono
onori, e ne piangono sulle tombe la dipartita. Que’ che non sono ma-
omettani hanno fede in uoa vita avvenire , credono in un Dio, ed a-
dorano immagini di santi. Pregano in ogni ventiquattro ove rivolgen-
dosi con lo sguardo alla luna. Non sono ignari delle arti meccaniche:
fabbricano case, utensili e quanto altro è necessario ai bisogni della
loro ancor bambina civilizzazione (1).
B. Nativi del Sangara e del Baleya.
II paese di Sangara , tra i confini della Nigrizia e della Ghinea , è
una vasta contrada ricca di bestiame , di pascoli , di grano e di riso.
1 Felletani vi esercitano, a quanto pare, il loro dominio, ma i na-
tivi sono sudanici, anzi fra i più civili di quanti vivono noli’ Africa
centrale. Celebri sono le loro manifatture di stoffe, delle quali prov-
vedono i Sulima ed i Bambarra (Mandioghi). Il popolo è ancora ido-
latro, ma il Sultano è devoto a Maometto, e tale è la tolleranza reci-
proca fra il re c i suoi soggetti, che v’è libero l’esercizio di ogni cullo,
da che il maggiore Laing giudicava quanto sarebbe facile introdurre
appo di essi la religione di Cristo (2).
A mezzogiorno del Sangara si allarga il Baleya, i nativi del quale
(1) Caillé, Journal d’un voyage à Tombuctou , et a Djenné dans l’Afri-
que centrale. Paris 1850, t. 11. p. 506 e seg.
(2) Major Q. Laing, Travcls in thè western Africa. London, 182S.
*
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308
unno TERZO
son guerrieri, agricoltori e dediti all'industric. Belle, vispe, galanti,
benché selvagge, vi sono le donne, le quali si ornano il capo d’ infil-
zate di conterie che spartiscono in bell’ordine ai due lati della testa,
ed il collo di un monile della stessa materia. Gaie sono ed arrendevo-
li; di belle fattezze, col naso leggermente aquiliuo, le labbra non molto
grandi, i capelli crespi, e la tinta della carnagione molto scura. Non
altra veste indossano se non se un perizoma che avvolgono intorno
alle reni, ed una pezzuola sulle spalle ne’di festivi, colla quale si co-
prono anche il seno (1).
C. Nativi dell' Yaurie.
Yauric è un regno esteso e florido, limitato all'est dall'Haussa, all’oc-
caso dal Bergli, al nord dal Cubbie, a mezzogiorno dal regno del Nyfle.
La corona ne è ereditaria, ed il governo assoluto e dispotico, il quale
ha sempre in piedi una cospicua forza militare per respingere gli at-
tacchi de’vicini e turbolenti Fellelani.
Molte industrie non vi sono conosciute , ma vi si fanno stoffe di
cotone, vi si concia benissimo il coiame, e vi si lavorano buone ar-
mi: vi si coltivano cereali e civaie, e vi si alleva molto bestiame. Le
donne di condizione si tingono con antimonio, o con Yhenneh le un-
ghie delle mani e dei piedi; le povere si stimmatizzano il viso, e con
que’ deformi solchi che v’intagliano s’adoperano di crescere le attrat-
tive della loro bellezza (2).
D. Cumbri.
Tanto sulle rive del Niger e delle sue isole , tra Yaurie e Bussa,
quanto in molte parti dell’Yaurie stesso, del Cubbie, di Bussa e di al-
tre contrade circostanti vive un popolo sudanico conosciuto col no-
me di Cumbrio , il quale, benché negletto e spregiato dalle nazioni
vicine , non é men degno di esse di richiamare la nostra attenzione.
Favellano eloqui diversi (dialetti? ), ma i costumi hanno identici ,
e soprattutto comune la tenacità per le antiche costumanze, delle quali
neppur la morte potrebbe indurli a cambiarne veruna. Di natura do-
cile e tranquilla sono , e però facile preda di chiunque voglia con-
quistarli; ed essi piegano il collo al giogo senza far motto , poiché la
schiavitù non hanno a vile , e la credono una condizione della vita
né da più, nè da meno delle altre.
Generalmente sono sucidi della persona, e di pochi ornamenti rab-
belliscono , ma si bucano i lobi delle orecchie, e introducono in quei
fori pezzettini di legno di vari colori , e nella cartilagine media del
(1) CaiUi, Op. cit. 1. 365.
(2) Richard et John Lander. Journal d’ unc expeditiou pour explorer le
cours du Niger, trad. frane, t. II. p. 55. e seg.
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RAZZA MELANICA— NAZIONI SUDANJCI1B. 309
naso, egualmente forata di grande apertura, collocano un pezzo di ve-
tro azzurro. Le donne galanti si pertugiano le due labbra con un dente
di coccodrillo che vi lasciano sporgere tanto in fuori , quanto è la lun-
ghezza del naso.
« In tutte le nostre relazioni co’Cumbri (dicono i fratelli Lander) noi
li trovammo di maniere dolci, innocenti ed anche amabili, e sempre si
mostrarono con noi civili , ospitali , naturalmente benevoli , nè mai
falsi, o indifferenti (1) ».
1 Cumbri delle rive deINiger posseggono capanne circolari, fatte di
argilla e sostenute da pali , alle quali si ascende arrampicandosi co-
me uomo può, dacché non hanno scale che vi potessero condurre.
Ivi passano soltanto la notte , ed hanno poi una grande capanna co-
mune dove tutti convengono, e ciascuno vi fa la sua cucina. Con
queste specie di abitazioni pensili e’ si riparano dalla umidità del suo-
lo, dalle molestie delle formiche, e dal morso de’ serpenti, e so-
prattutto dal formidabile alligatore. Tlanno un arma espressamente
costruita per difendersi da questo , la quale consiste in uno spiedo
lungo tre metri e guernito nell’ no capo di un pesante pezzo di leguo
di ferro, e nell’altro di una lunga punta aculeata e dentata. Di un’ar-
ma simile, benché più piccola, si giovano per uccidere i pesci, ed ac-
quistano in maneggiarla una destrezza veramente ammirevole.
E. Nativi del Kakunda e Nyffe.
Ne’ regni di questo nome, in gran parto popolati di Felletani , vi-
vono tuttora gli aborigeni della contrada, che sono di statura piutto-
sto elevata, e di complessione valida e robusta. Poco curano di ador-
narsi il corpo, e sono paghi di un monile di cornatine tagliate a cuore,
di un perizoma a vari colori che lor cinge le reni, e di piccoli orecchini
di argento. Non però di manco sogliono farsi due cicatrici in ciascun
lato del viso, dalle tempia al mento, il che li rende deformi, e vera-
mente orribili a vedere.
§. 2. Nativi del Burnii e di alcune sue dipendenze.
. Il Burnù è un vasto regno nella Nigrizia centrale ad occidente del
lago Tchado, e che riscuote tributi da quasi tutti i minori stali che
d’ ogni intorno lo circondano. I naturali si chiamano Kanòri , e sono
uomini a largo viso, a naso schiacciato, a bocca grande, ma con fronte
alta ed ampia, e capelli crespi si e lanosi, ma alquanti pollici lun-
ghi, onde le donne sogliono spartirli in tre ciuffetti, e rannodarli
al di sopra della testa. Usano screziarsi il viso con piccoli intagli di-
retti dagli angoli della bocca agli angoli della mascella inferiore ed ai
pomelli delle gote. In oltre s’ imprimono una linea in mezzo della
( 1 ) Ibid. u. m.
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LIBRO TERZO
fronte, sei per ciascun braccio, altrettante nelle gambe e nelle cosce,
quattro su ciascuna mammella, e due al di sopra di ciascun anca.
Semplici e parchi nel vitto, non si alimentano che di miglio abbru-
stolito , di farina di frumento impastata con miele c grasso, di riso,
d' orzo e di fagiuoli. Raramente mangiano carne , e solo i più agiati.
La cultura del suolo è opera della donna , la quale si avvicina ginoc-
cbione a suo marito , e non parla ad uomo che con la testa e il viso
coperti.
Mussulmani e scrupolosi osservatori de’ precetti che comandano la
preghiera e l’abluzione, i Burnuani sono poco tolleranti in materia di
religione. Clapperton ne conobbe uno che ricusava di mangiare con
tale, che la vigilia non aveva pregato, nè fatta l’abluzione.
Vivono riuniti in villaggi, o in grosse borgate. Le case comuni sono
fatte o inleramente di paglia, o di muro con tetto di paglia, o di stuoie
di un erba che cresce intorno al lago Tchado (1).
Diversi da’ Burnuani sembrano essere i nativi del Loggun, a mez-
zogiorno del Burnù, poiché si dicono di quelli e più belli e più intel-
ligenti, soprattutto le donne che s’innalzano al di sopra delle altre Ne-
gre per la sveltezza, il contegno e le maniere affabili e cortesi. Esse
amano molto il garofalo, della polvere del quale, mista al grasso, si
ungono la pelle ed i capelli. Laboriosissimi sono e l’uno e l’altro ses-
so , e coltivano la terra ed esercitano mestieri.
Gli indigeni di Mandara , quanto all' aspetto , sono più avvenenti
eziandio de’Logguni, poiché non solo hanno come questi la fronte al-
ta, gli occhi grandi , i capelli crespi e lunghi, ma il naso allresi rile-
vato e quasi aquilino, i tratti del volto più bene scolpiti, e la iìsono-
mia più aperta ed amena. Proverbiale nel Sudan è la bellezza delle
donne Mandare, le cui mani e piedi piccoli, e le anche rilevate le
rendono molto ricercate ne’più ricchi serragli de’signori mussulmani.
§. 3. Nativi' del Waday e paesi tributari.
II Waday, o Bergù, è popolato da undici tribù, delle quali quattro
si dicono reali , e sono quelle :
1. degli Ab-Senoun ( padri de’ denti , poiché li anneriscono fre-
gandoli con pimento , dopo averli esposti a fumigazioni di tabacco ) ;
2. de'Gamara ;
3. de’Marfa;
4. de’Malanga.
Le altre sono :
5. degli Ab-Cbarib ( padri de' baffi, cosi delti perchè i soli che in
questa parte del Sudan portino mustacchi);
6. de’Kodoy;
(1) Uenham, Clapperton, Oudney, Voyage dans le partics centrale* de
l' Afrique, t. 1. passim.
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HA ZZA MELANICA— NAZIONI SUDANICHE.
311
7. de’Kachmirè;
8. de’Kilinan ;
9. de’Karna;
10. de’Masmadji , o Masmadjch ;
11. de’Kondòno.
Gli stali tributari sono:
Il Ranetti , percorso nella più gran parte da’ Tipponi c da pastori
Arabi, ed abitato in poca parte da’ nativi cbe si dicono Kanembusi, o
Lanembusi ;
Il Baghermi, fertilissima regione abitata da un popolo bravo ed in-
dustrioso , le cui varie tribù si chiamano: Girfa, Arasa, Moemàna,
Bergeli, Daba , Lelnem, Ubar ma. Limati;
Fini, piccolissimo stato e poco popolato, gli indigeni del quale sem-
brano essere identici co' naturali di Medogo cui si congiungono ezian-
dio, per ragion di lingua, i naturali del Dar-Sila e del Dar-Rona, con-
trade montane abitate da’Dadjo, e l’ultima soprattutto naturalmente as-
sai fortificata.
Benché non dipendenti dal Waday, e tuttora liberi e idolatri, non-
dimnnco si possono allogare nella medesima classe che i nativi del
Waday anche i Kirdi del Sara, i Sanca del paese omonimo (popoli che
si credono imparentati etnicamente co’naturali del Baghermi), gli in-
digeni del Djebel-Gogmi , del Djebel-Balil , del Djebel-Gera, confusi
nel Waday sotto il nome generico di Djcnakhcr.
Tutti questi popoli son pastori ed agricoltori : allevano gran copia
di bestiame, soprattutto di pecore e di buoi, e coltivano singolarmente
il dokhn ed una specie di tubero molto simile alla patata. Posseggono
eziandio alcune industrie ; sanno estrarre il ferro dal minerale e for-
giarlo; lavorano il cotone e ne fanno stoffe che tingono di un bel co-
lore turchino. Vivono soggetti a sovrani despoti , i quali d'ordinario
estendono la loro autorità fin sulla vita e la morte de’ loro soggetti.
Sono riuniti in villaggi, cbe consistono in meschine capanne più o mcn
numerose, ma i villaggi molto distanti l’ uno dall’ altro, e spesso dai
confiui di uno stalo fino al suo luogo abitato si estende uno spazio di
molte giornate di cammino; cosi fra il Dar-fur e il Waday, fra questo
e il Djebel-Tama, il Kamen e il Baghermi ; cosi parimenti fra il Dje-
bel-Gera e il Djebel-Som, il Djebel-Olè e il Djebel-Kuba. Sobri sono
nel vitto , e non si nutriscono che di cibi sani e sostanziosi , de’ quali
sempre formano la base la carne ed il dokhn: per bevanda non hanno
cbe latte, o un liquore ottenuto dal dokhn fermentato, il quale si dice
contribuire ad accrescer l’adipe ed a dare alle membra rotondità. Co-
noscon l’arte della guerra, ma come si usa fra popoli semi-barbari,
ed hanno per armi offensive e difensive la laucia , il giavellotto , la
spada dritta con impugnatura a croce, come quelle de’noslri cavalieri
del Medio-Evo, l’arco, le frecce avvelenate ( e si micidiali , che l’ ar-
ciere non osa toccarne la punta intossicata), e una specie di arma tutta
speciale fatta a serpe bitagliente, che lanciano contro l’inimico, c che
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LIBRO TERZO
fa strage miseramente di guerrieri, l’elmo, la corazza, il giaco, lo scu-
do a varie fogge. L’ islam è penetrato in mezzo ad essi , li ha conver-
titi, ed imposto loro l’alcorano e l’alfabeto arabo del quale si servono
nel trascrivere i loro idiomi. Que’ che rimangono ancora idolatri , e
che con proprio nome si dicono Fertit, adorano obbietti materiali, di
cui si formano feticce , che sono le loro divinità. Ben si comprende
come popoli si rozzi sieno crudeli e superstiziosi , e come vi abbon-
dino i fattucchieri che evocano i geni, i demoni, i morti, trasportano
invisibilmente da un luogo all'altro chiunque vogliano, e sanno ren-
dere se medesimi invisibili, ed operare incantagioni e malie d’ogni
specie, e tramutare financo gli uomini in animali. A preservarsi dalle
quali influenze hanno talismani che devotamente si portano indosso
da quella credula gente, c senza i quali crederebbono essere in conti-
nua balia di chiunque volesse affatturarli. Un loro costume meritevole
clic qui se ne faccia memoria è quello di compor proverbi satire o
motteggi con cui sogliono mettere in canzona qualunque cosa credo-
no censurabile, o la viltà di un guerriero , o l'avarizia di un capo, o
la civetteria d’una donna, e via discorrendo (1).
§. 4. Nativi del Dar-fur, e patii che ne dipendono.
I popoli soggetti al sultano del Dar-fur si dividono in naturali della
contrada di questo nome, ed in nazioni sottomesse, che sono i Tu-
tnurki, i Alimi, i Aledobi, i Zaghawah, i Bego. Sembrano tutti congiunti
con vincoli di favella, e l'aspetto ne è quasi identico : fortemente nero
il colore delle carni, crespi e corti i capelli, grandi gli occhi, decente
il naso, piuttosto sottili le labbra, e il contorno del viso quasi ovale.
Sou mussulmani della setta dell’ iman di Malek , che è poco diversa
dall’ altra di Schafc'i. Non si lavano il corpo se non raramente , ma si
svelgono i peli, e s’ungono di grasso. I piaceri sensuali gli allettano
fuor di misura (tendenza comune a tutta la Razza Negra) e non sem-
pre è serbato il mistero negli amplessi di amore , e spesso , non cu-
rando l’altrui indiscrezione, è tempio ed ara di Venere l’ombra di un
albero, o l’erba di un prato.
Coltivano i campi, e poco o nulla curano le industrie, ma il popolo
è intelligente, e molti son dati al commercio, e servono come inter-
medi alle relazioni che di più in più si estendono fra la valle del Nilo
e l’ interno della Nigrizia; da che si comprende come eglino sieno in
certo stato di civiltà, la quale è ben superiore a quanto si osservi nel
rimanente del Sudan.
Le Montagne Marrah , che tagliano il Dar-fur in quasi tutta la sua
lunghezza dal sud al nord, sono occupate da tribù di uomini ignoranti
e brutali, che dall' alto de’loro villaggi rimirano con disdegno gli a-
hitatori della pianura, pretendendo d’esser eglino la sola stirpe del Dar-
li) D’Escayrac de Lauture, Mémoire sur le Soudan. Paris, 1856. p. 175
e seg.
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RAZZA METANICA— NAZIONI SUDA MOIE. 313
fur primitiva e senza estranio mescolamento. Le greggi che per tutto
l'anno pascolano in prati coperti di erbe succulenti formano la loro
principale ricchezza. In quelle vallate amene e deliziose , il dattero ,
il banano, il cedro si caricano delle loro frutta saporose; il Dar-furese
vi coltiva le cipolle, il pepe rosso, il moro, il cocomero e le biade che
vende per impiegarne il valore a comperare il miglio onde fa pane.
§. 5. Tribù del Fiume, o Nilo Bianco,
Gli abitanti sulle rive del fiume , o Nilo Bianco si dividono , oltre
agli Arabi, io tribù fra di sé vincolate per la medesimezza degli idio-
mi che favellano, e fra le quali più note sono i Chelouk, i Dinka ed i
Barry cosi descritti dall’Arnaud, che visitolli nel 1843.
« 1 Chelouk sulla sinistra del fiume sono uu popolo astuto e cru-
dele , e numeroso di circa un milione di anime. Menano una vita
pastorale , e si alimentano co'grani delle piante, che spontaneamente
crescono per que’ terreni paludosi, con la pesca e con la rapina eser-
citala sulle tribù vicine. Veste non hanno che ne ricopra la nudità.
Adorano un Dio che chiamano Niecoma , il quale venerano sotto la
forma di un albero. I loro villaggi si compongono di alcune centinaia
di circolari capanne ricoperte di paglia.
« 1 Dinka son pastori e pescatori che si alimentano eziandio in parte
de’grani che raccolgono facendo pascolare i loro armenti in mezzo agli
elefanti e nelle paludi in cui questi animali vivono. L’inllueDza de’luo-
ghi insalubri da essi abitali rende il loro aspetto malaticcio. La loro
nudità ha qualche cosa che disgusta, ma non pertanto queste tribù non
sono prive d’istinti bellicosi. I buoi de’ Dinka hanno le corna di nota-
bile lunghezza, e ricordano l’Api degli antichi Egiziani: ogni mandria
ne ha uno che è festeggiato ed onorato da tutti i membri della tribù. I
Dinka albergano in capanne coperte di paglia, ma il piu gran numero
vive fra gli armenti , e dorme alla rinfusa sulle calde ceneri prove-
nienti dalla combustione del letame del bestiame, la quale ha il vantag-
gio di garentirli, col fumo che ne esala, da’pungoli delle zanzare (1)».
« Si distinguono facilmente dagli altri Negri per la fronte sporgente,
il cranio appiattato verso le tempia, le membra gracili e lunghe. Molto
poveri sono e sobri, né la loro ambizione si estende a desiderare più
che le latte, merissa ( birra ) e donne (2j».
« 1 Barry sono d'alta statura: s’occupano ad un tempo di pesca e di
agricoltura , e lussureggiano di ricche messi le loro campagne. Trag-
gono da’ loro monti un minerale ricco di ferro. Si servono di frecce
avvelenate , e si ungono il corpo con pomata rossa composta di os-
sido di ferro. Le donne, meno impudiche di quelle delle tribù vicine,
portano un cinto a rete perfettamente lavorato e di un effetto bellissi-
mi Comptes-rendus de l’Acad. des Sciences, 1843.
(2) Le Nil Blanc et le Soudan par Brun-Rollet. Paris 1853. p. 92.
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LIBRO TERZO
ino (1) ». Gli uomini si forano sul mento il labbro inferiore, c v'intro-
ducono un cilindretto di cristallo lungo un pollice e mezzo, e le donne
a' grossi fori che si fanno nelle orecchie appendono grani di vetro
quanti più possono.
Quanto è ad arti ed industrie, i Barry, come gli altri gruppi di tribù
delle rive del Nilo Bianco, sembra che punto non ne posseggano , se
ne togli l’arte di lavorare il ferro con cui fabbricano armi, campanelli,
armille ed altri ornamenti. Rispetto poi alla religione, ecco quello che
si raccoglie da un moderno missionario cattolico, il dottor Knoble-
cher.
Pare che gli abitatori dell'Africa interna restino commossi e pe-
netrati dai grandiosi fenomeni di quelle terre de’tropici, dove gli ele-
menti or sono sì benefici, ed ora si adirati. Veggono nel lampo lin-
gue di fuoco , odono la voce dei nugoli negli scrosci del tuono , am-
mirano stupidi il sole, i pianeti, la luna nello splendore di quel cielo.
Ma di un supremo Creatore e Signore del mondo, che la natura e in-
sieme le umane sorti governa, pare abbiano una idea non ben chiara,
ma solo monca e nebbiosa. Sogliono venerare certi alberi, appendervi
talismani, e cintili di siepe vi si radunano, il che fa scorgere in loro co-
in’ è in lutti, sebbene in questi sia traviato e confuso , un sentimento
ed istinto di religione. La fede nell' esistenza dell’ anima e nella sua
immortalità, pare a prima vista che non vi sia; ma infatti la c'è: per-
chè sebbene un Negro dicesse alloKnoblecher, che morto che egli fosse
tutto era finito , un fatto che succede al suddetto missionario chiara-
mente dimostra la credenza che hanno essi pure nel sopravvivere delle
anime. Quand'egli era salito sopra un’altura , un masso di granito su
cui era seduto, non so perché si smosse, e chiesto egli al Negro che lo
guidava qual ne fosse la causa, il Negro gli rispose , che il sasso era
mosso dai morti. Di che lo Knoblecher venne in pensiero, che certo
i Negri credono anch' essi a una vita oltre la morte, sebbene forse la
uniscano alla falsa credenza di una trasmigrazione di anime, o che so
io. Mollo notevole fu anche un’altra risposta data da un Negro al mis-
sionario, mentre questi cercava di dargli qualche idea della grandezza
e bontà di Dio. — « Il vostro Dio, diss’egli, sarà sicuramente e grande
e buono, ma ei sarà grande e buono solo con voi uomini bianchi. Di
noi poveri Negri che siam miseri e ignudi , il vostro Dio non vorrà
darsi pensiero».
L’altre tribù, delle quali sappiamo poco più del solo nome, sono i
Chir, al di là della frontiera meridionale de' Chelouk in presso a sei
gradi verso l’antartico, sparsi in un gruppo d’isole di otto a nove leghe
di larghezza, e di trenta incirca di lunghezza, ed i Nuer dalle rive del
Sobat estesi fin verso il settimo grado di latit. settentrionale. I Nuer si
credono ( almeno per ragioni linguistiche ) imparentali co’ montanari
del Guleh, ad occidente del Scnuaar. Hanno un culto che somiglia al
(1) Arnaud, loc. cit.
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RAZZA MELAN1CA-NAZI0NI DELLA GHINEA. 315
lamaico, ed il capo di esso , che chiamasi Dolca , riscuote dal popolo
un rispetto chesa dell’adorazione, credendosi ch’egli sia non sola-
mente inaccessibile a' bisogni della natura umana, ed eziandio immor-
tale. É consultato nelle più gravi faccende pubbliche e private : oracoli
sono le sue risposte, nè mai si osa contrariarne il dettato , persuasi
che sarebbe una opposizione a’voleri della Divinità (1).
CAPITOLO 111.
NAZIONI DELLA GHINEA.
La contrada segnata nelle carte col nome di Ghinea settentrionale,
o di Ghinea propriamente detta, e che noi limitiamo nello interno fi-
no a’monti di Lorna e Kong, e nella costa da Serra-Liona fino al Capo
Cortez-Gonsalvo, è la patria di que’Negri, che nelle forme del cranio,
nelle fattezze del volto, ed in altri caratteri della persona rappresen-
tano il vero tipo della Razza Melaniana, o della Etiopica del Blumen-
bach e suoi seguaci.
Molte nazioni e tribù si dividono la estesa superficie di quella re-
gione, le quali, benché diverse di costumanze, di usi e di forme go-
vernative, pur si rannodano, per quanto a noi sembra, ad una sola
etnica famiglia; imperciocché tutte, come pare, favellano idiomi affi-
ni, i quali possono tenersi per diramazioni di un medesimo linguag-
gio , siccome dimostra fino a un certo punto il seguente specchietto
comparativo di alquanti vocaboli di alcuni di essi parlari , desunto
dall’ Aliante etnografico del Balbi e dal Prichard.
(1) Bnin-Rutlcl. op. eit. p. 235,254.
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1.1 BRO TFRZO
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RAZZA MEI. ANICA— NAZIONI DEI.LA GHINEA. 317
Molto lontano dal vero sarebbe peraltro colui che ammettesse per-
fetta identità fra le forme fisiche degli indigeni della Ghinea , o che
credesse non esservi differenza fra le varie nazioni, e non di rado an-
cora fra le varie tribù di una stessa nazione. Non tutti gli individui di
questa contrada africana sono certamente quo’Negri dal colore del car-
bone, con capelli corti e simili alla lana , e quasi affatto sprovvisti di
barba, che è parimenti breve, crespa e lanosa; non tutti hanno le lab-
bra grosse e rovesciale all’iofuori, le gote sporgenti, il naso schiacciato
sul dorso e rialzato in punta con narici ampie e dilatate, il mento ri-
entrante, la fronte stretta e depressa, i denti obliquamente diretti allo
esterno, l’angolo facciale da’ 70 a’ 75 gradi; anzi alcuni di essi, come
i Susù , i 'inumani , i Fanti, gli Ashanti , gli Aquapim rassomigliano
a’Sudanici, piuttosto che al vero tipo negro. Le sole tribù che mo-
strino que’ caratteri che sono tipici della Razza Melaniana sono i Pa-
pels, i Disagi, i fiatanti, i Biafari o Joli, tutti popoli littorani; gli in-
digeni di Whidali, d’Ardrah e di Popo, nella costa degli Schiavi , e i
naturali del Benino. La forma del cranio in queste tribù è veracemente
prognata, cioè compressa a’ lati e prolungata nell’occipite, con la ma-
scella superiore sporgente sull’inferiore, l’apertura delle narici molto
vasta, il lembo alveolare stretto e un po’ inclinalo all’esterno, la ma-
scella inferiore bassa e quasi schiacciata , il mento tondeggiante (1) ;
ma nelle altre ghineane tribù il cranio non offre un prognatismo tanto
notevole, anzi quelli de’due popoli Ashanti e Fanti, figurati dal Mar-
tin nella sua Storia Naturale de' Mammiferi (2), presentano contorni che
possono dirsi belli, e che poco si allontanano dalle forme proprie de-
gli Europei; so non che nel teschio deli'Ashanlo il diametro transver-
sale è un poco più breve che non sia nell’europeo, la fronte un poco
più bassa , la cresta ove s’inserisce il muscolo temporale più aspra ,
l’arcata zigomatica più alta, ma più dinnanzi che di lato, e le grandi
ale dello glenoide non prolungate fino a’parietali, ma la sutura corona-
le in quel punto s’inserisce col bordo superiore della porzione squam-
mosa del temporale, il cranio del Fanto poi ha la fronte stretta , ma
non compressa a’Iati, le ossa del naso lunghe e piane in modo, che la-
sciano un grande spazio interorbitale, le ossa malari grandi e sporgenti,
gli alveoli dell'osso mascellare superiore inclinati innanzi, e l’ala dello
(1) Questi caratteri sono poeticamente espressi in un poemetto latino del-
l’aureo secolo intitolato « .Mordimi » , che si attribuisce comunemente a
Virgilio. 1 versi sono i seguenti :
Interdum clamat Cybalen : crat unica custos
Afra genus , tota patriam testante figura ,
Torta comam , labroque tumens , et fusca colorcm ;
Pectore lata, jacens mammis, compressior alvo,
Cruribus exilis , spatiosa prodiga pianta ;
Continuis rirais calcanca scissa rigebant.
(2) Naturai iùstory of Mammiferous Animals. London, 1841.
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318 UBICO TERZO
sfenoide prolungala , come d'ordinario, Ono al suo incontro con l’os-
so parietale.
Ecco intanto le poche notizie che abbiamo potuto raccogliere in-
torno agli indigeni della Ghinea settentrionale.
I Negri della costa degli Schiavi appartengono a una sola nazione,
benché divisi in piccoli stati più , o meno indipendenti. Primeggiano
fra lutti i nativi del Dahomey , popolo grave ed ospitale verso gii
stranieri. Per la bravura, fermezza e imperturbabilità loro si rasso-
migliano da alcuni all’antico popolo spartano; avvegnaché quello che
era pel Lacedemone la legge, per il Dahomeano è il suo re, del quale
tutti si riconoscono schiavi ; anzi quanto ogni uom possiede tutto è
del principe, e a lui per morte de’ padroni discade. Guai a colui che
osasse di credere mortale il suo sovrano, o eh’ ei mangiasse , bevesse,
o dormisse! Le pene più severe sarebbero inflitte contro il temerario,
né alcuno potrebbe sottrarlo alla giusta indegnazione del suo re , « il
quale passeggia nel sangue dalla culla alla tomba, ed ogni anno asper-
ge di sangue umano i sepolcri de’suoi antenati (1) ». Al re apparten-
gono eziandio lutti i neonati , e i fanciulli sono divelti dal seno dei
loro genitori per ricevere una specie di pubblica e gratuita educa-
zione.
Nella prima metà del secolo XVIII. erano i Dahomeani bellicosi e
conquistatori. Il re veniva in guerra accompagnato da una guardia di
donne non meno brave, nè raen guerriere degli uomini. Il gran con-
quistatore Gouadja Trouda occupò Wbidah, Ardrah, Torri, Diduma,
Ajirah, Jacquin, e fe’saccheggiare e devastare, senza pietà, le terre dei
suoi nemici. L’ epoca delle conquiste si chiuse con la morte di quel
principe nel 1731. Il suo nome è rimasto sacro nel paese, ed i Negri
non giurano che per lui; ma i suoi discendenti, incapaci a sostenerne
la rinomanza e continuarne le gesta, sono rientrati in una completa
dimenticanza.
Fra il Benino , il Dahomey e il mar di Ghinea v'ha fa contrada di
Jebu, sulla quale ha sparsa tanta luce, in questi ultimi tempi, il signor
d’Avezac. 1 naturali, che si dicono Jebusi, hanno mezzana statura, e
sono ben formati della persona : nero cupo è il lor colore, piatto e
largo il naso, grosse le labbra e rovesciate infuori, i denti superiori
inclinali innanzi , i pomelli delle gole proeminenti , i capelli crespi e
lanosi, l’augolo facciale non molto acuto. A siffatti caratteri se ne ag-
giunge un altro più particolare, il quale consiste in una fronte divisa
in tre scompartimenti verticali, perocché le due ossa delle tempia, es-
sendo rilevate sul frontale, vi formano a’Iati una specie di risalto della
spessezza di tre a quattro linee , ed un avvallamento nella porzione
mediana.
Dolcissimo sembra essere il carattere morale di questo popolo, che
(1) Ritter ; Op. cil. P. I. Sez. IV. §. 15. — Forbes, Dahomey and Da-
homans.
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RAZZA MEI. ANIC.A-N AZIONI DELLA GUINEA. 319
é mollo proclive .il lavoro; « e nel vero le derrate ond’egli approv-
vigiona i suoi vicini , le stoffe che fabbrica in copia , e che dimo-
strano un' abitudine perfezionata nel filare, nel tessere, nella tintura,
sono ciliare pruove della superiorità sua relativa sopra tutte le nazioni
circostanti (1) jJ.
Alle grossolane superstizioni del feticismo innestai! Jebusano cre-
denze meno indegne di disprezzo, perciocché ammette un Dio unico,
invisibile, immutabile ed eterno, ed altri Iddìi secondari, Orna, o Geni
particolari rappresentati da immagini che si conservano in luoghi
consacrati ove i fedeli si riuniscono a pregare, ed a cantare inni ac-
compagnati da una musica monotona e discorde.
Varie ramificazioni di questa stirpe si allargano fino al vecchio Cale-
bar, la cui popolazione presenta alcune deviazioni fisiche , le quali
servono a distinguerla dall’altre tribù della stessa origine. Possono es-
ser presi come termini di comparazione i nativi di Bonny-Mun ,
che sono di pura estrazione Jebusa. « Questi sono generalmente di pic-
cola statura e di forme svelte ; hanno la pelle di un color nero-gial-
lastro ; le membra valide e proporzionate con propensione a grande
sviluppo muscolare. Le giovanetle portano i capelli sempre rasi , ad
eccezione di un ciuffelto che fanno crescere, poiché non é lecito la-
sciarli tutti, se non se alle sole maritate. Molte parti del corpo, e spe-
cialmente la faccia , sono stimmatizzate con disegni circolari. Sul-
l' avambraccio poi ed uomini e femmine si fanno imprimere una fi-
gura non più grande di un soldo. Hanno riti e cerimonie religiose,
tra i quali quello d’ immolare vittime umane alla morte di qualche
capo ; e tale era il rigore col quale , egli è del tempo , praticavasi ,
che molte città per questo sono rimaste quasi spopolate (2) ».
I cinque o sei popoli diversi che abitano il Gabon hanno presso a
poco i medesimi caratteri naturali : le sole differenze che si possano
indicare sono i contorni del volto che si fanno più angolosi, ed il co-
lore della pelle, che si mostra più fosco secondo che s'innoltrano
dentro il Continente. Esiste anche presso di essi l’uso di umani sacri-
fici, a’quali non hanno diritto solamente le supreme autorità, ma ogni
uomo libero può offerire uno o due schiavi alla memoria de'suoi più
cari trapassati.
1 principali abitatori della Costa d’Oro, che è quella parte della co-
stiera marina, che dal capo Tres Puntas si distende infino al Rio Volta,
sono gli A</uapim, gl’/nfa, i Fanti, e nell'Interno gli Asfumli che sono
predominanti.
Erano i Fanti, nc'tempi andati, governali dal re degli Ashanti. Ri-
ti) Notice sur le pays et le peuple des Yébous en Afriquc p. M. d’Avé-
zac; nelle Mémoires de la Sociétó ethnologique, t. 11. 2." p.
(2, Danieli, ne’Nouvelles Annales de Voyage. Rivista geografica di lu-
glio, 1845.
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320 LIBRO TERZO
bollatisi contra il sovrano emigrarono verso la costa , e scelsero nn
capo che investirono di potere assoluto, e che, in segno di sommis-
sione al popolo, obbligarono a recidersi il braccio sinistro. Le ultime
guerre contro gli Ashanti indebolirono di molto l’ascendente che nel
secolo XVIII. esercitarono sopra tutto il littorale. Non hanno leggi
scritte , e risolvono le liti in pubbliche assemblee. Sono idolatri e ado-
rano feticce, e serbano a’morti, che sotterrano nelle proprie case, una
specie di culto, o di adorazione.
Gli Ashanti non sembrano nativi della contrada nella quale ora vi-
vono. La tradizione racconta, che formavano in origine dodici tribù,
le quali innanzi di fondare il loro imperio, avevano conquistato il re-
gno d' Inta e due altri stati minori. Giungevano da un paese posto
in vicinanza della Grand’ Acqua ( lago Tchado ? ) , ma il Bowdich
crede, che potessero essere Abissini-etiopici, misti a coloni egizi, scac-
ciati da Tachompso, Meroe e Gojam, loro antiche dimore (1). Le sue
ragioni peraltro non sembrano molto valide nè al Ritter, nè a noi ,
tantoppiu che l’idioma degli Ashanti, benché piu dolce di tulli quelli
parlati nella Costa d’Oro, è una derivazione della medesima lingua che
è matrice di tutte le favelle di quella parte dell’Africa (2). Singolari
sono alcune loro opinioni sulla cosmologia, perciocché dicono essere
il Mediterraneo nel centro della terra, e non avere comunicazione con
l’ Oceano ; sette fiumi dirigersi dall'Africa verso questo mare , e due
soli raggiungerlo, come il Nilo, che vi versa precipitosamente le ra-
pide sue acque; il Mar Rosso prendere, secondo i tempi, colori di-
versi, e questo fenomeno essere l'effetto di sette grandi fiumane che
vi sboccano. Il mondo si rappresentano come una superficie sferica
ricinta da un orlo di scogli tra i quali c la terra , posta nel centro ,
s’ agita l’ Oceano.
Meno conosciuta dagli Europei è tutta quella porzione della costa
della Ghinea dal capo Tres-Puntas a Serra-Liona. Le tribù che vivono
intorno a questa colonia sono i B idiomi , altra volta padroni di più
esteso territorio c ristretti ora in più angusti confini, i Timmani, po-
polo montanaro oggi in possesso della costa donde già respinsero i
Bullono; e per ultimo i Bagoes , i quali per 1’ addietro si allargavano
per ampia contrada, ed ora vivono in pochi villaggi a settentrione di
Serra-Liona e nelle isole di Los ldolos.
Fra il capo delle Palme e il capo di Monte sono i Krumani, divisi
in molte tribù; fra l’imboccatura del fiume Junk e una punta di terra
a venticinque miglia dal Mesurado i Deys; ad oriente del Capo i Quea-
chi, poca gente e di eccellente carattere ; a settentrione del bacino
superiore del fiume S. Paolo i Gurrah , bellicosi e potenti ; nell’ in-
(1) On thè origin of thè Ashantec , nel Journal of Science, lit. and. arts.
t. XIX, 1820, p. 75.
(2) Ritter, Op. cit. Sez. IV. §. 15.
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BAZZA MELAMCA -NAZIONI DELIA GUINEA. 321
terno i Cundoes , contro i quali , e contro quasi lutti gli altri furono
costretti i coloni «li Liberia a sostenere micidiali combattimenti.
Gli indigeni del Gran Bassnm sono grandi e ben fatti della perso-
na, e di color nero lucente, benché non vi manchino le tinte ramee
come in Senegambia, ma le donne sono quasi tutte laide e affette di
schifose malattie.
I popoli di Assinia, conosciuti col nome di Ecudo , si dipingono il
viso ed altre parti del corpo con colorì vegetabili , e quel che più
sorprende, tingono pure del colore dell’ ocra rossa le finestre c l' in-
terno delle loro abitazioni.
Dopo la indicazione sommaria che noi abbiamo dato de' nativi
della Ghinea settentrionale, crediamo importante di trascrivere la se-
guente particella della Geografia dell’ Africa di Carlo Itilter , il quale
riassume con una chiarezza ammirabile lo stato morale di quelle po-
polazioni. Le considerazioni di questo gran geografo quantunque li-
mitate ad una sola porzione de’popoli che ora noi descriviamo , pos-
sono applicarsi indistintamente a tutti i Ghineani.
«I Negri della costa d’Oro (così il Bitter) sono un’immagine fedele
delle razze negre de'tropici che si dividono in due rami, i Negri delle
coste, ed i Negri dello interno. La differenza essenziale che osservasi
tra di essi viene dall’ essere affitto diverso l’ organizzamento de’ loro
stati, ed ha pure la sua ragione nel clima, che qui è più eguale e piu
temperato che altrove. Egli è molto difficile, dice il Meredith, di trac-
ciare fedelmente il carattere di questi popoli quand’ anche si fossero
osservati per lunga serie di anni, conciosiachè l’Europeo non impara
mai a conoscere il Negro se non come mercatante, e lo vede in con-
seguenza dal lato meno favorevole , pieno di astuzia , di egoismo
e d’avarizia.
« Nella regione de’tropici le passioni de’ Negri sono più vive e più
facili ad eccitarsi che nelle contrade meno calde , ma vi si calmano
anche più presto, perocché al più ardente enlusiamo succede sempre il
più grande scoraggiamento, e la vendetta, in principio terribile, a poco
a poco si calma e si attutisce. I Negri sono generalmente diffidenti ,
propensi all’astuzia , senza energia e senza perseveranza. Non fanno
quasi mai alcuna spesa per ghiottoneria , e la loro economia , sotto
un tale rispetto , avvicinasi molto all’ avarizia. La vivacità della loro
immaginazione presta alla lingua e grazia ed eloquenza. La gioia ma-
nifestano con danze, con canti e con suoni, poiché il loro orecchio è
mollo sensibile all’armonia. Le donne sono laboriose , assai feconde,
e nubili in età giovanissima.
« Più conosciuti dagli Europei sono i Negri pescatori della costa, e
si adattano più ordinariamente al remigare , o ad altri lavori. Sono
buoni operai, ma vogliono essere ben pagati e subito. Del rimanente
tutti i Negri sono proclivi al ladroneccio.
« 1 Negri agricoli dello interno sono più onesti, e non hanno i vizi
de’ Negri delle coste, massime de’ Fanti: sono molto docili, laboriosi,
Nicol «ci, /tu::c «mone — Voi. I. ìl
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I.1M10 TEHZO
322
ed avvi fra loro maggiore eguaglianza. I Negri delle coste , sebbene
industri, sono per converso scaltri e dissoluti.
«La costituzione politica esercita maggiore influenza sui Negri, clic
sopra verun altro popolo della terra. Il dispotismo rende il Negro
guardingo, diffidente, timido, muto e sottomesso; la libertà all’oppo-
sto il fa arrogante, e sfrenato all’ultimo grado; distrugge in esso ogni
moralità, rompe tutti i ligami sociali , e lo trascina io interminabili
e continui litigi. Apollonia è una monarchia assoluta ; Ashanta una
specie di aristocrazia; Fanti era un regno elettorale, ove il potere tal-
volta era rimesso nelle mani di un solo, tal altra nelle corporazioni e
nelle assemblee.
« Dediti al feticismo tutti i Negri della costa d' Oro sembrano sot-
tomessi ad una comune superstizione. Di Dio creatore e conservatore
del Mondo non hanno che un’ oscura idea, ma suppongono per altro
resistenza di un Essere Superiore. Variatissime sono le loro idee in-
torno a questo subbietto, e sullo stato dell’anima dopo la morte. Guar-
dano sempre il sole quando volgonsi all’Essere Supremo per doman-
dargli i beni della terra. Da lui fanno discendere il bene siccome il
male, ma credono clic alle feticce dia l'incarico di distribuirli, poiché,
dicono essi, le feticce emanano da lui.
« Gli Africani chiamano Obi le feticce, secondo le relazioni de’ Ne-
gri fatti schiavi nelle spiagge occidentali : non le onorano mica come
Iddìi, ma come mezzi di fare scongiuri ed incantesimi, ed in ciò la loro
fede somiglia molto alla credenza de’ marinari ne’ segni, o a quella di
tanti uomini increduli nel caso. Le relazioni domestiche, civili e poli-
tiche de’ Negri sono in uno stato sempre cosi incerto e vacillante , la
loro vita è esposta, come quella de’marinari, a tante subitanee vicissi-
tudini, che spesso sembra non aver norma che dalle combinazioni, c
dagli accidenti più straordinari ; quiudi la tengono quasi come un
giuoco d’azzardo, e da ciò la loro fede negli incantesimi delle feticce.
Hanno giorni fasti e nefasti; scelgono le loro feticce e le cangiano; si
volgono ad esse per tuttociò che desiderano , e lutto vi confidano, e
temono il conto che dovranno un giorno rendere ad esse. Se la pro-
tezione della feticcia è sterile tosto la gettano via con disprezzo, poi-
ché possono di lutto farne una nuova. Sulla costa di Ghinea, nel Be-
nino , tengono eziandio l’ombra propria per una feticcia che gli ac-
compagni dappertutto.
« Se le feticce apportano fortuna s’innalzano al grado di protettrici
della famiglia , ed allora somigliano a' Lari ed a’ Fenati de' Romani e
d’altri popoli. Talvolta appartengono a contrade intere, ed allora sono
montagne, alberi , laghi , fiumi e cascate , o rocce (1) ». Cosi egli.
(1) Loc. cit.
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RAZZA MELANICA-NAZIONI DELIA GHINEA
323
CAPITOLO IV
FAMIGLIA CAFRA.
Una Famiglia di popoli potente e numerosa, sperperata in varie na-
zioni e tribù , si allarga pel continente africano da'confini dell’Ab's-
sinia fino alle foci del Senegai c della Gambia, e confondendosi a set-
tentrione con le genti di stirpe sudanica , si distende a mezzogiorno
fino alle sponde del fiume Orange che la divide dalla famiglia Otten-
totta, come altresi al sud-ovest i monti Loma e Kong la separano dai
Ghineani che dominano tutta la costiera marina da Serra-Liona fino
al Capo Lopez Gonsalvo.
Benché i caratteri fisici delle nazioni comprese nella famiglia che
descriviamo notabilmente differiscano fra loro secondo i luoghi , e
non di rado ancora secondo le tribù, nondimeno l’esame compara-
tivo degli idiomi favellati da questi popoli chiaramente dimostra la lo-
ro stretta affinità ed analogia cosi nell’assonaoza de’ loro vocaboli ,
come nell’ intima struttura grammaticale.
1 vocabolari Malemba ed Embomma pubblicati dal Tukey (1) rive-
larono la parentela esistente fra i sermoni del Congo e del Loango ,
a’quali, già molto tempo innanzi, aveva il Lopez associato anche
quello del Benguela (2). Marsden chiari l’analogia radicale de’dialelti
del Mozambiche con le lingue del Congo e della Cafreria orientale, ar-
gomento che fu posto in maggior luce dalle profonde indagini del
Poti (3). Ravvicinando poi agli eloqui del Congo eziandio quello dei
Mandinghi vi scoperse una singolare somiglianza. L’ idioma de’ Fu-
lachi non si dilunga punto da questo gruppo , ma la sua fisonomia
porta l' impronta di più remota separazione. Attestano però la sua
fratellanza con le lingue cafre, massimamente con l’amakosa, le pa-
role che denotano rapporti di famiglia, o i principali obbietti del
mondo esteriore. In conseguenza di che noi crediamo poter forma-
re delle favelle cafre quattro gruppi a' quali corrispondono quattro
Sotto-Famiglie di popoli , la Cafra, la Congo , la Fulaca c la Mandin-
ga , siccome si rende chiaro dal seguente specchietto comparativo nel
quale sono messe a riscontro alquante parole di alcune nazioni o tri-
bù delle quattro Sotto Famiglie or ora nominate.
(1) Ved. Vocabulary of thè Malemba and Embomma, in Tukey, Narra-
tive of an expcdition in south Africa- London 4818, j>. 391 — Cannccattim,
Observafoes grammaticaes sobre a lingua bunda ou angolense. Lisboa ,
4803, e Diccionario da lingua bunda ou angolense. Lisboa, 4804.
(2) Od. Lopez, Relazione del Reame di Congo e delle circuinvicine con-
trade per F. Piyafelta. Roma, 1394, p. Ì4.
(3) Loc. cit.
*
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324
LIBRO TERZO
1 Specchietto comparativo di alcuni vocaboli di Ungi
1.* Sotto-famiglia Cafra.
2.* Sotto-famigli
ITALIANO.
AMAKOSO.
(orlog. tedesca)
MAKUA.
(orlog. inglese)
SUHAILLI.
(ortog. inglese)
CONGO,
(orlog. inglese)
LOANGO.
(oriog. inglese
Sole
lelanga
czooah
matolo
tangua
mouene
Luna
iDjanga
taiya
moocizc
gonde
n' gondai
Terra
umslaba
«
mooze
sion so ; loto
n' loto
Acqua
ammaansi
maze
moye
maza
maza
Fuoco
umido
nioorro
molo
bazoo
bazao
Padre
bao
icie
C
laata
lata
Madre
mao
marna
1
marna
mamme
Capo
klogo
«
a
m loo
n* loo
Occhio
amcsligo
melo
«
«
mesau
Naso
poomlu
a
a
yoono
mazauman
Bocca
mlumu
yanoo
c
m’noi
nona
Lingua
mlume
c
t
c
a
Mano
isanga
«
a
coco
candase
Piede
jenjao
c
a
lambee
lambee
Uno
iboje
c
cbemùje
mosey
mochi
Due
mabini
c
mabliere
meoly
colè
Tre
mai’ barn
«
madaloo
taloo
tal® a
Quadro
roani
c
muchéche
in’ na
yaca; kea
Cinque
mas lami
*
manoo
lanoo
tono a
Sci
sika”na
«
lumina
sanbanoo
sambanoo
Selle
sii” haudalu
mukendeh
sambody
sambouj ly
Olio
toba
*
munnanè
n’ ana
eoana
Nove
mamani
«
komme
Dana
e' vana
Dicci
sauroc
moje
coomy
ecatimi
(I) Dal Balbi, AUat ethnographtque — Lichtenslrin , Reite in siidlichen Afrika— Barron.J
southern Africa — Kay , Travet* and Rcsearclus in Caffreria — Alczander, Ezpedition of dun
del Lo|vez.
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RAZZA MELAMCA-FAMIGL1A CAFRA.
appartenenti a diversi popoli della Famiglia Cafra ( 1 )
3.* Sotto-famiglia Fuuca. 1.» Sotto-famiglia Mandinga.
ANGOLESE.
(ortog. portoghese)
FDLACO.
(ortog. (rancese)
PELLET ANO.
(ortog. tedesca)
MANDINGO.
^ (ortog. inglese)
GILOFFO.
(ortog. francese)
ricumbi; luanba
nangué
nfage
teelee
ielle
riegi
( Koure )'
liulu
korro
karrcc
«
lessdi
lissedib
banko
«
menila ; masa
s
«
SO
C
lubia; matubia
diangole
njile
deemba
a
tata; jetata
baba
baba
fa
mecsse
marna; maaha
ioumma
inna
ba
minsi
mieloe
onorò
hore
loon
ikkunjee
rissu; messo
( bitter )
glteh
naa
a
risicoli; masieno
inerii
Djelhinerat
noong
oc
risumbu; macanu
oudonko
a
da
a
rimi; marimi
a
démgal
«
«
lucacu; macacu
tliongo
neworeb
Ulula
ibollee
quinama
felo
kusscogal
Sillg
ilgenge
mocbi; rimochi
goltei
go
killiu
keling
quiari; maion
deddi
didi
foolo
Pilla
qoilata
lati
tetti
sabba
saba
nana; quiguana
nai'
a
nani
nani
ilano; quilunu
guioi
a
looloo
lobi
saraannu
guiegom
1
woro
worre
sambuari
guiedidi
<
orongle
ornala
naqui
guictaii
«
sic
setti
irrua
guicoai
a
1 conunta
konundo
C
sappo
«
a
a
accnunl uf Iravcls in/o thc interior o[ thc southern Africa — Burclirll , Traiels in thè interior of
rcry inlo thc interior of Africo , olire i Vocabolari di. ilei Tukey , Canoecaitim , r le osservazioni
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unno terzo
326
Negli articoli seguenti descriveremo ciascheduna di queste Sotto-
Famiglie, e faremo conoscere i caratteri particolari onde Luna dall’al-
tra si differenziano.
ARTICOLO I.
SOTTO-FAMIGLIA CAFRA.
La Sotto-Famiglia Cafra, più numerosa fra le quattro che compon-
gono la Famiglia di questo nome , comprende le tribù negre della
parte orientale dell’Africa australe , dal fiume Giuba , quasi sotto la
linea equinoziale, fin verso il grado 32° di latitudine meridionale , e
quelle di una porzione centrale ed occidentale della medesima parte
del continente africano.
Tutte queste tribù distinguono, senza eccezione, una dolcezza di
modi, la prudenza e l'ospitalità che esercitano verso gli stranieri. Gli
abitatori delle coste accolgono i naufraghi con bontà compassionevole,
e gli accompagnano spesso, anche per molte centinaia di miglia, e li
conducono ne’ porti più frequentati. Con gran liberalità furono rice-
vuti gli Inglesi da’Cafri della costa di Lagoa, i quali non vedono, se
non raramente, gli Europei. I nativi degli altipiani dell’interno fecero
pruova delle stesse qualità quando videro per la prima volta uomini
di Europa. Barrow incontrò le medesime virtù presso i Kosi , o A-
makosi; Truter, Sommerville e Lichtenstein presso i Beljuani; Pedro
Alvarez de Anhaya presso i Cafri di Sofala (nel 1805), e G. Barrelo
presso i Cafri di Manica. Quando Vasco de Canta, dopo aver percorso
la costa del Natale, giunse al Rio dos Reys {il santo fiume de’ tre Re),
vi trovò, secondo narra Castanbeda, le tribù cafre munite di lance
con ferrate punte, ma si cortesi ed ospitali, e tanto in lui confidenti,
ch’ei chiamò quella costa il Paese delle Buone Genti, o della Pace ( Ter-
ra da boa Paz ) (1).
I caratteri fisici delle varie tribù di questa Sotto-Famiglia offrono,
è vero, alcune leggere modificazioni, secondo ch'elle vivono più o
mcn presso all’Equatore, o ne’ piani, o in paesi montuosi, ma gene-
ralmente si rassomigliano tanto, e danno alla fisonomia tal tipo parti-
colare, che indarno cercheresti nelle rimanenti popolazioni melania-
ne. « I Cafri (così il Lichtenstein) sono più grandi, più forti e di più
proporzionate membra di lutti gli altri Africani. Molto fosca è la loro
carnagione, i capelli neri e lanosi, e la fisonomia ha un non so che
di particolare, che non permette di poter pensare a comprenderli
con alcun altra delle Razze che noi abbiamo di sopra menzionate.
(1) Ritler , Afrika, Sez. 1. § f.
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RAZZA MELA MICA-FAMIGLIA CAFRA. 327
Hanno la fronte alta ed il naso degli Europei , le labbra grosse dei
Negri co’ pomelli delle gote rilevate e sporgenti degli Ottentotti.
Sonora, soave ed armonica è la loro lingua con istridore o battito
dentale ( claquement ) nell'articolazione ; le parole radicali sono di una
o di due sillabe di suono semplice e senza dittonghi : la pronunzia è
lenta e distinta ed accentuata sull’ultima sillaba. Vari sono i dialetti
favellali dalle loro tribù, e non pertanto anche le più lontane si com-
prendono facilmente fra di loro(l) ». Cosi egli.
Vivono riuniti in villaggi spesso molto popolosi; posseggono molto
bestiame e coltivano campi e giardini ove raccolgono mais, miglio ,
fave e cocomeri. Sanno l’arte di fare il pane e la birra , e conoscono
l’uso del rame e del ferro che lavorano con rara precisione.
Si è detto da alcuni che i Cafri non avessero religione , ma non
pare dubbio che l’abbiano, conciosiachc hanno fede in un Essere Su-
premo che or chiamano Uldunga « il Grande » od anche « il Bello »
col vocabolo ottentotto di Vtika. Credono ancora nella immortalità
delle anime, le quali uscite dal corporeo involucro prendono cura
de’loro congiunti , ed invocate scendono propizie in lóro aiuto. Il
tuono stimano effetto della potenza divina , e il fulmine che uccide
un uomo è l’indizio della collera della Divinità che placano con of-
ferte di vitello, o di bue. Moltissime sono le loro superstizioni, e non
di rado s’inchinano ad un animale, perché lo credono invasalo di
Shuluga ( spirito ) cui cercano rendersi propizio massimamente nelle
loro cacciagioni. Anche ordinato dalla religione sembra l’uso de'Ca-
fri di circoncidersi appena giunti a pubertà. Molte cerimonie accom-
pagnano questa operazione che fa, secondo la loro espressione, d’un
fanciullo un uomo, il quale d’allora in poi viene ammesso alla mensa
del padre, e prende parte al maneggio degli affari.
Di molte tribù cafre solo il nome è pervenuto tino a noi. Alcune
sono conosciute più delle altre , o perché più vicine alle colonie de-
gli Europei , o perché visitate da infaticabili ed arditi viaggiatori.
Non potendo dar ragguaglio particolarmente delle singole tribù, cre-
diamo basti sol dire di quelle delle quali abbiamo meno imperfetta la
conoscenza.
Beljuani. Conosciuti soltanto nel principio del secolo che volge i
Betjuani, che si estendono nell'interno dell'Africa australe dal nord 3
est del fiume Orange fino al di là del tropico del Capricorno, si di-
stinguono da tutti i loro vicini per dolcezza di carattere, industria e
probità. Nutriscono armenti di buoi e pecore , coltivano con cura
le loro terre, e lavorano abilmente il ferro, il rame , l’avorio. Una
libera e popolare costituzione guarentisce la loro indipendenza , e li
pone in grado, se ve n’ha d’uopo, di difendere la propria libertà.
Sono tribù di questa nazione, e tutte favellanti la lingua secuana:.
I ilaquini (Maquainas,o Moquainas) tra il 24° e il 26° di latitudine
(1) Reise in sudlichcn Afrika. Berlin, 1812. I.
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328
Milito TERZO
australe. Il lor nome, clic in arabo ( Ka'na ) significa forgiatore, denota
la loro eccellenza nel lavorare il ferro ed il rame che ricavano dalle
proprie miniere. Bitter è di credere che confinino ad oriente con le
possessioni portoghesi della costa di Sofala c di Monomotapa. Sono
buoni coltivatori di terra , e sono tenuti generalmente per uomini
energici ed attivi.
I Muntisi meno lontani dalla costa che i Maquini : gente agricola
ed industre , che coltiva la canna da zucchero e il tabacco ; fabbrica
rasoi e coltelli con ferro si eccellente che non invidia l’acciaio ; co-
struisce case di fabbrica ornate di pilastri e modanature. Essi ed i
Maquini , non che le vicine tribù de’Mullaquam e de’Mahalaseli co-
noscono l’arte di mitigare la violenza del vaiuolo per mezzo della
inocnlazione che fanno in viso nello spazio fra i due sopraccigli.
1 Bachapini, o Malchapi più centrali de’Maquini e de’Murutsi. Il
lor naso generalmente non è schiacciato, nè grosse le labbra, nè ap-
puntato il mento, ma nel resto hanno un’aria di somiglianza con gli
Ottentotti. Le donne sono di bassa statura e senza grazia , ma sono
vivaci in gioventù , e buone massaie nell’età matura. Si ornano di
armille fatte con peli di giralTa, o d’altri animali ; curano molto la
chioma, e i lanosi capelli dividono in ciufietti che dal sincipite scen-
dono regolarmente intorno alla testa. Sulle carni impiastricciano ocra
0 sibilo , talché riesce impossibile distinguere il lor vero colorito.
Poco o nulla conoscono l’agricoltura, pochissimo la metallurgia , e
per nulla le altre industrie, se ne togli una certa abilità nel co-
struirsi le capanne, e cucire insieme con fili di budello le pelli de’loro
vestimenti.
1 Nuakkclsi, al nord de'Bachapini, e rinomali per le loro conoscenze
metallurgiche; più ad occidente i Machùous ( Bamuckars di Burcbell)
1 quali conoscono l’ inoculazione del vaiuolo che praticano in fronte
come i Murutsi.
I Mokarraquas e i Barolonghi, o Marolonghi, povere e scarse tribù
a settentrione de’ Machùous ; e ad oriente di questi i Tammakas , o
Batammakas , noti ancora sotto il nome di Cafri Bossi, la principale
residenza de’quali è segnala nella carta di Burcbell fra il 20° S6' la-
lil. australe e 25° 48' long, orientale (Grecnwich).
I Cohas ( Gokas ) sulle rive del Donkin , influente dell’Orange ; i
Mumpuri sull’orlo del gran Deserto australe, e i Kallikarris, loro vi-
cini, il cui nome significa Bcijuani poveri, cosi chiamati perchè nou
hanno buoi , nò pecore , nè conoscono adatto la pastorizia.
Gii altri Cafri sulla costiera orientalo dell’Africa australe sono :
I Busi (Koosas, Kornas), o Amakosi (1; nella parte meridionale della
CalTrcria fra il 32° e 34“ di latitudine australe, e il 23° e 27° di lon-
gitudine orientale (Parigi);
(f) Amakosi noni che il plurale di Rosi o Kusi, il quale si forma, nelle
lingue cafre aggiungendo ama al nome singolare.
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329
RAZZA MELANICA -FAMIGLIA CAFRA.
I Tambukki sulle frontiere orientali della colonia del Capo di Buo-
na Speranza ;
Gli Amapondas o Ilambonas, di statura più piccola degli altri Ca-
fri, ma di forme affatto somiglianti. Li separa da'Tambukki l’Umzum-
vobo, o fiume degli Ippopotami, che forse è il fiume di S. Giovanni
del commodoro Owen ;
Gli Amaclasali e i Mujali, abitanti al norte dcH’Umzumvobo;
1 Ztda, al nord-ovest della Colonia del Capo del Natale , formi-
dabili e minacciosi sempre tanto contro questa Colonia, quanto con-
tro quella del Capo di Buona Speranza. Sono un mischio di varie
tribù, onde non hanno identiche fattezze e colore, che è rameo
in alcuni , in altri come quello del carbone , in moltissimi ciocco-
latte , il quale peraltro è il dominante. Hanno statura che non vince
la mezzanità , e ben fatte e ben proporzionate le singole membra del
corpo. Coltivano campi ed allevano bestiame, lavorano bene il rame
ed il ferro, e pongono studio particolare ad ornarsi in tempo di guer-
ra con code di gatto intorno ai reni , peli di code bovine sulle spalle
e sul petto, e con una specie di berretto di pelle di lontra (1) ;
1 Cafri della baia di Lagoa , grandi e ben formati , i quali hanno il
costume di stimmatizzarsi il volto ed altre parti del corpo, e di reci-
dersi i lanosi capelli , meno un ciuffo che lasciano irto sul capo, ov-
vero due che si fanno crescere a’due lati della testa. Altre tribù forse
affini abitano Inhambana che sta a settentrione della baia di Lagoa, e
confina al nord col regno di Sabia da cui lo divide il capo delle Cor-
renti c il fiume Inhambana;
Gli indigeni del Monomotapa, popoli pastorali , che molto hanno
di somigliante, ne’ caratteri fisici, co’Betjuani (2); ai quali sembrano
anche identici i nativi d'Abutua e del Zambeze superiore che si di-
cono Muzimbos, e che furono inimici ferocissimi delle colonie porto-
ghesi delle coste ;
I Malata ( Makoos di Salt), a’ quali si possono associare i Cafri di
Quiloa di colore olivastro (3) , ed i Mongoli», tra Quiloa e Mozarabi-
che, la più popolosa tribù littorana che si distende al nord fino a
Itlelinde, e a mezzogiorno fino al Zambeze. Sono popolo forte ed atle-
tico, sempre pronto ad invadere i domini de’Portoghesi contro i quali
nutriscono odio implacabile. Nello stato libero sono molto feroci, ma
nella condizione di schiavi sono docili, fedeli ed anche bravi, se si ad-
dicano alla milizia. S’ infilzano anelli alle narici, e si aguzzano i denti
con la lima. Sulla fronte, sul naso e sul mento si fanno larghe e forti
(1) Isaac», Travels and adventures in eastern Africa, dcscriptivc of thè
Zoolas, their manners, customs, ctc. London, 4855 — Gardincr , Narrative
of a journey to Ilio Zoolus country , ctc. London, 4856 .
(2) Lichlenstein, Loc. cit. t. I. p. 454.
,'3) Barbosn, Viaggio alle Indie Orientali, in Ramusio, Delle Navigazioni
e Viaggi I. I.
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LIBRO TERZO
incisioni. Amano i Makua passionatamele la musica e la danza : il
snono del tam-tam basta a rallegrarli , ma non quanto il loro ambirà ,
che rende suoni molto armoniosi.
Un’altra tribù di Cafri che meriti essere descritta è quella de’ Da-
marti viventi in sulla costa occidentale dell’Africa meridionale, e di-
visi in Damara delle colline, e Damara delle pianure. I primi formano
una numerosa popolazione fra il 23° e 24° di latit. australe , e con-
finano a mezzogiorno con alcune orde erranti di Boscimani, e a set-
tentrione hanno per vicini i Damara delle pianure da cui li divide il
fiume Swakop, o Bowel. I Damara delle colline non coltivano ce-
reali , e spesso per mancanza di cacciagione , che è la primaria loro
sussistenza, si cibano di lucertole, di sorci, di radici , di bulbi sel-
vatici , e talvolta anche di foglie. Que’delle pianure sono un popolo
pastorale men selvaggio de’ fratelli delle colline. Il loro colore è di
un nero di ebano , le membra proporzionate, ed i muscoli bene svi-
luppati. Segno distintivo di questa tribù è l’avere svelti i denti inci-
sivi superiori, e non praticar circoncisione , come è l’uso di tutti gli
altri Cafri (1)
1 rimanenti indigeni della costa orientale d’ Africa dal 2° grado di
latitudine settentrionale fino al 14° di latitudine meridionale , per
quanta è la contrada del Zanguebar e la parte settentrionale del Mo-
zambiche che vi corrispondono , non appartengono tutti alla razza
melaniana, ma avvene di quelli che sono discendenza meticcia di
Cafri e d’ Arabi (2), come i nativi di Brava e Magadoxo e delle terre
circostanti, e i Sobailli nelle fertili isole di Zanzibar e di Pemba , in
Mombas ed in altre borgate arabe sul della del Giuba, e in parte della
costiera in verso Melinde (3). Le altre tribù son di puro sangue me-
laniano, tanto quelle del lilturale, quanto le altre delle contrade in-
terne , e delle quali oggi non si sa più del nome, come i Vanika, in-
torno a Mombas, gli Lsambara, presso Tanga , i IVakadoa rimpetlo a
Zanzibar , i TVcUumbi più al mezzogiorno , e più al sud ancora i
JVamueri, e tra il Capo Delgado e Kisanga , i Wamakondi, tutti po-
poli littorani, e tutti, a quanto pare, di stirpe veramente cafra.
Tali sembrano essere anche le tribù dell’ interno , le quali si di-
fi) Ved. Campbell, Travcls in thè south-Africa. London, 1822 — Thom-
pson, Travels and adventures in southern Àfrica, London, 1827, e più par-
ticolarmente, dlexander, Bipedi tion of discovery into thè interior of Africa.
London, 1858.
(2) 1 primi Arabi che vennero a fissarsi nella costa del Zanguebar , e vi
fondarono Brava e Magadoxo, furono gli Emozaidi, i quali seguendo Zaule
nipote di All, nell’ottavo secolo dell’c. v. si separarono dagli altri devoti di
Maometto. Li seguirono poi gli Irmcni, venuti da’Baharein sul Golfo Per-
sico, e posero stanza intorno a Magadoxo.
(3) Tale è anche la opinione del Pickering: « The Soahili (egli dice) are
a mixed nation , consistititi principali] of Negroes, but emboding thè rs-
mains of <m infusion of Whites. Op. cit. pag. 195.
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RAZZA MELANICA— FAMIGLI A CAFRA. 331
stendono fin presso i grandi bacini d’acqua dell’Africa equatoriale ,
i laghi N’yassa ed Ukerevé, se pur entrambi non ne formano che un
solo cui l’ Erhardt e il Rebmann danno il nome di Uniamesi : grandi
serbatoi di acque alimentati dai fiumi che scendono del versante me-
ridionale della gran catena de’ monti posti sotto l’equatore. Le quali
tribù con vocabolo generale si dicono oggi Waniamesi, benché vera-
mente avessero ognuna un proprio nome, come tra il Dana e il Ru-
fu, e dalle coste verso l’interno, i Bondei, i Waendi, i Bura , i Wa-
deida, i Wakuafi, i Pare, gli Yata, i Djaga, gli Arma, i Walasowi, i
Wasirida, i Wadusi ; tra il Rufu e il Rufuma, i Wasegui, i Wadoi
(antropofagi) , i Vaua, i Wagnindo, gli Vgugo, gli Uranga, i IFajania,
i Wafiomi, i Wakimbu , i Waniamesi, i Wakalagansa, i Waragui, i
Wasukuma, i Wasumbua , i Wavioma, i Watambala, i Waha, i War
vi nsa, i n'alala, i Waftpa, i Wapogo ; e dal Rufuma al 14° di latitu-
dine australe, gli Ahiao, i Mahua, i TFamaAua, i Wakumbodo, i Wa-
nianja, i Wamuera, i fVamaravi, i Wakamunda , i IFaeisa , i Walon-
da, i Wakamba ; e ad occidente de'grandi laghi, i Warua, i Waboga,
i Wabembe (antropofagi) : popoli tutti benfatti , di un bel color nero,
e che favellano idiomi, che hanno strettissimi rapporti fra di loro (1).
ARTICOLO II.
SOTTO FAMIGLIA CONGO.
La Sotto-Famiglia Congo, suddivisa in molte tribù variamente no-
minate e assai poco fino ad ora conosciute, occupa tutta la occi-
dentale regione dell’Africa australe segnata nelle carte col nome di
Congo e di Ghinea meridionale, e che si estende, a quanto dicesi ,
nello interno per più di 200 leghe dal mare, e lungo la costiera ma-
rina dal Capo Lopez fino al Capo Negro per tutta la contrada che
chiamasi del Loango, del Congo, d’ Angola e del Benguela.
E fama che gli abitatori delle coste innanzi l’arrivo di Diego Cam
sul Zairo (1484) appartenessero a un solo impero che indi si sciolse in
altrettanti piccolistati, quanti erano i governatori delle province ,
rimanendo in soggezione dell’ antico sovrano la sola provincia di